La macchina di luce


Prologo

 

Non so come sia accaduto di ritrovarmi nuovamente, verso sera, vicino a quella casa dove speravo di trovare le risposte che cercavo da una vita.

Ma la via per finalmente entrarci, ancora una volta sarebbe stata preclusa da un tradimento che si apprestava a raggiungermi, alle mie spalle, nella forma di una persona o di un animale, forse un grosso cane. 

Lo sentivo avanzare e non mi importava più di avere un'immagine per il mio timore, era successo tante volte e qualunque fosse otteneva sempre lo stesso risultato, fermare il mio passo costringendomi in un'altra direzione.

La sensazione di trovarmi in trappola cresceva d’intensità, allo stesso tempo la forza che sempre mi accompagnava saliva di tono, predisponendomi alla lotta e assumendo in breve il controllo dei miei sensi e del mio corpo.

Il pensiero, fin da subito, era diventato il suo.  

 

Un pensiero che ricordavo sin quando iniziai ad avere memoria, alieno per i contenuti che infondeva nella coscienza di una bimba, senza possibilità di comprenderli. 

Non era quello il suo scopo, anche se in seguito quei contenuti li ho appresi e sviluppati nelle forme della mia vita; quello che voleva era esserci e accompagnarmi, su questo non avevo il potere di decidere.

La forza di quel pensiero mi avrebbe difeso e preservato dal peggio: arrendermi a un destino che non sentivo il mio.

Il cane avrebbe cercato di scacciarmi dal giardino della casa mai così vicina come adesso e l'uomo, o il cane diventato tale, afferrandomi il braccio e usando il potere della sua voce mi avrebbe condotta distante, nell'opposta direzione dei miei passi. 

Nuovamente avrei dovuto seguire fili invisibili che man mano rivelavano il giardino e la casa nascosta, andare in profondità nel mio sentire e avvicinarmi, aperta la porta, a quella stanza dov'era conservato il libro e in quello le parole che potevano liberare la mia anima, presentandomi l'unico destino che mai avrei potuto accettare, il mio.

 

Qualunque fosse, anche saltare nel vuoto, l'avrei accolto col mio vero sorriso, non quello che mi è stato strappato, travisato e ingannato e assieme a lui il mio corpo, i sentimenti e le speranze.

Il rumore era sempre più vicino, guardavo la casa e sentivo irrigidirsi i muscoli; non sarebbe stato facile trascinarmi via da lì, il mio corpo stava cedendo al tempo pur se la forza era rimasta uguale e anche al mio nemico, al traditore, dovevano pesare i molti anni trascorsi.

Forse eravamo prossimi al punto in cui uno dei due avrebbe prevalso completamente sull'altro, con ciò sancendo la fine dell'epica lotta.

Respirai profondamente… assaporando l'amarezza e al contempo l'ebrezza per l'imminente sfida misi l'elmo sul capo, strinsi la lancia serrando al corpo lo scudo… chiunque vestisse i panni del traditore avrebbe trovato un ben duro pane per i suoi denti.

Tuttavia stavolta mi prese una sensazione nuova, il desiderio d’avere l'immagine del mio timore davanti agli occhi, chiara e nitida.

Pur sapendo di correre un rischio mortale, presentando una parte vitale del mio corpo guerriero scoperta, non volli abbassare la visiera dell'elmo.

Sì, volevo vedere la sua forma e non temevo, dopo tanto tempo e tante sfide, che la sua lancia mi attraversasse gli occhi e la facesse finita, una volta per tutte.

Ma gli avrei concesso un solo istante e a metà dello stesso, spostato di lato il capo a evitare la sua lancia avrei sferrato la mia... guidata nella mira dagli occhi liberi dal diaframma metallico.

Mancava poco, un altro passo, e tra il precedente e questo rivissi la mia vita



Cap. 1 - Il furto

 

Erano le tre di notte, l’ora ideale per le attività della categoria cui apparteneva.   Riuscì facilmente ad aprire l’imposta dello sgabuzzino al piano terra della villa, dove viveva un anziano che conduceva una vita ritirata. Non vide mai nessun altro entrare in quella casa che denotava agiatezza, al pari dell’automobile, una Mercedes pur se non delle più nuove e costose.

L’unico residente si ritirava al piano di sopra per la notte, così che entrato dallo sgabuzzino, con estrema prudenza e facendo luce appena un po’ più di quanto serva ad un gatto, lentamente e prestando attenzione ad ogni minimo rumore si avviò verso il soggiorno, sperando di trovar subito qualcosa e non dover affrontare una pericolosa reazione, quel tipo di persone non di rado detengono armi.

Certo ci son “lavori” più facili, per così dire, ma la concorrenza di un’umanità sempre più disperata giocoforza alzava l’assicella del rischio e quella e non altre era la sfida che l’attendeva.

Tuttavia le cose procedevano bene e a passi felpati avanzò senza trovar ostacoli sino alla porta del grande soggiorno, il momento più delicato.

Respirò a fondo e impiegò un tempo infinito per aprirla.

Le lampadine di servizio rischiaravano abbastanza la sala da permettergli di localizzare dei quadri interessanti e un cofanetto di quelli usati per gli oggetti di valore, a quel punto anche avesse dovuto scappar di corsa avrebbe fatto a tempo a portar via qualcosa.

Proprio bene, pensò, mentre terminava di tagliar la tela d’un quadro incorniciato a vista, avendo già individuato il successivo e poi…  il cuore gli balzò in gola, sopra il grande tavolo nientemeno che portafoglio, orologio e una cartella di documenti … quel che si dice una fortuna sfacciata!

Che si affrettò a cogliere, accorgendosi solo in quel momento del pavimento disseminato di foglietti di carta, forse biglietti… ma sì, biglietti dei “grattini” (gratta e vinci) che aumentavano di quantità vicino alla porta socchiusa di quella che doveva essere la cucina.

Passatempo oppure vizio di una persona solitaria non gli importava,certo di denaro ne doveva avere parecchio per grattarli in tali quantità, insolito però lasciarli sparsi a terra in una casa fine ed elegante. La porta socchiusa era un invito a dare una sbirciatina anche lì dentro… non si trattenne, era il colpo finale che poteva risolvere per sempre i suoi problemi.

Sospinse dolcemente la porta, all’interno non v’era l’illuminazione di servizio e dovette fare un po’ di luce, direzionandola dapprima a livello del pavimento… incredibilmente ingombro di migliaia di biglietti, quasi fossero coriandoli di carnevale!

Poi il debole fascio incontrò le gambe del tavolo, quelle sottili delle sedie e tra queste, in un’anomala asimmetria, altre gambe, stavolta umane!

Non si giunge a compiere i colpi che egli mise a segno senza avere delle qualità particolari. Il sangue freddo anzitutto, che gli permise di spegnere immediatamente la luce e rimanere immobile, pensando laddove l’istinto comanderebbe la fuga.

Tre sole possibilità: 

1- l’uomo si era addormentato sul tavolo; 

2- era sveglio e attendeva la sua ritirata… forse armato; 

3 – la meno probabile, un malore.


Quasi non respirò durante il lunghissimo minuto nel quale escluse la seconda ipotesi, accantonò la terza e propese per la prima. In tale situazione doveva decidere il da farsi, finora gli era andata bene, riuscendo a far razzia senza che qualche rumore avesse destato l’inquilino… poteva contar ancora sulla fortuna e andarsene così com’era giunto?  Nella sua “carriera” non aveva mai dovuto arrivare a contatti fisici con le sue vittime, preferendo nella malaparata una disonorevole fuga a gambe levate, che quando le aveva ancor giovani e scattanti lo trassero più volte d’impaccio.

Ma erano altri tempi e senza la refurtiva d’adesso avrebbe dovuto rischiare in seguito ben di più per molto meno… la sua mano verificò nella tasca la boccetta del liquido soporifero mai utilizzata, ma c’è sempre una prima volta e questa ne aveva tutte le prerogative. Carpe diem, un fazzoletto impregnato e poi avrebbe avuto via libera, la decisione era presa. 

Controllando il respiro come neppure uno yogi saprebbe fare e tastando con piedi e mani abilmente al pari di un cieco, gli si posizionò alle spalle, aprì la boccetta e lesto inzuppò il panno. Sfiorando impercettibilmente la schiena dell’uomo per localizzarne il capo comprese che l’aveva reclinato sul petto. Difficilmente si dorme profondamente in tal posizione, tornò ad riaffacciarsi con forza la terza ipotesi.

Sollecitò al massimo l’udito senza ricavarne il segnale d’un respiro, l’ipotesi si faceva sempre più concreta ma non poteva rischiare, si apprestò a posizionare la mano sul volto e premere il panno quando il busto dell’uomo, coincidenza, s’accasciò sul tavolo con un tonfo sordo.

Accese la pila e tastò il collo dell’uomo, nessun calore, nessun pulsar di vene.

Nel ricercare l’uscita s’accorse che l’uomo teneva nella mano un biglietto e una volta di più, sbalordito, constatò l’enorme quantità di quelli già svelati sparsi dappertutto.

Senza quasi rendersene conto lo sfilò dalla mano dell’uomo e provando una sensazione indefinibile stava per rivolgervi la luce della torcia, quando un piccolo rumore lo mise in allarme e con la capiente borsa sulle spalle si dileguò come un gatto… ma quelli non portano pesi né pensieri.


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