Il colore nascosto della lavanda
INDICE
pag. 1 cap. 1 Al mercato
4 cap. 2 Marie e Jean
8 cap. 3 I fiori
11 cap. 4 Anne e Jean
15 cap. 5 Un posto particolare
20 cap. 6 Anne e Marie
23 cap. 7 Vacanze
26 cap. 8 Un'ombra nel giardino
29 cap. 9 Colori
34 cap.10 Prime riprese
42 cap.11 La petite... mer de la provence
47 cap.12 Prima visione
52 cap.13 Persone e luoghi
58 cap.14 Il film di Gerard
64 cap.15 Marcel
68 cap.16 Una dura prova
75 cap.17 Realtà e finzione
81 cap.18 Le due verità
87 cap.19 Come andarono le cose
91 cap.20 L'indaco
97 cap.21 Famiglie
101 cap.22 Sogni
105 cap.23 La visita di Pierre
114 cap.24 Impegni e promesse
118 cap.25 Il tesoro
122 cap.26 L'ultima sorpresa
126 cap.27 Il ritorno del colore
132 cap.28 Anni dopo
140 cap.29 La stanza di Jean
139 cap.30 Festeggiamenti
144 Epilogo
Capitolo 1 - Al mercato
Era mercoledì, giorno di mercato nella cittadina, una delle poche occasioni mai mancate da Marie di soddisfare la curiosità dei suoi ormai prossimi quattordici anni.
Libera dagli obblighi scolastici, sin dal mattino era pronta per l'esplorazione minuziosa di quell'edificazione temporanea e traballante che è un mercato.
Cosa la interessava? Quasi tutto, ma specialmente oggetti colorati e anche vecchi, passati di mano in mano... sino a giungere a fine corsa in una bancarella in attesa di qualcuno che sapesse apprezzarli, una persona a cui raccontare la loro storia.
Beninteso, non che Marie fosse di bocca buona, era molto difficile che un oggetto superasse il suo spirito critico e arrivasse ad insidiare il suo magro borsellino, ma talvolta accadeva e quel giorno era destino che accadesse.
C'erano come al solito decine e decine di bancarelle, da quelle che settimanalmente si ricollocavano con precisione negli stessi posti, ad altre che si adattavano ai residui spazi rimasti liberi ai margini della piazza, fuori dal percorso principale.
Luoghi che il più delle volte non erano permessi e per tale motivo un po' meno tenuti d'occhio dai vigili, così che poteva passare molto prima del loro arrivo. Su questo tempo “utile” contavano alcuni ambulanti non regolari per guadagnare qualcosa e bisognava che avvenisse presto; per questo la loro merce non era ben disposta su ampie bancarelle coperte da colorati ombrelloni, ma era lì quasi al livello della strada, stipata in cassette o grosse borse, senza quel bel telo sopra la testa a rendere gradevole la sosta.
Da un po' camminava in quella scacchiera di vegetali, stoffe, vasi e altro ancora quando vide nuovamente quell'uomo all'angolo con la via superiore. Come la settimana prima pareva si stesse riposando ma la grande borsa adagiata a terra, ben aperta, lasciava intravvedere il suo contenuto di oggetti in vendita.
Marie notò anche quell'altra piccola borsa appoggiata sul muretto alle spalle dell'insolito personaggio, riempita di quello che parevano libri, riviste o vecchie cartoline, materiale abbondante in un mercato; ma pur da quella distanza un caldo e dorato riverbero del sole che proveniva da uno di quegli oggetti la raggiunse.
Era comunque intenzionata a tornare sui suoi passi, chiedendosi come mai la settimana prima avesse tralasciato di ispezionare quella mercanzia e quel riflesso le accelerò il passo.
Si immerse nuovamente nell'acre fumo della carne arrostita venduta poco prima della stradina che l'avrebbe condotta a scoprire l'origine di quella luce.
L'oggetto era una scatola quadrata, profonda cinque centimetri per quasi venti di lato, di un colore dorato metallico come un'icona e forse vecchia.
C'erano degli occhielli sui quattro lati e dentro questi passava un cordoncino che avvolgeva il coperchio e si chiudeva in alto con un'asola.
Marie stava già sfiorandolo con le dita, pensando che avrebbe fatto un figurone nella sua collezione, quando udì la voce dell'ambulante... si ricordò del suggerimento di sua madre a non mostrare troppo interesse in una trattativa e anche di chiedere subito, distrattamente, il prezzo dell'articolo prima di rigirarlo tra le mani, osservata dal venditore.
Ma i ragionamenti e le furbizie non sono per tutti i ragazzi e men che meno per quelli affascinati dai colori, dalle forme e dai segreti delle cose.
“Se vuoi la puoi aprire”- disse accomodante l'uomo, senza mettere nessuna fretta alla ragazza. - “Oh no, mi piaceva solo la forma, andrebbe bene per metterci delle foto.” - “Oppure le lettere dei tuoi amici, o delle cose preziose.” - ribatté prontamente, aggiungendo: - “Prima però bisognerebbe togliere il contenuto che forse vale anche di più...”.
La curiosità le impediva di rimanere calma ma la discussione era ormai avviata, in ogni caso non aveva abbastanza denaro con sé, qualche parola non presumeva un impegno, pensò.
“E cosa ci sarebbe di così prezioso? ” - chiese a sua volta. Il venditore non replicò ma prese la scatola con una mano rigirandola quel tanto che bastava a farla illuminare completamente dal sole prima di sciogliere l'asola e cominciare ad aprirne il coperchio.
Marie a quel punto sarebbe stata disposta a pagare qualcosa solo per vederne il contenuto.
Tolto il coperchio apparvero alcune buste di diversi colori fatte con una carta spessa, ripiegate e incollate in modo tale che solo un sottile cordoncino a strappo ne permettesse l'apertura, una sorta di sigillo che ne garantiva l'inviolabilità.
Quelle buste le fecero dimenticare la scatola dorata, il suo interesse si era spostato sul loro contenuto. “Cosa c'è dentro?” - chiese con una vibrazione di impazienza nella voce. - “Non lo so del tutto, conosco solo da dove provengono. Erano col materiale di un vecchio prestigiatore, le ho trovate e avute assieme ad altro anni fa, in cambio del lavoro per svuotare e ripulire una enorme soffitta. Pensavo di tenere tutto per me, purtroppo a causa di un incidente che non mi ha più permesso di lavorare ho iniziato a vendere queste e altre cose.” - “E non ha mai aperto neppure una delle buste?” - “Sì, una l'ho aperta quasi subito ma non posso dirti cosa c'era, per motivi personali. Però di una di quelle che ho venduto mi è stato detto che conteneva la spiegazione di trucchi di scena del prestigiatore, qualcuno mai visto; di un'altra che avesse svelato il futuro a chi l'ha comperata. ” - disse l'uomo. - “Quindi è possibile che altri trucchi o predizioni siano rivelati nelle buste! Se è così come mai non le hai ancora vendute tutte?” - chiese la ragazza. - “Semplice, perché non ho trovato il compratore disposto a pagare il giusto prezzo e non le regalo di certo!”.
Quand'è il momento di decidere spesso abbiamo già dimenticato come siamo arrivati a quel punto; talvolta il ricordarlo ci pone in imbarazzo perché sembra che il destino muova per noi i nostri passi sino a lì e che a noi spetti solo di prendere o lasciare.
Per quanto si cerchi a ritroso nella memoria, quello che ne ricaviamo appare indistinto; come nel caso di Marie che rivide nella sua mente quel raggio dorato provenire dalla scatola, il venditore e le buste colorate, il tutto mescolato alla storia del prestigiatore e al desiderio di possederne una.
Una moltitudine di domande l'assalivano: non era più la scatola che l'interessava? E poi quell'uomo... non l'aveva mai visto prima d'ora, perché non provava diffidenza?
Poteva bene aver architettato tutta la storia e ora lei stava per cadere nella sua trappola!
L'ansia stava quasi per impadronirsi di lei, si rese appena conto della voce del venditore: - “Mia cara ragazza, vedo che hai dei dubbi e ti dico che li avrei anch'io al tuo posto.
È un genere di cose per pochi, anche per questo non è facile venderle; quello che posso dirti, puoi credermi o meno, è che nessuno si è mai lamentato dopo l'acquisto.”.
Non c'era altro da dire, era arrivato il momento di andare al di là delle paure, della fiducia, di tutto. Rimaneva un'unica domanda e Marie nel farla sperò di mettere alla prova l'uomo: - “Costano tutte uguale queste buste?” - chiese - “Per davvero non ne conosco il contenuto, che delle tre tu scelga la gialla, la verde o l'altra per me non fa differenza. Il prezzo è il medesimo per tutte, non credo sia alla tua portata, ma devo venderle e te lo dico ugualmente.” - rispose prontamente.
Provò quasi un colpo allo stomaco, la prima reazione fu di andarsene immediatamente. - “È sicuramente una truffa, dovrei denunciarlo!” - pensò, con la rabbia che cresceva.
Un improvviso movimento del venditore richiamò la sua attenzione... solo allora lo vide bene, pur se non troppo anziano era in pessime condizioni fisiche.
Stava appoggiato al muretto tenendosi con una mano alla ringhiera; il pantalone era ripiegato sulla coscia della gamba sinistra all'altezza del ginocchio e l'indispensabile gruccia era appoggiata sopra lo stesso muro.
Come era sicura un momento prima ripiombò nell'incertezza più fonda l'attimo dopo; ma quello che più la fece star male fu il pensiero che tutto il suo giudizio, tutta la sua sicurezza nel valutare quel pover'uomo era a causa del prezzo, per lei troppo alto, delle buste che erano probabilmente una buona parte della sua speranza di sostentamento.
Pensò che se fosse stato un imbroglio costui rischiava quel poco che aveva, addirittura la possibilità di continuare a frequentare i mercati, dove le voci si spargono velocemente.
Forse c'era ben poco di valore nelle buste e in fin dei conti, come alla lotteria, uno è libero di scommettere. Questi e altri pensieri passarono veloci nella sua agile mente senza tuttavia placare quel senso prima di rabbia e ora di irrequietezza che la possedeva, finché intuì quale fosse il vero problema: quello che l'aveva davvero indisposta era che un suo desiderio, una sua curiosità, non poteva essere soddisfatto; un altro no nella vita ancora piena di sogni e speranze di una ragazzina.
Ma quando fu lì per andarsene, scusandosi in cuor suo per aver così mal pensato dell'uomo, riguardò le tre buste nella scatola: la verde e l'altra di colore giallo, non erano che buste con forse una sorpresa all'interno, ma la terza era una sorpresa già rivelata per lei.
Dimenticò ogni pensiero precedente e senza più sentirsi in colpa, adirata o inquieta prese quella busta tra le mani per osservarla meglio. Immediatamente si formò un pensiero nella sua mente che non riuscì più a scacciare... quella busta era destinata a lei... il colore era esattamente il colore della lavanda che adorava.
Non si sa perché i colori ci facciano così effetto e ognuno ne preferisca che altri non sopportano; Marie non sarebbe mai andata via da dove viveva, da quei posti radianti del lilla della lavanda, del lilla di quella busta. Capì che per un sogno si deve e si può pagare un prezzo, lei ora era disposta a farlo.
Disse al venditore che era interessata, voleva quella busta e non avrebbe neppure cercato uno sconto, ma in cambio doveva prometterle di conservarla sino al termine del mercato, ancora qualche ora, per permetterle di trovare quella cospicua somma di cui assicurò l'onesta provenienza.
Spiegò che aveva dei risparmi e qualcuno l'avrebbe sicuramente aiutata per la restante parte, rintuzzò il senso di fretta che parve metterle l'uomo dicendogli che se finora non le aveva vendute era impossibile che in così poco tempo si sarebbero presentati acquirenti per tutte e che sicuramente nel paese della lavanda era più facile vendere le buste degli altri colori!
Lasciò all'ambulante tutti i suoi 50 franchi in cambio di un libro preso a caso; se non fosse ritornata sarebbero stati pari, lo avvertì di stare ai patti, lei pur essendo giovane conosceva molte persone... ma non finì la frase perché l'uomo nel riporre in una borsa denaro e busta le disse che come egli si fidava lei dovesse fare altrettanto.
Un paio di mercoledì al mese Anne portava Jean, un amico di Marie di quattro anni maggiore, in uno studio medico della cittadina e la ragazza colse quelle occasioni per un passaggio in auto.
La cure duravano normalmente più di un'ora, tempo che impiegava per la sua visita al mercato, prima di rincontrarsi.
Immersa in un turbinio di pensieri stava ritornando verso lo studio vicino al parco pubblico, affacciato sulla vallata in fiore. Pian piano si ripresentò la realtà: era solo una ragazzina entrata in un gioco più grande di lei, un gioco per adulti dove servivano molti soldi veri per partecipare!
Oppose quel suo senso di fiducia in sé a tutte le logiche osservazioni che si figurava le avrebbero rivolto i familiari; ma al termine di tutto ciò, quando rimase solo l'aritmetica da mettere a posto, si rese desolatamente conto che le parole non sono numeri e che per quanto si auspicasse la benevolenza della madre e della zia in occasione del suo compleanno di lì a giorni, non avrebbe raggiunto la somma richiesta (del padre, allontanatosi di casa con altri illeciti affetti, non ricordava da tempo un qualche aiuto).
Non crediate tuttavia che una tale giovane avrebbe aperto le porte alla disfatta senza avere, se non la certezza, almeno una valida speranza. Sarebbe stata un'altra occasione per mettere alla prova l'amicizia di Jean; ma questa volta, trattandosi di denaro, se ne vergognò un po'.
Capitolo 2 – Marie e Jean
Marie viveva con la madre Claude, il fratello Patrick e la zia Catherine in una modesta casa a ridosso dei campi di lavanda, coltivata per estrarne la preziosa essenza nonché peressere venduta come fiore reciso, anche se questa attività produceva un magro reddito stagionale legato al turismo.
Il padre, senza entrare in poco edificanti particolari, si allontanò da casa già pochi anni dopo la sua nascita: successe che la moglie lo scoprì e non gli dette un'altra possibilità, ritenendo conclusa la loro vita assieme accettò le difficoltà della mancanza di un padre per i ragazzi piuttosto che rassegnarsi a ricorrenti menzogne.
L'uomo quasi subito si disinteressò dell'educazione dei figli; si parlava di lui solo in occasione del sussidio tenuto a corrispondere per legge, sempre oggetto di discussioni e prolungati ritardi.
La loro buona sorte fu di lavorare per una delle famiglie più ricche del paese - e per altri versi altrettanto sfortunate - che possedeva la loro abitazione, i campi che la circondavano e altri possedimenti nelle colline circostanti.
Il giardino della grande casa dei proprietari confinava con la loro, separata da un viottolo che conduceva alle colture di lavanda, le cui diverse colorazioni stagionali erano uno dei pochi spettacoli disponibili in quei luoghi un po' fuori mano.
Gli arbusti spogliati in estate del loro prezioso carico di fiori ricacciavano nuovi germogli verde-grigio, occasionalmente ricoperti in inverno dalla neve. In primavera le piante si rivestivano di argentee foglioline aghiformi, preludio dei nuovi steli colorati sempre più di viola man mano che la spiga si sviluppava. Finalmente con la bella stagione ecco aprirsi il fiore lilla, sfrangiato come piccole dita a spargere nell'aria l'inconfondibile profumo, secco e balsamico.
Qui si parla dell'originale piantina di lavanda, meno produttiva dell'altra selezione più grande e fiorita: il lavandino, ordinata nella crescita e decisa nel colore ma soprattutto capace di produrre il doppio di essenza, ragione per la quale viene sempre più coltivato.
Ad esso manca quel senso di vulnerabilità della piccola lavanda, tuttavia apparente, perché pur schiacciata al suolo dal Mistral, il forte vento di quei luoghi, si rialza determinata a far fiorire ogni singolo capolino; compito che riuscirebbe a portare a compimento se non fosse recisa per estrarne la preziosa essenza.
Del perché i proprietari di quelle tenute non si siano ancora convertiti, nei terreni adiacenti la loro casa, al più redditizio lavandino si è discusso tra le genti del luogo: la spiegazione accettata è che il delicato colore della lavanda allevia la pena delle loro disgrazie.
Tutti conoscono la storia della proprietaria, una signora già avanti con gli anni che terminò la propria vita dando alla luce l'ultimo figlio di tre, Jean, venuto al mondo per restarsene in parte separato, non sopportando qualcosa nel suo corpo le normali attività quotidiane. Il padre in breve tempo si rese conto dell'impossibilità del bimbo di vivere nei climi caldi di quella terra d'oltremare, dove aveva avviato una attività commerciale assieme agli altri figli e alla fine trovò in Anne, di cui ebbe sempre completa fiducia, la persona adatta cui affidarlo, prima di trasferirsi per sempre.
Sarebbe lungo spiegare le ragioni del suo comportamento, criticato da molti. Costoro però, non conoscendo a fondo la sua vita non possono valutarne le attenuanti: altri figli da far crescere, passate situazioni tra lui (Marcel) e la moglie, l'età avanzata e forse un altro rapporto affettivo che prese forma, del quale Jean fu tenuto all'oscuro, ritenendone pericoloso l'impatto date le sue delicate condizioni.
I fratelli si stabilirono assieme al padre in quei luoghi stranieri, facendosi col tempo una loro famiglia e mettendo al mondo dei figli; visitarono Jean solo un paio di volte, mantenendo in seguito scarni contatti attraverso vuote lettere d'auguri e formali telefonate.
Dicevamo di come la madre e la zia materna di Marie traessero gran parte del loro sostentamento dal lavorare per quella famiglia, per la coltivazione della lavanda e la conduzione della casa, mentre altre entrate provenivano da ogni sorta di lavori saltuari che accettavano senza riserve da chiunque. Venuto a mancare il contributo paterno si accrebbero le difficoltà, fortunatamente superate con l'arrivo di Anne che oltre a mantenerle a servizio offrì loro con continuità nuove opportunità di guadagno, mai delle donazioni che la fiera signora Claude avrebbe sicuramente rifiutato.
Patrick, il primogenito, con la maggiore età divenne marinaio: sarà stato quell'unico viaggio in Corsica fatto quando la famiglia era ancora unita, con la piccola Marie da poco capace di camminare, o quel colore del mare associato ad una delle ultime felicità familiari a determinarne l'inconscio desiderio di allontanarsi, forse per rinnovarne il ricordo; fatto sta che se ne andò presto da casa.
Ogni piccolo cambiamento poteva peggiorare lo stato di salute di Jean, forse questo fu uno dei motivi che hanno fatto rimanere immutati nel tempo quei luoghi; quale che sia la verità quello è un posto particolare, con degli enormi platani secolari davanti e dietro la casa, autentici monumenti. Qui è cominciata l'amicizia tra Marie e Jean; parleremo un po' di come trascorrevano il loro tempo.
Dalle finestre del grande salone Jean poteva vedere la piccola corte della casa di Marie, il luogo dove la bambina trascorreva parte del tempo libero, giocando di rado con i pochi coetanei della zona, quando non era lei che si spostava per raggiungerli.
Jean fin da piccolo comprese quanto la sua vita sarebbe stata differente da quella delle altre persone che vedeva rincorrersi all'aperto. Là fuori ci sarebbe andato solo per poco tempo al giorno, sempre controllato e assistito da Anne. L'esterno più lontano conosciuto era un edificio bianco a centinaia di chilometri dal suo paese, dove periodicamente veniva ospitato per controlli ed eventuali trattamenti medici.
Le splendide montagne che lo circondavano gli risultavano indifferenti nella loro grandezza, apprezzava solo l'orizzonte limitato dalle dolci colline dei suoi luoghi e si sentiva a suo agio soprattutto con le persone che frequentavano la sua casa. Marie entrò ben presto nella vita di Jean, più grande di quattro anni.
La ricordava da piccola, quando portata dalla madre attendeva che finissero le pulizie periodiche della casa, incredulo della sua grande vitalità e meravigliandosi ogni volta di quell'erompere in pianti e strilli che, diversamente da quanto riteneva Anne, non lo affliggevano né disturbavano, anzi in qualche modo lo rinvigorivano. Era grato a Marie per essere com'era, sana e un po' selvaggia, con quella potenza nella voce capace di incrinare la tranquillità dell'ordinato salone.
Col passare degli anni alla bambina fu permesso di camminare liberamente nelle ampie stanzeed ella cominciò a ricordare di essere Marie, l'amica di Jean: poteva venire e fare quel che voleva in quella casa - salvo in certi giorni nel mese, cosa che la faceva indispettire - mai redarguita una sola volta da quella donna, Anne, la vera "famiglia" dell'amico.
Claude, la madre della bambina, aveva ben presente la situazione e sapeva frenarla o lasciarla libera a seconda delle occasioni; talvolta il compito di sorvegliarla e nel caso riportarla all'ordine veniva affidato al fratello Patrick. Al crescere di Marie diminuiva il tempo che trascorreva con Jean, ma mai le due madri, la vera e quella acquisita, dovettero intervenire per controllarne la reciproca dipendenza.
Tutto andò sempre per il meglio perché Jean non avrebbe mai compromesso la continuazione della loro amicizia. Per lei divenne normale passare un po' del suo tempo con l'amico sfortunato che non poteva nemmeno liberarsi della maestra (Anne), avendola in casa!
Marie aveva sette anni quando Jean le chiese per la prima volta cosa avrebbe voluto fare in futuro: «Ti piacerebbe andare via da qui quando sarai grande? Magari in una grande città, a Parigi o vicino al mare?» - «Nemmeno per sogno! Io resterò sempre qui e continuerò a fare i mazzi di lavanda l'estate e anche ti verrò sempre a trovare per giocare qui nel salone» - rispondeva prontamente. - «Ma da grande potresti fare delle cose più interessanti, potresti studiare e diventare chennesò un dottore! Oppure una assistente d'aereo, così gireresti il mondo!» - insisteva - «Chennesò! Io sto bene qui dove c'è la lavanda!» - replicava, senza verso di smuoverla. Poi ripresero a giocare, specie giochi di costruzioni e di pazienza, dote di cui Jean era ben dotato.
Quando la lavanda fioriva Marie aiutava la sua famiglia, due o tre volte alla settimana, a raccoglierne alcune ceste per essere venduta a mazzetti in alcuni piccoli negozi del centro.
Col passare degli anni vi sarebbe stato sempre più lavandino in vendita: come al mercato la gente cerca la mela più grossa e rossa così accade per le diverse varietà di questa pianta; sia chiaro, tutti sono riconoscenti al lavandino che ha permesso di non soccombere alla scarsa redditività della piccola lavanda. Tuttavia, parlando di un fiore acquistato per conservarlo essiccato, il colore che si mantiene più distinto e chiaro nella lavanda è in misura maggiore capace di richiamarne l'originale bellezza.
Non di rado ci si soffermerà a sfregarne qualche capolino tra le dita annusandone il profumo. Sarà sempre una questione personale, ma la purezza dell'essenza di lavanda è certamente più apprezzata.
Jean ben presto aveva dovuto imparare ad accettare la propria condizione, quando non vi riusciva il suo stato si aggravava e produceva una sofferenza più grande che solo l'intervento di Anne riusciva a calmare. Una delle cose che più lo affliggevano era osservare la sua amica e le altre persone raccogliere i fiori al mattino e desiderare di stare con loro, sapendo di non poterlo fare se non per poco. Quel poco lo provò alcune volte ma lo sconforto di doversene allontanare troppo presto gli procurava una pena maggiore.
Aveva dieci anni quando Anne trovò un modo per risolvere in parte la situazione: si accordò con un’associazione che aiutava bambini disabili a cui avrebbe inviato un certo quantitativo di mazzi di lavanda al solo prezzo della spedizione, affinché ulteriormente suddivisi ne traessero un profitto dalla vendita. L'associazione contava due sedi poco distanti e giustamente si convenne di rifornirle entrambe.
Da allora due volte al mese, per i due della fioritura, Claude e Catherine raccoglievano la lavanda che veniva trasportata con dei cesti da Patrick sino al salone, dove erano posti dei tavoli per poterla distendere. Una volta ordinata - mansione di cui si era appropriata Marie - veniva collocata in due grandi scatoloni di cartone, chiusi e trasportati nella vettura di Anne per la spedizione.
Il compito di Jean era di registrare le quantità inviate ma soprattutto di attaccare ai contenitori delle etichette colorate, dipinte da lui stesso, diverse una dall'altra e con scritto l'indirizzo.
Una volta che Patrick propose di farle stampare gli fu fatta leggere una lettera del responsabile dell'associazione che raccontava di come i ragazzi di una delle due sedi le apprezzassero così tanto da averne iniziato la collezione, tanto che non una fu andata persa. La stessa cosa si ripeté nell'altra sede, così da aver generato una sorta di gara; nel ringraziare per quell'ulteriore lavoro non dovuto il direttore si diceva disposto a qualunque sacrificio purché non finisse.
Di questo non dovette temere in quanto Jean, letta la lettera, si sentì ancor più motivato e il pensiero che altri, per differenti versi sfortunati, lo apprezzassero così tanto lo spinse a fare sempre meglio. Sapendo della competizione fece in modo che entrambe le sedi ricevessero alternativamente una etichetta particolare, sì da farle sentire privilegiate nell’occasione. Di quelle etichette cominciò a diffondersi la voce e in seguito, quando divennero decine, vi fu addirittura il tentativo di un gallerista di acquisire l'intera collezione, ovviamente senza successo.
Questo nuovo lavoro permetteva a Jean una relazione con tutti e ad ognuno di ricavarne qualcosa: la famiglia di Marie di svolgere un'attività a domicilio, alla bambina di stare più a lungo con l'amico ricevendo anche un piccolo compenso, per l'associazione e i suoi ospiti abbiamo già detto.
Rimane Anne per la quale il successo dell'iniziativa valeva più di tutto. Dissimulò la fatica per l'impegno profuso nella nuova attività che si aggiunse all'amministrazione della tenuta e alla conduzione della casa, nonché al suo compito principale, l'assistenza a Jean; col risultato di poter disporre di ben poco tempo libero. Sovente l'aiuto richiesto a Claude e Catherine era tale che apparivano un unico nucleo, dove le donne facevano il possibile per proteggere la propria famiglia o quella acquisita.
C'era un'altra cosa che Jean faceva molto discretamente, senza darlo a vedere: osservava Marie, come si muoveva, respirava, parlava o separava le spighe. Fu naturale che pian piano si affezionò, come accade ai giovani della sua età; ma quelli che come lui conoscono i propri limiti non si concedono di fantasticare sul futuro. Per lui quel lavoro assieme alle persone amiche, tra i mazzi e il profumo della lavanda, era già una forma d'amore esaudito e non avrebbe desiderato di più.
In quelle occasioni rimase affascinato di come il sole, entrando dai grandi finestroni aperti e illuminando i fiori violetti, producesse variazioni continue di tonalità. Oltre ad intuire, senza conoscerne la formulazione scientifica, le leggi che regolano i fenomeni luminosi, si accorse che c'era qualcos'altro...
Diversamente da un novello Goethe non si applicò allo studio e conoscenza di tali fenomeni, ma li fece propri con la sola osservazione come è dato agli artisti, iniziando a trasportarli sui suoi fogli con una sensibilità che è concessa a chi d'altro è privato. Quando vide che riusciva a trasferire una piccola parte del mistero della luce nei suoi lavori ad acquerello e tempera, pian piano si dedicò al mistero della vita e Marie divenne l'unico soggetto umano delle sue opere.
Capitolo 3 - I fiori
“Se i fiori finissero oggi, la vita come la conosciamo sulla terra finirebbe, terminate le scorte di cibo.
Per molti animali, per molti insetti, sarebbe questione di mesi se non di ore.
Se pure fosse possibile cibarsi di qualcosa d'altro, il ciclo vegetale non si rinnoverebbe e prima o poi avremmo solo un deserto; anche il rinnovarsi dell'acqua e dell'aria dipendono da questo ciclo.
Potendo averne in altri modi d'aria e acqua, in questo mondo ormai arido non avreste una rosa per chi amate o un altro fiore per chi ricordate.
Non avreste il vero profumo ma solo quello sintetico e non avreste i colori viventi dei fiori.
Col tempo, quei fiori riprodotti nei quadri, nei tessuti, nelle vesti e in ogni dove diverrebbero a loro volta morti, geroglifici muti di cui conoscete il nome ma non il suono originario.
Chi venisse dopo di voi non potrebbe più comprendere la poesia e la narrativa che in larga parte è celebrazione del creato e delle sue meravigliose entità.
In un tale mondo pochi sopravviverebbero, ma ci inquieta immaginare come.”.
Come scoprirete continuando a leggere questa storia, un po' parleremo di una terra che le circostanze, unite alla tenacia e ai valori delle persone del luogo, hanno fatto in modo che si preservasse così ben tenuta e amata sino ai giorni nostri.
Se già la conoscete spero possiate ritrovare qualcosa del vostro sentire; nel caso non vi siate mai stati e, dopo la lettura (quale onore per lo scrittore!) si stia formando in voi la curiosità di visitarla, una volta arrivati non abbiate fretta perché quello che troverete si mostra ma non si rivela.
Se e quando si rivelerà sentirete quel luogo vostro, perché almeno una sua parte è entrata in voi e vi risuona.
Allora potrete confermare che come non si perde un ricordo non si perde un vero amico, e un vero amico può anche essere un fiore.
Vista dallo spazio la terra è una splendida sfera azzurra che trasmette, a detta di chi ha potuto averne la visione, una sensazione di tranquillità e bellezza.
Anche sulle alte vette montane si provano sensazioni altrettanto penetranti, per le quali molti sono disposti a rischiare la propria vita.
Invece non c'è nulla da rischiare per recarsi in prossimità di una distesa fiorita e, guardandola, provare una delle esperienze più comuni e gratificanti (... e misteriose) per noi esseri umani.
Che questa ci procuri qualcosa lo prova il ricercarla quando ve ne sia la possibilità, o lo sforzo (talora continuo per anni e anni) di ricrearne una parte in uno degli innumerevoli giardini curati dalle persone di tutto il mondo, così assorbite nella loro comunione con le essenze vegetali da poter dimenticare per un po' anche le tristezze che ci accompagnano in questa vita.
Dov'è il mistero? Questo è il bello della faccenda...
Il mistero è lì, rivelato e sconosciuto,
a suo modo parlante eppure muto.
Molti pittori percependolo hanno provato a riportarne qualcosa nelle loro opere, taluni con risultati sorprendenti, come Van Gogh; per tutti gli altri ugualmente meritevoli parla la storia dell'arte.
Gli uomini devono avere un motivo per rimanere a lungo in un campo fiorito: lo scopo del pittore è di ritrarlo, quello dell'uomo comune a volte è legato al lavoro, quello del turista per averne un ricordo; ma in ogni caso quello scopo farà da filtro fra voi e la pura radiazione dei colori viventi dei fiori.
Poi entra in gioco la quantità: i fiori del proprio limitato giardino emanano una relativa energia, un campo di girasoli è tutt'altra cosa, come lo è uno di lavanda - qui abbiamo la qualità della radiazione, i colori appunto, come ci hanno insegnato.
Perché, tra i molti, Van Gogh? Soprattutto negli ultimi due mesi della sua breve vita (in cui fu in grado di eseguire ben ottanta opere!) riteniamo che se vi fu un filtro tra lui e i colori fu ben poca cosa; l'impressione comune è che egli riuscì ad imprigionare nei suoi dipinti parte di quello che percepiva, con risultati che lasciano pochi dubbi in proposito.
Il mistero è il fiore, il suo colore e non di meno la sua forma, collegamento tra l'universo d'energia e la vita umana. Non vogliamo discutere di filosofia o proporre elaborate considerazioni, a noi interessa riconoscere che un campo in fiore ha un effetto su di noi, come qualunque altra cosa al mondo. Questa è una delle chiavi per comprendere la storia che racconteremo.
Nulla di ciò che esiste nell'universo ha una vita indipendente, ogni cosa inanimata o vivente interagisce con tutte le altre in misura più o meno riconoscibile; dagli inizi della civiltà ad oggi molti sono convinti anche dell'influenza di stelle e pianeti sul nostro destino.
Sull'argomento si è dibattuto a lungo e si continuerà a farlo; rimaniamo convinti che, come in altri ambiti, non avremo una parola definitiva, una certezza; alcuni riterranno valide certe ricorrenze che non lo sono per altri.
Di quello che entra in noi attraverso i nostri sensi possiamo dire che è esperienza quotidiana avvertirne immediatamente l'effetto; altre volte per intensità minori o sensibilità diverse non ci è possibile collegare l'effetto alla causa, soprattutto se si è allontanata nel tempo.
Ritornando ai colori... su questo tema possiamo trovare una notevole quantità di informazioni in tutti i campi (scientifico, umanistico, filosofico, religioso e così via) da darci l'impressione che quasi tutto sia stato detto al riguardo; eppure il fatto che vi siano tanti modi di spiegare, descrivere i colori, ci fa intuire che questo fenomeno, come molti altri, è ancora lontano dall'essere completamente rivelato.
Quando cerchiamo di assorbire e di fare nostre queste descrizioni, ad un punto possiamo accorgerci che non ci avvicinano e neppure ce li fanno apprezzare di più. Ma se non facciamo riferimento alla scienza o ad altro, inizialmente potremmo scoraggiarci del poco che abbiamo da dire al riguardo.
Cosa sappiamo dei colori? Sappiamo che, crescendo, abbiamo detto verde per l'erba e rosso per il pomodoro, bianco per la neve e così via. Da allora i colori sono divenuti una cosa che diamo per scontata, ritenendo che sia così per tutti, ma così non è.
L'effetto di ogni colore è differente per ognuno e cambia con il tempo, lo stato di salute o mentale; chiedetevi se quando state bene gradite le tinte sul rosso e se le stesse vi fanno ben riposare quando indisposti; pensate alle persone che conoscete cercando di ricordare quali sono i colori dei loro vestiti, delle loro case, delle auto. Se potete usateli i colori. Qualunque età abbiate prendete un foglio e metteteci dei colori, di qualsiasi tipo, per forme od astrazioni, ogni cosa va bene, quando sarete stanchi di perdere tempo gettatelo o conservatelo.
Fatelo per voi e non cercate un risultato da mostrare, non ascoltate consigli da nessuno.
Se c'è uno scopo è solo quello di riavvicinarvi ai colori, pian piano saranno loro a cercarvi e allora avrete molto di vostro da dire sull'argomento!
Se dai colori sul foglio passiamo ai colori di quello che ci circonda - il cielo, il mare o le montagne ricoperte di neve - ci potremmo domandare se siano viventi o inanimate, ricadendo nella stessa trappola: le risposte che ci hanno aiutato a crescere sono divenute zavorra nella nostra mente.
Non so come potrà accadere a voi quello che accade a molti: sentire che il colore dei fiori è diverso dagli altri, per il fatto che quel colore c'è finché il fiore vive e quando appassirà ne avrete un po' nostalgia. Abbastanza da ritornare in quei luoghi dove li avete visti o comperarne di freschi. La forza vitale dei fiori produce nell'uomo una richiesta di fiori, un bisogno di averne vicino, così che altri siano coltivati in piccoli o grandi spazi.
Quella stessa forza che risiede tanto nel colore che nella forma induce le persone sensibili a rispettare quelli spontanei, a non spezzarne il ciclo; così che essi e tutti gli innumerevoli insetti e le altre forme di vita possano continuare ad esistere.
Sia alle persone in vita che a coloro che non sono più tra noi si usa far dono di fiori da tempi immemorabili e nei popoli di gran parte del mondo: se c'è un qualcosa che accomuna l'umanità è questa; non la forma di governo, né la cultura, né la religione, né qualcos'altro... ci avete mai pensato? Forse no, perché è un'esperienza quotidiana e comune.
Ogni cosa che cammina con noi e ci accompagna in questa vita è un mistero: i vostri cari, gli uccelli, le albe e i tramonti, il mare, i fiumi, le montagne e infinite altre.
I misteri che non siano evidenti non lo sono, appartengono il più delle volte a formulazioni e astrazioni mentali. Quelli veri si devono poter toccare con mano e una volta ritirata sentire che qualunque cosa abbiamo provato non lo comprenderemo mai appieno e tuttavia l'accettiamo per quello che è, rivelato e sconosciuto allo stesso tempo.
I veri misteri aiutano a vivere, sono parte della vita. Se conosceste tutto, ma proprio tutto di un uccello, vi stupireste ancora del suo volo?
Non che sia preferibile non saper nulla: la forma e la meccanica dell'ala, le penne, le leggi del volo battuto e librato e così via sono argomenti affascinanti, ma che una pallottola di piume possa volare per l'incredibile intelligenza che ne ha forgiato ogni parte desta una tale meraviglia da restare senza parole... e meno ne avete più spazio c'è in voi, dove quell'uccello può continuare il suo volo.
Non è solo un modo poetico per dirlo, ogni cosa a questo mondo produce una scia vitale, si origina sulla scia di un'altra e quando termina, da quella scia altre ne iniziano.
Come diremo ben oltre non si tratta di spiriti e cose del genere, non ci appartiene quel modo di sentire; per fare un esempio prendete la foto di una strada di notte, dove di ogni luce si vede una scia colorata; con un tempo di esposizione breve si vedrebbe l'auto e il numero della targa, ma con un tempo lungo cosa vedreste, non solo di quella strada, ma della vita intera?
Infinite scie colorate che si intersecano, iniziano e finiscono senza posa.
Una di quelle è la scia dell'uccello che si unisce alla vostra, come può esserlo di una persona o di un fiore.
Ma il fiore è un punto di unione tra il cielo e la terra, attraverso di esso ci si ricollega alla scia di quella persona cara e si procede, per un po', ancora insieme.
Nella vita di una persona c'è qualcosa che può rivelarsi sin dall'inizio, durante o giusto alla fine, come non rivelarsi affatto. Per ognuno è diverso: una persona, un incontro, un affetto, un talento, una fede, una convinzione, un oggetto, un luogo, un'esperienza bella oppure brutta, un sogno, una luce, un suono, un profumo, qualcosa della natura. Quel qualcosa potrebbe cambiare il corso della vostra vita, ma se anche così non fosse potrebbe ancora cambiare il modo della vostra morte. Gli ultimi momenti non saranno diversi da quelli di tutti, eccetto per questa cosa: se fu l'amore per una persona proverete quell'amore, se fu la fede vi sorreggerà sino all'ultimo, se fu un incontro potreste rivederlo, se fu una delle magnifiche forme di vita della natura, magari un uccello, esso volerà con voi in quell'ultimo momento... ma solo se fu un fiore sarà con voi, nelle vostre mani, anche dopo la fine.
Capitolo 4 - Anne e Jean
Anne aveva 35 anni quando incontrò la prima volta Jean che ne aveva 5, in un centro medico specializzato.
A vederla dava l'impressione di una persona capace, animata da una sincera passione nell'ascoltare e aiutare gli altri; forse perché riuscì a superare le difficoltà della sua vita si sentiva in grado di fare qualcosa per le persone, tanto che divenne il suo lavoro.
Ebbe una famiglia fin quando le vicende belliche gliela portarono via, come molti a quei tempi.
In seguito fu affidata ad un istituto non trovandosi parenti disposti ad accoglierla.
Aveva ormai sette anni e una sorta di innato fatalismo le fece accettare la nuova situazione e quello che altri avrebbero deciso per lei; a suo modo cercò il lato positivo delle cose e uno era il tempo, tanto tempo che poteva dedicare alla lettura e allo studio, con cui riempì i suoi giorni senza rimpiangere qualcos'altro.
Per continuare a studiare iniziò presto a lavorare e la sua indole la portò a ricavare il necessario assistendo chi per malattie od età ne aveva bisogno; non anelava agli svaghi, per lei l'indipendenza ottenuta facendo quello che meno le pesava era una ricompensa più che sufficiente.
Ormai a poco dal diventare medico interruppe gli studi tra la costernazione di alcuni suoi insegnanti e amici che non si capacitavano di una tale decisione.
Sono eventi che talora accadono, ci fu chi ipotizzò lo stress e chi qualcos'altro, ma a quelli che vollero ascoltarla Anne spiegò come andò: un giorno aprì un libro iniziandone la lettura senza riuscire a procedere oltre, un senso di fastidio se non proprio avversione la prese; pensando fosse dovuto all'argomento (che pure l'aveva sempre interessata in precedenza) cambiò libro... con l'identico risultato.
Al terzo tentativo capì che le era successo qualcosa, anche se non sapeva spiegarselo; tuttavia era assolutamente tranquilla riguardo il suo stato mentale, rimasto il solito con solo quella novità: non era più interessata allo studio, a divenire medico. Qualsiasi altra cosa avesse fatto stranamente non la preoccupava.
Comunque non ebbe difficoltà per sostentarsi; la sua reputazione nell'assistere le persone ormai la precedeva, permettendole di scegliere le situazioni più confacenti.
Andando all'appuntamento fissato presso il centro medico avvertiva una inusuale inquietudine, una sensazione che la metteva in guardia tanto quanto, avendola provata raramente, la attirava; ritenne di poter far fronte come al solito ad ogni evento, non aveva veramente timore di nulla ma qui si trattava di qualcos'altro.
Il colloquio tra Anne e Marcel, l'anziano padre di Jean, avvenne in una saletta privata.
Come sua abitudine Anne, sostenuta da una solida esperienza, volle conoscere ogni cosa e non rinunciò a chiarire i minimi dettagli. L'incarico si rivelò così impegnativo che iniziò a prepararsi un modo e le parole adeguate per declinare l'offerta.
In sostanza i termini furono: il ragazzo deve continuare a vivere dove risiede, in Provenza, sia per il clima che per altre questioni; il padre cerca un'istitutrice (per un incarico a tempo pieno) con ottime conoscenze mediche e molto referenziata a cui affidarlo; assoluta autonomia per tutto, compresa la possibilità di assumere e licenziare personale in caso di bisogno; un compenso oltre ogni aspettativa e la possibilità di gestire una proprietà autonomamente trattenendone i guadagni ottenuti; risiedendo il padre all'estero viene richiesta la garanzia di una presenza continua.
Anne ascoltava la proposta di Marcel, una proposta di lavoro che altri avrebbero sottoscritto ad occhi chiusi per molto meno del compenso a lei offerto.
Era appunto una proposta di lavoro, ma Anne sapeva ascoltare anche le parole non dette, comprendeva lo stato d'animo del suo interlocutore e pensò tra sé: “Questo ragazzino malfermo in salute, persa la madre senza averla neppure conosciuta, sta ora attendendo di vedere allontanarsi anche il padre. Chi dovrà sostituirlo avrà un difficile compito: ottenerne la fiducia sperando che le ferite interiori, più che quelle fisiche, possano se non guarire almeno diminuire.
Non sta a me giudicare le ragioni di ognuno ma questo è un compito difficile che non si accetta per solo denaro; in caso di fallimento le conseguenze per il ragazzo per primo e anche per me, non ultimo per le mie referenze, sarebbero pesanti e mi ritroverei a domandarmi se avessi ben ponderato il compito prima di accettare, e anche se il generoso compenso non mi avesse condizionata.”.
Era quasi propensa a declinare l'offerta quando si rese conto con stupore che così intenta a prepararsi la frase di rito per la rinuncia, aveva tralasciato la cosa più importante, quella che nessun serio professionista deve scordare: il “soggetto” della questione!
“Che io abbia un qualche timore riguardo ai problemi che potrebbe darmi questo bambino, senza neppure conoscerlo?”- pensò. La situazione nuova e per certi versi insolita la riportò a quel senso d'inquietudine provata in precedenza a cui si disse doveva rispondere con un atteggiamento responsabile. Disse all'uomo: “Signor Marcel, sono onorata che lei abbia pensato a me per un tale incarico, ma come certamente comprende qui non sono solo i titoli e le mie referenze a consentirmi di accettare. Devo valutare con attenzione, in caso di insuccesso avremmo entrambi di che rammaricarci e il ragazzo un forte dispiacere. La serietà mi impone di dubitare delle mie capacità, tuttavia prima di una risposta conclusiva mi permetta di passare un po' di tempo con Jean.”.
Come ebbe pronunciato quel nome, Jean, il senso d'inquietudine scomparve e si sentì tranquilla. Strano, pensò...
Poiché il fanciullo rimaneva nel centro altri tre giorni si accordarono, in cambio dell'assistenza prestata, per un rimborso spese del viaggio e della pensione. Alla fine avrebbe preso una decisione, assicurando in ogni caso, per agevolare il compito d'altri che si sarebbe annotata i problemi incontrati, senza richiedere null'altro per questo.
Marcel ebbe una buona impressione dal modo di fare di Anne, lei normalmente chiedeva una retribuzione anche per un periodo di prova, se non altro per compensare la possibile perdita di altre opportunità, ma questo fu il prezzo che sentì di dover pagare alla sua coscienza per aver quasi rifiutato la proposta senza vederla (Jean).
Nella tarda mattinata di quel primo giorno, dopo le pratiche mediche, Anne si presentò a Jean nella sua cameretta (preferiva stare da solo). Giaceva affaticato ma vigile e rispose al suo saluto tranquillamente. Per tutto il giorno non ebbe alcun problema nell'assisterlo, egli non oppose nessuna rigidità a dei piccoli trattamenti di cui l'avevano incaricata; rispose educatamente alle sue semplici domande (ti piace dove vivi, cosa vorresti mangiare e così via) e non chiese niente di lei, evitandole l'imbarazzo di spiegare il motivo della sua presenza.
Alla sera nella sua camera scrisse delle note su quel primo giorno; non tralasciava mai di riportare subito, a caldo, le sue impressioni per iscritto e al termine della stesura le rilesse... la situazione appariva meglio di quanto immaginava.
Il secondo giorno trascorse come il primo e la facilità di trattare con quel bambino cominciò a farle considerare la proposta. Anche quella sera aggiunse delle altre annotazioni.
Non male pensò... quando ad un tratto le balenò “la domanda”, assieme a quella contrattura allo stomaco che l'accompagnava quando stava od aveva compiuto qualche errore.
“Dov'è Jean in queste note?” - questa era la vera domanda che avrebbe dovuto farsi fin dall'inizio!
“Dov'è il dolore, lo sconforto di un bimbo che intuisce l'avvicinarsi della separazione anche dal padre!? Come può restare tranquillo sapendo che io o un altro sconosciuto saremo il suo collegamento col mondo, a cui dovrà rivolgersi senza poter far valere il suo debito di sangue?”.
Le tornò alla mente quanto disse al padre: “... la serietà mi impone di dubitare delle mie capacità...” - sentendosi quasi ridicola. - “Di quali capacità parlavo, cosa mai penso di sapere? Io che ero quasi pronta ad assumermi la responsabilità della sua assistenza, della sua vita... non ho capito cosa realmente provi questo bambino!”.
C'era qualcosa di familiare in questo pensiero che si ripeté nella mente più volte per afferrarne il senso nascosto. La chiave stava lì, seppur vicina non era ancora pronta a coglierla; per non allontanarsene ripensò alla situazione di Jean e da lui passò ai bambini in generale, come vivono, come nascondono e rivelano i propri sentimenti e non siano, pur nella loro relativa semplicità, tutti eguali.
Un piccolo interruttore di cui ignorava l'esistenza scattò nella sua mente ed ecco riproporsi alla sua attenzione immagini lontane ma vivide, di quei tempi quando anch'essa, ragazzina, fu messa di fronte alla imprevista, brutale realtà della solitudine.
Ricordò e rivisse lo stato d'animo d'allora, esprimendolo a parole che trascrisse accanto alle note su Jean: “Con la guerra le difficoltà, le privazioni sempre più dure mi avevano quasi fatto perdere la speranza, ma me ne facevo una ragione perché altri condividevano la mia situazione; i miei genitori soffrivano con me e ancor di più soffrivano per me. Cercavo di aiutarli sopportando meglio che potevo, finché il mondo come l'avevo conosciuto crollò.” - fece una pausa, giusto il tempo di aprire la finestra per cambiare l'aria e di osservare la morbida luminosità delle luci cittadine; le davano la sensazione strana di trovarsi in un grande, confortevole salotto.
“Persi i miei cari quel giorno, l'impatto fu tale che rimasi a lungo in uno stato di estraneità senza riuscire a risollevarmi, fin quando, ripensando a loro, sentii quanto dolore poteva dargli il vedermi schiacciata, incapace di reagire. Avrebbero fatto di tutto per aiutarmi e per quanto la cosa appaia strana, percepii la loro spinta, il loro incoraggiamento; quella sensazione di forza mi difese dal mondo e dal dolore”.
Cosa si trasmise dalla madre al piccolo Jean non si può rispondere a parole: nell'uno solo istinto di sopravvivenza e nell'altra la consapevolezza dello spegnersi della propria vita. Non appare improbabile credere in un estremo fluire d'energia, ultimo dono per quel figliolo.
Alle domande del bimbo cresciuto che chiedeva della madre fu risposto nel modo usuale: è andata in cielo, da dove ti guarda e protegge; in seguito gli venne detto che accettò di morire per permettere la sua nascita. Il neonato Jean istintivamente rispose come lei avrebbe voluto, aggrappandosi alla vita, anche quando la salute si aggravò... anche adesso nell'imminenza della separazione dal padre.
“Tieni duro, vai avanti, fallo per me!” - sarebbero, tradotte, le parole di sua madre ancora vive in lui sotto forma di spinta vitale.
O credete di essere separati dal mondo e di vivere per la sola vostra forza?
Il vero Jean finora non si era rivelato a nessuno, celando dentro di sé il mistero della sua capacità di assorbire le difficili prove dell'esistenza; ecco con cosa avrebbe avuto a che fare Anne accettando quel compito.
Vi è una sfida più bella che quella dell'aver fiducia? Anne doveva averne di Jean per la possibilità, un domani, di un incontro tra due persone con qualcosa in comune.
Quell'ultimo giorno andò da Jean senza nessuna idea, senza nessuno schema con cui valutarne il comportamento; come allora, quando abbandonò i libri e la sicurezza da loro prodotta, aveva abbandonato la sua esperienza, il credere di poter capire, di poter fare.
Jean le aveva insegnato qualcosa, la sua sola presenza aveva demolito quel muro di convinzioni, di azioni ponderate e ragionamenti con cui tutti noi affrontiamo le prove della vita, credendo di avere la capacità di comprenderla, almeno in parte.
Ma la vita è viva... quel morto bagaglio nella mente non vi potrà aiutare ad afferrarne la benché minima parte.
La giornata si svolse come le precedenti, con in più lo spettacolo degli improvvisi scrosci di pioggia e il veloce ritorno del sole propri di inizio estate che li catturò entrambi.
Si avvicinava l'ora del commiato e Anne rammentò che doveva una risposta a Marcel; stava per dedicarsi alla questione quando la sua attenzione fu richiamata dai movimenti del bambino.
Jean prese il mazzetto di lavanda che teneva sempre sul comodino e porgendoglielo delicatamente le disse: “Se mi verrai a trovare te ne darò tantissima... ”.
Anne non ebbe più bisogno di pensare alla risposta da dare.
Capitolo 5 - Un posto particolare
Avete notato, trascorrendo una giornata in montagna, al mare o in qualche città come la gente scelga differenti posti dove sostare per riposarsi? Alcuni di quei luoghi voi non li apprezzereste: troppa o poca gente, un panorama deludente, rumore e così via.
Tutti questi fattori uniti al nostro particolare gusto ci guidano nella scelta; a volte ci chiediamo in base a cosa altre persone ne abbiano fatte di diverse. Ad esempio nella ricerca di un bar quando capita di voler bere un caffè: chi lo sceglierà per il bel posto, le comode poltroncine o la marca di caffè, chi perché vedendolo frequentato lo riterrà segno di qualità, perché forniscono il giornale gratuitamente o perché chi serve ha... una certa presenza, oltre al modo.
Quale che sia il motivo anche in questo caso sembra agire la legge delle probabilità: gettando una manciata di sassolini in aria questi cadendo non si troveranno mai tutti assieme nello stesso posto, anche se c'è una remota possibilità che ciò avvenga.
Se passando per una città vedrete una coda di persone che attende di entrare in un bar mentre tutti gli altri sono desolatamente vuoti, sarà il segno che il mondo come lo conoscevamo è cambiato.
Vi sono dei luoghi per ognuno di noi, la Provenza lo è per molte persone che amano distribuirsi negli innumerevoli paesi grandi e piccoli: ciascuno ha in serbo qualcosa di diverso se non unico, ma tutti sono inondati da quella particolare luce del sole e nessuno manca di esibire il suo repertorio di splendide fioriture.
Tra le proprietà amministrate da Anne ve ne era una, piccola in verità, situata ad una quota più elevata della grande piana dove si trova anche la casa.
Per giungervi non è molta la comoda strada da percorrere: lasciata la cittadina si svolta per il vecchio ponte e poco dopo inizia la salita, una serie di curve da ambo le parti sin quando la strada si fa più diritta senza tuttavia cedere in pendenza. Dopo qualche chilometro inizia l'altipiano che, svoltato a destra all'incrocio, si allunga per una decina di chilometri e un paio di lato.
Fin dall'inizio ci si accorge della tranquillità che va progressivamente aumentando man mano che ci si avvicina; una volta là, ora come allora, solo alcune case molto distanziate e i campi coltivati a farro, erba medica, lavanda.
Oggi compaiono altre limitate coltivazioni quali la magnifica salvia sclarea, una pianta dal prevalente color rosa che vista da vicino sfoggia anche blu, celeste e bianco sui petali dalla consistenza cartacea; qui non cresce molto in altezza ma più in basso raggiunge il metro.
Le siepi prevalentemente di querce, oltre a proteggere dal vento le colture, ospitano molte specie di uccelli.
A questa quota la lavanda produce la migliore essenza ed è preferita al lavandino; il suo colore si fonde con quello del cielo e la vista della più alta montagna sempre sferzata dal vento e pietrosa nella cima è diversa, meno imponente e aspra, quasi che il gigante rispettasse quest'oasi di pace.
Jean di lì a poco avrebbe compiuto 11 anni; assieme ad Anne andava spesso durante l'estate in quel posto. Lei si recava dalla famiglia incaricata di accudire la loro proprietà, raggiungibile con una strada sterrata, trattenendosi per breve tempo a parlare di questioni pratiche e di come andavano le cose.
Il ragazzo questa volta ascoltava stranamente interessato, li sentiva discutere del turismo che non arrivava a portare un qualche beneficio anche là e un turbamento lo prendeva, quasi fosse minacciata la fine di quella tranquillità. Quel posto gli procurava sempre una sensazione insolita e ogni volta si domandava quale potesse esserne il motivo: la lavanda aveva un colore più delicato in confronto a quella coltivata nei campi adiacenti alla sua casa, la tranquillità era senza pari ma ce n'era anche dove risiedeva, l'aria fresca e frizzante che neppure in estate il sole riscaldava troppo.
Sì, la vista era più ampia ma questo non lo attirava particolarmente, e allora cos'era?
Improvvisamente, senza pensarci due volte, chiese ad Anne come regalo di compleanno di condurlo alla loro proprietà. - “Ma Jean, c'è da percorrere un po' di strada accidentata e saresti sballottato nell'auto, non c'è niente di diverso da qui.” - disse, guardandolo meravigliata per la richiesta inaspettata, volendo evitargli un possibile disagio fisico. - “Sei preoccupata che mi possa accadere qualcosa, ma sei una brava autista e sono sicuro che andrà tutto per il meglio.” - rispose.
Anne, conoscendolo bene, si accorse della inusuale determinazione; di solito accettava o rifiutava quanto gli veniva proposto. Solo quando ne aveva una necessità fisica avanzava delle proprie richieste; a sua memoria era una novità e pensò che Jean, pur tra le difficoltà, stava crescendo e gli si doveva dare fiducia. Così salirono in auto e, osservati con un po' di incredulità dal fattore, si avviarono per raggiungere la mulattiera; si era dovuta opporre alla disponibilità dell'uomo di accompagnarli perché il ragazzo si era irrigidito, ad ogni buon conto rimasero d'accordo che trascorsa un'ora sarebbe venuto a cercarli.
La strada sterrata era molto meglio di quanto immaginava e Anne si rimproverò un po' della sua resistenza iniziale. Purtroppo non poteva permettersi sbagli; in caso di imprevisti il rimanere isolati seppur per breve tempo poteva rivelarsi pericoloso per la salute di Jean, il quale, quasi seguendo il corso dei suoi pensieri, non mancava di ringraziarla ed elogiarla per la guida attenta.
Il tragitto prese quasi una dozzina di minuti, vi erano diverse svolte e una piccola salita poco prima; quasi alla sommità di questa Jean ebbe la sensazione di un luogo conosciuto, tanto che si sentì sicuro nell'affermare che da lì sopra avrebbero potuto vedere la loro proprietà.
Anne, nel confermagli che era nel giusto ne rimase stupita, ma conosceva l'abilità di Jean nei calcoli e nel valutare il tempo trascorso, da cui l'indovinare il momento dell'arrivo.
Però non era una cosa frequente che la sorprendesse ed era già la seconda volta.
Arrivati alla sommità Jean chiese di fermare l'auto poco oltre un cabanon dismesso ma in buono stato (una masseria, piccola caratteristica costruzione in pietra a scopi agricoli) per osservare il posto, cosa che Anne fece volentieri, pensando gli sarebbe bastata una rapida occhiata prima di ritornare. Anche stavolta dovette ricredersi; ciò che stava accadendo quel giorno non aveva riscontri, per quanto ogni singolo episodio non avesse nulla di strano, l'insieme di quei comportamenti non corrispondeva al normale modo di agire di Jean.
Come se sapesse o intuisse qualcosa riguardo quei luoghi scese dall'auto senza aspettarla, altra cosa insolita; appoggiò la schiena al cofano e si mise a contemplare quell'assortimento di campi coltivati e siepi. Era così assorto che Anne rinunciò per il momento ad uscire a sua volta, ora era sicura che stesse accadendo qualcosa. Guardando quel ragazzo così ben conosciuto ma oggi stranamente diverso si sentì lei stessa differente; per un po' dimenticò dov'era, il tempo che passava e le altre cose da fare nella giornata, solitamente sempre ben presenti nella sua mente.
La luminosità del cielo ora era meno intensa e il meraviglioso blu-lilla della lavanda irradiava una luce che sembrava pulsare. Per quante volte avesse guardato quello spettacolo colorato non ne aveva finora colto questa sfumatura, mai provato un tale senso di intimità: tutto pareva nuovo oggi, al pari del comportamento di Jean.
All'improvviso si accorse che lui non era più davanti all'auto, un tuffo al cuore seguì il pensiero che potesse essere svenuto ma il rumore della portiera che si apriva la rasserenò velocemente.
“Anne, questo è davvero il più bel posto che ho mai visto, ti ringrazio ancora per avermici portato.” - le disse con un leggero sorriso. - “Per un po' ti avevo perso di vista, devo essermi distratta.” - replicò lei. Ora il sorriso sul volto di Jean era evidente: “... forse hai fatto un pisolino!”- solo allora Anne si rese conto del tempo trascorso, quasi venti minuti che a lei parvero un paio. - “Ma come mi è successo di addormentarmi... senza accorgermene! Mi pare di aver tenuto sempre gli occhi aperti e non ricordo di essermi appoggiata.”.
Per quanto esaminasse la cosa non ne veniva a capo, tanto che le venne il dubbio di un qualche problema fisico, forse alla testa, pensò con un brivido.
Ma nuovamente fu richiamata al presente da Jean: “È tempo che torniamo, prima che il fattore arrivi col trattore!” - “Oh mio Dio, oggi proprio non sono in forma!” - “Ma no Anne, stai benissimo e mi hai fatto un gran regalo: un'avventura, un'esplorazione!”.
Eseguita un'inversione su uno slargo più avanti iniziò il ritorno; arrivarono presso il casale del fattore che Jean salutò agitando una mano dal finestrino e si immisero sulla strada principale che, divenuta una decisa discesa, li avrebbe presto riportati al ponte e poi da lì a casa.
Mentre guidava Anne cominciò a mettere insieme tutti gli episodi di quel breve pomeriggio; non sapeva se meravigliarsi più per l'insolito comportamento del ragazzo o per la propria quasi amnesia. Riandando con la memoria a quel momento prima del ritorno di Jean nell'auto poteva sentire ancora un po' della calma e tranquillità provata e per quanto si sforzasse non aveva ricordo di un assopimento, una sospensione nel flusso della sua coscienza.
Ricordava di stare guardando Jean e d'un tratto non lo vide... e subito dopo il rumore della portiera che si riapriva. Venti minuti, non era possibile!
Le ritornò in mente quello che le raccontò un amico tempo addietro: costui stava ritornando in auto dal lavoro, lo stesso percorso per le ben conosciute strade, guidando com'era solito e forse con i medesimi pensieri: come andava il lavoro con i colleghi, cosa avrebbe mangiato di lì a poco, i consueti problemi familiari e così via. Il viaggio durava poco meno di un'ora; pur se il tragitto era poco non lo era il traffico. Subito dopo una grande rotatoria c'era da percorrere un lungo tratto rettilineo interrotto da tre semafori distanziati quasi regolarmente. Passato il primo si attendeva di vedere il secondo quando una strana sensazione lo prese, come di stare percorrendo quella strada per la seconda volta quel giorno. Pensò trattarsi di un effetto dell'abitudine; come si ha la persistenza dell'immagine sulla retina così poteva darsi che il ricordo del viaggio del giorno prima, o di un altro giorno con un traffico simile e con pensieri simili, si sovrapponesse all'esperienza in corso.
Ebbe il tempo di compiacersi con se stesso per l'elegante soluzione trovata prima di posare lo sguardo sul cruscotto, un'occhiata al contachilometri e un altro di sfuggita all'orologio. Quella sensazione ritornò con più forza: era passata mezz'ora, avrebbe dovuto essere già arrivato ma si trovava ancora a metà strada; pensando ad un malfunzionamento guardò anche l'altro di orologio, quello che teneva in tasca a causa del fastidio al polso, ma l'ora era confermata al minuto.
Per il restante tragitto le pensò tutte, dai problemi fisici (anch'egli temette qualcosa al cervello) ad una improbabile somma di disattenzioni che lo portarono a partire dopo del solito... sino all'ultima fantastica ipotesi che tirava in ballo rapimenti ad opera di alieni (per quanto lo riteniate stravagante molta gente ne è convinta, provate a fare una ricerca.).
Non venendo a capo della faccenda almeno si sentì sollevato al pensiero che almeno non doveva inventarsi alcuna spiegazione per il ritardo, dato che quel giorno i suoi familiari non erano in casa.
Assorta nei suoi pensieri Anne si dimenticò di Jean sin quando egli, mostrandole alcune spighe di lavanda che teneva in mano, le disse: “Guarda questa lavanda, l'ho raccolta al limite del campo coltivato, in mezzo a delle grosse pietre, non ti pare che abbia un colore più bello?” - “Ma come, sei andato fino al campo senza dirmelo?” - “Ma Anne, mi stavi guardando dall'auto e non mi hai detto nulla, ho pensato che mi permettevi di muovermi da solo... e poi ho camminato piano, stando ben attento a dove mettevo i piedi!”.
Anne non ci si raccapezzava più e decise di lasciar perdere, ormai stavano per entrare nel cortile di casa; poco dopo fermò l'auto e finalmente guardò la lavanda tra le mani di Jean, aveva davvero uno splendido colore e gliele stava porgendo: “Le ho raccolte per te Anne, per ringraziarti della gita che mi hai fatto fare.”.
Aveva sul volto quel dolce sorriso a cui Anne non riusciva a resistere che un po' la commuoveva, come quel lontano giorno quando cominciò la storia tra loro.
Marie compiva gli anni il 22 di luglio e Jean il 29 dello stesso mese, giusto una settimana dopo, cosi che il giorno era lo stesso per entrambi; ognuno partecipava al compleanno dell'altro fino a quando, a causa di una influenza che tenne a letto Marie in occasione dei 5 anni, il suo festeggiamento venne posticipato e unito a quello di Jean. La cosa piacque a tutti e da allora si decise di ripeterla alternativamente: l'anno successivo avrebbero festeggiato il 22, quello dopo il 29 e così via.
La gita con Anne avvenne il 26 di venerdì e il festeggiamento per i 7 anni di Marie e gli 11 di Jean cadeva, secondo l'accordo, lunedì 29.
Tutto era stato organizzato: il rinfresco, le famiglie, gli amici di scuola e ovviamente i regali; a seguire giochi per i giovani e chiacchiere per gli adulti.
In quelle occasioni Jean passate un paio d'ore si ritirava a riposare in camera sua e questo gli permetteva di sopportarne altre due, sino ai saluti finali.
Stava arrivando appunto il momento del riposo quando Jean si rivolse a Marie: “Devo dirti una cosa... qualche giorno fa Anne mi ha portato dove abbiamo la lavanda là in alto, proprio fino al campo... con l'auto, per una strada di sassi!” - “Davvero!? E perché?” - “Glielo avevo chiesto come regalo per il compleanno, ma non credevo che avrebbe accettato, invece è stata proprio brava.
Comunque Marie, quel posto è diverso, l'ho sentito anche prima di arrivare: quello è il mio posto.” - “Certo che è il tuo posto! È di vostra proprietà.” - replicò. - “No, non intendevo questo... è come per te quando vai a giocare in quello spiazzo circondato dalla lavanda, perché vai sempre lì?” - “Perché mi piace e ci sono sempre andata.” - “E non lo cambieresti, vero?” - “No che non lo cambierei, poi è così bello adesso che la lavanda è in fiore! Ci starei tutto il giorno!” - “Ecco, tu lo sai che quello è il tuo posto!” - disse soddisfatto Jean. - “Però io non lo conosco il tuo posto!” - rispose lei un po' rabbuiata e continuò: “Dimmi almeno cosa c'è di diverso da qui!” - “La luce Marie... il cielo, i campi verdi e poi la lavanda: mi pareva che il colore si staccasse un po' dai fiori, continuando nell'aria vicina come se tremasse leggermente, non il fiore che non c'era vento, proprio il colore... e poi sono andato, da solo, fino al limite del campo coltivato, dove ci sono delle grosse pietre e anche lì c'è la lavanda, però in mezzo all'erba perché è selvatica e non viene tagliata; è più piccola ma ci sono anche delle piante molto grandi e il colore di quelle piante è diverso dalle altre nel campo.
Mi sono accorto che passando piano le dita aperte della mano sopra le spighe, senza toccarle, ti fa quasi l'effetto di una piccola calamita, come se venissero un po' attratte. Di un paio di piante l'ho sentito bene e avevano un colore diverso, particolare.”.
Marie l'ascoltava a bocca aperta, forse non capiva completamente, ma l'intensità che ci metteva quella la sentiva bene! Aveva l'impressione che stesse dipingendo un quadro davanti a lei, era contenta del suo impegno per farle capire cosa provò, ma allo stesso tempo il fatto di aver perso una tale occasione le bruciava un po'. - “Tutte queste cose hai fatto e scoperto lassù! E io che adoro la lavanda non ho mai sentito come dici tu.” - replicò. - “Se l'ho provato io sono sicuro che sarà così anche per te!” - rispose subito Jean e lei pronta: “Mi piacerebbe proprio vedere il tuo posto con te, quando possiamo andare?”.
Jean si rese conto con un po' d'amarezza di quanto dipendesse dagli altri, da Anne soprattutto.
Un altro al suo posto poteva prendere una bicicletta, arrivare sudato là sopra e camminarci fin che voleva, senza bisogno di continui riposi.
Mangiando i frutti del gelso o le more se non vi fosse stato altro; lanciandosi poi in picchiata ignorando il pericolo e una volta a casa forse prendersi un ceffone a ricordargli ancor più quella scappatella. Ma questo era sognare la vita di un altro, la sua era legata a quanto doveva fare per non avere problemi col suo debole corpo e per questo aveva bisogno di una assistenza continua.
Marie vedendolo rattristarsi comprese l'inopportunità della sua richiesta; aveva sbagliato a chiedergli qualcosa che non dipendeva da lui, era già stato tanto che Jean, così riservato, le avesse rivelato il suo segreto.
Sentendosi in colpa e non potendo al momento rimediare abbracciò l'amico dicendogli che il suo posto non scappava e ci sarebbe stata un'altra occasione. Jean si riprese dal breve stato di sconforto e si accomiatò da Marie con un gran sorriso per andare a riposare.
Quando vi è una tale sintonia tra le persone, specie tra i giovani, l'una risponde immediatamente allo stato d'animo, alle sensazioni dell'altra; in qualche modo intuisce anche cosa potrebbe fare, quali strade seguire per aiutare l'altro.
Marie l'aveva capito qual era la strada, una via difficile che le richiedeva uno sforzo fin dall'inizio: vincere il suo istinto di non esporsi. Solo perché era più difficile sopportare di aver involontariamente causato quella tristezza in Jean si decise a farlo, subito, che a ripensarci avrebbe lasciato perdere.
Quella strada difficile portava ad Anne.
Capitolo 6 - Anne e Marie
Anne incuteva un po' di soggezione a Marie, aveva studiato ed era quasi un dottore, sapeva un sacco di cose e addirittura era lei che si occupava dell'istruzione di Jean!
E poi sua madre e anche Catherine ne parlavano sempre bene, dicevano che senza di lei avrebbero dovuto lasciare quel posto e cercare altrove un lavoro; così tutte queste notizie l'avevano resa un gigante ai suoi occhi, con il timore di fare qualcosa di sbagliato in sua presenza.
Comunque Anne non l'aveva mai rimproverata, neanche quando giocando nel salone più d'una volta combinò qualche guaio.
In quelle occasioni Marie avrebbe preferito essere sgridata o punita in qualche modo, pagando il prezzo per la sua disattenzione: così le pareva di essere sempre in debito e un giorno chissà cosa avrebbe potuto chiederle!
Sapeva quanto Jean stesse a cuore ad Anne e ora che, sia pure involontariamente, aveva dato quel dispiacere al suo amico decise che era venuto il momento di pagare, assieme a questo, tutti i suoi debiti con quella signora a cui tutti dovevano qualcosa.
Aveva poco tempo per farlo, giusto quello del riposo di Jean, così andò a cercare Anne e, dopo averla vista armeggiare in cucina, attese irrequieta un momento che fosse sola.
“Signora Anne... posso parlarle?” - le disse. - “Oh, Marie, come va la festa? Se hai voglia di qualunque cosa oggi è possibile!” - “Grazie, la festa è magnifica e non manca nulla per davvero, ma io... volevo chiederle delle cose, ecco, che non ho mai detto perché... non sono capace.” - l'emozione per un approccio così diretto stava quasi per chiuderle del tutto la gola, dovendo fare uno sforzo per pronunciare ogni singola parola.
Non ce l'avrebbe fatta a continuare se Anne non si fosse immediatamente resa conto che chi le stava di fronte non era più la piccola Marie, la giocherellona e spensierata ragazzina ma un'altra creatura appena emersa con grande fatica dalla sua crisalide, assolutamente indifesa in quella fase di transizione. “Marie, adesso andiamo in un posto tranquillo che non hai ancora visto, ti mostrerò qualcosa e dopo se vuoi possiamo continuare.” - le posò una mano sulla spalla e l'allontanò dal disagio di incontrare qualcuno, dirigendosi verso le sue stanze private.
La bambina si lasciò guidare, quasi appoggiandosi al suo fianco, il reverenziale timore aveva lasciato il posto alla fiducia.
Nel grande studio Marie osservò con curiosità i mobili: una libreria, una scrivania con due poltroncine, un divano e un tavolo basso con sopra una grande lampada, una specie di credenza a ripiani e cassetti appoggiata al muro tra le grandi finestre, con molti quaderni, riviste e album di foto. Nella stanza rimaneva tanto di quello spazio libero che ci si poteva giocare a palla.
Su un muro era appesa una grande carta geografica del mondo, ad un altro un acquerello appena abbozzato a tema floreale che aderiva ad un fondo rigido e sembrava fatto da Jean; non c'era nient'altro sulle pareti sì che la tinta, un leggero e delicato color albicocca steso apposta irregolarmente, conferiva all'ambiente una calda e soffusa luce.
Sedutasi sul divano Marie rivolse l'attenzione ad una vecchia foto incorniciata sopra il tavolino: una coppia e una bimba; era Anne pensò, quasi meravigliata dell'ovvia scoperta che tutti sono stati bambini.
Anne ne aveva seguito lo sguardo mentre ispezionava il luogo e gli oggetti, vedendolo indugiare sulla foto della sua famiglia, quasi a suggerirle il punto d'inizio del discorso: “Quella è la mia famiglia, sono rimasta sola che avevo la tua età; c'era la guerra a quei tempi e purtroppo molta gente morì, anche i miei genitori non ebbero la fortuna di sopravvivere.”.
Si accomodò vicino alla bimba e sistemandole un paio di cuscini dietro la schiena per farla stare comoda percepì che il suo corpo si era rilassato. Una sua capacità naturale, comprendere lo stato delle persone dalla posizione del corpo, da come parlavano, come guardavano; questa dote l'aveva molto aiutata nel suo lavoro di assistenza.
Marie si sorprese della familiarità che provava adesso con Anne, quasi una sensazione fisica di stare bene con lei, eppure erano passati solo una decina di minuti, quando per anni quella donna le sembrò di un altro mondo, ma il tempo incalzava e ora che era lì doveva andare avanti, ad ogni costo.
Parlarono per un po' di come Anne gradisse quei caldi colori alle pareti e del motivo di quella grande carta del mondo: “Mi interessa come vivono i diversi popoli. Vedi tutte quelle riviste là sotto, descrivono luoghi che quasi si fatica a trovare anche su quella grande mappa.” - e prese a sfogliarne una a caso, impreziosita da grandi foto colorate.
Marie si ricordò di averle viste in mano a Jean e che lui cercava soprattutto immagini di fiori strani. Il tempo trascorreva tranquillamente finché Marie si sentì in grado di riprendere il difficile argomento: “Io tante volte ho fatto dei disastri e tu non mi hai mai punita e nemmeno sgridata, adesso volevo ringraziarti che mi hai sopportato e anche che la mamma e la zia e Patrick mio fratello, possiamo vivere qui perché sei venuta tu. Io so che devo stare attenta con Jean, gli voglio bene, ti giuro che sto attenta di non farlo correre e se lo vedo stanco devo salutarlo, come mi ha raccomandato la mamma, dicendo che dovevo aiutarla a casa se succedeva... ma alcune volte non lo faccio apposta, mi dimentico che non può fare come me, mi sembra impossibile che sta sempre male e che non guarisce come noi... e...” - Anne non fu in grado né volle interromperla, sbalordita e ammirata dalla sensibilità della bambina si rimproverò di non aver saputo cogliere quali sentimenti e dispiaceri si sviluppavano in lei.
Ancora una volta un bambino le faceva toccare con mano i suoi limiti, Marie piangeva e Anne sentì inumidirsi anche i suoi occhi, non sentendosi del tutto meritevole della fiducia che le dimostrava. Ma un bambino si aspetta che un adulto si comporti da tale, senza che si mescolino i ruoli e perlomeno questo poteva assicurarlo.
“Marie, tutti i bambini fanno, devono fare dei piccoli disastri, è anche così che crescono e imparano, ma credimi se ti dico che tu hai sempre fatto del bene a Jean; anche se ogni tanto si stanca poi si riposa, non sai quanto la tua compagnia lo aiuta a sopportare le sue cure, a stare molto del suo tempo da solo. Quando arrivi tu per fare i compiti o giocare Jean quasi si dimentica dei suoi problemi ed è come te, un ragazzino come gli altri, anche se dipinge invece di correre.”-
“ Ma io lo so che gli piacerebbe uscire e stare con noi, che vorrebbe fare le cose da solo, deve sempre chiedere per andare da qualche parte.”.
Anne capì che era accaduto qualcosa di importante perché quella bambina trovasse il coraggio di parlarle apertamente di questioni che riguardavano soprattutto Jean; c'era un invito sottinteso a chiederle quali fossero ad esempio quelle cose che avrebbe voluto fare da solo, o dove pensava che volesse andare, ma capiva che lo sforzo sostenuto da Marie per arrivare a darle quell'indicazione era stato il massimo che poteva fare. Lo comprese vedendola muovere le gambe e cercare con lo sguardo una via d'uscita da quella situazione. Aveva solo sette anni ed era riuscita ad arrivare, per l'amicizia che portava a Jean, in un mondo di discorsi da grandi, quasi confrontandosi con lei su cosa fare!
Doveva lasciarle il tempo di riprendersi, avere pazienza, cercando nel frattempo di individuare cos'era successo che lei, sempre così attenta ai problemi di Jean, si era lasciata sfuggire.
Anne si alzò dicendo che era tempo di ritornare nel salone perché di lì a poco sarebbe cominciata la seconda parte della loro festa, quella con i regali e con la visione di un filmino (a quei tempi si usavano pellicole in super 8 e piccoli proiettori come al cinematografo) che i fratelli di Jean avevano spedito per tempo, in cui si vedevano loro e il papà in quei posti dall'altra parte del mondo, dove vivevano. Purtroppo anche quest'anno non potevano venire e una scusa valeva l'altra, questa diceva di problemi di lavoro, permessi in scadenza e così via.
Mentre lasciavano lo studio Anne prese a parlare di regali, di nuovi giochi e riviste:
“ Io gli regalo queste cose e altre ne mandano i suoi familiari, ma Jean non chiede quasi niente, dice che non ha bisogno di così tante cose. Sai Marie, mi piacerebbe tanto indovinare un bel regalo da fargli.” - l'esca era gettata e Marie che non aspettava se non di esser pescata per liberarsi del suo peso non se la lasciò sfuggire: “Jean mi ha detto di quel vostro campo là sopra e di quanto gli era piaciuto... quanto erano belli i colori e la lavanda! Mi aveva fatto venire voglia di vederlo e gli ho chiesto come andarci... e lui è diventato di colpo triste. So che ho sbagliato perché è distante e lui non può...” - Anne, colto il nocciolo della questione, provvide ad affrancare quella gentile creatura dal suo dispiacere dicendole: “... ohh, grazie Marie! È che ho avuto da fare per preparare la festa che me ne sono scordata... di dire a Jean che pensavo proprio di ritornarci e sarei contenta se ci vieni anche tu, così gli stai vicina e io posso rimanere nell'auto come l'altro giorno; magari posso anche leggere, perché mi posso fidare di te.” - “Certo che si può fidare Anne, io non lo lascio solo neanche un momento!!”.
Aver visto il volto della bambina illuminarsi felice per il risultato insperato di aver fatto qualcosa per il suo amico, un regalo che lei pur così piccola poté offrirgli, fu anche per Anne un regalo.
Molti non sanno di questo genere di regali e nemmeno immaginano come ci si possa sentire quando ci vengano dati, ma chi anche poche volte se non una sola li abbia ricevuti, difficilmente li scorderà. Quello che vi arriva da un bambino nessun adulto potrà mai eguagliarlo, perché l'adulto non è tutt'uno col suo regalo che per lui è quasi sempre un pensiero se non un ragionamento. Invece il disegno fatto da un fanciullo e datovi in dono è una parte di lui, come intuiscono tutti i genitori che li attaccano in ogni posto della casa riconoscendone il valore.
Il fiore colto ai bordi del campo, scelto secondo criteri a noi ignoti dal bimbo che ve lo porge, è giusto il fiore che va bene per voi, non quello che pensate sia adatto a voi; questo genere di regali apparentemente comuni in realtà sono rari, perché solo quando le circostanze lo permettano ne riceverete uno, per quanto possiate fare non c'è garanzia.
Quei pochi giorni furono per Anne ricchi di avvenimenti e scoperte: intravvide qualcosa di Jean che ignorava, anche se ebbe la sensazione che fosse stato più lui a permetterle di scorgerla. Comprese quanto si impegnasse per adeguarsi alla sua condizione, specie ora che, cresciuto, gli stimoli del mondo esterno bussavano con maggior forza alla sua coscienza e ciò nonostante la sua indole riservata rifuggiva dal chiedere, perché quello che certamente avrebbe ottenuto non lo voleva dalla pietà altrui, accettandolo solo dall'amicizia od in cambio di qualcosa fatto da lui, come le meravigliose etichette per la lavanda.
La piccola Marie... che scoperta meravigliosa un tale animo oltre alla sua contagiosa vitalità!
Anne non avrebbe voluto aderire così profondamente alla vita che le si presentò una volta entrata in quella casa.
Una certa forma di distacco le era congeniale, un mezzo passo indietro con il quale si illudeva di fronteggiare gli eventi; ma si accorse che sono gli eventi a decidere per noi, come in questi ultimi accadimenti: mezzo passo indietro e non avrebbe condotto Jean al suo posto “meraviglioso”.
Un altro mezzo passo e Marie avrebbe tenuto per sé i propri e i segreti di Jean.
E invece senza mettere o poter mettere quella piccola distanza ecco un altro mondo disvelato e il dono ricevuto: la possibilità di farne parte, di esserne tutt'uno; cominciava ad avere un senso anche per lei che ciò di cui si ha bisogno possa essere lo stesso di quello che si desidera.
Ora occorreva costruire il “meccanismo” che avrebbe permesso di unire i bisogni e i desideri di ognuno, ma per questo genere di cose Anne aveva un vero talento.
Capitolo 7 - Vacanze
Passarono una decina di giorni dalla festa di compleanno e
quel pomeriggio Jean si trovava nel salone, seduto vicino ad una delle grandi
finestre; aveva smesso di sfogliare una rivista, ora abbandonata sulle
ginocchia, preferendo la vista della distesa di lavanda sferzata dal vento.
Lo affascinava il formarsi e disfarsi veloce delle
increspature che ricordano quelle del mare, non molto diverse da quelle che si
vedono anche nei campi di cereali.
Ogni coltura produce le sue peculiari forme ma la lavanda e
il lavandino oltre al colore hanno la caratteristica forma a cupola dei filari,
dovuta al taglio annuale ed è quella forma che aumenta la profondità del
fenomeno.
Jean pareva ipnotizzato da quel rincorrersi di onde colorate
che di colpo cessavano in una zona per riprendere in un'altra, un effetto che
durava il tempo della raffica. Mentre si domandava come poter riprodurre in un
dipinto quel vibrare di colori comparve Marie, diretta verso la sua casa; pur da quella distanza le sembrò leggermente
diversa.
L'amica cresceva a vista d'occhio come i suoi ondulati
capelli castano chiaro, biondi d'estate, che ora le arrivavano alle spalle. La
sua vitalità le permetteva, dopo la scuola, di aiutare in casa, incontrare
alcuni amici e non ultimo di passare del tempo con Jean che con pazienza
l'aiutava nei compiti, oppure le riassumeva notizie lette in varie riviste,
anche se lei preferiva dedicarsi a quei giochi di abilità che Anne gli comperava
in continuazione.
Mentre lei giocava Jean disegnava o dipingeva un po' in
disparte, ma solo dopo che lei glielo avesse chiesto le permetteva di vedere i
suoi lavori; questo Marie lo sopportava malvolentieri, perché non aveva nessun
imbarazzo e si aspettava la stessa cosa da lui.
Il motivo della restrizione è che Jean oltre a produrre le
sue caratteristiche etichette usate per le spedizioni di lavanda, di quando in
quando, in altri fogli sotto a quelli in esecuzione aveva preso a ritrarla.
Questo non lo disse mai temendo che la cosa potesse essere mal interpretata;
fin che lo teneva per sé, una specie di studio sulla figura, non c'erano
problemi, anche se gli sarebbe piaciuto mostrare quei lavori all'amica.
Mentre si avvicinava all'entrata pensò a cosa fare con lei,
forse era il caso di aiutarla a riprendere confidenza con i compiti per la
vacanze, oppure... ma il filo dei suoi
pensieri si interruppe al vedere Anne raggiungere Marie e lei salutarla
amichevolmente, quasi senza quel senso di rispetto, di distanza che lui
conosceva bene.
Era sempre stato molto attento a come si comportava con lei,
cercando di cogliere il momento giusto per qualche attività o prendere
commiato; pur così giovane aveva sviluppato un'intuizione rispetto alle altre
persone, per proteggersi a volte dall'invadenza, dall'insensibilità, o per non
dipendere da loro.
Ma accadevano tante cose e così velocemente quell'estate che
Jean ne provò un misto di timore e di eccitazione. In quello stato andò ad
aprire la porta, attendendosi di vedere la sua amica, ma ebbe una sorpresa,
c'era Anne!
“Ciao Jean, scusa se ti rubo un po' del tuo tempo ma devo
parlare con te di alcune cose.” - “Proprio adesso, Anne?” - e si sentì nella
voce il timore che potesse essere accaduto qualcosa, o peggio che si dovesse
parlare delle sue cure. - “Niente di cui preoccuparsi”- lo rincuorò in fretta.
- “Però non voglio tirarla per le lunghe e vengo subito al dunque, a patto che
tu mi ascolti.” - “Ma io ti ascolto sempre!” - intervenne Jean. - “... mi
ascolti e mi dia una mano.” - “Per cosa,
Anne?” - domandò. - “Per fare un po' di vacanza!” - gli rispose con un
bel sorriso Anne. - “Un po' di vacanza? Per andare dove? ” - “Ecco, qui devi
darmi una mano, perché non riguarda solo noi, ma anche Marie e ovviamente la
sua famiglia se sarà d'accordo.” - Jean ascoltò sorpreso Anne riferirgli del
colloquio con l'amica e di come aveva pensato di unire gli interessi di tutti.
Man mano che ascoltava nascevano in lui diversi stati
d'animo: riconoscenza per la fiducia che Anne dimostrava nei suoi confronti
parlandogli apertamente di altre persone, stupore per la forma presa dai suoi
desideri, ma al di sopra di tutto lo
pervadeva quella sensazione così sfuggevole di
felicità!
Anne si era data proprio da fare, in una sola settimana aveva
affittato dal fattore il cabanon vicino alla loro proprietà e come prima
cosa fece livellare la strada sterrata, sì che divenne agevole da percorrere.
La piccola costruzione fu risistemata completamente: l'unica stanza fu
ripulita, ridipinta e divisa con un tramezzo di legno. In una metà trovò posto
un tavolo con delle seggiole e in un angolo un ripiano con un piccolo lavabo e
delle stoviglie; nell'altra due piccole brandine e una mensola fissata al muro.
Volutamente non c'era altro, sarebbe stata la fantasia dei
ragazzi a personalizzare il posto.
Per l'acqua era stata posizionata sul solaio, non agibile per
via dell'altezza, una piccola cisterna; non mancava neppure l'illuminazione
garantita da una batteria d'auto ed era stata riattivata la fossa per gli usi
igienici addossata alla costruzione, sul retro, installando un servizio
moderno. Pareti con nuove assi di legno e una porta garantivano la necessaria
riservatezza.
Forse uno dei desideri più comuni per tutti i ragazzi è
quello di avere un proprio luogo, magari costruito da sé, oppure adattando allo
scopo un ripostiglio, una soffitta od almeno un angolo di una stanza. Ma
l'importante è che sia confacente alle loro misure.
Quel cabanon sperduto tra i campi con nessun'altra
costruzione in vista era un avamposto ideale, ai confini del mondo conosciuto.
Anne andò più volte a visionare la costruzione, per renderla
adatta ad ospitare Jean in condizioni di sicurezza e si sentì sempre più
attratta dal posto, tanto che si domandò se quel lavoro venisse fatto solo per
lui. Si rese conto che non solo bisogni e desideri a volte diventano una cosa
sola, ma anche che quelli altrui possono
divenire propri e viceversa.
Claude (la madre di Marie) fu informata di tutto il progetto;
Anne le disse di ritenere una buona cosa
per la salute di Jean allontanarsi da casa ogni tanto e non per andare in
quell'altro solo luogo che purtroppo era costretto a frequentare.
La compagnia di Marie, sempre che fosse d'accordo, permetteva
ad entrambi di continuare a fare le cose quotidiane, magari in presenza anche
di altre persone della famiglia, quando possibile.
L'idea iniziale era di andarci qualche volta durante la
settimana, specie d'estate e in uno di quei giorni raccogliere sul posto la
lavanda per le cooperative, comunque i problemi sarebbero stati risolti man
mano.
Mentre tutta la faccenda prendeva forma Anne per la prima
volta realizzò che la sua vita, quella di Jean e di tutte le altre persone
della famiglia ruotava intorno a quella pianta, la lavanda: Juliette, la madre
di Jean, l'adorava e aveva dato disposizioni affinché nella proprietà
prospiciente la casa non venisse mai sostituita; Jean associava quelle distese
colorate alla madre e a sua volta ne era più che attratto, una vera passione.
Anche se non furono le spighe di lavanda datele da Jean nel
centro medico a farla decidere, ebbero
comunque una parte. Gli stessi familiari di Marie grazie a quelle colture
poterono continuare a vivere in quei posti.
Per giunta, pensò Anne, le risposte che seppe trovare a
situazioni difficili avevano ancora a che fare con quel fiore.
Adesso comprendeva anche esperienze diverse, ad esempio il
rispetto e la gratitudine per il mare provate dalle persone che vivevano delle
sue risorse; per le quali non era solo una parola o un magazzino da svuotare,
ma un'entità viva con cui andare d'accordo.
Oggi che in quasi tutto il mondo si è rotto l'equilibrio per
il troppo sfruttamento, a troppe di quelle genti è venuto a mancare il senso
del loro vivere.
Finalmente venne il giorno di andare a visitare quel posto
per le vacanze: Anne e Claude sui sedili anteriori, i ragazzi dietro con un
cesto contenente una merenda a base di formaggi di capra, pane e frutta di
tutti i tipi. Purtroppo non ci fu verso di convincere Patrick a seguirli:
ritornato per le vacanze da Marsiglia, dove studiava e viveva da una zia
paterna, si sentiva ormai grande per la compagnia della madre e dei ragazzini.
Nel breve viaggio in auto crebbe l'eccitazione dei ragazzi,
impegnati ad immaginarsi com'era quel posto. Mentre Marie già pensava a cosa
poterci fare all'interno, a Jean non pareva vero di tornare a rivedere i gialli
campi di cereali e la pura lavanda, che la prima volta gli aveva rivelato
qualcosa.
Le aspettative furono ampiamente superate dalla realtà: il
vento aveva ripulito il cielo da ogni altra cosa che non fosse il suo
originario color blu; il calore era gradevole e il silenzio assorbiva
l'insistente richiamo delle cicale. Un senso di pace li avvolse indistintamente
e anche Claude, di solito sempre indaffarata, sedette tranquilla all'esterno
del cabanon all'ombra di una giovane quercia, cresciuta per suo conto addossata
al muro laterale senza aperture.
Pian piano scivolò nei ricordi della sua vita, rivedendo
anche quanto di bello le offrì, cosa che non le accadeva spesso.
Marie entrava e usciva dalla casetta per verificare la
possibilità di realizzare le molte idee che le frullavano in testa, ma poi si
quietò e sedette vicino alla madre giocando col niente di qualche stelo e
alcune foglie, mentre Anne che si era accomodata su una sedia nella cucina
prese a sbrigare del lavoro amministrativo arretrato.
Jean camminò attorno alla costruzione rientrando dopo poco
per parlare con Anne: “Hai capito che qui mi sento bene e hai realizzato tutto
questo senza che te lo chiedessi. Non ho conosciuto mia madre, ma quanto fai
per me credo solo lei ne sarebbe stata capace.” - Anne fu quasi sopraffatta da
quella dichiarazione e non potendo sottrarsi alla commozione lo abbracciò
dolcemente, ricambiata dal ragazzo, insolitamente commosso.
Qualcosa nel tono e nelle parole le dettero la sensazione di
un cambio di registro, come se, giunto il momento, avesse aperto per lei una
porta sul proprio mondo interiore.
Ma non era tempo di approfondire la questione, nell'ora che
ancora rimaneva era previsto uno spuntino e una piccola passeggiata tutti
assieme.
Da quel giorno Jean accettò senza riserve la propria
condizione, smise di confrontare il suo stato di salute con quello degli altri
e quando stava male attendeva paziente che passasse.
Non mancava di ringraziare in cuor suo quanti lo aiutavano e
gli volevano bene.
In lui iniziò a svilupparsi un forte desiderio di ricambiare, la sua riservatezza
e il timore di un contatto troppo stretto con le persone scomparvero.
Pur conoscendo da anni tutti loro quello che sentiva adesso
era una cosa nuova; esprimendolo in metafora era come se un anello di una
catena improvvisamente potesse vedere tutti gli altri, rendendosi conto di come un suo movimento
influiva su essi e viceversa, dovunque andasse e cosa accadesse a quella catena
riguardava tutti gli anelli che condividevano un medesimo destino.
Capitolo 8 - Un'ombra nel
giardino
Da allora quel luogo divenne familiare ad ognuno, compresa la
discreta zia Catherine che preferiva
andarci solo nel giorno di raccolta della lavanda, non lasciandosi convincere a perdere tempo senza
un qualsiasi lavoro da svolgere .
Marie aveva personalizzato (come diceva Anne) il posto
e nessuno ebbe a dire qualcosa dei suoi mazzetti e nastrini sparsi ovunque.
La ragazzina chiese insistentemente a Jean di dipingere il
tramezzo di legno fra le due stanzette, dalla parte della cucina. Non fu
un'impresa facile perché, da perfezionista qual era, comprendeva
l'inadeguatezza dell'acquerello per quel compito e il passare ad altri colori senza
padroneggiarne la tecnica lo imbarazzava; inoltre non poteva usare quelli ad
olio per via dell'acquaragia che gli aveva dato problemi.
Rimase indeciso sull'uso delle tempere fino alla riscoperta
delle cere a pastello in grado di coprire
quel fondo grezzo senza doverlo prima preparare e senza perdere in
luminosità.
Dopo interminabili prove finalmente cominciò ad impostare
l'opera, esattamente quello che si vedeva dalla
finestra: lavanda, cereali, siepi, alberi e la montagna sullo sfondo.
Marie rimase meravigliata della sua capacità di delineare
ogni particolare con sensibilità e precisione; se ne stava lì a guardarlo
mentre le sue dita delicate ma ferme tracciavano segni o riempivano sfondi man mano rinforzati con successive passate,
quasi come una tempera.
Il risultato si coglieva appieno da un paio di metri di
distanza e sbalordì Anne, Claude e la stessa Catherine, la quale ammise che
quello non era stato perdere tempo.
Si decise di non parlare con altri del quadro perché la
bellezza e il grande formato, uniti alle voci del talento del ragazzo che già
circolavano a causa delle etichette, lo avrebbero reso appetibile a qualche
malintenzionato.
A Jean piacevano gli animali ma gli era stato consigliato,
con suo disappunto, di non avvicinarsi troppo. Durante quel lavoro, osservando
dalla finestra il suo soggetto, alcune volte gli parve di vedere una massa
scura muoversi ai confini della proprietà, dove la lavanda selvatica cresceva
tra le rocce. Tuttavia la distanza era troppa pur per la sua buona vista e chiese
all'amica di guardare a sua volta: “Dove devo guardare?” - “In fondo tra le due
grandi rocce, con la lavanda che copre parte di quella a destra.” - “Sì Jean,
sembra ci sia qualcosa di nero che si sposta piano, se esco e mi avvicino da
un'altra parte forse lo vedo meglio.” - “Eh! No, no... se fosse pericoloso, un
cinghiale, un cane selvatico... non possiamo correre rischi, potremmo non
tornare finché pensano che ci sia pericolo!” - “Ma Jean, è troppo piccolo per
essere quello che dici, pare più un gatto.” - “Chatnoir!” - esclamò Jean e
Marie lo guardò stupita per l'eccitazione con cui lo disse. - “È un gatto!
Forse sente che non deve avvicinarsi, perché sono sensibile, allora rimane
distante e intanto si fa appena vedere, ma solo da noi. Dobbiamo fargli capire
che l'abbiamo visto, prima di andarcene andremo a mettere un po' di formaggio
tra quelle rocce.”.
Marie che sapeva del problema di Jean con gli animali fu
contenta della possibilità, anche se per lei quella era ancora un'ombra nera, e
anche fosse stato un gatto forse era di passaggio, ma ugualmente Jean gli aveva
già dato un nome!
In alcune situazioni la certezza del suo amico la
impressionava, lei era sempre così indecisa.
Fecero quanto progettato, anche se a Marie quell'intero tomino
di capra lasciato sulle rocce parve uno spreco; ma Jean fu
irremovibile e non le consentì di ridimensionarlo!
Il timore che si verificassero situazioni incontrollabili
teneva Anne sulle spine; per quanto possibile ogni evenienza e i conseguenti
provvedimenti erano stati ben studiati, ma solo dopo diversi soggiorni lassù si
sentì finalmente tranquilla.
Jean trascorreva la maggior parte del tempo all'interno del
cabanon; quando ne sentiva il bisogno si riposava sulla brandina proprio
davanti a una finestra che dava sulla lavanda.
Ogni tanto usciva e si sedeva all'ombra della quercia. Un
paio di volte faceva una passeggiata sino al margine della coltivazione: la più
lunga accompagnato quasi sempre da Marie, quella breve - mai più di una dozzina
di minuti - volle sempre farla da solo.
La cosa veniva
interpretata in vari modi, ma Anne era sicura che nessuno di questi fosse
quello giusto.
Nel giardino della grande casa Anne iniziò a coltivare varie
specie di fiori, una vecchia passione
mai soddisfatta prima di arrivare in quel posto, per la mancanza
dell'ingrediente fondamentale: un giardino od almeno una terrazza.
Qui di terra ne aveva quanta voleva e i suoi fiori
contribuivano al colore del luogo, precedendo e seguendo la fioritura della
lavanda. Per prime scelse le rose tra le quali prediligeva le varietà profumate
e antiche anche se non rifiorenti, trovò la giusta collocazione per una
splendida rosa Alba che ricoprì un basso muretto in mezz’ombra.
A chi non ha mai avuto modo di odorare i suoi splendidi fiori
colmi di petali rosa tenue lo consigliamo vivamente; dal canto suo Anne poteva
farlo anche per un minuto di seguito e man mano che i recettori del naso si
saturavano dell'essenza principale riusciva a distinguerne anche le altre
componenti. Il mondo degli odori, dei profumi, è altrettanto meraviglioso di
quello dei colori.
Via via aggiunse altre rose finché Jean le chiese perché non
provasse anche altre specie, mostrandole una rivista con foto di innumerevoli
piante.
Già, pensò Anne, perché solo rose? Ed ecco diversi tipi di
aquilegie, viole, salvie, timo, lamio, semprevivi... digitali, zinnie, muscari, crochi, giacinti,
iris, tulipani, anemoni, ellebori; l'umile pulmonaria che tollera le zone in
ombra fiorendo abbondantemente dove la maggior parte non vi riesce e la borragine
dai fiori azzurri che pare non finiscano mai.
La fusione di forme e colori crearono un'armonia che è
l'ambizione di ogni giardiniere.
Un giorno d'estate Anne e Jean camminavano nel giardino
facendo qualche sistemazione l'una e osservando minuzioso l'altro.
“Anne, guarda questi insetti (bombi). Pur così pesanti con le
loro piccole ali volano precisi tra i fiori e competono con le api a cui tutta
la lavanda sembra non bastare!”. Anne li vide indaffararsi
soprattutto sulla bordura di nepeta che già si diffondeva da
sé prediligendo, con suo disappunto, le fessure tra i mattoni usati per il
sentiero, semplicemente appoggiati su ghiaino.
Poiché le piantine crescevano bene e le dispiaceva
eliminarle, cominciò quel lavoro senza fine di estrarle delicatamente e
metterle nei vasetti, facendole ben sviluppare prima di ricollocarle.
In una zona aveva messo le aromatiche tra cui la maggiorana,
pianta non appariscente se non quando, fiorendo, si slancia in steli
ricchissimi di fiorellini rosa che si aprono senza sosta per lungo tempo,
formandone ancora alle ascelle quando sembra giunta al termine.
Anch'essa trovò l'ambiente ideale diffondendosi per metri,
tanto che pensò di contenerla drasticamente salvo rinunciarvi vedendo Jean in
contemplazione di quell'universo di api, bombi e di molte specie più piccole,
nonché innumerevoli farfalle giallo chiare, azzurrine e altre ancora, tutte a
vivere del nutrimento prodotto dalla generosa pianta.
Anne adesso vedeva i fiori per quello che erano, un anello di
una più ampia catena che unisce tutta la vita; non fosse stato per Jean
starebbe ancora a ricercare eleganti geometrie fiorite, tuttavia incapaci di
sostenere quella piccola meravigliosa comunità di insetti volanti che si
ripresentava puntuale ad ogni stagione.
Alla maggiorana, alla nepeta e a tutte le altre specie che
vide loro gradite fu permesso di espandersi; l'armonia del giardino divenne di
un ordine superiore, ben oltre la semplice assonanza di forme e colori.
Anne e Jean trascorrevano diverso tempo ad osservare, seduti
su una panca di legno, quella vita volante; se ne sentivano responsabili e non
l'avrebbero scambiata col più bel giardino al mondo.
Jean non aveva potuto verificare se il presunto gatto avesse
accettato la sua offerta, perché quella settimana ripercorse la strada del suo
personale calvario per i consueti accertamenti medici.
Anche stavolta, come le altre, sopportò la confidenza che
altri avevano col suo corpo a cui non riuscì mai d'abituarsi; sapeva che era
necessario, ma da tanto non si sentiva così bene, come rivelarono anche i
risultati degli esami, per una volta decisamente migliorati.
Anne ne fu felice quanto lui, temeva che un riscontro
negativo potesse associarsi alle loro gite, certo brevi e in un ambiente
sicuro, ma i medici avevano pur sempre sconsigliato ogni movimento se non
indispensabile.
A quella parola, “indispensabile”, si era aggrappata per
l'ultima decisione in merito al lieu
de vacances, come l'avevano chiamato; la decisione fu giusta, gli
altri fattori non farmacologici che concorrono alla salute avevano funzionato,
almeno per il momento.
La prospettiva di un periodo sereno fu una novità che quasi
le fece mancare le forze; la responsabilità di cui si era fatta carico,
fidandosi della propria intuizione, era stata al limite delle sue capacità.
Anche se non doveva render conto a nessuno delle sue azioni un tale errore di
valutazione non sarebbe passato inosservato.
Fortunatamente tutto andò più che bene e Jean prima del
ritorno (un viaggio inframezzato dalla sosta in una pensione) non mancò di
dirle che per tante cose lei ne sapeva più di loro, les médecins...
Ogni volta che Jean partiva calava sull'altra famiglia,
quella di Marie, un'atmosfera di preoccupata attesa; nei fatti erano un'unica
famiglia che solo le abitudini e le convenzioni portavano a vivere
separatamente, ma quando uno aveva dei problemi tutti ne condividevano ansie e
timori.
A Claude, già separata dal
marito e senza il figlio Patrick allontanatosi presto da casa per
seguire la sua strada, quell'unico maschio - Jean - riusciva a trasmetterle la
sensazione di unità familiare a cui teneva più d'ogni altra cosa. Senza dirlo
conviveva con quella stretta continua allo stomaco sino al liberatorio ritorno
del ragazzo.
Catherine dal canto suo metteva in pratica quanto cristianamente
le avevano suggerito per propiziarsi la benevolenza dei santi nei confronti di
un sofferente.
Marie non sarebbe diventata la ragazzina di adesso senza il
rapporto costante con l'amico, da cui ricavava la sicurezza che non trovava
nella sua famiglia segnata da troppe difficoltà.
Così il suo ritorno e le buone notizie furono simili ad una
benedizione per tutti loro.
Tuttavia decisero di attendere dei giorni prima di un'altra
gita al lieu de vacances, così Jean trascorse più tempo nel giardino. Un
pomeriggio era lì con Marie che gli chiedeva cosa mai gli facessero nel posto
dove andava, ma egli evitava sempre i particolari dicendo solamente che una
macchina gli faceva delle analisi e che doveva aspettare, aspettare...
sfogliando riviste per far passare il tempo.
Stavolta la ragazzina era determinata a saperne di più e
stava per ritornare a chiedere, quando fu zittita da un gesto repentino di Jean
che si portò l'indice alla bocca nel segno di non parlare, contemporaneamente
con l'altra mano gli indicò un punto sul fondo del giardino, dove una siepe lo
separava dalla stradina in salita.
Marie si accorse di un movimento senza riuscire a distinguere
cosa fosse. “Che cosa hai visto, Jean?” - gli bisbigliò all'orecchio. -
“Chatnoir!” - rispose lui sicuro. - “Ma Jean, se quello al lieu de vacances era davvero un gatto non può
essere venuto fin qua!” - “Perché no?” - “Perché è troppo distante, non può
conoscere la strada!” - “Noi sappiamo poco degli animali, ho letto che anche
quelli domestici fanno delle cose incredibili, di quelli quasi selvatici
sappiamo ancora meno.” - “No Jean, non ci credo.” - rispose, ma intanto quella
massa ora si delineava chiaramente nella forma di un gatto nero che si
accovacciò continuando a fissare lo sguardo nella loro direzione.
Un leggero movimento fece incontrare un raggio di luce
filtrata dagli alberi al suo occhio giallo che lampeggiò nell'ombra; anche
Marie lo vide, ma avrebbe preferito due gatti piuttosto di uno che li poteva
seguire.
Capitolo 9 - Colori
Le migliorate condizioni di salute di Jean gli permisero per
gli anni seguenti una maggiore autonomia e un certo grado di libertà; non
avendo bisogno di un controllo continuo poté muoversi, seppur entro i confini
della propria isola, decidendo luogo e tempo per farlo.
Era una novità nella sua vita e stette bene attento a non
abusarne per non vedersela sfuggire.
Non s'illudeva sul futuro, aveva dodici anni ma pensava e ragionava ben oltre la sua età; ora che il destino gli permetteva quanto non avrebbe mai sperato, era giunto il momento di conoscere fin nei minuti particolari la sua isola.
Fu un sollievo per Marie non dover rammentare troppe cose
quando stava con l'amico, era sufficiente tenerne a mente solo alcune: non
correre, attenzione agli oggetti appuntiti, chiamare subito in caso di
problemi.
Quella normalità nelle amicizie e in casa contribuirono a rinforzarne la mente; vecchi traumi legati al comportamento del padre persero molta della loro forza e acquistò maggior fiducia in sé e negli altri.
Anne poté disporre di più tempo che dedicò, oltre alla cura
del giardino, ad approfondire argomenti che il procedere dell'età presenta alle
persone interessate al senso dell'esistenza.
Una parte di quel tempo lo impiegò in qualcosa che non si
sarebbe aspettata, ma non stava a lei decidere se all'interesse per gli altri
potesse unire l'interesse degli altri per lei. Quando qualcuno nei modi e nei
tempi opportuni glielo rivelò, pur sorpresa dall'entrata dei sentimenti nella
sua vita, seppe trovare un punto d'equilibrio che manteneva l'uno senza
escludere l'altro.
Quello che viene fatto abitudinariamente per lunghi periodi di tempo, quando si ha l'occasione di ricordarlo lascia un po' disorientati: vien da chiedersi se davvero non c'è stato altro che quell'avvicendarsi di impegni, lavori e gesti conosciuti e così poca traccia nella memoria.
La vita che non ricordiamo è quella che abbiamo vissuto.
Quella che ricordiamo è fatta di desideri non realizzati
quanto di esauditi, di speranze in attesa o già deluse, di spostamenti e pause.
In un solo giorno se non in un'ora siamo impegnati in molte
cose: sensazioni e gesti a volte estremi, viaggi e incontri di ogni tipo,
amicizie, rancori, amori, sforzi.
Di questa vita e del suo indelebile ricordo nella memoria
abbiamo bisogno quando non viviamo, quando il nostro sentirci bene od
almeno tranquilli non è qui ma da un'altra parte, in un tempo passato o da
venire.
È la vita che quasi tutti noi conduciamo normalmente, non
rendendoci conto che preclude quella vera, dove qualsiasi cosa stiamo facendo non porta con sé il pensiero
che potrebbe essere meglio e non ci preoccupa che passi il giorno senza aver
letto, scritto, fatto o amato.
Il giorno è passato e avete fatto solo quello che dovevate,
avete bevuto un caffè al mattino e non ricorderete domani com'era; non ce n'è
bisogno, ci sarà un altro caffè oppure qualcosa di diverso, non serve ricordare
i mille caffè bevuti per gustare quello che berrete adesso.
Jean si alzava molto presto: riposandosi ad intervalli
durante il giorno, la notte gli erano sufficienti non più di sei ore. Beveva un
po' di the leggero e addolcito mantenuto caldo in un grande thermos dotato di
rubinetto, accompagnandolo con qualche biscotto secco.
Una comoda poltrona vicino alla finestra che dava ad est era
il suo posto preferito in attesa del risveglio di Anne, raggiungibile nel caso
con un campanello elettrico.
Durante i mesi della fioritura della lavanda attendeva da lì che il sole la illuminasse: era quello il mare che circondava la sua isola.
L'alba è sempre uno spettacolo in un ambiente che sia stato
rispettato dall'uomo ma, stranamente, pochi ne fruiscono. Dei fortunati che si
trovano nel posto adatto solo alcuni ne hanno il tempo a causa del lavoro o del
riposo; a quasi tutti loro sono i problemi quotidiani a togliere l'interesse e
ai rimanenti ci pensa l'abitudine.
Accade lo stesso per un cielo stellato. In questi posti
circondati da campi, siepi e colline quante se ne voglia, fortunatamente l'uomo
ha risparmiato il suo desiderio di luce notturna così che quella delle stelle,
anche in virtù di un'aria ripulita da un vento quasi quotidiano, vi giunge
nitida e di una profondità senza pari, cosa assai apprezzata dagli osservatori
astronomici presenti.
Eppure per gli stessi motivi quest'altro grandioso
spettacolo, completamente gratuito, conta meno spettatori di una qualsiasi
pubblicità televisiva.
Qui la poca umidità dell'aria riesce raramente durante la
notte a condensare sulla vegetazione, nonostante il forte abbassamento della
temperatura. Al mattino le piante oltre a non aver potuto assorbire dalle radici la preziosa acqua, non
ne sono neppure rimaste inumidite nella parte aerea e senza alcuno scudo sono
via via investite dalla crescente radiazione solare.
La lavanda dà il meglio di sé dove le altre piante iniziano a
cedere. La sua lunga fioritura negli aridi mesi estivi non ha rivali; forse
tale resistenza si può spiegare con gli oli essenziali che trasudano
diffondendosi nell'aria circostante, con le cere e resine che proteggono lo
stelo e le filiformi foglioline, o forse c'è dell'altro ancora da comprendere.
Ma vi è un'altra cosa stupefacente, per chi si sia dato il tempo e la pazienza di osservarla attentamente: la risposta della lavanda alla luce solare, sia quando ne viene investita che quando ne viene abbandonata; laddove le aree coltivate sono estese l'effetto è esaltato.
Questo era lo spettacolo preferito di Jean che attendeva con
pazienza l'arrivo del sole, cercando di
afferrare il momento in cui il colore dei fiori cambiava.
Detta così pare una cosa semplice, ma volendo anche questo
fenomeno ha una interpretazione scientifica: diversa inclinazione dei raggi
solari nell'attraversare l'atmosfera, differente assorbimento delle frequenze
luminose e altro ancora.
Ma c'è un problema con le spiegazioni, scientifiche o di
altro tipo: quando le abbiate comprese e fatte vostre tanto da poterle esporre
correttamente, avrete finito di osservare e forse di essere ancora interessati
ad approfondire.
La spiegazione filtrerà l'esperienza dandole il suo proprio
colore, come lo fa un vetro colorato per la luce bianca. Diventerà difficile
accorgervi delle variazioni dovute alla diversa maturazione delle spighe o di
come i colori cambino durante il giorno.
Qualcuno dice che l'osservare qualcosa (un fenomeno)
influisce su di esso: come, tanto o poco non
possiamo saperlo, perché non conosciamo come sarebbe senza
quell'osservazione.
Questo enunciato, conosciuto come principio di
indeterminazione di Heisenberg e validato come teorema per il mondo
dell'infinitamente piccolo (particelle e onde), forse ha un suo riscontro,
tutto da dimostrare, anche alla nostra scala di misura.
L'esempio che useremo non ha niente di scientifico, prendetelo come un gioco: se usiamo una torcia elettrica per illuminare un gatto di notte capiamo bene come quella luce abbia un effetto sull'animale, se non su tutta la sua massa (il gatto si sposta) almeno sulla sua pupilla, o sul manto di cui distinguerete il colore. Bene, levate la torcia e riguardatelo (magari con difficoltà); forse il gatto anche questa volta si muove e voi giustamente pensate che in qualche modo, pur senza il disturbo della luce, si è accorto della vostra presenza. Se invece rimane? Potreste dire che non si è accorto di voi e che non l'avete influenzato... e se invece il gatto rimane proprio perché si è accorto di voi? Non ne verrete a capo, proprio come Marie per Chatnoir.
Anche quel mattino Jean preparò il suo comodo posto in prima
fila davanti alla finestra; mancava ancora una mezz'ora al levar del sole e si
accingeva ad aprire le spesse tende oscuranti, trattenendosi questa volta dal
farlo completamente.
L'ampia prospettiva cui era abituato comprendeva parte della
corte della casa con la cappella privata sulla sinistra, la zona del giardino
che si prolungava verso est, l'ampio declivio coltivato a lavanda proprio
davanti e molto più in là un tratto pianeggiante attraversato dalla strada.
Quindi le colline riprendevano a salire
sino al cielo da cui sorgeva il sole.
Dell'intero quadro la distesa fiorita ne occupava un quarto.
Era chiaro e non ebbe difficoltà a regolare a destra e a
sinistra le tende quel tanto che bastava ad inquadrare la visione del solo
campo di lavanda; per i margini superiore e inferiore usò del cartoncino
bristol nero che assicurò ai drappi con delle mollette.
Ora su quell'approssimato schermo l'unica cosa che poteva
vedere era un ritaglio della distesa fiorita, una chiazza colorata che a causa
della distanza appariva quasi omogenea.
Regolò con cura la posizione della poltrona e, un po'
affaticato da quella preparazione, si accomodò. Il sole stava quasi per sorgere
ma qualcosa ancora non lo convinceva...
Il vetro della finestra toglieva luce e non era proprio
liscio, si distinguevano zone con differenti densità; si convinse che era
meglio aprirla, ma dovette combattere contro il desiderio di riposo del suo
corpo per alzarsi e compiere gli ulteriori aggiustamenti.
Per lui fu un notevole sforzo: togliere i cartoncini appena
fissati, spostare le pesanti tende facendole scorrere sui loro bastoni, aprire
la grande finestra e riposizionare tende e cartoncini, controllando la lama di
luce del sole che cominciava a scendere dalla collina velocemente.
Fece appena in tempo e soddisfatto del risultato quasi si
lasciò cadere sulla poltrona, pronto ad
immergersi in quella visione senza altre distrazioni, favorito dalla
tranquillità che regnava nella casa e all'esterno.
Ora il nostro compito diviene arduo perché dobbiamo parlare
di colori, pur tenendo conto della sensibilità di ognuno e anche della
differente risposta dei due occhi; ma prima ancora dovremo intenderci sul
colore.
Anche se con differenti graduazioni quelli che ci sono stati
spiegati come i componenti della luce - rosso, arancione, giallo, verde, blu
- sono nomi che quasi tutti noi
associamo concordemente ai rispettivi colori percepiti, ma oltre il blu si apre
il mistero dell'indaco e in parte del violetto.
Per quest'ultimo riusciremo a metterci d'accordo, ma per
l'indaco?
Cercandone la descrizione potrete trovare: come il cielo
di notte senza luna. Anche un'indagine approfondita, usando scale
cromatiche comparative ricche di innumerevoli gradazioni, ci lascerà
interdetti, quasi non ci fosse un'interpretazione comune.
La storia della
ricerca di pigmenti per ottenere questo inafferrabile e prezioso colore è interessante: dall'India di 4000 anni fa,
alla Cina, Giappone, Corea, Indonesia, America del nord e Francia per finire
con la chimica di Baeyer del 1900 che ha permesso di produrne di sintetico a
basso prezzo.
Ma queste tinte, ottenute in passato e ancor oggi dalle
piante, per quello che possiamo osservare sono dei magnifici, splendidi blu
(salvo forse l'indaco lavorato dai Tuareg africani).
Non trovate strano che ancor oggi - pur con l'incredibile sviluppo di mezzi tecnici che permettono di espandere e manipolare immagini e colori all'infinito - uno dei magnifici 7 colori sfugga ad una precisa definizione? (Non intendiamo definizione tecnica, quella ad esempio basata sui rispettivi valori nella scala RGB rosso-verde-blu, che andrebbe sostituita con RGV rosso-verde-violetto se ci riferiamo, come dovrebbe essere, ai recettori nell'occhio per il quale il blu non è un colore primario, mentre lo è il violetto.).
Anche se potete visualizzare 32 milioni di colori in uno
schermo avrete sempre a che fare col vostro occhio, per il quale una così ampia
possibilità è senza significato.
Le spiegazioni scientifiche del fenomeno della vista ci
raccontano di come l'evoluzione abbia prodotto complessi apparati organici che
permettono l'esperienza di quel meraviglioso senso. Servirebbe un altro libro
solo per aggiungere una goccia d'acqua all'oceano di quanto finora scritto
sull'argomento; per i nostri scopi ci è sufficiente evidenziare che il vedere,
al pari di ogni altra esperienza, è soggettivo, essendo il risultato di un
processo, di un'interazione tra voi e quello che osservate.
Di questa interazione scrisse Goethe nella sua teoria dei
colori.
L'occhio ricrea il colore opposto (complementare) a quello
percepito: se guardate per un certo tempo un disco nero e spostate lo sguardo
vi apparirà un disco bianco e viceversa; così per i colori: un disco giallo produrrà
un'immagine violetta, uno azzurro l'arancio, per il verde avrete il porpora
(viola) e viceversa.
Egli interpretava il fenomeno come la risposta dell'occhio per riformare la totalità (della luce).
In precedenza, nel XVII secolo Newton, uno dei più grandi
scienziati di tutti i tempi, elaborò la famosa teoria corpuscolare della luce
che considerò costituita da minuscole particelle.
Come tutte le teorie anch'essa non fu definitiva, dovette
confrontarsi con quella ondulatoria (la luce che si propaga è paragonata ad
un'onda simile a quelle del mare), in seguito con la teoria elettromagnetica e
quindi quella quantistica. Quest'ultima in qualche modo integra le precedenti,
sciogliendone alcune ambiguità e indicando la duplice natura della luce che può
considerarsi sia particella (materia) che onda (energia).
Ma Goethe, insigne umanista del XVIII secolo, seppe interpretare in modo
molto diverso e originale il fenomeno luminoso.
Quello che scrisse (la teoria dei colori) ancor oggi è poco
conosciuto, seppur presenti una successione di elementi interpretati con
coerenza. Chi fosse interessato dovrebbe vedere da sé cosa vi sia di valido.
Riteniamo interessante anche il solo inizio dell'opera, che luce e oscurità
nella loro inscindibilità originino i colori, con l'occhio parte attiva
in questo processo: è significativo che all'organo della vista venga
riconosciuta la sua importanza.
Un organo tanto studiato quanto misterioso.
Ad esempio oggi la scienza conosce che ad ogni energia
(lunghezza d'onda) della radiazione luminosa è associabile un colore percepito
dall'occhio, ma non è vero il contrario.
Infatti, a causa dei recettori cellulari della retina (i
coni) diversamente sensibili alle componenti colorate della luce, due diverse
energie colorate che li sollecitino allo stesso tempo vengono interpretate dal
cervello (che li somma) come un nuovo colore!
Si possono fare esempi riguardanti l'udito (e chissà, forse
anche gli altri sensi).
Goethe non considerava, data la sua epoca, il ruolo del cervello umano che se da un lato complica la faccenda dall'altro la semplifica, perché oggi iniziamo a comprendere l'interazione tra chi guarda e la cosa vista, non risultando più inverosimile l'influenza reciproca.
Se davvero è così - non solo nell'esperienza visiva ma in
tutte - ci saranno per ognuno delle differenze, benché minime, nello
sperimentare la stessa cosa.
Ad esempio un colore, in particolare l'indaco.
Ognuno lo descrive diversamente, c'è chi non ci riesce
affatto e chi non sa della sua esistenza.
È un colore al confine tra la concretezza del mondo materiale
(dal blu al rosso) e quello energetico e immateriale (violetto e oltre).
Ci sono colori che sono stati usati nel tempo per connotare
particolari qualità e l'iconografia che appartiene alle varie tradizioni
religiose nell'usarli vi si attiene. A titolo di riferimento citiamo una sola
opera (importante) della tradizione cristiana che rappresenta perfettamente
quello che intendiamo: l'icona della trinità di Rublev.
Nella splendida opera sono disposti in un ordine rigoroso e
simbolico tre angeli che raffigurano la trinità:
- il padre indossa una tunica blu, colore
associato alla divinità, sopra a questa un mantello lilla connotato
al mistero e alla trascendenza (quest'ultimo colore non facilmente
distinguibile nell'originale riappare aumentando in una riproduzione il tono
blu);
- il figlio veste una tunica ocra a significare la sua
natura umana e ha appoggiato solo su una spalla un mantello blu, segno
della natura divina;
- lo spirito santo anch'egli con una tunica blu e un mantello verde, colore che
rappresenta la vita e la forza dello spirito.
Che sia arbitraria o meno l'associazione di questi colori con
certe qualità non sta a noi dirlo, ma se avrete modo di osservare quest'icona,
oggi facilmente accessibile con internet (si intende l'originale, non le
rielaborazioni dai colori accesi) non è facile individuare l'indaco a cui non
viene associata una qualità particolare; se c'è, il nostro colore è nascosto
tra le pieghe dei mantelli.
In un quadro di
Chagall, fiori blu (fleurs
bleues), alcune tonalità che richiamano l'indaco sono distinguibili nei fiori stessi; nell'opera,
dove i blu la fanno da padrone, quei fiori danno allo stesso tempo
l'impressione di armonizzarsi alla perfezione e tuttavia di esserne separati...
ma ovviamente sono valutazioni soggettive che lasciamo a voi confermare o
rifiutare.
Questi esempi servono solo per richiamare la vostra
attenzione sull'uso dell'indaco nella pittura, certi che ne troverete di
migliori.
Jean non ne sapeva nulla di tutta la faccenda, era guidato
solo dalla sua sensibilità e intuizione; da sempre sentiva che si celava
qualcosa in quel cambiar di tinta della lavanda, ma solo quella prima volta al lieu
si manifestò apertamente, coinvolgendo la stessa Anne.
Lo cercava senza l'aiuto di alcuna mappa o descrizione
scritta da qualche parte (non ne trovò né allora né in seguito), un fenomeno
sconosciuto che appariva a certe condizioni ai confini della sua isola fiorita.
Nel tentativo di focalizzarlo la fantasia gli suggerì diversi accorgimenti; la
ricerca, condotta sempre senza altre persone presenti, gli portava via
parecchio tempo. Si rese conto che non ne avrebbe avuto a sufficienza per
conoscere anche tutti gli altri dettagli del suo mondo.
Non dovette scegliere tra approfondire quell'unica cosa o
conoscerne superficialmente molte, perché quell'unica cosa aveva scelto lui.
Seguì man mano la strada che gli
si apriva dinanzi e nessuno seppe dove camminasse realmente quel ragazzo, pur
procedendo con loro.
Anne, una volta di più che quell'impressione
la colse, ebbe a ricordarsi le parole di Thoreau: “Se un uomo non tiene
il passo dei suoi compagni, forse sta udendo un ritmo diverso.”.
Capitolo 10 - Prime riprese
Nell'ultima settimana di giugno cominciavano a fiorire
lavanda e lavandino; ci sarebbe stato
ancora molto tempo per ammirare quello spettacolo che terminava quasi
alla fine di agosto.
Per allora sarebbe stata tutta tagliata e distillata; le
piante così ridimensionate avrebbero dovuto lottare con l'aridità persistente
per riuscire a ricacciare abbastanza vegetazione e al contempo cicatrizzare le
ferite.
Jean aveva fatto comperare un proiettore per i filmini
mandati dai fratelli; fu appunto riguardandoli che gli venne un'idea di cui
parlò con Anne: “Credi che sarebbe possibile anche per noi realizzare un film?”
- “Beh, non mi intendo della tecnica, quello che so è che serve una cinepresa e
la pellicola, per come usarla conosco qualcuno a cui potrei chiedere; che cosa
vorresti fare?” - gli domandò a sua volta, anche se immaginava la possibile
risposta. - “Quello che mi interessa è come cambia il colore della lavanda con
la luce, avrei la possibilità di rivedere quell'effetto con calma, specie
durante l'inverno. Siamo appena all'inizio della fioritura, iniziando presto
forse si riuscirebbe a fare qualcosa.”. Nelle sue parole si avvertiva un senso
di urgenza che non era l'impazienza dei ragazzi per un nuovo gioco, piuttosto
la consapevolezza di chi, intuendone la limitata quantità, non vuole sprecare
il proprio tempo.
Quando Jean chiedeva qualcosa gli riusciva naturale rendere
importante la persona che l'ascoltava, quasi che senza la sua approvazione, o
meglio ancora il suo coinvolgimento, non se ne potesse far nulla. Le due cose,
l'accennare al prezioso tempo e il
desiderio di una collaborazione, lasciavano poche possibilità di sottrarsi alla
richiesta. “Puoi star sicuro che ci riusciremo e toccherà a te stavolta mandare
un film ai tuoi fratelli!” - rispose Anne. - “Questo non l'avevo pensato, mi
pare proprio una bella idea! Solo... fai già così tanto, questa cosa ti
impegnerà e...” - non fece a tempo a terminare la frase che Anne replicò: “Ci
sono cose che faccio perché fanno parte del mio lavoro e altre solo per
amicizia; chissà perché quasi tutto quello che facciamo assieme, dalla lavanda
per le cooperative, al giardino, al Lieu (come presero a chiamarlo) sono le
cose che mi piacciono di più, sai che sono sincera con te.”. Senza ragionarci
sopra gli parlava ormai da pari a pari.
Anne non avrebbe immaginato che il suo lavoro sarebbe
diventato la sua vita, avrebbe voluto conoscere il mondo, viaggiare.
Il suo rapporto con Jean la faceva viaggiare in un altro
modo, dentro di sé e più intimamente nell'ambiente che la circondava. Se ce ne
fosse stato bisogno avrebbe seguito il ragazzo... l'amico, sino in capo al mondo.
Quanto poco era quello che le chiedeva adesso e a guardarla
bene questa faccenda della cinematografia la incuriosiva parecchio; già pensava
dove rivolgersi per la cinepresa, guarda caso per gli aspetti tecnici quel suo più
che amico, Gerard, ne sapeva molto al riguardo.
Aveva recitato con diverse compagnie teatrali prima di
lavorare come assistente in campo cinematografico, riuscendo anche ad ottenere
delle discrete parti. Le sue qualità non passarono inosservate; era sulla via
giusta per affermarsi quando dovette abbandonare l'attività a causa di un grave
infortunio.
Il colpo subito, pur se forte fisicamente, lo fu ancor più
psicologicamente; tanto che dall'uno riuscì a riprendersi ma dall'altro mai completamente.
Anche se non ha senso rimproverare il destino, Gerard ritenne che il suo
avrebbe dovuto attendere almeno un po', almeno un po' di successo e anche un
po' di denaro messo da parte, prima di chiudere la partita con la fortuna.
Dei dettagli dell'incidente che gli cambiò la vita non volle
mai parlare a nessuno, nemmeno ad Anne che comprese la profondità di quel
dolore mai assorbito.
Ora si arrangiava con una piccolissima rendita e un altro po'
di denaro lo ricavava aiutando un amico apicoltore; in aggiunta curava delle
proprie arnie che gli permettevano una modesta produzione.
Il destino tanto disprezzato però non si era dimenticato di
lui: dopo un lungo periodo di vita solitaria gli aveva fatto incontrare Anne,
l'unica capace di vedere anche l'altro Gerard sotto la scorza delle abitudini a
difesa della propria fragilità. Queste sono difficili a cambiarsi: neppure con
le persone vicine parlava di cosa aveva fatto in precedenza, ma ora che Anne
aveva bisogno proprio delle esperienze di quella vita sarebbe stato difficile
negarsi, anche per lui stava arrivando il momento di ricambiare.
Anne era una persona apprezzata da tutti, soprattutto per la
pazienza e disponibilità, ma come tutte le persone c'erano aspetti meno
edificanti del suo carattere che venivano a galla in certe circostanze: quando
si trattava di denaro diventava puntigliosa e intransigente.
Annotava ogni cosa riguardante la gestione delle proprietà e
le spese connesse alle cure e all'assistenza di Jean. Nel contratto stipulato con Marcel volle fosse
evidenziata la pressoché totale libertà di azione; si premurò di farlo
acquisire da un notaio e richiese da subito che fosse sottoscritto anche dai
fratelli di Jean.
Pur non avendo obblighi di sorta faceva registrare
periodicamente dallo stesso notaio, divenuto suo amico, ogni documento, ogni
spesa fatturata o meno che la riguardava. Quanto spendeva per questo servizio
lo ritenne sempre un investimento.
Una volta pattuito e scritto un prezzo non c'era verso di
spuntarla con lei. Coloro che pensarono di approfittarsi di lei si ricredettero
ben presto; uno che volle metterla alla prova fu prontamente trascinato in
giudizio dovendo pagare oltre al pattuito anche i costi legali.
Ma le spese per i regali che faceva a Jean, per il giardino,
per il Lieu, non furono mai registrate se non nel suo cuore.
Un'altra cosa che Anne prima o poi faceva era di mettere alla
prova le persone che si ritenevano suoi amici; sapeva essere generosa oltre il
normale e aspettare i tempi altrui, ma quando arrivava il suo di tempo era come
l'oste con il conto.
Inutile dire che dei molti possibili, pochi rimasero suoi
veri amici, di questi ebbe sempre fiducia e dette loro più del ricevuto.
Quando Jean chiese di fare un film Anne avrebbe potuto
arrangiarsi da sola, ma ancora una volta per quello che riguardava la sua vita
sentì che alcune cose non avvengono a caso. All'istante decise di chiedere la
collaborazione di Gerard e dalla sua risposta avrebbe compreso anche il destino
del loro rapporto.
Si frequentavano da un paio d'anni, entrambi furono d'accordo
nel tenere la loro relazione al di fuori di dove vivevano; così si trovavano
per un caffè in qualche bar o si incontravano nei pressi dei campi di lavanda
(l'uno per accudire le arnie e l'altra per controllare le piante).
Talora frequentavano qualche mercato o si recavano presso le
città più grandi per un film o una cena al ristorante. Anne si premurava di far
in modo che durante la sua assenza Jean fosse sempre in compagnia di Claude o
Catherine, a cui lasciava detto dove andava e telefonava ad intervalli.
Jean ovviamente si era accorto che c'era del tenero con
l'amico apicoltore e ne era contento per lei.
Gli piaceva scambiare qualche parola con le persone che
passavano per casa e avrebbe voluto conoscere anche il fantomatico Gerard, ma
ci sarebbe voluto del tempo e qualcos'altro per ammorbidire la granitica
riservatezza della sua istitutrice.
Come suo solito Anne non perse tempo: si fece dare da un
rivenditore una lista delle cineprese disponibili con le loro caratteristiche
tecniche, accessori, pellicole e il prezzo di tutto; contemporaneamente
telefonò a Gerard dicendogli che sarebbe passata ad acquistare del miele e per
chiedergli un consiglio.
Era inusuale che si recasse da lui, certo il miele era un
valido motivo, ma quando accennò al “consiglio” una sensazione di disagio lo
pervase. Avendo recitato poteva capire abbastanza dal modo e dal tono della
voce; avrebbe voluto sbagliarsi ma temeva che stesse proprio per arrivare il conto
dell'oste.
Fu quasi sul punto di
accampare una scusa per rinviare... e dopo, quando mai sarebbe stato
pronto?
Uscì per controllare alcuni melari (la parte superiore
rimovibile dell'arnia dove viene depositato il miele che sarà raccolto e
venduto dall'apicoltore), si protesse il volto e accese l'affumicatore.
Lo aiutarono molto quei meravigliosi insetti: l'averne cura
per un lecito ricavo mise un po' d'ordine nelle sue giornate e pian piano riuscì
a moderare la consuetudine di rifugiarsi nel bere. Aveva eseguito innumerevoli
volte quelle operazioni e ancora rammentava l'iniziale senso di meraviglia che
provò nell'avere a che fare con le migliaia d'api di una casetta.
Vien detto che un alveare è come un'unica entità, la regina
dipende dalle sue operaie come loro da essa. A vederlo da fuori potreste pensare
al privilegio della vita più lunga della regina e alle sue relative comodità,
rispetto alla spola continua tra fiore e alveare delle operaie e alla loro
breve esistenza. Come per i loro parenti, i bombi, il privilegio dell'ape
operaia è nel volo e nell'adempiere il proprio dovere, sino alla fine.
Non crediamo valga meno di quello regale; talora a qualcuno
di questi insetti è concesso di terminare la propria esistenza sul fiore che li
accolse. Chi li abbia osservati così ridotti allo stremo dall'incessante lavoro,
ricoperti di dorato polline, può essersi chiesto se vi sia un luogo migliore
per accomiatarsi dal mondo.
Alla meraviglia del lavoro con le api Gerard ne poteva
associare solo un'altra, ben più grande, quella di una persona che lo aveva
accettato per quello che era.
Nella sua vita era apparso un sole a cui cercava di
armonizzare la propria orbita; ora sembrava che quell'astro lo chiamasse più a
sé. Quale che sia il prezzo dopo aver provato il sole vorreste vivere senza?
Quando Anne arrivò ebbe una sorpresa assolutamente
inaspettata.
Sul tavolino del piccolo soggiorno dove venne fatta
accomodare trovò ben allineati dei raccoglitori di foto, vecchi giornali e
altro materiale. Riguardavano la breve carriera d'attore di
Gerard che finalmente affrontò il ricordo del suo passato.
Forse l'uomo si sbagliava e non gli sarebbe stato chiesto
nulla. Poco importa, aveva atteso e fatto attendere fin troppo; voleva
smetterla con quel rancore verso il destino, sentiva che non ce n'era più
motivo, mentre adesso ce n'era per ringraziarlo quel destino.
Grazie alla comprensione e pazienza di Anne accumulò
abbastanza energia per sfidare una volta per tutte le sue abitudini
distruttive, recuperò tutto quel materiale da dove l'aveva riposto e mettendolo
sul tavolo alla mercé della sua compagna pensò: “Io ero quell'uomo, la
vita di allora mi pareva l'unica desiderabile per me; dopo tutto questo tempo
non mi importa più nulla di cos'ero e cosa potevo diventare. Come sia accaduto
non so, ma non sarebbe successo senza Anne.
Ho quasi gettato via la mia vita e quella che mi rimane giuro
sarà diversa...”.
Anche un attore che può piangere a comando riesce difficile
trattenere l'emozione quando si tratta della vita reale, specialmente quando si
tratta della propria.
Provò un'amarezza profonda per non aver reagito alla cattiva
sorte, sempre a dirsi che non se lo meritava, isolandosi dal mondo; certo era
riuscito a riemergere conducendo una vita tutto sommato decente, ma sempre con
quella corda attaccata al piede e il peso del passato a riportarlo a fondo.
Periodicamente cedeva a quel peso e si lasciava stordire dal bere per
dimenticarsi di sé.
Un essere umano ha un coraggio insospettato, molti vivendo ne
hanno lasciato prova e la gran parte di coloro che muoiono lo manifestano nell'accettazione
del loro destino. È il coraggio che viene dal riconoscersi soli di fronte
all'ignoto, a non averne paura, sia quel che sia.
Rimane una traccia nelle persone che l'hanno vissuto, ma non
saranno loro a dirvelo, sarete voi ad accorgervene perché qualcosa è differente
nel loro modo di fare, di parlare o di guardare.
Anne trovò un segno di quel coraggio sopra il tavolino del
soggiorno, riconoscendolo all'istante.
Altri segni li avrebbe scoperti in seguito; non era presente quando egli svuotò tutte le sue bottiglie nello scarico... da quel giorno Gerard non toccò più alcool per il resto della vita.
Il primo passo è sempre il più difficile, poi si vede sempre più avvicinarsi la meta.
Per Anne quello fu un giorno in un altro mondo; per quanto
aperta all'inatteso non pensava potesse avvenire così velocemente. Gerard
era un'altra persona, come spiegare altrimenti la differenza tra l'aver bisogno di un
appoggio e divenire il proprio appoggio?
Per quanto emozionato nel raccontarle della sua vita, di quando
accadde quel brutto incidente e di come fu abbandonato al suo destino, senza
che i vecchi amici gli offrissero l'opportunità di qualche lavoro, era come se
parlasse di qualcun altro.
Anzi, pareva desiderasse terminare il racconto non per
allontanarsene, ma per parlare del presente: “Anne, hai detto che potevo
consigliarti, dimmi di cosa hai bisogno.” Lei gli parlò del desiderio di Jean
di realizzare un film, dandogli il preventivo del commerciante.
Era incredibile che lui, usualmente così reticente a
impegnarsi in qualcosa di nuovo, su due piedi si mettesse a rovistare tra le
sue carte, promettendole che in breve tempo avrebbe preparato tutto quello che
occorreva, addirittura offrendosi di andare personalmente nei negozi per
ottenere il massimo sconto possibile.
Fino al giorno prima evitava come il fuoco di parlare di sé e
ora ci scherzava sopra dicendo che poteva andargli pure peggio.
Fu talmente sconcertata dal cambiamento che non riuscì a
reggere oltre l'ondata di energia positiva che si sprigionava dall'uomo; mentre
stava pensando a una scusa per
accomiatarsi si accorse che lui le aveva già letto l'intenzione e si alzò per
accompagnarla alla porta, parlando di trattamenti urgenti alle api e così via.
Salì in auto e avendo tempo andò al Lieu, per stare sola e
piangere di non sapeva cosa, ma qualunque cosa fosse era troppo grande per lei.
Le ci volle un po' a riprendersi, ma finalmente riconobbe nel
tentativo della sua mente di analizzare l'accaduto il tratto distintivo e
tranquillizzante del ritorno alla sua consueta personalità.
Si stava sempre più convincendo che Jean non fosse estraneo
agli accadimenti; quasi che quanto toccava si tramutasse in oro, quello vero,
il tramite dell'energia della vita.
Forse erano parole troppo grandi da usare, ma se non lei
testimone, chi ne aveva titolo?
Gerard fu di parola, in una sola settimana si era già
procurato un'ottima cinepresa, il proiettore, gli accessori, uno schermo
estensibile e la pellicola. In più aveva preparato diversi schemi tecnici per
l'uso con una lista di consigli per i principianti che comprendeva una
scaletta delle operazioni da farsi per acquisire via via dimestichezza con il
mezzo.
A seguire delle piccole sceneggiature sulla traccia di quello
che Anne le raccontò, con suggerimenti per esposizioni e inquadrature.
Per ottenere tutto ciò non esitò a ripresentarsi da alcuni
vecchi conoscenti i quali, nella speranza di mitigare il loro senso di colpa
per non averlo mai cercato, gli assicurarono il loro aiuto qualunque cosa
avesse bisogno. Aiuto che concretizzarono subito vendendogli dell'ottimo usato
a molto, molto meno del reale valore.
Nell'occasione valutò che il formato 8 mm non avrebbe reso a
sufficienza i dettagli e la ricchezza del colore nelle riprese dei campi di
lavanda, così decise per il 16 mm, anche se meno agevole da manovrare.
La sua Renault 4 era piena di scatoloni quando si incontrò
con Anne in quel bar con i tavolini quasi sulla strada principale, così poco
tranquillo eppure forse per questo scelto da tante persone; i proprietari, René
e Viviane, erano diventati loro buoni amici e seppero in anteprima del progetto
in corso, assicurando nel caso il loro aiuto.
“Gerard, cos'è tutta questa merce?! Ti avevo chiesto delle
informazioni, non già di procedere all'acquisto!” - “Le informazioni sono tutte
qui” - disse accennando alla voluminosa cartellina tenuta sottobraccio. - “Per
l'acquisto non devi preoccuparti perché non hai da pagare nulla, questo è un
mio regalo per te e per... Jean.” - “Perché
hai fatto una cosa del genere? Anche se non me ne intendo immagino che avrai
speso una fortuna, non te lo puoi permettere.” - “Ho speso molto meno di quanto pensi e credimi, io sono
il vero fortunato, se il tuo ragazzo non ti avesse domandato questa cosa tu non
l'avresti chiesta a me e non avrei provato l'eccitazione, la gioia di fare un dono importante; non ricordo più
quando fu l'ultima volta!”.
C'era una bella luce nei suoi occhi, non quella che premia
molti attori al di là dei loro meriti artistici, che riguarda riflessione e
fotogenia, ma del tipo che proviene dall'essere in pace con sé stessi. Una cosa
che non provava da troppo tempo per porsi dei limiti, costasse tutto quello che
aveva non lo preoccupava. Anne l'aveva sempre considerato un bell'uomo, di
qualche anno più di lei che si era troppo trascurato quanto aveva ecceduto nel
bere.
Ma ora lo sentiva un buon uomo, anche la voce aveva un
tono diverso e persino le rughe prima profonde ai lati del viso si erano
distese. “Gerard, con calma ci spiegheremo cosa succede; accetto il tuo regalo
con tutto il cuore e se lo desideri ti farò conoscere le persone che vivono con
me e che considero la mia famiglia.” - “Ne sarei felice, ma non è il momento,
devo mettere a posto ancora dei pezzi della mia vita prima di entrare in quella
degli altri. Comunque se hai bisogno d'aiuto chiama o vieni quando vuoi.”.
Trasferirono gli scatoloni da un'auto all'altra, entrambi
assorti nel proprio dialogo interno eppure perfettamente presenti alla
situazione. Finito il lavoro si salutarono, ma non fu come al solito, il loro
guardarsi indugiò quel tanto da produrre un appiattimento della reciproca
prospettiva, i confini dell'uno si fusero con quelli dell'altro e il respiro si
sincronizzò all'istante.
La mente, allentata la presa, permise l'esperienza
dell'unità.
Ognuno aveva dato qualcosa in quei giorni e per la legge
dell'equilibrio qualcos'altro ne aveva preso il posto.
Dopo aver trasportato tutto a casa con l'aiuto di Claude e
Marie finalmente Anne iniziò a leggere il contenuto della cartellina con le
istruzioni. Le ci volle poco per capire quanto ci avesse lavorato: era tutto
ordinato e descritto con cura, addirittura suddiviso in sezioni e capitoli, per
giunta scritto a macchina e arricchito
da disegni illustrativi.
Lei stessa avrebbe impiegato, ammesso di aver ben chiaro
l'argomento, almeno una decina di giorni. Gerard lo fece in una settimana,
compresa la ricerca e l'acquisto di materiali e attrezzature. Dovette per forza
impiegare le notti per riuscirci, quello era un regalo ancora più grande.
Stava pensando a tutto questo quando arrivò Jean che si stupì
del gran numero di imballaggi, chiedendole: “Serve tutta questa attrezzatura
per fare un film sulla lavanda? Se lo sapevo non l'avrei chiesto!” - “No, penso
che sarebbe bastato molto meno ma qualcuno - Gerard - ha voluto che tu
disponessi del meglio per il tuo progetto, tutto questo è un suo regalo... per
noi, adesso dobbiamo per forza far qualcosa di buono per meritarcelo!” - “Deve
volerti davvero bene per aver fatto una cosa del genere. E poi neanche mi
conosce e ci fa un tale regalo, mentre i miei fratelli mi hanno mandato un paio
di filmini... e abbiamo anche dovuto prenderci il proiettore per vederli!”.
Anche se altre volte Jean aveva fatto intuire il suo
dispiacere per la latitanza della propria famiglia non si era mai espresso in
tal modo, cogliendo l'occasione per farle capire che era perfettamente
consapevole di come stavano le cose e capace di misurare dai fatti e non dalle
parole.
Anne, pur parlandogli senza reticenze, istintivamente cercò
di difendere ai suoi occhi l'immagine della famiglia: “Purtroppo hanno dei seri
problemi di lavoro e tuo padre non è più in salute; ci sono dei validi motivi
se agiscono così, ma hanno sempre fatto in modo che non ti mancasse mai nulla.” - “Sì, ci sono delle buone ragioni...” - rispose,
guardando gli scatoloni in parte aperti sul grande tavolo del soggiorno, quasi
a domandare quali fossero quelle di Gerard.
A tale domanda Anne non avrebbe saputo rispondere, perché
un'azione che parta dal cuore non ne ha bisogno di ragioni.
Era la fine di luglio e Jean aveva appena compiuto 13 anni.
Anne si dedicò con passione al nuovo compito; dovette recarsi
spesso da Gerard per farsi spiegare ciò che non riusciva a comprendere e imparò
quello che c'era da imparare, finché giunse il giorno delle prime riprese.
Il giardino della grande casa pareva un piccolo set
cinematografico e tutti ebbero assegnato un compito, con Anne alla macchina da presa.
La sceneggiatura prevedeva la presentazione della casa di
Jean e quella di Marie con delle piccole interviste ad ognuno, mentre la
cinepresa si spostava dalla persona allo sfondo della lavanda in fiore per
ritornare ad inquadrarne un'altra. L'audio, registrato in presa diretta,
sarebbe stato in seguito arricchito da un sottofondo musicale.
Molte riprese riguardavano la raccolta della lavanda e la
spedizione alle cooperative, altre l'esplorazione del grande giardino.
Jean ne aveva inserito ancora di nuove, in particolare della
distesa di lavanda vista da varie angolazioni in diversi momenti del giorno,
occupandosi personalmente della cosa e lasciandoli stupiti per la
determinazione dimostrata; si capiva che aveva ben chiaro in mente quanto
voleva ottenere.
Non potendo trattenersi troppo all'esterno per le riprese
lontano dalla casa, dava indicazioni e osservava dalle finestre dei piani alti
la troupe al lavoro.
Al ritorno da una di queste chiese se fosse possibile
ripeterla spostando la cinepresa di una ventina di metri più a lato,
cambiandone anche l'inclinazione.
Delle quattro donne e Patrick solo Anne si trattenne dal
protestare (faceva caldo là fuori...), gli altri pensarono che si fosse montato
un po' la testa e tentarono un
ammutinamento, ma rimasero interdetti quando Jean promise un buon
compenso.
“Di quale compenso stai parlando? Mica lo facciamo per
denaro!” - fu la repentina risposta di Patrick, seguito a ruota da Marie: “Lo
facciamo perché ci piace e ti vogliamo bene e...” - “Ehh, non parlo di denaro!
Il compenso sarà il tempo! Vi daremo una settimana libera e voi tutti potrete
riaccompagnare Patrick a Marsiglia, vedere dove vive e stare un po' con lui, è
l'ultima occasione, il prossimo anno si imbarcherà e non lo vedrete per un bel
pezzo! Anne, ce la faremo da soli per una settimana?”. Lei ormai non si
meravigliava più del ragazzo, accettava il fatto di non essere alla sua
altezza, non c'era confronto quanto a
sensibilità e chi avesse da imparare dall'altro.
Jean aveva ben presente la situazione di tutti loro; questa
cosa del tempo quale compenso, detta al momento giusto con tutti presenti... un
capolavoro!
Ad Anne servirono due secondi per sincronizzarsi con la
visione di Jean e prontamente, sorridendo, rilanciò: “Ma Jean, una settimana
era quello che io pensavo per loro! Questa è la tua promessa, adesso
dobbiamo dargliene due!” - “È giusto! Una per te e una per me! Due!”.
Per come si sviluppò il dialogo venne a tutti da ridere fin
alle lacrime, non distinguibili da quelle di riconoscenza difficili da
trattenere.
Con una sola mossa toccò i cuori di tutti: Patrick, vergognandosi
di essersi subito “scaldato”, si ripromise di essere più umile ringraziandolo
silenziosamente, che purtroppo a parole non ci riusciva; quanto alla signora
Claude, immaginate da voi cosa possa essere stato per una madre un tale regalo.
Catherine da tempo aveva notato che, lui presente, le cose andavano per il
meglio e quell'ulteriore dimostrazione aggiunse un altro tassello all'immagine
che ne aveva.
A Marie quel gesto che permetteva un bel viaggio a tutta la
famiglia, fece tornare in mente il sogno in cui suo padre la salutava
promettendole di tornare, ricordava ancora la sensazione di felicità provata,
proprio come adesso... ma questa era realtà.
È quasi inutile dire che le riprese fatte ripetere da Jean
vennero eseguite con il più grande scrupolo, tanto che in seguito non ci fu più
alcun bisogno di rifarne alcuna, tale la sintonia che si venne a creare tra il
regista e la sua squadra.
Le prime pellicole furono subito sviluppate per vedere come
era venuto il lavoro. In una stanza si allestì lo schermo e, avviato il
proiettore la piccola troupe rimase a bocca aperta: pur nell'inesperienza, nei
movimenti a volte troppo veloci della camera e le inevitabili sovra e
sottoesposizioni, le immagini trasudavano vita vera e ognuno appariva come
nella realtà.
Il parlato era nitido e tutti furono d'accordo con Marie di
usare quale colonna sonora le vecchie canzoni semplici e allegre di Trénet che
parlavano del buon caffè di Provenza, o del cuore che fa boum! Perbacco,
ce n'era una che parlava di un giardino e provarono a farla andare mentre rivedevano le riprese del loro giardino; Jean
disse che non si poteva farne a meno, ma che serviva una mano esperta per
rendere vivo quel mondo volante di api e bombi, di farfalle e libellule, vespe,
grilli e rare sfingi colibrì... sospeso tra i colori dei fiori e i
viottoli invasi dalle piante, in un disordine che era un ordine naturale.
Per farlo occorreva un bagaglio tecnico che non
possedevano.
Invece la parte che riguardava la raccolta della lavanda, la
sua preparazione e spedizione alle cooperative era stata resa al meglio, sì da
togliere il dubbio che non fossero momenti reali; inoltre tra una scena e
l'altra erano stati inseriti dei primi piani delle famose etichette, il tutto
non pareva certo opera di principianti.
Le riprese dei campi di lavanda forse erano troppo lunghe, un
continuo meraviglioso colore, ma poi si veniva catturati dall'effetto del vento
sui fiori, i quali ondeggiando producevano increspature evidenziate dalle
differenti tonalità della spiga.
Altre riprese riguardavano il cambiamento di colore della
lavanda illuminata al mattino e riconsegnata all'ombra al tramonto; anche se
era uno spettacolo quotidiano per loro, quale emozione vederlo proiettato sullo
schermo!
Anne intuiva in quelle riprese il tentativo di cogliere
qualcosa: “Cosa cerchi in quei colori? Cosa c'è nella lavanda che noi non
riusciamo a vedere?” - pensava, guardando Jean completamente assorto
nella visione.
Della ripresa fatta ripetere tutti constatarono come la nuova
angolazione permise di eliminare l'effetto di parallelismo dei filari così da
non essere distratti dalla loro geometria; la fioritura ora appariva una vibrante massa colorata
omogenea.
Jean non accennò mai al Lieu e nessuno glielo menzionò, era
lui il regista e andò bene a tutti di scampare ad altre riprese sotto il sole.
Il materiale appariva interessante e si decise di aggiungere
altre scene della cittadina, del suo mercato e della distillazione della
lavanda, aiutati anche da René e Viviane, contenti che il loro bar venisse
immortalato nel film.
Terminate anche queste venne il tempo di salutare Marie e la
sua famiglia. Quanto era passato dall'ultimo viaggio tutti assieme! Pur
nell'evidente felicità erano un po' dispiaciuti di separarsi da Jean e Anne, ma
sarebbe stato solo per un paio di settimane e avrebbero avuto molto da
raccontarsi al ritorno.
Rimasti soli Jean chiese: “Pensi che Gerard accetterebbe di
venire da noi a vedere quello che abbiamo fatto e magari consigliarci per come
metterlo assieme? Ci terrei proprio a ringraziarlo di persona.” - “Non so,
glielo avevo già proposto, non frequenta molte persone e ultimamente aveva
tanto da fare.” - “Forse adesso è meno impegnato, siamo rimasti solo noi due,
se lo sapesse...”.
Ancora una volta ebbe bisogno di un paio di secondi per
arrivarci: nel suo particolare modo che aveva cominciato a comprendere, in
realtà non le stava chiedendo se Gerard sarebbe venuto, per lui la cosa
era già fatta.
Era la storia dei bisogni e desideri... per qualche motivo
che forse nemmeno Jean conosceva appieno doveva incontrare Gerard e la
situazione evolveva sino al punto da renderlo possibile.
Non le chiedeva un parere, nelle sue parole c'era un
sottinteso suggerimento a fare la sua parte, semplicemente chiamare
Gerard.
Naturalmente Gerard non poté rifiutare l'invito di Jean, non
poteva neppure rinviarlo, perché il fatto che vi fossero solo lui e Anne era
praticamente irripetibile.
Si preparò per bene all'appuntamento stabilito per il primo
pomeriggio; mise uno dei pochi buoni vestiti e con un mazzo di fiori unito a
quel rinomato, dolce torrone del luogo, andò da loro.
Jean vide che zoppicava, immaginando fosse quello il problema
di cui Anne gli accennò gli si fece
subito incontro, stringendogli la mano e ringraziandolo per gli splendidi regali.
Gerard al momento non
seppe trovare parole in risposta e stava quasi per dare a lui il mazzo di fiori
e a Anne il torrone, a volte era meno preparato alla normalità che alle
complicazioni.
“Ho sentito da René del gran lavoro fatto, in così poco tempo,
ne sono veramente meravigliato.” - esordì l'uomo ancora in piedi. - “Non
avremmo neppure cominciato senza il tuo aiuto.” - rispose Anne, prendendogli
dalle mani fiori e dolce e accompagnandolo al comodo divano del soggiorno.
Jean nell'attesa di sedersi a sua volta lo osservava
discretamente; gli accadeva raramente di vedere qualche volto nuovo e questo
gli piaceva, non c’entravano i regali che ne avevano rivelato la generosità.
Mescolata alla sensazione di vulnerabilità che proveniva da quella persona ne
percepiva la forza d'animo e dignità.
C'era qualcosa di affine tra i due, quasi lo sentirono ancor
prima di incontrarsi e ora ne ebbero conferma; l'amicizia che cominciava
avrebbe portato bei momenti e prove difficili, ma sarebbe stata per entrambi
una delle cose più importanti della loro vita.
Ognuno conosceva la storia degli altri così non ci si mise
molto ad arrivare alle pizze dei film che attendevano nella saletta
predisposta.
A Gerard parve un tuffo nel passato, ma lo spazio della
nostalgia fu presto occupato dall'ammirazione per la maestria acquisita da Anne
nelle regolazioni tecniche.
Disse che prima di commentare avrebbe preferito visionare
l'intero materiale, così parlò molto poco, solo per chiedere alcuni dettagli; a
Jean andava bene, si rituffò in quei colori e quasi non ci si accorse della sua
presenza.
Anne, alla presenza delle due persone che più amava, negò
alla sua mente di pensare alcunché, avrebbe avuto tempo in seguito per
ricordare quello come uno dei momenti più belli. Quando le proiezioni si conclusero Gerard
disse: “Se non conoscessi la storia non ci crederei, penserei che mi state
facendo uno scherzo e il materiale provenga da qualcun altro: un regista
di tredici anni e un'operatrice alle prime armi non possono ai primi tentativi
realizzare cose del genere!” - “Non eravamo soli! Hai visto che validi
aiutanti avevamo, capaci di rifare alcune di quelle riprese sotto il sole!” -
replicò Jean. - “E dimentichi che è per merito tuo se abbiamo raggiunto questo
risultato.” - si inserì Anne. - “Oh no, l'avreste ottenuto comunque.” - “No,
Gerard, con una piccola cinepresa super 8 non sarebbe stata la stessa cosa, tu
l'hai resa possibile perché ci hai dato fiducia oltre le nostre capacità.
Abbiamo seguito passo passo quanto ci hai scritto, hai fatto davvero un gran
bel lavoro e dimmi, quanto hai dormito quella settimana?” - continuò Anne. -
“Beh, lo ammetto, ci abbiamo creduto tutti!” - rispose l'uomo. - “Sì! Ma ora
bisogna migliorarlo e metterlo assieme!” - disse Jean. - “Ohilà! Signor regista,
cosa dobbiamo migliorare?” - “Io credo che l'hai visto bene, il giardino... è
peggio di una cartolina!”.
Gerard pensò che come ci furono musicisti che iniziarono dopo
pochi anni di vita a rivelare il loro talento, non lo doveva meravigliare
valesse la stessa precocità anche per i registi.
Non glielo avrebbe mai detto, ma aveva ragione, quelle scene
(le uniche, tuttavia) erano appena accettabili come ricordo e non sarebbe
bastata la musica a dar loro vita.
Occorreva entrare piano, senza la minima scossa, in quel
mondo diverso, bisognava montare la cinepresa su una rotaia e spostarla man
mano, cercando di girare abbastanza pellicola per avere delle buone immagini
del maggior numero possibile di insetti, volanti o meno.
Fare delle riprese rallentate, cambiare di livello...
riprenderli di lato, di sopra, di sotto, fino agli ultimi insetti in movimento
prima del ritiro serale. Avrebbe pagato per avere delle lucciole, anche una
sola, ma avevano concluso il loro ciclo!
Jean lo guardava con il mezzo sorriso che sfoggiava quando
era in sintonia con qualcuno; Anne,
vedendoli entrambi aveva la sensazione che si parlassero senza parole.
Ovviamente non era così, ma quando l'uomo riemerse dai suoi
pensieri si trovò diritto lo sguardo del ragazzo che gli chiese: “E allora,
cosa serve per far meglio?” - “... beh, occorre predisporre una rotaia...
obiettivi diversi, qualche altro accessorio e dell'altra pellicola, abbastanza
pellicola direi.” - “Lo sapevo che si poteva! E che ci avresti aiutato!” - come
avrebbe potuto non farlo, anche lui non vedeva l'ora di cominciare!
Capitolo 11 - La petite mer... de la Provence
Gerard si procurò quanto serviva per le nuove riprese del
giardino, individuando il percorso migliore per la rotaia che si snodava tra le
bordure delle piccole piante fiorite, contese da api e
piccoli bombi, venendo poi a trovarsi all'improvviso di fronte alla
variopinta moltitudine di zinnie, fiori che i bombi più grandi apprezzavano per
la facilità d'atterraggio!
Da lì deviava immergendosi in cespugli di rose ancora in fiore,
quindi correva sospesa (con la cinepresa ruotata verso il basso!) sopra diverse
specie di buddleie a cespuglio, ricche di lunghe spighe gialle, rosa, blu e
viola, dove si posavano a decine le farfalle.
Il percorso terminava in una zona che risentiva dell'ombra
degli alberi e da lì si perdeva nell'incolta, ma non meno frequentata, siepe
che costeggiava la strada in salita.
Avendo notato che proprio là si dirigevano alcuni grossi coleotteri di un bel verde-metallizzato (cetonie), dopo aver abbandonato le corolle delle rose, regolò la cinepresa verso l'alto rispetto alla siepe, punto presunto di atterraggio degli insetti, mettendo grosso modo a fuoco la metà della distanza. L'idea era di accennare alla vita serale del luogo, con quegli insetti alla ricerca di un luogo sicuro per la notte, vista l'indisponibilità delle attrici ideali, le lucciole. Solo dopo lo sviluppo si sarebbe visto se effettivamente qualcuno degli improbabili jumbo-jet aveva volato sulla rotta inquadrata dalla cinepresa.
Dato l'elevato costo della pellicola si decise di
limitare a cinque minuti le riprese “al buio”, sperando nella fortuna. Anne fu
un po' perplessa rispetto all'improbabile tentativo; cercare di “migliorare”
quella parte scadente del film era senz'altro opportuno, ma qui si stavano
perdendo i contorni dell'opera che stava diventando un misto di documentario,
reportage naturalistico, una qualche specie di “sperimentazione”, più
qualcos'altro... pareva che il progetto avesse ormai vita propria decidendo da
sé dove arrivare.
Gerard non fu mai tanto impegnato come in quelle due
settimane: lavorava con l'amico apicoltore (si era nel pieno dell'attività) e
accudiva le sue api, presentandosi puntuale per le riprese alle ore convenute.
Già pensando al montaggio del film, riannodò al contempo i contatti con vecchi
conoscenti che disponevano della moviola e di altre attrezzature necessarie .
In merito a questo discuteva spesso con Jean per cogliere la
sua visione dell'opera e poterla comporre col materiale, ormai voluminoso, di
cui disponevano.
Comprese che l'intenzione del ragazzo era di mettere in
immagini la sua vita e l'ambiente, forse per rendersi presente ai suoi
familiari, o anche per lasciare un ricordo di sé; oppure era qualcos'altro,
perché più ne parlava con lui e meno ne era sicuro.
Anche Anne faticò come non mai: oltre all'aiuto dato per le
riprese gestiva da sola la casa e seguiva le operazioni ormai avviate di taglio
e distillazione della lavanda, sapendo di lasciare Jean in buone mani.
Quasi sempre cucinava per tutti; fortunatamente Gerard era di
bocca buona e gli si poteva dar da mangiare le stesse pietanze ogni giorno,
cosa che non avvenne mai, perché Anne ci teneva a far bella figura. Credendo di
fargli cosa gradita alla prima occasione mise in tavola del vino che ricordò
aveva apprezzato durante una cena al ristorante.
Ma egli, ringraziando, si astenne. Così in seguito. Credette
che fosse per rispetto al ragazzo e non ci pensò più.
Gerard fece anche qualche breve ripresa di loro tre per uso
“personale”.
I giorni scorrevano
veloci e Anne sentiva che quell'occasione sarebbe stata unica; per due
settimane gli era stata regalata una famiglia, la sua famiglia ideale, averne
anche un ricordo registrato le faceva piacere.
L'idea delle riprese “personali” piacque anche a Jean che
chiese al suo nuovo amico se, dopo la giusta “ricompensa”, avesse ancora
energia per un ultimo sforzo.
“Ricompensarmi? Jean, sono ancora in debito con te e Anne per questi giorni, la più bella vacanza della mia vita! Sai, a parte le api, non pensavo che mi sarei appassionato così tanto a qualcosa.” - Anne si era avvicinata poco prima, giusto in tempo per sentire Jean parlare di ricompense... ricordava bene la volta precedente e si mise subito in allerta, voleva vedere se ora riusciva a seguirne l'intuizione! - “Oh no Gerard, non è stata proprio una vacanza. Per me sì, potevo riposarmi come al solito e quando tornavo tu eri ancora là a lavorare, oltre a tutto quello che hai fatto prima! Ho avuto davvero fortuna ad imparare da te, sei proprio bravo e hai pazienza. Che idea la rotaia sospesa sopra i fiori, con tutta quell'impalcatura come una piccola torre Eiffel! Ci sai fare e devi continuare, ecco perché tutto quello che mi hai regalato, salvo il proiettore, te lo rendo perché tu faccia qualcos'altro, qualcosa di tuo.” - disse Jean. - “Ma come, sei un vero regista ragazzo mio! Hai un talento che me lo sogno, potresti fare qualunque cosa... e poi, non si ritornano i regali!” - “Non volevo fare qualunque cosa, io volevo far bene questo film per i miei familiari, come mi ha consigliato Anne; per me volevo un film sulla lavanda, sui suoi colori, per poterli vedere anche dopo la fioritura. Il tuo regalo ci ha aiutato e adesso deve aiutare te!”.
Gerard, come Anne in precedenza, realizzò che Jean vedeva più in là (lui stesso aveva pensato ad una tale possibilità); rifiutare ciò che diceva avrebbe prodotto altre affermazioni sempre più esplicite, accompagnate dalla sensazione che a continuare su quella strada si perdesse solo tempo. Non servivano parole inutili, tanto valeva seguire la traccia indicata: “Va bene, per il momento facciamo come dici, quale era la cosa che volevi domandarmi?” - rispose l'uomo. - “C'è un posto, un nostro posto particolare con tutta la lavanda ancora in fiore, è quella la lavanda che vorrei filmare.”. E gli parlò del Lieu, spiegandogli cosa desiderava ottenere.
Solo dopo dieci giorni passati assieme Gerard poteva
afferrare quello che Jean non voleva o poteva dire esplicitamente. Gli parve di
capire che c'era qualcosa nel colore della lavanda di cui il ragazzo si era
accorto, qualcosa che nessuno di quanti vivevano da sempre in quei luoghi aveva
mai notato... questo gli pareva strano, ma poi ripensò agli innumerevoli
insetti nel giardino di cui non aveva fino ad allora conoscenza, tanto meno di
come si muovevano.
E le riprese della lavanda mentre arrivava o tramontava il
sole, con la cinepresa a riprendere costantemente la stessa inquadratura per
lungo tempo, in attesa del fenomeno, una
cosa normale, ma non ricordava di aver mai sentito di riprese del genere.
Anne ci mise tutta
l'umiltà possibile e per la prima volta comprese che Jean non parlava per discutere, non esprimeva dei desideri; egli manifestava
la sua visione che era completa e sconfinava nel tempo a venire. Non
sapeva, almeno per ora, quanto ne fosse consapevole.
Dei restanti quattro giorni Gerard ne trascorse un paio di
seguito al Lieu.
Dopo poco tempo lassù
capì perché Anne non gliene aveva mai parlato: confrontando la
composizione del grande quadro sul tramezzo con quello che si vedeva
all'esterno (in quel mese erano identiche), si aveva la sensazione di trovarsi
nel mezzo di due grandi diapason che risuonavano accordati.
Jean aveva udito la nota di fondo del luogo, riproducendola;
in un certo senso quel posto gli apparteneva e doveva essere lui a permettere
di entrarvi.
Almeno così la pensava Anne, contenta che quel loro ultimo
segreto fosse stato condiviso con Gerard.
In quei due giorni filmò due albe e altrettanti tramonti,
riuscendo anche a cogliere il momento quando un grosso cumulo (tipo di nuvola)
coprì il sole e lo liberò dopo poco, condensando in pochi minuti un effetto
simile al tramonto e alla successiva alba.
Riprese le spighe di lavanda dai lati, dall'alto al basso e
dal basso verso il cielo, sì da avere quel limpido blu del cielo come sfondo;
Jean non poteva immaginare le difficoltà che l'amico incontrò: per posizionare
la cinepresa sotto alle piccole piante dovette cercare le più sviluppate
ispezionandole una per una. Ma non bastando ancora e non volendo assolutamente
sradicarle per porle in una posizione più elevata, riuscì nell'intento solo
dopo aver approfondito lo spazio tra i filari, spostando con le mani pietre di
tutte le dimensioni.
Seguirono altre difficoltà riguardo l'inquadratura, ottenuta
usando uno specchio che gli rimandasse l'immagine del mirino e altre ancora per
la corretta esposizione.
Pur potendo andare e venire da casa preferì rimanere là e il
poco tempo che gli avanzò lo usò per
passeggiare. Avrebbe anche voluto pensare a tante cose, specie quanto stava
accadendo in quel mese, ma per la stanchezza o qualche altro motivo non c'era
verso; l'unica cosa che gli riusciva di fare prima di addormentarsi nel
confortevole cabanon era di ammirare il cielo terso e stellato di quei giorni
senza luna.
Non era nero, Jean gli disse che era color... indaco e
pensava ne esistessero di due tipi, uno notturno e uno diurno.
L'ultimo giorno prima del ritorno di Marie con la famiglia,
lo trascorse con Jean e Anne senza fare assolutamente nulla, assaporando la
sensazione di familiarità che c'era tra loro.
Il lavoro sul campo era finito, ma non meno impegnativo
sarebbe stato il montaggio dei due film, quello per la famiglia e l'altro
personale di Jean. Chiese se avessero pensato ad un titolo per il primo
film che li riguardava e Anne senza pensarci rispose: “La petite mer... de
la Provence”.
Gerard rivide nella mente la distesa della lavanda fiorita
mossa dal vento come onde e ci cantò sopra il motivo (la mer, di
Trenet), pensò al mare che separava Jean dalla sua famiglia... un titolo buffo
e appropriato.
Gli venne da chiedere a Jean se avesse un titolo anche per il
suo, lui ridendo disse che non l'avrebbe mostrato ad altri, che c'era solo
lavanda.
“Mi dicevi che cercavi quel colore nella lavanda, l'indaco...
allora non si vede, non lo vedi sempre?” - domandò Gerard. - “No, è davvero
raro: come l'arcobaleno ha a che fare con l'acqua quel colore nella lavanda ha
a che fare con la luce, solo in certi momenti sembra che ci sia.” - rispose
Jean. - “Allora potremmo intitolarlo così il tuo film: “ Il colore nascosto
della lavanda ”, cosa ne pensi?”
- “Penso che hai capito, hai fatto
centro!”.
La mattina successiva Anne si svegliò con un vago senso di
tristezza, aveva impresso indelebilmente nella memoria ogni giorno passato,
tanto che le occorse un po' per riprendere il filo della vita precedente.
Nel pomeriggio sarebbero ritornate Marie, Claude e Catherine
con le quali si sentì spesso. Ripensava a come tutto era cominciato, con Jean
che desiderava filmare la lavanda e gli impensabili eventi concatenati tra loro
che seguirono; trovava difficile che tutto quel meccanismo ad orologeria fosse
frutto del caso.
Incontrando Jean per la colazione lo trovò allegro e decise
di contribuire al suo buon umore scacciando dalla mente l'inerzia che la
riportava ai giorni precedenti: “Oh Jean, buona giornata, cosa ti rende così
allegro?” - “Oggi ritornano i nostri amici, avremo così tante cose di cui
parlare che saremo impegnati quasi come prima! E Gerard lavorerà sul film;
prima o poi lo vedremo e sono strasicuro che sarà meraviglioso, non mi sembra
vero che siamo riusciti a fare una cosa del genere!” - “Beh, all'inizio qualche
dubbio l'avevo, a dir la verità non credevo potesse accadere tutto questo.” -
“Sì Anne, per tanto tempo non succede quasi niente e poi... tutto assieme!”.
Era proprio come diceva, quel tutto assieme certo
l'aveva stancata fisicamente, ma quali soddisfazioni!
Appena arrivata Marie corse ad abbracciare Jean cominciando
già a parlargli di Marsiglia, di quanto era enorme e del mare dove andò un
sacco di volte; insieme decisero di continuare la conversazione nel
giardino.
Jean raccontò all'incredula bambina di come un amico di Anne,
un regista, avesse rifatto le
riprese del giardino costruendo la Torre Eiffel per far muovere la
cinepresa, dovendo subito spiegarle per frenarne l'eccitazione che si trattava
di una specie di impalcatura.
Anne, dopo aver interrotto Claude e Catherine che
continuavano a ringraziarla, ribattendo che loro avrebbero fatto come e più di
lei, mise sul fuoco una grande caffettiera e nel preparare il servizio migliore
vi associò un vassoio di dolci degno di una festa. Alle due donne che la
guardarono un po' stupite disse che era tempo di trattarsi meglio, se qualche
lavoro fosse rimasto indietro non importava proprio. Le ore trascorsero
piacevolmente e l'indomani la dispensa andava rifornita nuovamente.
Gerard fu ben accolto da un vecchio conoscente che risiedeva
ad Avignone; costui un tempo gli fu amico e possedeva l'attrezzatura necessaria
per il montaggio dei film.
Anch'egli non desiderava parlare dei vecchi tempi, di quello
che successe, di qualcuno che si dimostrò cinico e altri che approfittarono
delle disgrazie altrui, acqua passata; gli fece solo una domanda: “Se ci
rivediamo dopo vent'anni spero non sia solo per la moviola, sbaglio o ti è
tornato l'interesse oltre che per questo film “personale” anche per
qualcos'altro?” - “Non sbagli Mathieu, alcune persone mi hanno aiutato a uscire
dal mio isolamento; ho accettato quello che mi è capitato e ho smesso di
rimpiangere le opportunità perse, credo di aver trovato di meglio.
Adesso la gente non mi indispone più, mi è tornata la voglia di averci a che fare. Forse potrei fare qualche
lavoretto... ti confesso che non me la passo troppo bene, certo non mi manca
nulla, ma vorrei riuscire un domani ad acquistare la casa che ho in affitto.” -
“Beh, se vuoi tornare a lavorare conosco persone a cui potrebbe essere utile
uno che sappia fare molte cose come te, posso cominciare a informarmi. Intanto
dimmi di questo film che vuoi montare, se hai bisogno di una mano.” - “Non
volevo darti troppo disturbo, ma ci speravo. Mi hai sempre aiutato, se non mi
sono più fatto sentire è perché lavoravi nell'ambiente che mi ha voltato le
spalle.” - “Devo essere sincero Gerard, non avrei saputo far fronte alla rabbia
e ai problemi che ti portavi dietro; io sono un tipo tranquillo, ha fatto
comodo anche a me che tu sia sparito, questa è la verità.” - “Beh, è ora di
voltar pagina, no?” - “Tu l'hai già fatto venendo da me, ora io e qualcun altro
dobbiamo rimediare a qualche errore di troppo.”.
Gerard affidò anche le sue arnie a Thomas, l'amico apicoltore
e accettò l'alloggio a titolo gratuito presso dei conoscenti di Mathieu.
Anch'egli prima di aiutarlo nel montaggio volle visionare
tutto il materiale, rimanendone impressionato a sua volta. Domandò se davvero
era solamente per un uso personale; se ne sarebbe potuto ricavare un
cortometraggio da far girare in qualche circuito.
Gerard fu sorpreso della proposta che dovette declinare; non
si aspettava che anche un esperto gli confermasse la bontà di quanto fatto,
ritenendolo un lavoro molto più che amatoriale.
Man mano che il film principale veniva assemblato Gerard
cominciò a mettere assieme anche quello sulla lavanda di Jean. Non aveva
problemi a che Mathieu ci desse un'occhiata, cosa che l'amico si guardò bene
dal non fare vista la grande curiosità artistica.
Per mestiere sapeva andare al cuore di una storia e fece
delle domande su Jean; fu dispiaciuto dal conoscere le sue condizioni e capì
che il film nasceva da una sensibilità non comune.
Che peccato pensò, innanzitutto per il ragazzo dal talento
indiscutibile e perché dalle vite di quelle persone se ne poteva trarre proprio
una bella storia, vera. Ma tenne per sé questi propositi causati da una deformazione
professionale in buona fede.
Il lavoro durò più di tre settimane; ne sarebbero bastate due
ma Mathieu insistette per far le cose come si deve. Gerard temeva che l'amico
tornasse a proporre una distribuzione, per quanto limitata, del film principale
ma, via via che si avvicinava il momento dei saluti, comprese dalla sua
commozione qual era il vero motivo di quel prolungarsi: il desiderio di
rimanere in compagnia.
Comunque non si sarebbero più persi di vista.
In quel mese Gerard aveva sondato qualche offerta di lavoro e
si profilò anche la possibilità di collaborare ad un progetto importante; oramai la cosa era avviata e le
sue api lo avrebbero visto sempre meno, ma le sapeva in buone mani.
Piuttosto il suo pensiero andava ad Anne, si erano incontrati
un paio di volte a metà strada e lei era felice che avesse ripreso interesse e
si desse così tanto da fare, lo apprezzava più di quanto gli pesasse la sua
assenza.
Gli portò gli auguri e un messaggio di Jean: “Se ne
accorgeranno che ci sai fare, io lo so già quanto sei bravo, solo tu potevi
costruire la Torre Eiffel per le farfalle!”. Amava il senso dell'umorismo del ragazzo e non
vedeva l'ora di riportare l'opera compiuta.
Quando si tratta della fortuna si dice sia cieca, stava quasi
ripartendo che venne chiamato per quel progetto importante; lo ritenevano la
persona giusta e gli avrebbero corrisposto un compenso generoso, ma soprattutto
si aprivano buone prospettive per il futuro.
Era il momento della svolta della sua vita, quella che forse
sarebbe potuta accadere vent'anni prima; ma c'era l'altro lato della
medaglia... si cominciava subito!
Chiese solo un'ora di tempo e telefonò ad Anne spiegandole la
faccenda, senza il suo consenso avrebbe di sicuro rinunciato. Lei non ebbe esitazioni:
“Da quanto tempo sogni di comperare la tua casa? Hai già perso vent'anni, le
vere occasioni sono rare, potrebbe essere l'ultima!” - “E Jean? Ci rimarrebbe
male, non ho nemmeno il tempo per portargli i film!” - “Ma li hai completati,
facendoci un regalo meraviglioso! E poi... aspetta un attimo, se vuoi parlargli
sta arrivando” - Gerard spiegò al
ragazzo come stavano le cose e chiese
anche a lui cosa ne pensava. - “Te l'avevo detto che si sarebbero accorti di
te, certo che mi dispiace non vederci per un po', ma io ho giocato al regista,
tu sei un regista e devi pur lavorare.” - “Beh, io lavoravo già con le
api...” - “Sì, ma ora devi guadagnare! Anne mi ha detto della tua casa,
per quella le api non bastano.”.
Anche se non siamo completamente padroni delle nostre
decisioni il parlarne con le persone care non è mai tempo perso, serve a
mettere le cose a posto, a dare la giusta importanza a tutti.
Come ci sentiamo, la forza che avremo, la capacità di
sopportare... dipende anche da chi abbiamo alle spalle; per chi è proprio solo
è molto più difficile.
Ma Gerard non sarebbe più rimasto solo.
Capitolo 12 - Prima visione
Ad Avignone, città ricca di storia e cultura nonché di
architetture ardite e notevoli paesaggi
- lambita com'è su due lati dal grande fiume Rodano - Anne si
recò per ritirare i film lasciati a Mathieu.
Fu davvero contenta di conoscere lui e la moglie Nicole che
già avevano avuto modo di apprezzarla dai racconti di Gerard; si dice
dell'amore, ma questa fu amicizia a prima vista.
Trascorsero qualche ora assieme e Mathieu insistette per
pranzare nello stesso ristorante scelto in occasione del commiato da Gerard.
Era un bel posto e servivano pietanze mediterranee; quando si
arrivò all'ordinazione del vino Anne chiese: “Quello che ha scelto Gerard,
grazie.” - “Oh no, come al solito non ne ha voluto.” - rispose Nicole. - “Come
al solito?! State dicendo che non ne ha mai preso con voi?” - “Con noi no
di sicuro, ha detto che gli dava dei problemi di digestione.” - Anne cadde
dalle nuvole, per quel che ne sapeva poteva mangiare anche i sassi... ecco
perché non ne volle mai neppure da lei, aveva smesso, del tutto!
Facendolo di punto in bianco, senza dir nulla.
Ricordava di averlo incontrato, sia pure per poco,
all'indomani di un'altra ricaduta nel vizio; nell'occasione ebbe seri dubbi
sulla sua capacità di autocontrollo, come ultimamente fosse stato in grado di
affrancarsene era un altro mistero di quell'incredibile estate.
Ritornò a casa nel tardo pomeriggio con le preziose pizze;
Jean era insolitamente agitato e Marie non stava più nella pelle dalla
curiosità, ma seppero trattenersi dall'insistere per la visione immediata. Anne
voleva fare le cose con calma e per bene, controllando ogni particolare per
quella che doveva essere una vera prima visione del film.
La proiezione sarebbe avvenuta di lì a due giorni, di sabato:
si doveva prima di tutto verificare il buon funzionamento del proiettore usando
qualche spezzone di prova.
Nella camera adibita a sala cinematografica furono collocate
quattordici sedie: oltre a loro sarebbero stati presenti il direttore
dell'associazione a cui spedivano la lavanda; Armand, l'amico notaio con la
moglie Sophie; gli amici del loro bar preferito René e Viviane; due parenti di
Marie e anche Thomas, l'apicoltore amico di Gerard che ne accudiva le api.
La quattordicesima sedia sarebbe rimasta vuota in segno di
riconoscimento e ringraziamento per
Gerard (a cui Jean si riferiva come “il quasi famoso regista”,
facendo sorridere compiaciuta Anne).
Era prevista una replica la domenica per i compagni di scuola
di Marie, a cui chiese di unirsi la loro maestra e ancor prima che qualcuno
potesse vederlo, di quel film si parlava in paese e più in là; prova ne furono
alcune telefonate in cerca di informazioni.
Per non alimentare ulteriori aspettative Anne disse che si
trattava della visione di un filmino “domestico” prima di spedirlo all'estero
ai familiari di Jean, cercando di tenere il ragazzo fuori dalle chiacchiere e
dalla involontaria pubblicità.
Venne quel sabato, si avviò il proiettore e si spense la luce
della sala.
Il cortometraggio durò oltre 20 minuti.
Il titolo “La petite mer... de la Provence” scorreva
sull'immagine di un mare azzurro leggermente increspato che nessuno aveva visto
prima, ma non ci fu il tempo di meravigliarsi perché subito dopo l'attacco
della canzone La mer, una lenta dissolvenza incrociata tramutava il mare
in uno sconfinato campo di lavanda lilla spazzato dal vento... per tutto il
tempo della canzone vi fu solo quella distesa colorata animata dal vento, sotto
un sole sfavillante.
Aspettandosi che si presentasse qualcos'altro non ci si
accorgeva subito dei motivi prodotti dai cambi di tonalità dovuti alle spighe
ondeggianti. Quando arrivò si resero conto di non aver osservato con
sufficiente attenzione quelle cangianti forme colorate e come si rincorressero
tra loro, ma era ormai tardi, l'apparizione della pura bellezza coglie sempre
impreparati... non fu così per Jean che sembrava conoscere ogni secondo dello
spettacolo.
Quello che videro come bozza qui era diventato opera: nessuna
imperfezione, tagli e unioni al millimetro; l'audio era più che buono e la
musica di fondo si inseriva a tempo perfetto con le immagini. Oggi sarebbe
facile, ma allora era un altro conto tagliare e incollare pellicola
controllando il rispetto dei tempi del sonoro, un lavoro da professionisti.
I presenti che si
riconoscevano nelle immagini provarono un misto di imbarazzo e
soddisfazione; pure Catherine, di solito schiva, non poté fare a meno di
compiacersi per la scelta del vestito blu indossato per l'occasione che la
alleggeriva nella figura e si intonava con lo sfondo lilla.
Marie dovette mordersi di continuo la lingua per non erompere
in esclamazioni, da giorni era eccitata e già
pensava a quello seguente, quando anche i suoi amici l'avrebbero vista sullo
schermo!
Le riprese furono utilizzate alcune interamente e altre in
parte per mantenere il medesimo ritmo narrativo che verso la fine d'improvviso
cambiò del tutto: si entrava nel mondo sconosciuto ai più degli insetti
(volanti).
Le immagini che via via scorrevano lasciarono tutti a bocca
aperta: si vedevano quelle piccole creature da ogni prospettiva mentre ci si
inoltrava nel giardino.
La musica (jardin de mois de mai, sempre di Trenet)
regolata ad un volume volutamente un po' basso, era senz'altro adatta in quanto
parlava appunto di un giardino, ma non questo tipo di giardino vivente e
vibrante, così che l'occhio seguiva una cosa e l'orecchio ne udiva
un'altra, provando un piacevole disorientamento.
Prima di riprendersi dallo stupore per la perfezione delle
riprese eccoci a volare assieme alle farfalle (riprese dall'alto seguendole nel
loro volo!) e a posarci sulle spighe di multicolori buddleie. Non era ancora
finita: sullo sfondo a metà tra il verde della vegetazione e l'azzurro del
pomeriggio inoltrato, ecco apparire come dal nulla alcune verdi cetonie che
ronzando volarono oltre la repubblica delle farfalle, dirette nella zona in
ombra del giardino.
Jean non seppe trattenersi dal battere le mani, la ripresa
impossibile era riuscita!
Fu un successo, Gerard
e Mathieu avevano liberato dalle scorie il lavoro grezzo che ora riluceva come
una gemma sfaccettata.
Tutti ne furono entusiasti e Anne non poté rifiutare un'altra
visione, sentendone lei stessa il
desiderio. Fu difficile per tutti salutarsi, era un continuo chiedere di come
si era fatto questo e dove l'altro, come fosse stato possibile usare
attrezzature e tecniche difficili, chi avesse avuto questa o quell'idea. Non
rispondendo a nessuna domanda Jean riuscì a rispondere a tutte: “Ognuno di noi
sapeva fare qualcosa e tutti assieme volevamo fare questo film. Gerard, il vero
regista, ci ha creduto e prestato l'attrezzatura, dandoci fiducia. È
stata una grande fortuna ottenere il suo aiuto, e anche lui ne ha avuta e
diventerà importante, ne sono sicuro!”.
Come concordato, Anne, Jean e Gerard si telefonarono dopo la
proiezione. Gli fu detto della grandissima impressione che ne ebbero fin dalle
prime scene, con quel mare che diventava un mare di lavanda. “Quale mare,
Anne?” - chiese. - “Come quale? Quello che appare fin dall'inizio, increspato
dal vento, che idea meravigliosa!” - Gerard capì che c'era lo zampino di
Mathieu, aveva aggiunto a sua insaputa quello spezzone desiderando essere
“dentro” al film anche lui, ma lo avrebbe tolto se non fosse stato gradito. -
“Ah sì, il mare... è stata un'idea di Mathieu, mi pareva buona e l'abbiamo
lasciata, dici che è venuta bene?” - “Senza gli mancherebbe la testa!” -
“Allora lo ringrazierò un'altra volta, peccato non aver potuto esserci.” - “Ma
la tua sedia l'abbiamo lasciata libera!” - intervenne Jean e subito dopo Anne
gli spiegò a cosa si riferiva.
Il buon Gerard fu commosso da tanta considerazione.
Il giorno dopo vi erano quasi trenta persone nella camera, ma
non c'erano problemi di spazio in quanto i bambini furono contenti di
accomodarsi sui grandi tappeti e cuscini disposti per l'occasione.
Marie troppe volte aveva dovuto nascondere il proprio dolore
quando gli amici di scuola e di vicinato le facevano pesare le azioni del
padre, come se ne avesse una qualche colpa.
Non che avessero intenzioni cattive, succede che crescendo si
impari anche a ferire e qualcuno ne fa più pratica d'altri.
Il risultato era l'invidia che Marie provava per le loro
situazioni “normali”, con tutti i personaggi della famiglia al posto giusto.
Jean conosceva, più ancora di Claude e della zia, come
stavano le cose e spesso la rincuorava, assicurandole che prima o poi si
sarebbero aggiustate.
Due dei compagni di Marie tiravano le fila della sua
persecuzione; a quel gioco cinico purtroppo altri si aggiungevano, ma i più le
erano amici sinceri, anche se non avevano la capacità, il coraggio di
contrastare quel comportamento.
Oggi sedevano tutti sui comodi tappeti, con i “capetti” un
po' irrequieti... erano in ballo le gerarchie e cercavano di controllare i
gregari a cui dovevano la loro posizione di forza.
C'è un solo modo che faccia capire ad una persona, anche ad
un bambino, che deve smetterla di infierire su chi non può difendersi: fargli
provare quello che prova l'altro.
Il giorno della rivincita di Marie era arrivato: lo schermo
rimandava l'immagine della sua slanciata e graziosa figura che si muoveva tra
la lavanda, la raccoglieva e spiegava cosa ne facevano: diceva di come una
parte veniva donata dalla famiglia di Jean a chi era in difficoltà; tutti loro,
una grande famiglia che collaborava per aiutare altre persone.
Jean aveva voluto che in una scena si vedesse l'amica
prendere una delle sue etichette e attaccarla su uno scatolone colmo di lavanda
pronta per la spedizione, a ribadire l'importanza del suo contributo. Man mano
che la proiezione proseguiva gli amici di Marie le si strinsero più vicino,
quasi a volersi allontanare fisicamente dall'invidia che ora provavano gli
altri per il suo ruolo di primo piano e per quella famiglia che faceva cose
così interessanti.
I gregari saranno sempre nella situazione più scomoda, devono
capire quando gira il vento e cambiare padrone, così anche loro si avvicinarono
a Marie.
La dittatura per il momento era finita, Marie era libera e
felice.
Jean, che colse quanto successe, lo fu ancor più.
Qualche giorno dopo, con Anne accanto, Jean proiettò il suo
film sulla lavanda che comprendeva soprattutto il materiale girato al Lieu.
Durava più di mezz'ora; quasi tutte riprese fisse con l'unico
sonoro consistente nel sibilo del vento e i versi degli insetti.
Anne mise tutta la sua attenzione per individuare quel colore
di cui il ragazzo aveva parlato, ma per lei era come osservare il cielo
sconfinato cercando una stella; non aveva la minima idea di dove e cosa
guardare. Forse avrebbe insistito ma, osservando Jean assorto come di consueto
quando qualcosa lo interessava, pensò fosse anche questione di come guardare.
Quello era uno spettacolo riservato; al più, quando si fosse
presentata l'occasione, avrebbe domandato al ragazzo.
Una copia del film principale fu inviata ai familiari di Jean
e in cuor suo Anne si attendeva qualcosa
dal gesto, arrivando a sperare in una visita.
Quando dopo un mese giunse una telefonata del fratello Pierre
(ma non del padre, ammalato) che si congratulava e assicurava che a breve si sarebbero rivisti,
Anne volle sperare in un cambiamento, ma dovette ricredersi, tutto rimase come
prima.
Jean non diede a vedere nessun disappunto; disse che il film
l'avevano fatto perché andava fatto, era sicuro che lo avessero
apprezzato come lo fu qui; ma da questo a venire per congratularsi personalmente
col regista ne correva...
Passò dell'altro tempo e le cinciallegre ritornarono a
frequentare il giardino autunnale in cerca di cibo. Forse venivano dalle Alte
Alpi o da qualche posto meno distante.
Tra le diverse specie di uccelli che vivevano stanziali o
solo per alcuni mesi attorno alla casa quella era la preferita di Jean.
Non che disdegnasse l'umile passero col suo buffo zampettare,
o non provasse un'emozione al dispiegar d'ali della variopinta ghiandaia. E il
morbido volo alto-basso, alto-basso (come lo descriveva lui) dell'upupa dalla
cresta regale, il tremolio del codirosso e la sensazione di dominio dei rapaci
che talvolta sorvolavano la proprietà... ogni uccello era ben gradito alla sua
vista.
Ma il ritorno delle cince compensava la mancanza di colore
che avrebbe portato l'inverno.
Il loro color giallo, salvo il nero del capo e di una parte
del petto, era sufficiente a Jean per rallegrarsi e iniziò presto a dar loro da
mangiare (noci sgusciate soprattutto) per averle nei paraggi. Appese ad un ramo
di un albero una semplice retina fatta a tasca con il cibo all'interno,
trattenuta da un cordino che gli serviva per alzarla o abbassarla.
Con tre noci al giorno godeva di uno spettacolo continuo,
visto che gli uccellini andavano e venivano dalla mattina alla sera. Ne aveva
contati sino a sei. Spesso mangiavano a coppie, le altre attendendo secondo le
loro gerarchie o arrivando in volo a scacciare chi era intento a servirsi.
Ma non presidiando ininterrottamente il territorio lasciavano
a tutte la possibilità di fruire di quel cibo prelibato; una vera fortuna,
visto che il loro beccuccio non sarebbe mai riuscito a romperne il guscio.
Pur arrivando a gran velocità da direzioni diverse, in meno
di un istante completavano il preciso atterraggio aggrappandosi con le agili
zampette alla retina.
Sopra, di lato o sotto non importava, erano sempre a loro
agio e decollavano da ogni posizione perfettamente. Jean era sbalordito della
incredibile abilità nel volo; seppe poi che il loro battito d'ali non ha quasi
rivali, si parla di 25-27 battiti al secondo, solo i colibrì potevano
far meglio!
Era quasi sicuro di riconoscerle dal disegno della macchia
nera sul petto e osservandole qualche volta con un binocolo ci riusciva.
Che ritornassero ne ebbe conferma quando ne vide una, nata
chissà per quale motivo con la coda
arricciata leggermente sulla destra. La vide anche l'anno seguente.
Quando il terzo anno non si ripresentò, smise di distinguerle
dalle macchie e non usò più il binocolo.
Chissà se capivano o meno da chi proveniva quel cibo, fatto
sta che si facevano vedere anche sul davanzale della finestra al primo piano
della sua camera, dove lasciava solo qualche scaglietta di formaggio (che
gradivano), perché preferiva vederle volare là davanti, senza che avessero
alcun timore ad avvicinarsi e che lui istintivamente cercasse di riconoscerle.
Quante ore passate a guardarle, ad ascoltare il loro grazioso
richiamo.
Cosa si può comprare al prezzo di tre noci che valga una tale
meraviglia?
Anche Marie rimaneva volentieri per osservare le cince; Jean
le propose di mettere una retina pure da lei, cosa che sempre rifiutò. Si
sarebbe sentita in colpa se uno solo di quegli uccellini avesse cambiato
ristorante. Forse ne sarebbero arrivate delle altre, ma Jean apprezzò quella
rinuncia più d'ogni regalo.
Sovente, specie la sera, il ragazzo tornava alla sua
passione: il film sulla lavanda. Il proiettore era stato spostato nella sua
camera e aveva imparato bene ad usarlo.
In principio era Anne che lo azionava, chiedendosi se mai si
sarebbe stancato del solito spettacolo: “Dopo tutte le volte che le hai guardate, c'è ancora
qualcosa che non hai visto in quelle immagini?” - “Oh sì, il momento quando
cambia il colore!” - “Ma è sempre lo
stesso, se controlliamo con un orologio possiamo dire con precisione quando
accade.” - “Questo lo so anch'io, ma tu mi hai chiesto cosa non ho ancora
visto, quel momento non riesco a vederlo... perché in meno di un istante è
già differente.” - “A me pare di vederlo, ad esempio quando tramonta il sole,
dal lilla al blu o come lo vuoi chiamare.” - “Dove lo vedi?” - “Nei fiori che
diventano di un altro colore.” - “... un
altro colore, il cambio di colore c'è già stato...” - “Non si coglie
bene forse perché l'immagine è troppo grande.” - “In alcune riprese fatte da
Gerard al Lieu le piante fiorite sono poche e lo sfondo è diverso: a volte
verso terra e altre verso il cielo, ci si può concentrare meglio ma è lo
stesso.” - “Per quanto presti attenzione è troppo rapido e quando te ne accorgi
è già passato, è questo che vuoi dire?” - “Non so, cerco di scoprire se il
fenomeno comincia da qualche parte; come te anch'io lo vedo dopo, anche
nelle scene rallentate.
Però una volta non è stato così, ho visto il cambiamento iniziare...
e dopo c'era l'altro colore.” - “È stata la prima volta al Lieu, vero?” -
“Sì.” - “E da allora stai cercando di ripetere l'esperienza?” - “Anne, quella
volta è passata una grossa nuvola ed era come se arrivasse il tramonto; tra il
colore lilla della lavanda al sole e il blu-viola all'ombra si è presentato
quell'altro, io lo chiamo indaco. Non so dire quanto è durato, ma non era un
istante... l'ho visto bene, non l'avevo mai visto così bene quel colore.” - “Ma
cosa aveva di speciale? Era sempre un colore, come gli altri magnifici colori
al mondo, perché ricercarlo di nuovo?” - “Anche tu eri lì, se anche non l'hai
visto lo so che l'hai sentito. Non era sempre un colore, quello
era vivo... faceva qualcosa.”.
Capitolo 13 - Persone e
luoghi
Da poco Jean aveva
compiuto 14 anni e il suo stato di salute si manteneva stabile.
Per quanto riguardava la sua famiglia giungevano invece
notizie poco incoraggianti ed era ormai il quarto anno che nessuno di loro
veniva a trovarlo.
Anne fu informata che Marcel, il padre, da due anni (ora ne
aveva 74) manifestava i sintomi di un rapido declino senile, tanto che non fu
in grado di partecipare alla visione del film del figlio.
A questa cattiva notizia se ne aggiunse un'altra: seri
problemi nella gestione dell'impresa dove tutti lavoravano che provenivano da
Valéria, la giovane compagna di Marcel. I fratelli di Jean, Pierre il più
anziano e Albert, non riuscivano a controllare la situazione, resa ancor più
complicata dal fatto che la moglie di Albert era cugina di Valéria e le due
donne si intendevano perfettamente.
Senza entrare nei dettagli si profilava la prospettiva di
dover dividere il patrimonio per non rischiare di perderlo in operazioni
disinvolte.
Sono circostanze più comuni di quanto si creda; gli affetti
uniti agli interessi non portano mai nulla di buono.
Anne di queste faccende ne capiva abbastanza perché le vide accadere diverse volte prima di quest'ultimo lavoro; filtrava quelle notizie per consegnarle meno crude al ragazzo, ma la realtà era pur sempre di una mancanza pressoché totale di contatti con la sua famiglia e quei pochi che intercorrevano in sostanza riguardavano il denaro.
Chatnoir era diventato l'assillo di Marie che si innervosiva
perché non riusciva mai a vederlo bene. Sempre che non fossero due, si spostava
dalla casa di Jean dove rimaneva sino a primavera, al Lieu dov'era altrettanto
inavvicinabile e nascosto durante l'estate.
Jean, che non permise mai a Marie di sorprenderlo, le chiese
perché quel gatto fosse un problema. “Non lo è, ma vorrei sapere una volta per
tutte come stanno le cose... ci sono 15 chilometri tra qui e il Lieu!” - “Ma se
cercando di vederlo meglio se ne andasse?” - “Perché dovrebbe? Tu gli lasci il
cibo qui e anche al Lieu, tornerebbe per mangiare.” - “Sì, ma magari lo farebbe
la notte e io non potrei neanche scorgerlo.” - “Ma Jean, ti basta vederlo così
di lontano e dargli del cibo per sentirlo il tuo gatto?” - “Non è il mio gatto,
ma si fida di me, forse sa per istinto che non posso stargli vicino, magari
vorrebbe avere un padrone ma si
accontenta, proprio come me.”.
La logica di Jean era disarmante, tuttavia Marie non rinunciò
almeno al desiderio di sorprendere Chatnoir oltre quei confini che lo
proteggevano.
Jean ovviamente intuiva quel proposito, ma era pronto a
scommettere sul “suo” gatto; un giorno, quando Marie avesse accettato questa
situazione, forse sarebbe cambiato qualcosa.
Il Lieu era un posto silenzioso. Il brusio di migliaia di
insetti, il soffiare del vento tra le fronde dopo un po' diventano silenzio.
Quello che noi intendiamo per silenzio, l'assenza di suoni,
non ci appartiene.
C'è sempre un ronzio di fondo nelle orecchie, anche il lavoro
del cuore per fare circolare il sangue ha il suo proprio suono, come il
pronunciare nella mente le parole dei nostri incessanti pensieri.
Un posto è silenzioso perché si impone. Certe forme
architettoniche quali piramidi, templi o cattedrali, formazioni naturali chiuse
come cavità e grotte, o certi luoghi aperti hanno questo potere che l'uomo
istintivamente percepisce.
Là pur parlando ad alta voce avrete la sensazione che il
suono venga assorbito.
A cosa serve un posto del genere? Ad affievolire la corsa dei
pensieri che sono una sottile forma di suono (vibrazione) e oltre un certo
limite ci debilitano, consumando parte della nostra energia.
Che tali luoghi aiutino in una qualche misura viene
dimostrato dalle molte persone che li frequentano.
Anche Claude e la stessa Catherine, pur non andandoci spesso
si accorsero dell'effetto del Lieu. Anne
durante l'allestimento del cabanon restò lì sola per parecchio tempo e si
convinse della singolarità del posto; tuttavia la sensazione del rallentato
scorrere dei pensieri (e talvolta del tempo) si avvertiva maggiormente
con Jean, quasi che egli e il luogo entrassero in risonanza.
Quel silenzio, percepito come brusio, a volte diventava
continuo come una linea elettrica ad alta tensione che scarica continuamente
nell'aria. In quelle occasioni Anne osservava le altre donne e i ragazzi
chiedendosi se e come lo sentivano, ricavandone la convinzione che ognuno
sperimenta le cose a modo suo, pur con delle analogie.
Fin dalla prima volta che vi andò con Jean prendeva nota di
quanto succedeva e sperimentava, aveva letto abbastanza per individuare
similitudini con altre esperienze, persone e luoghi... cose scritte, di seconda
mano.
Quello che lì accadeva veniva prima delle parole con
cui l'avrebbe tradotto, era come bere e descriverlo. Tuttavia è nell'indole di molte
persone conservare gli avvenimenti in un modo ritenuto migliore della propria
memoria, che diviene incerta col tempo.
Anche le sue, appena scritte, erano già descrizioni; forse
le sarebbero servite un domani per ricordare un momento della sua vita quando
cielo e terra si unirono.
“Catherine, riposarsi ogni tanto ci aiuta, non le pare?”
- disse Anne, dandole del lei anche se
era di dieci anni più giovane. La zia di Marie era piuttosto riservata e non
amava parlare di sé e degli altri; non aveva studiato se non l'indispensabile e
preferiva i fatti alle parole, per cui Anne stava bene attenta ad usare le più
semplici possibili. - “Signora, voi sapete che non amo stare senza far nulla e
quando proprio non ne ho da fare, allora uso quel tempo per chiedere a chi sta
sopra di noi pace e salute per tutti.” - dalla risposta capì che la
tranquillità del posto si confaceva alle sue preghiere, forse il motivo che
l'aveva convinta a venirci.
Potendo scegliere avrebbe preferito quella chiesetta poco
distante ma vuota, mentre qui poteva stare con le persone della famiglia, per
quanto avessero un sentimento religioso diverso dal suo.
Durante una passeggiata, guardando l'ampia distesa della
lavanda, Marie si rivolse a Jean: “Senti tutte queste api, il ronzio sembra
provenire dai fiori.” - “Hai detto bene, per qualche motivo il suono di tutte quelle ali si mescola
perfettamente con il colore della lavanda in fiore.” - rispose. - “... il
ronzio che si mescola con il colore?” - “Più che mescolarsi... si intona, ecco la parola, il violetto e il
ronzio.” - “E se invece fosse un campo di fiori rossi?” - continuò la
ragazzina. -
“ ... che ne diresti dei versi di pappagalli e uccelli
tropicali?” - “Sì, ci sta bene. E il suono della pioggia, dell'acqua... ” - “Si
intona con un bosco verde! Così il
giallo dei campi di grano secco e maturo con...” - “... il rumore del vento che
lo muove come onde del mare!” - si guardarono un po' sorpresi di scoprire quel
sentire comune, seguitando a camminare lentamente tra i filari di lavanda,
circondati da grilli, api e farfalle.
Anne e Claude che li stavano osservando da lontano furono
colpite dall'armonia emanata dai due ragazzi, quasi sospesi tra il lilla della
lavanda sulla terra e il puro blu del cielo sopra le loro teste. Questo intendeva
Anne per cielo e terra che si univano: pareva che luce, calore e colore, quel
suono d'api, d'uccelli, del vento e di altre sconosciute origini, insieme alla
tranquillità senza tempo... tutte queste cose si fossero date appuntamento là
per incontrare i due ragazzi, per farsi cogliere e apprezzare da loro.
Si vedeva l'intero e non solo alcune parti: Jean e Marie
erano necessari a quel posto come lo era esso per loro.
Anne ricordò un incontro con una persona un po' fuori dal
comune a cui si dice successe qualcosa nel corpo che lo rese diverso, una sorta
di filosofo ascoltato da molte o poche persone, a seconda del caso. Si recò a
visitarlo in quel paese circondato dalle montagne che pareva una cartolina tanto era curato ed entrò nella stanza dove
costui parlava del modo di funzionare di corpo e mente, di scienza, politica e denaro, del più
e del meno, veramente non parevano esserci limiti.
Ricordava il suo sguardo saettante e soprattutto le mani che
danzavano nell'aria e tornavano ad un breve riposo senza mai una sola
esitazione, un inciampo.
Come quella voce, nell'enfasi di una descrizione o la foga di
un'asserzione, nel ridere di qualcosa o lanciarsi in un tagliente giudizio, non
ne sentì mai di eguali.
Ascoltava senza un interesse specifico, seguendo il movimento
del corpo dell'oratore come si osserverebbe un animale spostarsi nel suo
ambiente, di un'armonia che si incontra negli animali, raramente nell'uomo.
Alla fine fu certa che non interpretava una parte e che
quanto diceva fosse davvero frutto della sua esperienza. Difficilmente si può
costringere a lungo il proprio corpo ad assecondare un'idea, un pensiero, o a
conformarsi all'immagine che si vuole dare di sé. Prima o poi ne nascerà un
movimento dissonante che per quanto piccolo viene colto da chi si interessa a
queste cose.
Se anche si riuscisse a dominare completamente tutti i
muscoli in azione sarebbe difficile farlo controllando al contempo la voce.
Quella persona non mirava ad un risultato, cosa e come
parlava pareva dipendere dalle domande e dagli stati d'animo dei suoi
interlocutori.
Molti che si proclamano depositari di una qualche verità
hanno attorno a sé un'organizzazione più o meno grande, il cui scopo principale
è di mantenere una distanza con il pubblico. Da quella distanza si può esercitare
un certo controllo e sviluppare la propria oratoria, ciò che la platea si
attende. Ad ognuno il proprio ruolo, cercare di convincere e farsi convincere;
come per altre cose c'è un mercato anche per questa. Quest'uomo non aveva e non
avrebbe mai avuto attorno a sé un'organizzazione; era imprevedibile, risultando
difficile anche per le persone a lui più vicine pronosticare cosa avrebbe fatto
il giorno o l'ora dopo.
Anne in quell'occasione percepì la libertà della persona, una
sensazione che non le lasciava dubbi, come non ne aveva del Lieu.
Allo spettacolo della libertà in azione non si può essere
invitati: quando è il momento comincerà, vi siano pochi o molti non importa, ma
è certo che solo la libertà rende liberi.
“Marie, il prossimo anno avrai undici anni, devi cominciare a
pensare al tuo futuro - disse Jean che ogni tanto riprendeva l'argomento -
scommetto che tutti i tuoi compagni hanno già delle idee in proposito, cosa ti
piace veramente?” - Marie rispose: “Lo sai già che a me piace questo posto e la
lavanda e che non me ne andrò da qui!” - “Se ti piace così tanto la lavanda e
questi posti allora dovresti fare qualcosa in modo che rimangano così anche in
futuro!” - “Cosa potrei fare, non siamo
ricchi!” - “Non è solo questione di denaro, quando qualcosa va male bisogna
agire; se hai studiato il tuo fiore e questa terra qualcuno ti ascolterà,
potresti essere utile! Una ragazza che vende mazzi di lavanda non l'ascolta
nessuno, nemmeno il turista che li compra e non le chiede altro se non il prezzo,
mentre lei potrebbe raccontare cose meravigliose su quel fiore!” - replicò
senza interrompersi, mettendo tutta la sua passione e forse vedendosi al posto
di quella ragazza, pronto a lottare, ma senza l'energia necessaria per farlo,
mentre lei ne aveva d'energia!
Le sue parole venivano da una profondità superiore alla
superficiale corazza di autodifesa di
Marie... e la corazza iniziò a cedere.
Sentiva che Jean aveva ragione, aveva paura di esporsi, di ricevere delusioni,
perdere altri affetti, ma così si ritirava in sé stessa e li avrebbe persi
comunque, senza aver provato a conservare qualcosa, a lottare per quello.
“Tu dici che potrei studiare ma io non sono brava a scuola.”
- ribatté Marie, ma Jean riprese con tono sicuro: “Da quello che so anche molti
scienziati non lo erano, poi hanno trovato qualcosa che li interessò veramente,
diventando così bravi che oggi tutto il mondo li conosce. Anche tu hai qualcosa
che ti interessa: quando comincerai a studiare i fiori e come si curano, si
coltivano, come dev'essere l'ambiente allora non sarà così difficile e ti
piacerà!” - “Ma ci sarà sempre la
matematica che non mi piace.” - “Certo che ci sarà, anche più difficile...
credi che non dovrai faticare e ti regaleranno un bel voto perché gli hai fatto
il piacere di studiare? Se sarà troppo dura allora rinuncerai? Ti accontenterai
di un lavoretto in qualche locale in città sapendo che tua madre, tua zia e
anch'io faremmo di tutto per aiutarti a
proseguire?” - continuò Jean, mantenendo un tono serio. - “Tu mi aiuterai...
perché?” - chiese Marie. - “Farò quello che posso perché sono tuo amico,
penserai anche a me quando sarà dura. Sapere che siamo orgogliosi di te ti
allevierà la fatica.” - proseguì. - “Jean, sei il mio miglior amico, ma perché
ci tieni così tanto a cosa farò?” -
“Come potrei sopportare di vederti sciupare la possibilità di diventare
una persona rispettata?
Tu che hai la capacità e la forza per riuscire nella vita ce
la puoi fare, lo faresti anche per me, sarebbe un po' come se ci fossi riuscito
anch'io.”.
Marie comprese che l'amicizia ha un prezzo e ognuno si fa un
po' carico dell'altro; arrivava a comprendere che per lui, confinato quasi
tutto il tempo in quel salone sarebbe stato come uscire, studiare e riuscire
attraverso di lei. Jean era importante, la responsabilità di non deluderlo
avrebbe mantenuto aperta la crepa nella sua corazza.
“Jean, io ce la metterò tutta per farcela, ma se non ci
riuscissi tu promettimi di non stare male per me e che mi perdonerai.” - “Ce la
farai Marie e ti giuro che faremo una grande festa quando sarai laureata, anzi
lo dirò subito ad Anne che cominci a prepararla.” - “... ma stai scherzando!” -
“No davvero Marie, vedrai che festa!”.
Pur nelle sue limitate possibilità Jean non trascurava di
studiare, facendosi aiutare da Anne per la matematica e le materie umanistiche.
Gli piacevano le scienze ma disdegnava completamente le
lingue; diceva di “non avere testa” per
apprenderle. Il ragazzo pur volendo comprendere il mondo che lo
circondava, non sprecava energie per materie che non avrebbe approfondito in
futuro. La sua istitutrice che se la cavava bene con l'inglese (amava leggere
alcune riviste in quella lingua) e qualcosa capiva in spagnolo e italiano,
usava ogni tanto qualche parola straniera, giusto per riderci sopra quando lui
la storpiava nel tentativo di adattarla a quanto voleva dire.
Anne ricordava quella volta, qualche mese addietro, quando
discusse con Jean l'argomento dei colori
nella lavanda; quell'accenno alla vitale qualità dell'indaco e il suo fare
qualcosa l'avevano sconcertata.
Come d'abitudine, quando si trovava di fronte a qualcosa
oltre la sua comprensione semplicemente lasciava perdere; il momento migliore
per approfondire la questione era quando questa si ripresentava da sé. Non era tipo
da aver fretta, così con calma prese ad informarsi e incontrò, come noi, Newton e Goethe, i pigmenti e le icone.
Queste ultime la incuriosirono, era evidente che la scelta
dei colori non fosse casuale; le icone sono oggetti per la contemplazione dove
i colori sono importanti al pari delle figure.
Nella contemplazione ad un certo punto le forme svaniscono e
resta il colore che rimanda ad una qualità, un'essenza; pensava che a suo modo
Jean contemplasse il colore, quasi affrancandosi dall'oggetto (le piante
fiorite) a cui aderiva.
In un modo o nell'altro il blu, l'indaco e il violetto sono
considerati colori particolari.
Molte persone ne sono attratte inconsciamente, lei stessa
aveva fatto amicizia con Jade, una signora non troppo anziana che coltivava nel
suo piccolo giardino ben riparato piante dai soli fiori blu-azzurro, i quali
sbocciavano in differenti stagioni.
Una volta capitò là in estate ed ebbe modo di osservare uno
splendido cespuglio blu-violetto di Duranta repens, una pianta che
avrebbe voluto a sua volta inserire nel proprio giardino, rinunciandovi per via
delle temperature non adatte a quell'essenza mediterranea.
Eppure quella signora collocandola a ridosso di un muro
esposto a sud, proteggendola con altri cespugli ai lati a frangere il vento,
era riuscita nell'impresa. Parlandoci assieme per capire come avesse ottenuto
un tale risultato, Jade le spiegò come la preparasse per l'inverno, riuscendo
ad evitare le drastiche potature che altri attuano in queste situazioni
difficili, intervenendo in un modo frutto dell'esperienza di anni.
Infatti molte volte la pianta non superò la cattiva stagione;
senza mai scoraggiarsi ne interrava una nuova e così via finché l'ultima,
l'attuale che aveva quasi dieci anni, strinse un patto con lei e le indicò
come trattarla (così affermava Jade).
Solamente ad Anne raccontò come accadde: le avevano
consigliato, a fine autunno, di ridimensionare di un terzo la nuova pianta
messa a dimora in primavera; per meglio proteggerla e per stimolarla a
ricacciare in quella successiva.
Ma l'intristiva tagliare anche quei pochi rami che erano
riusciti a fiorire, il cespuglietto era già così scarno... non poteva neppure
lasciarlo com'era, una volta che tentò una leggera potatura non funzionò
ugualmente.
Non aveva ancora deciso cosa fare, se ne stava là quasi
accarezzando quei rametti quando si accorse che alcuni erano più ruvidi di
altri… strano, perché a vista non si notava alcuna differenza.
Si convinse che la pianta le facesse sentire quali rami
lasciare; tagliò i pochi altri più lisci e li gettò nella concimaia.
Quella notte le fu difficile prender sonno, quando vi riuscì
fece un sogno strano: di mamme che vengono separate dai figli e, pur distanti, sentono
cosa stanno provando, della loro felicità nel saperli in buona salute. Come
le venne in mente di associare quel sogno con quanto fece in seguito non se lo
ricordava, ma la mattina dopo recuperò quei pochi rami mettendoli in acqua.
Li guardava di tanto in tanto, dubbiosa che potessero
radicare e chiedendosi, nel caso, cosa ne avrebbe fatto... d'improvviso ebbe la
rivelazione. Non una visione, una voce o che altro, ma il ricordo chiaro e
luminoso, come non le succedeva da anni, di quel viaggio a Malta nel
Mediterraneo con il marito, la casa che affittarono per due settimane e il suo
giardino, con la magnifica e generosa fioritura della duranta.
Lì trascorrevano i caldi pomeriggi. Al mare si recavano la
mattina, quando l'acqua era quieta e più trasparente ed erano già di ritorno
per pranzo. Dopo il turchino-blu del mare il blu-violetto della duranta...
seduti all'ombra del piccolo portico sapevano di vivere i giorni più
belli della loro vita.
Quell'uomo le venne a mancare troppo presto; in qualunque
momento accada è sempre troppo presto, perché l'essere umano
difficilmente riesce ad accettare l'impermanenza; comunque sia riuscì a
reagire, a vivere per i figli e a rasserenarsi, fino al giorno che le esplose
il desiderio del giardino e dei fiori blu-violetto, a cui dedicò tutto il tempo
libero.
Là si sentiva vicina a chi gli fu caro, per questo ci teneva
tanto a quella pianta, non avrebbe mai rinunciato a costo di riprovarci ogni
anno.
Anche il dio delle piante si commuove.
La rivelazione le fece prendere quei rami recisi, avvolgerne
la base con del tessuto bagnato e più strati d'isolante, confezionare per bene
il tutto in un pacco e spedirlo a quella casa a Malta, dove ogni anno non
mancava di inviare una cartolina d'auguri e un cesto con i prodotti della Provenza, per i nipoti della
cordiale famiglia che li ospitò e a cui rimase legata. Chiese se potevano
trovare un piccolo spazio per quei ramoscelli nel loro giardino.
La risposta fu curiosa. A causa di lavori alle fognature i
vecchi cespugli di duranta dovettero essere estirpati. Ora che i lavori erano
terminati stavano giusto pensando se non era il caso di piantare nuove essenze,
ma quando arrivarono quei malconci rametti e la lettera che accompagnandoli ne
spiegava il motivo fu subito trovato un posto, il migliore.
Non ci misero molto a diventare la splendida pianta di quei giorni.
Gerard riuscì a trovare qualche giorno a fine agosto, per
ritornare dalla Spagna dove il lavoro finalmente gli permetteva un po' di
respiro.
Era felice e soddisfatto per come si erano messe le cose e
non vedeva l'ora di rivedere le due persone che l'avevano salvato, come
disse a Mathieu.
René lo andò a prendere per portarlo nel suo bar dove Anne
l'attendeva. Non mancò di congratularsi per il film e Gerard si accorse che lo
trattava non con rispetto, di cui non fece mai a meno neppure quando si trascurava,
ma come un quadro tenuto da qualche parte rivelatosi un'opera importante a
cui bisognava dare il giusto risalto. Si
sentì un po' in imbarazzo e per ricambiare gli raccontò in anteprima cosa stava
facendo e come funzionava il mondo del cinema, con gran soddisfazione
dell'amico.
Arrivati al bar Anne dimenticò per un momento la sua
proverbiale riservatezza; passati i primi momenti di intimità e commozione (era
un anno che non si vedevano!), iniziarono a raccontarsi i dettagli che non
avevano trovato posto nelle loro frequenti telefonate.
“Allora, come va davvero il tuo lavoro?” - chiese Anne
- “Il lavoro va bene e la paga ancor meglio! Non ricordo di aver mai avuto così
tanto denaro! Ho già un appuntamento col proprietario della mia casa per
definire il prezzo e le modalità dell'acquisto, non mi par vero che riuscirò ad
acquistarla, e dopo la vorrò sistemare; si può ristrutturare il magazzino
adiacente e ricavarne un grande spazio abitabile e...” - lei lo guardava e gli
sembrava un bambino cresciuto senza giochi a cui venisse regalata una di quelle enormi scatole
da costruzioni. - “... e lascerò a te
decidere come organizzare gli spazi e il loro uso, a me basta una sola stanza
per il lavoro.” - “Ehilà! Siamo già ai programmi dettagliati! Dovresti prima
chiedermi se sono interessata.” - “Naturalmente, Anne, io non deciderei niente
per te, mi farebbe piacere che ci fosse la tua impronta nella casa; quello che
verrà o che non verrà, non lo decideremo né io né te. Tutti e due sappiamo che
le cose si formano da qualche parte e dopo si presentano a noi, che le
indossiamo come gli abiti al mattino; una cosa che ho capito in quest'anno.” -
“Scusa, non intendevo rimproverarti, lo sai che per abitudine metto sempre le
mani avanti, cercando di mantenere il controllo su quello che succede.” -
“...eh sì, pensiamo di aver sempre la possibilità di poter fare questo o
quello. Se non per oggi sarà per domani, ma non è così, se ci guardiamo negli
occhi parlandoci, ieri non era possibile e forse non lo sarà in futuro...” - “Gerard,
quasi mi impressionano le tue riflessioni! Ma perché siano digeribili devi
aggiungerci un ingrediente.” - “Quale?”
- “sens of humor” - “Già, quello che ho dimenticato con le chiavi
di casa in Spagna!” - “Questa è una buona notizia, forse accetterai la mia
ospitalità per stasera?” - “Solo se Jean sarà d'accordo!” - “Jean sarà felice
di rivederti, il quasi famoso regista!”.
Capitolo 14 - Il film di
Gerard
Jean accolse Gerard con tanto calore che lo abbracciò, cosa del tutto insolita per lui. A cena ebbero modo di scambiarsi informazioni su come avevano passato quell'anno.Gerard gli spiegava cosa aveva fatto quasi fosse stato un collega; si capiva che ne aveva considerazione, perché era contento delle sue domande e rispondeva non lesinando neppure i piccoli particolari.
Non aveva certo sprecato tempo perché oltre al lavoro per il quale era pagato, nel poco rimasto libero se ne andava in giro con la cinepresa (quella ritornatagli da Jean) a filmare persone e situazioni nei centri urbani, nelle periferie o nelle campagne.Aveva montato un cortometraggio che aveva con sé e raccontava come era stato ottenuto.Non nasceva da un progetto che aveva in mente: cercando di trovare un suo modo per riprendere delle scene di vita quotidiana attendeva qualcosa che gli indicasse di iniziare a girare.Ma la curiosità che aveva destato era troppa e dovette cedere alle insistenze dei due che lo pregavano di lasciare le parole per dopo, chiedendo di vedere subito quanto realizzato.Si spostarono nella stanza di Jean e di lì a poco iniziò la proiezione.
... panoramica di un grande mercato dove si vendeva di tutto, con la sua moltitudine di individui tutti diversi eppure così simili nei comportamenti. Lentamente si entra in uno stretto spazio lasciato libero dalle bancarelle, le persone passano in continuazione davanti all'obiettivo, volutamente non sono a fuoco ed è più il colore dei loro abiti a catturare l'attenzione, compensando il fastidio dovuto agli inevitabili scossoni dell'operatore in movimento tra la folla.
Poi la scena si ferma sull'inquadratura di un furgoncino
attrezzato a vendita di alimentari, il banco è in posizione rialzata e non vi
sono ostacoli o persone davanti alla cinepresa. Per un paio di minuti vengono ripresi tutti gli involontari
attori che comprano, vendono, tagliano, assaggiano, discutono, parlano, pagano,
ripongono cartocci di formaggi e salumi e così via.
Tra il primo piano di una persona che arriva e una che si allontana ve ne sono anche di cibi, del camice bianco con una scritta pubblicitaria del commesso e del grande ripiano di legno consumato usato per il taglio. Assoluta normalità a cui di solito non si presterebbe attenzione, eppure quando la camera inizia a spostarsi su un'altra bancarella il venditore dai baffi neri e dal cappello che non impedisce al folto ciuffo di far bella figura di sé sono ormai impressi nella memoria.
Gerard spiegò che per non essere troppo notato si posizionava
preferibilmente negli spazi liberi tra le bancarelle, badando di non
intralciare il passaggio e da lì individuava le zone più luminose e sgombre dal
flusso della gente.
Un'altra bancarella vendeva abbigliamento. In questa venivano inquadrate le mani delle persone che non davano tregua a maglie, magliette e altri capi. Era un disordinato via vai a cui le altre mani dei due venditori cercavano di dare nuovo ordine. Se volete vendere lasciate che le persone usino le mani, il tatto a volte convince più della vista.
Nel cercare un'inquadratura ravvicinata la cinepresa indugiò
su un bel maglione colorato il quale si distingueva dagli altri avendo il collo
di una tinta differente; un attimo prima di cambiare soggetto ecco la mano di
una donna prenderlo e dispiegarlo. In un istante, frutto dell'istinto di Gerard
che prontamente ridusse lo zoom, l'intera figura della donna occupa la scena.
Gesti usuali, come il passare la mano o stringerne il tessuto; anche lo scambio
di parole col venditore probabilmente fu altrettanto nella norma, si capiva che
bastava poco per procedere all'acquisto dato l'evidente interesse, ma altrettanto
per desistere a causa del prezzo o della possibilità di un acquisto migliore in
altre bancarelle.
Sino all'ultimo non si poteva dire se l'avrebbe acquistato.Il maglione fu riposto e la signora, di una certa età, si avviò altrove.
Gerard continuò ad inquadrare quel maglione e solo quello...
passava il tempo e dovette trattenersi dal fermare il motore e il consumo di
pellicola, confidando in una sensazione che gli suggeriva di insistere. Poco
dopo ecco un uomo afferrare con decisione lo stesso maglione e domandare
qualcosa al venditore, quest'ultimo usò la mano per indicare una direzione.
Lo scambio di denaro contro la merce avvenne velocemente; Gerard sentì in anticipo che l'uomo si sarebbe incamminato nella direzione presa dalla donna e fu rapido a seguirlo con la cinepresa (potendo avrebbe cercato di stargli appresso, pur a debita distanza, ma sappiamo che camminava con difficoltà). L'uomo, con il maglione in un sacchetto, seguì il flusso della gente fino a scomparire.
La scena cambia e mostra quelle stesse strade sempre di mattina, ora libere dalle bancarelle e con poche persone che vi camminano. Carrellata di una strada, alcuni particolari di rilievo, ingrandimento dell'inizio di un'altra strada vicina... di nuovo la ricerca di qualcosa di caratteristico sino alla strada successiva; pur da fermo viene resa la sensazione del movimento.Si arriva ad una piccola piazza con alcuni platani che già lasciano cadere le prime foglie autunnali, leggermente arricciate e di un meraviglioso colore giallo-marrone.Tutto è girato con calma da una posizione fissa appena più alta (spiegò che si trovava nella piccola terrazza di un bar).
La scena passa da un particolare interessante all'altro (un
muro dipinto, un lampione rotto, una persona forse in ritardo che corre in modo
scomposto, una macchina che parcheggia male sopra un marciapiede) e arriva ad
un portone più o meno anonimo come tutti gli altri, se non per il numero: 16.
Il 6 però è scritto con un colore troppo diverso dall’1; forse non si leggeva
bene e per la fretta non si badò all'armonia delle tinte.
Quelle due cifre dai colori dissonanti rimangono qualche secondo sullo schermo, venendo poi nascoste per un attimo dalla scia colorata di una persona che esce da quel portone.La camera ha un lieve sussulto prima di rincorrere quella scia, pochi istanti e la persona, di tre quarti, è a fuoco: una ragazza adolescente con quel maglione!
Un breve applauso di Jean e l'esclamazione di stupore di Anne accompagnarono la figura che dopo poco svoltò in una trafficata strada laterale. La scena successiva mostra un autobus che esce dalla stessa strada, l'obiettivo lo segue e par di intravvedere all'interno la ragazza col maglione, ma la distanza impedisce di averne certezza. Dissolvenza.
Tavolino di un bar con Gerard! Parla rivolto all'obiettivo:
“Il presente monologo è stato girato al termine delle riprese e inserito a questo punto, quando è accaduto qualcosa che mi ha permesso di connotare in maniera diversa questo lavoro.
La mia prima idea era di riprendere scene di vita
quotidiana in questa città dove mi trovo per altri impegni. Intendevo
evidenziare qualcuno tra gli infiniti particolari che incontriamo in ogni luogo
che frequentiamo, a cui non possiamo prestare troppa attenzione a causa delle
nostre attività, ma soprattutto per la limitata capacità della memoria umana.
Il mondo è davvero grande; una sola città contiene così
tante cose! Anche una sola strada, l'angolo di un mercato... ma oltre alle cose
ci sono le “storie”, quelle umane soprattutto; per questo un mercato è
l'ideale: ogni acquisto, ogni discussione sono una piccola, compiuta storia di
vita.”.
Alle sue spalle delle persone si siedono ad un tavolino e più
indietro altre sono in procinto di alzarsi; forse a causa delle parole appena
dette adesso le si osserva in maniera diversa: stanno diventando una
storia... se un attimo prima era agevole seguire la voce di Gerard ora
l'attenzione è costretta a dividersi tra quest'ultima e le immagini, una storia
nella storia.
“Avete visto l'acquisto di quel maglione, per come avvenne
rivelava qualcosa di più che il solo comperare un oggetto, qualcosa che sarebbe
rimasta segreta se la fatalità non lo avesse
riproposto davanti alla cinepresa. In quel momento questa storia, tra
tutte le altre, si è distinta e illuminata. È diventata una storia che
continuava ed ebbi la sensazione che mi avrebbe portato da qualche parte;
non suggerisco nulla al riguardo, ognuno
può usare la sua immaginazione per interpretare gli eventi. ” - una delle
persone sedutasi da poco al tavolino protestò veementemente col giovane
cameriere per un errore nell'ordinazione. Anne guardandone il volto divenuto
rosso pensò che chi pagava la consumazione non aveva il diritto, allo stesso
prezzo, di poter infliggere una tale pubblica umiliazione. - “Provai a seguirne
il filo, lasciando sempre al caso l'iniziativa.
Garantisco di non aver cercato una rapida soluzione in quel portone, il prezzo sarebbe stato la perdita di quel luminoso alone datole dal fato.”. Dissolvenza (usarle poco le dissolvenze, solo se strettamente necessario, così mantengono la loro forza, ripeté a sé stesso Gerard.).
Le riprese adesso provengono dall'interno di un'auto che percorreva lentamente le stesse strade, quasi descrivendo dei cerchi, per poi avviarsi decisa verso la periferia, forse nella direzione presa dall'autobus. Le case lasciavano via via il posto alla campagna e comparivano le prime colline. Ad intervalli, da fermi, venivano inquadrate alcune fattorie con gli animali e le persone che vi lavoravano. Da un luogo elevato, forse una collina, l'obiettivo si spingeva verso la città ormai lontana, ingrandendo per quanto possibile nella direzione di provenienza, quasi una muta domanda: dove cercare?
Per un'altra strada si ritorna in città, sostando accanto ai bei giardini pubblici: giochi di bimbi e riposo di vecchi, gli estremi della vita accolti dagli stessi luoghi.Ancora immagini nei pressi di un cinema; i giovani di quei tempi in Spagna respiravano finalmente un'aria diversa, con le migliorate condizioni economiche si attendevano anche quelle sociali.Altra scena ed era sera, si vedevano le solite strade ormai familiari.La ripresa fu fatta da Gerard camminando, non c'erano rotaie e l'incedere dei passi non poteva essere evitato. Però era costante e lento, quasi un respiro.
Ad Anne sembrava che una rivelazione attendesse il suo momento, cercò di averne conferma dai metri di pellicola che mancavano: ce n'erano forse per cinque minuti. Jean era assorto come se guardasse la sua adorata lavanda, seguendo quella lenta successione di persone che venivano incontro alla cinepresa, talvolta mostrando un sorriso, spesso indifferenza e in un paio di occasioni evidente fastidio. Qualcuno sorpassava il lento procedere della cinepresa, dei pochi che si voltavano a guardare tutti lo facevano per curiosità.
Il viale si allarga e cominciano i locali, bar e ristoranti
intervallati da qualche negozietto. L'occhio (indiscreto) della cinepresa si
insinuava tra i tavoli all'aperto a riprendere le persone che già cenavano od
in attesa davanti ad una bevanda.
La luce della sera era morbida e soffusa, c'era poco traffico e il tutto rimandava ad una sensazione tranquilla e confortevole, sì che quelle persone degnate dell'attenzione senza scopo dell'operatore parevano conosciute. Ad Anne tornò alla mente quella sera, al ritorno dal secondo giorno passato con Jean al centro medico, quando aprì le finestre della camera e le parve di essere in un salotto. Che strano, non sembrava una sensazione importante, eppure era ben radicata nella memoria, pronta a liberare la dolce energia che portava con sé.
Un altro locale riempiva adesso la scena: aveva le insegne
luminose quel tanto che bastava a distinguersi senza troppa ostentazione, i
tavoli con il giusto spazio attorno erano ben illuminati e delle grandi
fioriere creavano angoli appartati. Nuovamente l'occhio artificiale si aggirava
tra i tavolini... ancora un improvviso sussulto della macchina (qualcosa doveva
aver sorpreso Gerard che per un attimo smarrì il distacco professionale).
Una famigliola, o almeno tre persone che sembravano una famiglia, stava mangiando.Nei loro modi però non c'era quella familiarità propria di chi si conosce da tempo, piuttosto l'attenzione di chi tiene a ben figurare con gli altri. Le riprese continuarono ancora per un po', mostrando un uomo, una donna... e la ragazza con il maglione colorato, dove lo zoom della cinepresa si aprì al massimo occupando l'intero schermo con quell'ultima macchia di colore.
Anne (non era da lei!) si unì agli applausi di Jean ed entrambi continuarono per un po', con Gerard imbarazzato che li pregava di smettere. “Te li meriti proprio!” - disse Jean e appresso Anne: “Che tu sia riuscito a cogliere la vita in divenire di queste persone ha dell'incredibile, ma come l'hai colta ha qualcosa di magico, quasi che il Divino Romanziere ti abbia permesso di leggere un pezzetto delle sue storie perché le raccontassi con le tue immagini. Che storia! Così semplice e così bella... le più difficili da raccontare!”.
Gerard spiegò che i capitoli del cortometraggio coprivano un arco di più di due settimane; in quel periodo non aveva molto da fare e quasi tutti i giorni ritornava in quei luoghi a riprendere.
Quando dopo qualche giorno dall'acquisto al mercato riuscì ad inquadrare la ragazza con il maglione colorato a momenti faceva cadere la camera dall'emozione (come disse nel film la storia continuava). Ebbe proprio la sensazione che gli fu concesso di poterla filmare, sentiva che non era finita, c'era dell'altro, ma dove e quando non lo sapeva, avrebbe continuato giorno dopo giorno sino al tempo stabilito.
“Quale tempo? ” - chiese Anne, voltandosi stupita dalla parte
di Jean che le forniva la risposta: “16 giorni, il numero dai due colori!” -
“Hai indovinato Jean, la scena del ristorante è stata ripresa proprio il
sedicesimo giorno dall'inizio!”.
Anne pensò che questa volta non le sarebbero bastati i soliti due secondi.
La storia non finiva qui, in capo a qualche mese Gerard montò
le riprese in un cortometraggio di cui fece due copie. Scrisse una lettera in
cui presentandosi ne spiegava la nascita e l'evoluzione, aggiunse il suo
recapito e la imbucò al numero 16.
Dopo qualche giorno ricevette una telefonata in cui gli
veniva gentilmente chiesto un incontro. Andò all'appuntamento con l'uomo e la
donna che gli raccontarono la loro storia, domandandogli se fosse possibile
vedere il filmato. Gerard acconsentì anticipando che era solo ad uso personale
e senza autorizzazione non sarebbe stato visto da alcuno.
A proiezione terminata la coppia rilasciò una liberatoria per
qualunque uso volesse farne, l'unica
richiesta era una copia del film. La copia era già pronta e quando
Gerard la consegnò all'uomo costui disse: “Dopo aver letto la lettera ho
compreso molte cose... cose che non tornavano nella mia vita finalmente
acquistavano un significato, avevo la sensazione che fosse tutto scritto,
ma è un altro conto averne conferma!” - la donna aggiunse: “Posso solo dirle
che considero un grande dono quanto accaduto, lei è un vero artista!” - Quelle
persone sono diventate amiche di Gerard, che si ripromise di render loro
visita.
“Ricordi Jean, ti ho suggerito il titolo del tuo film, ora
tocca a te per il mio.” - disse Gerard -
“Quello che ho detto prima: 16 giorni, il numero dai due
colori.” - “ Proprio bello ragazzo
mio! Adesso posso completarlo, aggiungere appena un po' di musica e... farlo
vedere.” - “Così potrò finalmente levare il “quasi” dal famoso regista! ” - concluse
tra le risa di ognuno.
La serata proseguì tranquilla e Gerard cercò di evitare
di parlare del film sulla sola lavanda,
era rimasto sorpreso da quanto gli aveva detto Anne in merito alle continue
proiezioni e al colloquio con il ragazzo.
Ma fu Jean a parlarne: “Gerard, ho visto così tante volte il
film che ora ne sono sicuro. Nelle immagini, per quanto belle, manca qualcosa,
quando osservo i fiori all'aperto, sul posto, quel qualcosa c'è.” - “Un film è
come un quadro, per quanto fedele non è l'originale, il colore non sarà mai
esattamente lo stesso.” - “No, non è il colore, quello è venuto proprio bene;
ma come funziona, come si ottiene l'immagine sulla pellicola? ” - “ ... uhm, in
poche parole: quello che noi vediamo manda la sua luce all'obiettivo della
cinepresa... attraverso le sue lenti, fatte più o meno come quelle degli
occhiali, raggiunge la pellicola dove è “spalmata” molto bene una miscela di
sostanze che “catturano” la luce e si modificano. Poi è una questione chimica,
alla fine si ricompone la stessa immagine che abbiamo visto in ogni fotogramma,
quei rettangolini colorati della pellicola.” - “Quindi è come se la cinepresa
avesse “guardato” attraverso degli occhiali?” - “Beh... in un certo senso si.”
- “E non si potrebbe provare a “toglierli”, levare l'obiettivo?” - “Oh
perbacco, come in una macchina fotografica a piccolo foro (stenopeico)
che non ha bisogno di lenti e obiettivi! Ma proprio non si può fare con la
cinepresa, pur con una pellicola estremamente sensibile i tempi di esposizione
sono troppo lunghi e la pellicola all'interno corre troppo velocemente,
non entrerebbe abbastanza luce.” - “Ah! Adesso ho capito! Pensa che già lo
sapevo, mi ero accorto che guardare la lavanda attraverso il vetro della finestra non era la stessa
cosa... è il vetro il problema!” - intervenne Anne: “Il vetro impedisce ai
colori violetti di passare, come se li mangiasse. Però il nostro occhio non è
sensibile a quei colori, teoricamente non dovremmo accorgerci della
differenza.” - di nuovo Jean: “I nostri occhi forse non se ne accorgono, ma
qualcosa in noi se ne accorge! Io la sento la differenza!” - Gerard: “
Hai ragione, per esempio sulla pelle si può notare la differenza, dietro un
vetro non ci si abbronza! Sono proprio quei colori violetti, più che violetti -
ultravioletti - che ci fanno abbronzare!” - Anne: “Ma nel tuo caso dove
la senti la differenza? Nella pelle?” - Jean: “No, non nella pelle; sento
che manca qualcosa.” - Gerard: “Sì,
ma quando c'è questo qualcosa, come fai a saperlo?” - “Non so come lo sento, ho spiegato ad
Anne che la prima volta l'ho visto come un colore, l'indaco... e ha
fatto qualcosa.
Io lo sento che è là, nascosto tra quei colori, certe volte dà come un segno, quasi si preparasse a mostrarsi, ma poi come al solito niente, forse perché non so come guardare. Questo è il motivo per cui rivedo sempre quel film, per capire se c'è un modo.” - Gerard: “Se ti chiedessi cosa ha fatto quella volta... me lo potresti dire?” - “Sì Gerard, a te e Anne lo direi, ma forse non potreste capirlo.” - “Se te la senti, almeno ci proveremo.” - “Ha fatto tutto questo...” - “ ... tutto questo... cosa? ” - “Tu Gerard... e prima ancora Anne, ci ha messi assieme... noi tre qui a parlarci, questo ho visto quel giorno...”.
Anne e Gerard incrociarono il loro sguardo non aspettandosi una cosa del genere; forse avrebbero preferito a quel punto cambiare discorso, per non addentrarsi in un difficile terreno, ma chi ne aveva timore? Non certo Jean che si capiva convivesse da chissà quanto tempo con quelle che sembravano rivelazioni, parola che apriva altri scenari; forse loro non erano preparati. Anne ripensando a molti eventi passati fu certa che se Jean aveva iniziato quella conversazione era per portarla avanti, li stava aspettando per farli camminare con lui!
Lei non aveva alcun timore; da tempo si convinse che
qualsiasi cosa andasse bene per Jean andava bene per lei. In quanto a Gerard,
ricordò le parole dell'uomo che acquistò il maglione colorato: “... avevo la
sensazione che fosse tutto scritto...” - forse non le aveva ascoltate con
la dovuta attenzione, ma ora suonavano familiari con quanto appena detto da
Jean: “... noi tre qui a parlarci... questo ho visto quel giorno.”.
Anne interruppe il momento di silenzio: “Vuoi dire che hai
visto quello che sarebbe accaduto? ” - “Ho visto un disegno, un'immagine
nell'indaco. Ma non nitida come in una foto, essendo di un unico colore, in più
non era un'immagine sola... aveva uno spessore e si potevano vederne altre in
profondità. L'ho vista con gli occhi, ma quando la ricordo la sento
dappertutto, non so spiegarlo meglio.” - “Ti stai spiegando molto bene,
dici che è quel disegno che ci ha fatto incontrare; hai visto nel
disegno il nostro incontro e poi quello con Gerard, sino ad oggi?” - “No, ho
visto una cosa sola, un disegno che sembrava contenerne tanti... moltissimi
altri: da qualche parte c'eri tu Anne, poi quando ho incontrato Gerard la prima
volta mi sono ricordato... ho sentito che c'era anche lui nel disegno. I
film che abbiamo fatto, quando li abbiamo visti... erano nel disegno.” -
Gerard: “Anche questa sera, noi che ci parliamo, è come se tu l'avessi già
visto? ” - “Non ricordo tutto quello che ho visto, ma certe volte, come oggi, sono
sicuro che c'era nel disegno.” - “Come fai ad esserne certo? ” -
“Perché qualcosa nella luce cambia, a volte durante e altre prima... quasi
mi pare di vedere le due cose assieme: quello che vedo ora insieme con quel
disegno, come se ricopiassi due disegni sulla carta trasparente e li
guardassi sovrapposti alla finestra, se non sono perfetti e proprio giusti uno
sull'altro te ne accorgi che sono due...” - Gerard si rese conto di non potersi
avvicinare a quello che diceva più di quanto permettessero le parole, ma quando
ne parlava... sembrava di toccarlo. Prima di terminare volle fargli un'ultima
domanda: “Perché hai detto che l'indaco, o quel disegno, ha fatto tutto
questo?” - “Io lo sento così... se no, cos'altro può averlo
fatto? ”.
Già, cos'altro può averlo fatto - si chiese Gerard - sapendo bene di non avere nessuna risposta e non volendo attingere alle troppe possibilità offerte da altri.
Anne ricordò una citazione che aveva letto: “... molti lo
proclamano ma non lo vivono, pochi lo vivono e non lo proclamano...”. Lei non aveva
dubbi a quale categoria appartenesse Jean.
Claude e Catherine videro ripartire Anne con Gerard la mattina appresso; sia pure per poco ebbero modo di conoscere l'uomo di cui avevano tanto sentito parlare.I suoi modi cordiali e semplici, uniti al bell'aspetto, conquistarono le due donne che umanamente provarono un po' di invidia. Ma passò subito, rimpiazzata dalla contentezza per Anne.
Era presto e Marie dormiva ancora, si sarebbe dispiaciuta di
non essere stata presente ma Jean le avrebbe raccontato con dovizia di
particolari quello che aveva visto e ascoltato.
Capitolo 15 - Marcel
Gerard era ripartito da un paio di mesi quando nel dicembre
1978 arrivò un pacco sigillato proveniente dal padre di Jean. Era per Anne,
conteneva molta e diversa documentazione ben ordinata sotto a due diversi fogli
che la introducevano; lesse il primo:
“Cara Anne, desidero una volta di più esprimerle tutta la
mia gratitudine per il lavoro sinora svolto così egregiamente; le assicuro che
nonostante i pochi contatti intercorsi conosco perfettamente la vostra
situazione, di mio figlio e sua. È arrivato il momento di farle conoscere la
mia con l'unico scopo di permetterle di fronteggiare meglio gli eventi che non
mancheranno di verificarsi. Sempre se lo riterrà opportuno, come mi auguro.
Quello che sta leggendo è stato scritto nel 1975, quando è
stato chiaro che la mia salute, purtroppo quella mentale piuttosto che fisica,
stava declinando irreversibilmente e velocemente.
Mi ero ripromesso di attendere sino a quando non fossi
stato più in grado di affrontare con la necessaria lucidità gli eventi
quotidiani, prima di farle giungere tutti questi documenti. Non posso spiegarle
qui il motivo, perché vi sono coinvolte altre persone che non conosce e a cui
sono legato, ma alle quali ho fatto presente sin dall'inizio che avrei tutelato
al massimo gli interessi di mio figlio Jean. So che non sono stato un buon
padre per lui. Non ho alcuna giustificazione in merito, le cose sono andate in
questo modo e ne accetto tutte le conseguenze. L'unica cosa che posso ancora
fare è quella che le ho detto poc'anzi, tutelarne gli interessi. Non potendo
farlo di persona le invio questi documenti dove sono registrate disposizioni
testamentarie, atti e suddivisioni di proprietà, lettere personali e altro
ancora. Se si sta chiedendo come mai non siano i miei figli più grandi a
provvedere a tutto questo immagino possa anche indovinare la risposta, sono
tanti denari e proprietà (come vedrà molte più di quelle di cui è a conoscenza)
e diverse persone ad averne interesse, anche senza titolo.
Sento di potermi fidare di lei, lo so che vuole bene al
mio ragazzo come una madre... l'ho capito fin dall'inizio che l'avrei affidato
alla migliore persona possibile.
Ho avuto anche modo di verificare la sua puntigliosità e
competenza riguardo a contratti e più in generale a questioni di denaro; non ho
dubbi che qualcuno l'ha ben consigliata in questi anni. Quello che le domando è
di far visionare a costui i documenti che le invio, chiedendo consiglio perché
tutto quello che serve e anche tutto quello che Jean desidera non vengano mai
meno.
Troverà delle buste dove è scritto cosa e quando farlo.
Se le chiedo troppo non si preoccupi di rifiutare; in
questo caso invii tutto a mio figlio maggiore, la mia stima per lei rimarrà
immutata.
La ringrazio di cuore, ha fatto e continua a fare molto di
più di quello che osavo sperare.
Marcel.”.
Sotto a questo foglio ce n'era un secondo sempre indirizzato
a lei, aveva l'intestazione di uno studio legale.
“Stimata signora Anne, sono un avvocato ma prima ancora un
amico di Marcel che conosco da molto tempo. Gli avevo garantito che avrei fatto
quanto mi chiese e ho adempiuto alla mia promessa con l'inviarvi questo pacco.
Potrei terminare qui, ringraziarla e porgerle i miei saluti. Ma vorrei
raccontarle gli avvenimenti da quel giorno nel 1975, quando Marcel mi consegnò
i documenti, ad oggi che ve li invio. Non ho titolo per parlarle personalmente,
anche se ho avuto modo di apprezzarla
attraverso le parole del mio amico; le chiedo di lasciarmi dire una buona
parola su di lui che, pur tra le mancanze, nella sua vita ha compiuto gesti
davvero generosi. Non fosse stato per il suo grande e disinteressato aiuto oggi
la mia vita... mi scuso di aver accennato a qualcosa di personale, ma sentivo
di doverlo fare.
Dopo di allora la salute di Marcel continuò a peggiorare,
iniziava a non ricordare bene eventi anche recenti e man mano si presentarono
problemi fisici difficili da trattare.
Mi disse che sapeva bene a cosa andava incontro ma che
solo con il suo “esplicito assenso” o con la sua fine avrei potuto spedirle i
documenti. Nel caso fosse accaduto qualcosa a me, tutto sarebbe stato fatto
pervenire al figlio maggiore.
Lo frequentavo e durante uno degli ultimi incontri mi
consegnò una busta con delle lettere da aggiungere al pacco; mi chiedevo quando
mi avrebbe dato l'assenso per la
spedizione, temendo che un giorno non sarebbe stato più in grado di
farlo. Combatteva la sua personale battaglia
ma solo all'ultimo si sarebbe arreso; un giorno mi telefonò dicendomi di
andare da lui l'indomani per la conferma finale.
Andai ma non mi fu permesso di entrare in casa; la sua
compagna, Valéria, in presenza di un pubblico ufficiale, esibì un certificato
medico che attestava l'inabilità alle funzioni della vita quotidiana di Marcel.
Immagini quello che può essere accaduto; da parte mia
stavo quasi per spedirle il pacco, ma non potevo, Marcel mi fece giurare che
solo quando me lo avesse comunicato “personalmente” avrei potuto farlo.
Lui diceva spesso: “le cose sono andate così...”.
I figli che da allora si trovano ingarbugliati in
controversie legali senza fine, mi riferivano delle condizioni del padre che
potevano vedere di rado. Non c'erano miglioramenti, non era più autonomo.
Pierre, il figlio maggiore, mi parlò del film fatto da
Jean; nella speranza che potesse giovargli cercò senza riuscirci di farlo vedere al padre.
Ci sono voluti due anni di dibattimenti, perizie e
valutazioni per permettere a Marcel di visionare il film, ponendo delle
condizioni... di cui le risparmio i dettagli.
Ma giusto due settimane fa io, i figli, la compagna e una
commissione di tre esperti che aveva il potere di interrompere in qualunque
momento lo spettacolo se si fossero manifestati problemi per il suo stato di
salute, abbiamo potuto visionare “La petite mer... de la Provence” assieme a
Marcel.
Prima di raccontarle quanto accadde, vorrei pregarla di dare un bacio a Jean, dicendogli
che lo manda suo padre, perché questo ho letto nei suoi occhi al termine di
quello splendido spettacolo, la cosa più bella che abbia mai vista in vita mia.
Marcel fu fatto sedere su una apposita sedia, erano due
anni che non lo vedevo e fu dura per me: sembrava assente, non saprei se a
causa di qualche sedativo o se quelle fossero le reali condizioni. Al momento
non mi riconobbe e a stento accennò un movimento della mano verso i figli. Non ci venne dato il tempo per qualche
parola, d'altronde sapevamo che da mesi aveva smesso di parlare; non ci
permisero neppure di stargli vicino, magari tenendogli la mano... si spensero
subito le luci e iniziò la proiezione.
Quello che vidi non lo dimenticherò: dallo schermo
uscivano il sole, i colori, tutte quelle belle persone e poi la natura, il
vostro mercato e i magnifici insetti tra i fiori... che meraviglia!
Guardavo il film e contemporaneamente Marcel, vi giuro che
gli successe qualcosa, di molto profondo. Già dopo poche scene aveva rialzato
la testa prima abbassata; negli occhi ritornò pian piano la luce, e qualche
lacrima. Furono poche per fortuna, altrimenti sarebbero state “pericolose” per
la sua salute e avrebbero interrotto lo spettacolo!
Io credo sapesse che al termine del film lo avrebbero
subito allontanato da noi, così in un paio di occasioni, facendolo quasi
involontariamente, si girò dalla mia parte. Capii bene che mi aveva
riconosciuto e quasi mi invitava a restare pronto.
Dopo l'ultimo fotogramma accadde tutto molto velocemente:
furono accese le luci e spento il proiettore; due medici e la compagna di
Marcel fecero per alzarlo ma egli si aggrappò fortemente con le mani ai
braccioli (era pur sempre un pezzo d'uomo!) e girò la testa dalla mia parte...
tutti rimasero stupiti, fermandosi per qualche istante. Incontrò i miei occhi e
parlò! Con una voce roca ma alta disse:“Maximo, adesso fallo!”.
I custodi si ripresero ma lui li lasciò fare, vidi ancora
un attimo i suoi occhi e riconobbi l'umanità del mio amico. C'è chi non paga
mai per le proprie malefatte, questo l'ho appreso dalla mia professione;
conoscendo la vita di Marcel credo che non ne
fece, almeno non volontariamente. A volte penso che quanto gli accade
sembra un modo per pareggiare altri conti, che lui accetta senza lamentarsi.
Ma non sta a me dirlo, io gli sono debitore.
La sua compagna capì subito che oramai la cosa era
fatta... io non aspettavo che quell'ordine!
Non potete immaginare la gioia che provo nell'eseguirlo!
Grazie, anche da parte di Marcel. Maximo D.S.”.
La lettura delle due lettere scatenò una tempesta emotiva in
Anne: una singola notizia, per quanto negativa, era ben in grado di
assorbirla... ma qui l'intera sua vita, le azioni sue e degli altri, tutto si
presentò contemporaneamente.
Aveva sempre avuto considerazione per Marcel; Claude e
Catherine potrebbero confermare di non averla mai sentita dire nulla che anche
lontanamente suonasse come un giudizio.
Non era solo a causa del suo rapporto di lavoro; non era
curiosa e ne sapeva troppo poco della vita e delle scelte dell'uomo.
Quanto conosceva era che per qualche motivo Marcel non fu in
grado di mantenere un rapporto più stretto e costante con il figlio. Ma Jean,
pur soffrendo per la mancanza di quei contatti, non biasimò mai il padre, quasi
conoscesse le reali motivazioni.
Riguardo i fratelli la cosa era diversa, lasciava intendere
che si sarebbe aspettato qualcosa di più.
L'uomo a cui Anne doveva tanto si trovava dunque in quelle
condizioni; per quanto preparata dalle notizie precedenti le si strinse il
cuore, perché lo sentiva parte della sua “famiglia”, della sua esistenza;
lasciò che qualche lacrima scendesse libera di trovare il suo percorso, per
mitigare il dolore nel sentire un pezzo della propria vita allontanarsi.
La lettera le fece
rivivere tutta la loro storia, fatta di pochi incontri di persona e mai troppi
per voce o lettera; “essenziale” ebbe a pensare una volta. Niente che
non fosse in merito a qualche necessità o questione pratica; eppure non lo
sentiva una persona fredda, la stima che provavano l'uno per l'altra era
il calore del loro rapporto.
Da queste ultime notizie si capivano le difficoltà, forse
continue, incontrate con le persone a lui più vicine; solo Jean non gliene
aggiungeva di nuove, c'era molto più di quel che si vedeva tra padre e figlio.
Entrambi accettavano la propria situazione senza lamentarsi, entrambi
avrebbero potuto dire: le cose sono andate così.
Il film “andava fatto” disse una volta Jean; il potere
di quelle immagini alla fine trovò la strada per giungere anche al cuore di
Marcel, adempiendo allo scopo per cui presero vita.
Non ebbe il minimo dubbio che avrebbe eseguito quanto Marcel
le domandava, anche di più se fosse stato il caso. Con calma Anne esaminò tutto
il contenuto del pacco e si rese conto che la questione delle proprietà,
testamento, disposizioni e quant'altro era di una complessità superiore alla sua comprensione; il suo “esperto”,
l'amico notaio, avrebbe avuto lavoro in abbondanza.
Tutto era ben ordinato e suddiviso, su un foglio che faceva
da copertina era descritto il contenuto.
C'erano anche altre cose, oltre ai documenti, cose personali come un
pacchettino di lettere; anche queste avvolte in un foglio con la solita
descrizione che Anne lesse: “ lettere di Marcel e Juliette; lettera di Marcel al figlio Jean - P.S. Cara
Anne, lascio alla sua valutazione quando
sia il momento di consegnare queste lettere a Jean. Non so nemmeno se
sia il caso. Se crede che possa esserle utile per meglio valutare le legga; se
ritiene che il contenuto possa arrecargli anche il minimo problema non gliele
dia e aspetti sino all'ultimo a farle avere al mio figlio maggiore. Speravo di
poter rivedere un'ultima volta Jean e
lei, una vera amica. Ma non sarà possibile. Lo so che le chiedo tanto, anche
questa responsabilità... mi perdoni, è davvero l'ultima. Con affetto, Marcel.”.
La grafia era incerta e si intuiva lo sforzo che fece, era
l'ultimo scritto e traspariva più il sentimento che la stima.
Anne credeva di averlo pianto poc'anzi l'amico, ma
dovette scappare fuori dalla stanza e rifugiarsi nel giardino; solo tra quelle
piante spoglie, con il vento tagliente e freddo sul volto poté trovar pace.
Quando rientrò andò a lavarsi, si mise un bell'abito e si
recò a portare quel bacio a Jean.
Capitolo 16 - Una dura prova
Anne, entrata nel salone, trovò Jean intento a dipingere dei
bellissimi fiori tropicali di un rosso acceso, un colore che usava di rado.
Mise una sedia vicina alla sua e si sedette. “Come sei
elegante, Anne, devi uscire?” - “Se vuoi dopo possiamo uscire, magari per fare
un giro con l'auto, stando al caldo. Sì, mi sono vestita bene perché ti porto
delle notizie di tuo padre e penso sia importante dartele nel miglior modo
possibile, se sei pronto ad ascoltarle.” - “Anne, non temere di dirmi cose
tristi, immagino quanto stia male; almeno qualche telefonata prima me la
faceva, poi più nulla.” - lei con la massima delicatezza informò il ragazzo del
contenuto delle lettere di Marcel e dell'amico Maximo; pensava che era giusto
non nascondergli nulla, vedendo che capiva e apprezzava la sincerità.
Gli si gonfiarono gli occhi quando apprese che finalmente il
padre guardò il film. Forse non avrebbe pianto, aveva sopportato dispiaceri
altrettanto grandi, ma non poté resistere all'amore del padre che gli giunse
attraverso il bacio di Anne.
I rossi fiori colorati sul foglio assorbirono parte delle sue
lacrime che ne sfumarono la tinta.
Erano meravigliosi adesso, sicuramente irripetibili.
Dopo un po', quando si riprese del tutto, Anne gli disse:
“Vorrei chiederti una cosa, ma non devi rispondermi adesso se non lo senti.” -
“Puoi chiedermi qualunque cosa.” - “Questa scena, le notizie di papà, c'erano
anche queste nel disegno, nell'indaco?” - “Sì, c'erano anche queste; mentre le
dicevi si sovrapponevano, quelle di allora con quelle di oggi.” - “Però il
dispiacere che ti hanno dato, non è stato da meno.” - “Anche se l'avevo già visto, il dispiacere l'ho sentito
adesso...” - “E hai visto anche cosa verrà dopo? ” - “Quello che
succederà lo sai anche tu, Anne, non c'è bisogno di averlo visto.”.
Era vero, in ogni evento ci sono i segni dei successivi,
perché sono collegati come le perle di una collana; talora sono difficili da
interpretare ma spesso parlano da soli a chi li sappia ascoltare.
Se la domanda riguardava il destino di Marcel allora conosceva la risposta, quel bacio non era un saluto ma un addio. Quando sarebbe accaduto non aveva la minima importanza.
Jean si preparò per uscire e anche lui mise un bell'abito,
domandò se c'era posto per Marie e Anne corse a chiedere a Claude il permesso.
Non volle tenere nascosto il motivo di quella gita fuori dalla norma: le spiegò
che erano arrivate notizie sulla salute di Marcel e che Jean avrebbe fatto bene
a distrarsi un po'.
A Claude non occorrevano tante parole e andò a preparare
velocemente Marie che si presentò con
sorpresa di Anne in un bellissimo vestito, forse il migliore.
La ragazzina sprizzava felicità da tutti i pori, non le
pareva vero che quell'anonimo giorno d'inverno si stesse trasformando in una
gita in auto in compagnia del suo amico!
Quando Jean le disse che sarebbero andati dovunque lei
desiderava, Anne comprese almeno uno dei motivi dell'invito: Marie fu la loro
guida quel giorno, non solo per l'itinerario ma per riannodare i fili con la
vita che continuava.
Fu un magnifico pomeriggio e non mancarono di sedersi per una
bevanda calda nel bar di René, da dove si poteva essere osservati oltre che
osservare, altra ragione per cui era molto frequentato. Ritornarono con alcuni
piccoli regali acquistati qui e là che condivisero con Claude e Catherine.
Il nuovo anno portò la notizia del decesso di Marcel. Jean
dipinse un piccolo acquerello, fatto plastificare, da mettere sulla lapide:
fiori rossi tropicali e lavanda assieme, con la sua firma in fondo. Trovò il giusto modo di tenere assieme i due colori
che non apprezzano la reciproca compagnia, forse c'era qualcosa di simbolico... due distanze unite, ma la bellezza dell'opera ne proteggeva il
significato.
Fu subito inviato e posizionato e in seguito si seppe che si
dovette assicurare saldamente alla pietra, poiché più di qualcuno cercò di
appropriarsene; Jean fu contento della definitiva collocazione, testimoniata da
una foto fatta dal fratello maggiore Pierre.
Come previsto la situazione non tardò a smuoversi: arrivarono
richieste dei legali della compagna di Marcel e anche - una spiacevole sorpresa
- dal legale della moglie dell'altro fratello Albert, a tutela degli interessi
dei figli.
Tutto fu prontamente consegnato all'amico notaio, il quale
incaricò uno studio legale di procedere
per bloccare qualunque atto potesse modificare lo status quo, in attesa
della verifica generale di tutte le prerogative e diritti di ogni soggetto in
causa.
Marie prese male la triste notizia.
Quella parola, morte, entrò nella sua vita, pur se
bussò alla porta della casa accanto.
Non poteva comprenderla: per lei era un'altra cosa che andava
storta, nella direzione opposta al
desiderio di vedere un giorno il papà del suo amico ritornare per stare con
loro, non nutrendo più speranze per il suo.
All'improvviso chiese: “Mamma, anche Jean morirà presto? ” -
Claude che non se l'aspettava, rispose nel modo usuale: “Accadrà a tutti. Devi
cominciare a pensare che è una delle cose della vita, come crescere o avere dei
figli.” - “Ma quelli che non stanno bene, a loro succede prima, vero?” -
“Questo solo Dio lo conosce, direbbe tua zia Catherine.”. Se avesse risposto
che non lo sapeva forse avrebbe dimenticato di aver fatto quella domanda,
l'aver tirato in ballo l'intervento divino fece aumentare la sua apprensione.
I luoghi religiosi, specie le chiese così alte e con poca
luce un po' la impaurivano. Le sembrava strano che quella Persona luminosa
avesse tutte quelle case poco illuminate dove si parlava di argomenti
vecchi e un po' tristi. La zia invece si trovava bene là dentro e a volte le
chiedeva di accompagnarla; pur controvoglia ogni tanto doveva farlo, perché
sapeva quanto ci tenesse e la mamma non mancava di ringraziarla.
Lì aspettava che finisse di dire le sue preghiere e intanto
osservava tutti gli oggetti dorati e le decorazioni... quelli sì che le piacevano!
Avrebbe gradito possedere una scatola dorata come quelle là in fondo per la sua
collezione, ma si guardò bene di parlare con qualcuno di questa sua fantasia,
sperando che la Persona fosse stata abbastanza in alto da non averla sentita pensare.
Da quel giorno la solare natura di Marie cominciò ad essere
oscurata da una nuvola che portava con sé angosce e paure del passato...
assieme a quelle del futuro.
Era un momento delicato per lei, intervenire nel modo
sbagliato poteva risultare decisivo per lo sviluppo della sua personalità. A
volte era irritabile, altre si chiudeva in sé; a Claude il medico disse che
poteva trattarsi di uno sviluppo ormonale anticipato, fatto sta che non
sapevano come comportarsi con lei. Solo con Jean era quella di sempre, quasi
quella nuvola non avesse potere in sua presenza. Cercava di trascorrere più
tempo con l'amico; se ne accorsero tutti e lasciarono che le cose si
regolassero da sole, confidando nella sensibilità del ragazzo che a lungo fu la
sua ancora di salvezza.
Passò l'inverno e la primavera. Gerard poté ritornare solo
una volta e trascorse una sera con loro.
Il suo cortometraggio aveva destato un buon interesse,
aprendogli le porte per un progetto ambizioso che gli avrebbe permesso di
saldare anticipatamente il debito con la banca e di iniziare a ristrutturare la
casa.
Anne ne aveva disegnato esterni e interni quando intervenne Jean che aggiunse
qualcosa di speciale, stravolgendo il progetto originario e costringendola a
rifare tutto da capo.
Come le volte precedenti anche in questa occasione si ricreò
la sensazione di familiarità tra loro; certo ad Anne non sarebbe dispiaciuto un
po' più di tempo con il suo uomo, ma non avrebbe scambiato uno di quei minuti
con un giorno dove non fossero tutti assieme. Gerard confidò che due, tre anni
di questo lavoro gli avrebbero permesso di mettere da parte il necessario per
iniziare qualcosa in proprio, qui a casa sua, recandosi ogni tanto ad Avignone
da Mathieu.
Era il suo sogno e lavorava duramente per realizzarlo,
mettendo da parte tutto quanto poteva.
Anne era ammirata, due o tre anni non le parevano poi così
tanti, vista la prospettiva di riunirsi.
Jean quella sera non si riferì mai a Gerard come il quasi
famoso regista, forse perché avendo tolto il quasi la battuta non
funzionava più; tuttavia Gerard ne era un pochino dispiaciuto, si era
affezionato a quel modo di chiamarlo e credeva gli avesse portato fortuna.
Quando arrivò il momento dei saluti ormai non ci pensava più
ma Jean, aiutato da Anne, aveva da tempo preparato una sorpresa.
Gerard, dando le spalle alla porta d'entrata stava salutando
affettuosamente Anne quando sentì un rumore, come di un giornale che viene
sfogliato. Ovviamente non ci badò più di tanto, visto com'era impegnato; vide
Anne sorridere e non capiva perché. Forse aveva sbagliato qualcosa, nei vestiti
o nel modo e ora stavano per dirglielo... va beh, pazienza, non era importante.
Girandosi verso Jean comprese il motivo.
La porta era coperta per quasi metà altezza da uno spesso
foglio dipinto a pastello che era stato fatto srotolare da Jean (quello era il
rumore). L'opera raffigurava un regista sulla sua sedia mentre dirigeva un film
in mezzo ad un campo di lavanda sotto la torre Eiffel, con api e altri insetti
come attori! Sul basso la scritta: “Al mio regista preferito, Jean”.
Gerard ammutolì per la riuscita sorpresa prima di tutto, ma
anche per la bellezza dell'opera che sprigionava una magica sensazione di
felicità.
Un groppo in gola gli tolse la possibilità di dire qualcosa;
dovette sedersi e bere un po' d'acqua perché proprio non passava.
Poi finalmente disse: “Ogni volta che sono venuto qui me ne
sono andato via con molto più di quanto avessi portato. Ormai il mio debito con
voi dubito che riuscirò a pareggiarlo; non è da me commuovermi ma questa è l'occasione
giusta. Mi siete più cari della mia stessa vita, scusate se suona fuori luogo
ma dovevo dirlo, grazie con tutto il cuore.”.
Anne arrotolò il dipinto e lo mise in un tubo di plastica.
Gerard non se ne sarebbe mai separato, ovunque fosse andato l'avrebbe sempre portato con sé.
La lavanda era nel pieno della fioritura il 22 luglio, quando fu festeggiato l'undicesimo compleanno di Marie assieme al quindicesimo di Jean (che sarebbe caduto il 29).
Alcuni parenti di Claude si trasferirono in una cittadina
poco distante. Erano una famiglia numerosa e chiassosa, tutti assieme gestivano
un'attività di commercio ambulante.
Amavano parlare e interessarsi dei fatti degli altri. Un
giorno vennero a trovare Claude e in seguito non sentirono più la necessità di
doverlo chiedere, venivano e basta.
Catherine non apprezzava la cosa, ma il senso di colpa di
Claude per il fallimento della sua unione familiare non le permetteva di
valutare con oggettività il comportamento di una famiglia certo invadente ma
unita. Fu risucchiata nel loro modo di fare, scambiò quella confusione per
sostanza, valori, affetti, legami. Iniziò ad ascoltarli dandogli sempre più
credito.
Costoro fin dall'inizio si accorsero che Marie non legava con
loro, men che meno con i due figli quasi coetanei, al contrario del rapporto
con quel ragazzo.
Iniziarono a circolare parole importanti: apatia,
estraniazione e in un crescendo si arrivò a usarne di inquietanti, evocando
situazioni accadute a vicini parenti che richiesero soluzioni drastiche.
Ereditarietà... come potessero usare una tale parola senza la minima competenza
Claude non se lo chiese, ma ne ebbe una tale paura da accettare il consiglio di
consultare degli specialisti. A nulla
valsero le rassicurazioni di Anne e della stessa Catherine, nemmeno il
comportamento “normale” con Jean e il cammino scolastico quasi regolare;
piuttosto ne aumentarono l'ansia, perché riferendolo ai parenti questi subito
individuarono nei differenti modi il segno di una personalità divisa.
Lei era sua madre e non poteva trascurare il consiglio
di intervenire prima che fosse troppo tardi.
Jean guardò dalla finestra arrivare l'auto che avrebbe
condotto la sua amica lontano da casa per degli accertamenti. Era più
preoccupato per questi che per quelli che lo riguardavano; Anne cercò di
rincuorarlo ben sapendolo inutile, lei stessa non riusciva a mantenersi calma.
Come si temeva la ragazzina venne trattenuta per delle
terapie psicologiche, così fu spiegato a Jean per il quale la cosa
appariva strampalata; la testa della sua amica funzionava bene, era
qualcos'altro quello che le succedeva, qualcosa che non poteva dire... non
l'avrebbero mai potuto capire.
Jean vide concludersi la fioritura della lavanda da solo e
con Anne trascorreva due o tre giorni alla settimana al Lieu. Era diventato
taciturno e aveva praticamente smesso di dipingere, se ne stava quasi tutto il
tempo a guardar fuori dalle finestre; continuava a frequentare il giardino o
passeggiava quel poco nei campi del Lieu, ma sembrava non essere presente. Anne
stava il più possibile con lui, ma non poteva compensare la mancanza di Marie.
I parenti ormai trascorrevano quasi tutto il loro tempo
libero da Claude e Anne non poteva
muoversi all'esterno senza ritrovarseli da ogni parte, fortunatamente
non in casa, per il momento. Anche se dubitava che avrebbero resistito alla
tentazione quando lei e Jean si fossero assentati alcuni giorni, per gli usuali
controlli.
Alcune volte
accompagnò Claude nell'istituto dove curavano Marie e la sua
preoccupazione aumentava, nonostante la madre venisse rassicurata che il
trattamento stava dando i risultati
attesi; quali fossero non erano certo evidenti.
Anne la guardava chiedendosi come poteva esserne sicura, come
non si accorgesse che la luce negli occhi della figlia si stava spegnendo, ma
non poteva intervenire, quando provò ad accennarne Claude reagì così
violentemente che si zittì all'istante.
Catherine la pensava come lei, avrebbe subito riportato a
casa la piccola ma quei parenti avevano guadagnato la completa fiducia della
sorella, specie dopo l'elogio dei dottori per il tempestivo riconoscimento del
problema che avrebbe permesso un sicuro recupero.
Anne le disse della reazione di Claude e lei, a malincuore
perché se ne vergognava, dovette dirle la verità: tutto quel parlare in famiglia
che procedeva ormai senza freni, esauriti i soggetti interni si rivolse a
quelli esterni, sino ad instillare l'idea che quanto accadeva alla figlia aveva
a che fare con quel ragazzo, con il quale la ragazzina trascorse troppo tempo
senza nessun controllo... e forse anche dell'altro... nuove
insinuazioni miravano a quella strana istitutrice...
Anne ebbe la sensazione che il mondo si sarebbe rotto, quel suo
mondo a cui aveva dedicato tutta sé stessa stava diventando irriconoscibile,
non capiva se e dove aveva sbagliato.
Le venne in mente di chiedere a Jean se poteva far
qualcosa ma si pentì di averlo pensato,
sapeva che Jean avrebbe dato anche la
vita per l'amica; così quando alla fine ne parlò non gli chiese cosa potesse
fare lui, ma cosa potesse fare lei, rimanendo perplessa dalla risposta:
“Puoi invitare il notaio e la moglie a pranzo.” - “Cosa c'entrano quelle due
persone con questa storia?” - “Sono due amici.” - “Sì, ci stanno aiutando con tutte queste
storie sulle proprietà, cosa potrebbero fare in questa?” - “Io non lo so, ma a
loro potrebbe venire un'idea.” - “Perché proprio loro?” - mentre gli faceva
quest'ultima domanda ne sentì l'inutilità, il discorso era già terminato per
Jean che comunque le rispose: “Perché non ne abbiamo altri che ci sappiano fare
allo stesso modo.”.
Il notaio Armand con la bella ed elegante moglie Sophie,
accettarono con entusiasmo l'invito a pranzo. Anne, aiutata da Catherine lavorò
tutto il pomeriggio del giorno prima per preparare pietanze ricercate accompagnate dalle famose
salse francesi.
Gli invitati restarono sorpresi da quel trattamento troppo
speciale, un modo come un altro per riconoscerne l'importanza, persone su cui
si spera di poter contare.
Al termine dell'apprezzato pranzo si spostarono nel salone, seduti sui comodi divani
iniziò la conversazione.
Dopo un bel po' accadde qualcosa che Anne non avrebbe mai
creduto possibile: arrivò Jean che mise sul grande tavolo due grandi cartelle
contenenti i suoi dipinti- la maggior parte dei quali neppure lei aveva mai potuto
vedere - dicendo agli ospiti che erano a loro disposizione.
Anne lo aveva informato che la donna era un'esperta,
collaborava con riviste d'arte e aveva una certa reputazione a cui teneva.
Sophie conosceva la riservatezza del ragazzo tanto che nei loro
precedenti incontri vide a malapena qualche bella etichetta e un paio di lavori
di formato appena maggiore.
Ebbe quasi timore ad allungare la mano perché intuiva che
quanto le permetteva di fare non aveva prezzo... dopo che avesse aperto quelle
cartelle non avrebbe potuto negargli nulla.
Ma per caso o meno un foglio sporgeva nella parte alta.
Anche Anne riconobbe dei biondi e delicati capelli.
Quelli erano i ritratti di Marie, la cosa a cui teneva
maggiormente e che nessuno sino ad allora aveva mai visto, nemmeno la
ragazzina. Era più che spogliarsi in pubblico.
Quei capelli... quasi si potevano distinguere singolarmente,
un effetto che richiese grande pazienza e maestria che Jean ottenne combinando
acquerello e tempera; la curiosità, non solo professionale, la costrinse ad
accettare ogni rischio.
Jean si sedette a guardare il suo pubblico. Nella prima
cartella c'erano quattro ritratti di differenti formati, la seconda conteneva
sette opere: paesaggi (vedute dalla casa) e composizioni floreali; si sarebbe potuta
allestire una piccola mostra.
Anne che non riusciva a riprendersi dall'emozione vide bene
che anche all'amica tremavano un po' le mani, la quantità di opere di tale
bellezza era tanta anche per lei.
La pittura non era il campo del notaio che ammetteva di
essere negato per l'arte, pure si rese conto che c'era qualcosa di particolare
in quei fogli. Piuttosto ammirava il comportamento di Jean, quanto aveva permesso loro e la tranquillità
con cui lasciava curiosare nei suoi segreti.
Quando le cartelline furono richiuse Jean si scusò di non
poter rimanere: era stato con loro tanto tempo senza potersi distendere;
visibilmente affaticato accettò qualche complimento e si ritirò a riposare.
Sophie faticava a staccare lo sguardo dalle cartelle che
stava quasi per riaprire; il marito, conoscendola bene, chiese se si potesse
bere qualcosa e Anne per servirli le spostò altrove, fuori dalla sua portata.
Toccava ad Anne fare la sua parte, spiegando cosa stesse
succedendo alla ragazzina. Entrando nei particolari la coppia rimase inorridita
dalle insinuazioni su Jean e su di lei. Il notaio intervenne: “Ecco da dove
sono partite le voci che mi sono giunte e a cui qualcuno ha dato credito,
propagandole a sua volta! Purtroppo stanno viaggiando lontano, speriamo che esauriscano
presto la loro forza o ne avremo a che fare; forse è il caso di pensare ad una
qualche azione legale...”. Sophie prese il comando della conversazione, zittì
il marito dicendogli che avrebbero ottenuto l'effetto opposto, arrivando ad uno
scontro che non giovava a nessuno. Era una donna attiva e sicura di sé ed
emanava qualcosa che non permetteva di sentirsi a proprio agio in sua presenza;
chiese ogni dettaglio al riguardo, nomi compresi.
Il marito in seguito non intervenne più, c'era una regola tra
i due, aspettare e non interferire.
Si parlò anche d'altro: di Gerard e di quanto amasse il suo
nuovo-vecchio lavoro e ovviamente della vita di quella coppia senza figli e con
molti interessi.
Al momento del commiato Jean era di nuovo presente e si
rivolse alla donna: “Signora, lei e suo marito ci state aiutando molto e siamo
diventati amici, così voglio farle un regalo da amico che non può rifiutare. So
che ha una collezione a cui sono felice di aggiungere qualcosa di mio, scelga
un'opera da ogni cartella.” - Sarebbe stato troppo pretendere da Sophie un
gentile rifiuto, pensò il marito; la possibilità di avere ben un paio di opere
del giovane promettente pittore le impediva di pensare ad altro, l'unica cosa
che poteva fare era di non metterci troppo nella scelta. Glielo fece intendere
dicendo che avevano un appuntamento importante e che dovevano sbrigarsi; lei
colse il messaggio e quando ebbe in mano i due dipinti le brillavano gli occhi
dalla gioia. Nel salutarsi si rivolse ad Anne dicendole: “Per quella situazione...
un po' difficile, lascia fare a me, stanne lontano il più possibile. Ci penso
io, stai certa che la risolveremo presto.” - nel dirle tali parole quegli
stessi occhi non riflettevano più alcuna luce... qualcosa si era già messo al
lavoro dentro di lei, assorbendone l'energia e conferendole un aspetto
inquietante.
Anne e Jean, rimasti soli si guardarono e convennero che se
non poteva far qualcosa quella donna allora nessuno poteva. Cosa fece non li
riguardava, ma in brevissimo tempo si videro i risultati.
Quei parenti ormai di casa da Claude cessarono le visite da
un giorno all'altro e quasi subito si trasferirono nuovamente. Catherine riferì
ad Anne che per quanto Claude quell'ultimo giorno li chiamasse non ci fu verso
che rispondessero, facendolo solo in un'ultima telefonata durante la quale udì
la sorella urlare “... come sarebbe che la mia vita non vi riguarda?! Siete
sempre stati ben accolti, ho seguito i vostri consigli... cosa vi ho fatto?!!
Cosa c'entra mio marito?!!... al diavolo voi!!!”.
Poi per giorni rimase svuotata di ogni energia e la sorella
ne aveva una gran pena; non riusciva neppure a telefonare all'istituto per
informarsi sulla figlia.
Claude comprendeva come si fosse cacciata in una trappola e
assieme a Marie anche lei ne stava pagando le conseguenze.
Non riusciva a reagire, si sentiva affondare con quel
continuo dolore allo stomaco che le impediva di ingerire se non qualche
liquido, le forze stavano seriamente abbandonandola.
Jean disse: “Adesso possiamo fare qualcosa noi.” - “Cosa
?” - chiese Anne. - “Andiamo a riprenderci Marie!” - “Ma Jean, non la
lasceranno mai venire con noi, non siamo neanche parenti!” - “Sì, ma noi ci
andiamo con Claude!” - “Credi che accetterà?” - “Deve farlo! O non ci
sarà più tempo.” - “Cosa le diremo?” - “Tu le dirai: sali in auto e stai
tranquilla, vedrai che tutto andrà a posto.” - “Ci vogliono due ore di
viaggio e poi il ritorno, ti stancherai troppo...” - “Ohilà, Anne, non pensavo
di guidare!”.
Forse Claude avrebbe reagito ma aveva bisogno di un forte
aiuto per farlo.
Quel tipo d'aiuto può dartelo solo chi ti vuole bene, capace
di lasciarsi alle spalle i problemi passati. Non è facile... ma c'è qualcosa
che lo sia davvero?
Anne cercò di spazzar via al meglio i tristi ricordi, le
insinuazioni che tanto l'avevano fatta soffrire e di cui non disse mai nulla a
Jean, che forse aveva un'altra fonte d'informazione.
Si preparò in fretta e assieme al ragazzo si recarono da
Claude. Disse esattamente le parole suggerite e se aveva ancora una briciola di
rancore da qualche parte, immediatamente si tramutò in compassione di fronte a
quella persona della famiglia rattrappita dal dolore.
Tutti sbagliamo, chi per avidità, chi per presunzione o
per altri motivi. Claude sbagliò
inizialmente per il troppo amore verso la figlia, poi una volta entrata nella
spirale ne toccò il fondo.
Ora la mano di Anne la aiutava a riemergere da quel buco: la
fece sedere con delicatezza sui sedili posteriori dove dovette quasi sdraiarsi
e la incitò a bere lentamente quella bevanda tiepida, in cui la sorella sciolse
quattro cucchiai di miele di lavanda. Poi riuscì ad addormentarsi e Anne cercò
un compromesso tra la lunga distanza e la necessità della donna di riposare,
così il viaggio ne prese tre di ore.
Solo all'arrivo si risvegliò e stava un po' meglio: disse che
anche lo stomaco le doleva meno, ma si appoggiò ad Anne per camminare sino alla
stanza di Marie con Jean dall'altra parte che poteva solo seguirla, non certo
sorreggerla a sua volta.
Quando Marie li vide, loro tre, quasi tutta la sua
famiglia, si alzò dalla poltroncina e senza andargli incontro li aspettò
avvicinarsi, ma Jean andò diritto allo scopo e da lontano le disse ad alta
voce: “Marie, la vacanza è finita, tra poco devi ritornare a scuola: ricordati
quello che mi hai promesso!”. La frase fece l'effetto di una parola d'ordine e
la ragazzina cominciò a vestirsi da sé.
Claude dovette firmare diversi documenti e non ce l'avrebbe
fatta senza l'aiuto di Anne che
intervenne più volte, a ripetere che la madre era consapevole dei possibili
effetti negativi di un'interruzione precoce della cura, ma che aveva deciso per
un differente trattamento.
Passarono ancora due ore là dentro; ne occorsero altre tre
per ritornare a casa. Ad Anne pareva di guidare un'ambulanza di ritorno dal
fronte di guerra; anche Jean, pur cercando di non darlo troppo a vedere, aveva
superato da molto il limite delle sue capacità.
Ma riuscì a riportarli tutti a casa dove Catherine, in attesa
da ore, aveva preparato una calda minestra che un poco li rinfrancò.
A Jean occorsero tre giorni per riprendersi e per una
settimana Marie e Claude quasi non si alzarono dal letto, assistite in
continuazione da Catherine.
Anche per Anne fu una dura prova e ringraziò il cielo che non
si presentarono altri problemi in quel tempo, perché non ce l'avrebbe proprio
fatta.
Ormai era settembre e di lavanda in fiore non ce n'era più,
salvo qualche nuova spiga che fece in tempo a riformarsi e a fiorire. Era
sufficiente a Marie per sentirsi a casa.
Capitolo 17 - Realtà e finzione
Era una bella giornata di settembre inoltrato, l'aria tersa e
poche nuvole piccole e bianche; quell'altro tipo di nuvola che aveva
pericolosamente oscurato la luce di Marie aveva quasi completato il suo
passaggio. Ancora poco e sarebbe stata un ricordo, però di quelli che lasciano
il segno.
A Marie pareva di riemergere da un brutto sogno, ricordava
cos'era accaduto sino a quando non la portarono in quella clinica dove desiderò
solo chiudere gli occhi e non vedere niente; non riusciva a capire perché era
stata allontanata da tutto quello che amava: la famiglia, Jean, Anne, la sua
casa con la lavanda che iniziava a fiorire e per ultimo la sua collezione di
scatole che trovò rovinate dalla curiosità di quegli altri ragazzini, senza
remore nel muoversi e frugare dappertutto.
Poi ricordava quell'ultimo giorno, quando arrivò sua madre
con Anne e Jean.
Ma li vedeva come in un film o nei suoi sogni, piatti e
un poco offuscati.
Alle parole di Jean sentì uno strappo dentro di sé e un rumore
come quello del gesso quando stride sulla lavagna... immediatamente
ricordò la sua promessa e quella era l'unica cosa che voleva fare, mantenere la
parola data all'amico.
Claude si era solo parzialmente ristabilita e aveva ripreso a
mangiare un po' di cibi solidi, ma il dolore allo stomaco era sempre presente,
appena meno intenso.
Non guardava negli occhi né Anne né Jean; con Marie e la
sorella riusciva a dire solo le poche parole del vivere quotidiano; tutti
comunque cercavano di starle vicino.
Provava un terribile senso di colpa, in buona fede aveva dato
fiducia alle persone sbagliate,
sottraendola a quelle vicine che per una serie di circostanze si
ritrovarono coinvolte in una brutta storia... forse ancora da concludersi.
La salute mentale della figlia fu messa a rischio e anche
quella fisica di Jean, a cui lo stress del lungo e disagevole viaggio in auto
poteva costare molto caro.
Ignorò anche quanto pazientemente cercava di dirle la
sorella, non opponendosi con la forza necessaria alle insinuazioni su Anne.
Soprattutto questo non poteva perdonarsi, la sola persona che l'aveva aiutata
davvero, intervenendo a più riprese per tenere assieme quella sua sfortunata
famiglia e che nonostante tutto lo fece anche questa volta, nemmeno
rimproverandola in qualche modo. Sotto la cenere di un apparente miglioramento
il rimorso la stava bruciando in profondità, il rischio di trasformarsi in
qualcosa di peggio era evidente.
Il suo stomaco per primo non avrebbe retto a lungo; quando
Catherine riferì di aver visto tracce di sangue nei resti del cibo fu chiaro a
tutti che non si poteva perdere tempo, occorreva agire subito, ma come?
Anne nelle sue lunghe telefonate con Gerard lo teneva al
corrente di quanto accadeva.
Pur rammaricandosi di
non essere lì ad aiutarla prestava la massima attenzione, chiedendo di
spiegargli ogni dettaglio, addirittura come Claude si vestiva o teneva i
capelli.
Anne non aveva fatto caso a quelli che considerava
particolari insignificanti, riferendolo a Jean: “Perché mi domanda queste cose
su Claude? Hai qualche idea?” - “Gerard è un artista, lui vede le cose
in maniera diversa dagli altri.” - “Anche tu sei un artista, le vedi come lui?”
- “No Anne, la mia arte è fermare quello che vedo... la sua è farlo
muovere.” - “E riferito a Claude?” - “Forse sta cercando un modo per farla
muovere, per farla venir via da dove si è bloccata; tutto quanto ti chiede
gli serve per costruire la scena.” - “Quindi i capelli, i vestiti...” -
“E anche dove si ferma o come cammina, deve conoscere tutto per farla bene.”
- “Ma credi che anche da lontano possa fare qualcosa?” - “Sicuro che lo credo!
Può farlo anche dalla luna... non sarà lui che si muoverà, saranno altri gli
attori!” - “E Gerard?” - “Lui è il regista e curerà ogni particolare per
bene.” - “Davvero pensi che possa funzionare?” - “Ricordi Sophie, la moglie del
notaio? Lei ha avuto successo, perché non dovrebbe averlo il mio regista
preferito?! ”.
Gerard lavorò sulla scena per più di una settimana,
chiedendo continuamente ad Anne se stava cambiando qualcosa con Claude. Le
disse che si sentiva continuamente con Mathieu a cui aveva spiegato la
situazione e come pensava di risolverla, chiedendogli il suo parere.
Mathieu non solo gli diede un aiuto nella sceneggiatura,
ma gli assicurò che tutto, proprio
tutto quello che occorreva lo avrebbe trovato e preparato in un giorno.
In quanto al parere disse che finzione o realtà per lui era
diventato difficile distinguerli... quanto era possibile fare in un film forse
si poteva fare anche nella realtà.
Gerard domandò
informazioni dettagliate sulla casa di Anne: le stanze, come si aprivano le
porte, i mobili e cosa contenevano. Le spiegò che tutto doveva essere
sincronizzato, bisognava calcolare bene i tempi... e che non si poteva evitare
del tutto un certo rischio. Quando le spiegò cosa stava architettando alla
donna vennero i brividi e replicò: “Non posso fare quello che mi chiedi, non
sono un'attrice!” - “Dai, Anne, tutti siamo un po' attori, devi caricare le parole... come fossero
proiettili.” - “Non potrei mai arrabbiarmi come mi chiedi!” - “Come no,
certe volte lo facevi...” - “... cosa stai dicendo? Quando mai l'avrei
fatto?” - rispose, alzando il tono della voce senza accorgersene. - “...
quella volta che sei venuta da me e non sei voluta rimanere, te ne
sei andata dicendo che dovevi tornare a casa... sbattendo la porta!” -
anche lui aveva alzato la voce. - “Non ho sbattuto la porta! E me ne sono
andata quasi subito perché eri ubriaco!” - “Sì, convengo che non era bello a vedersi... ma un po' più di
comprensione, bastava aspettare, mi sarebbe passato presto.” - “ Ma quale presto
che non riuscivi neanche a parlare! Comprensione per cosa? Ho cercato in tutti
i modi di passar sopra al tuo vizio, dovresti ricordarlo!” - “Mi ricordo di
essermi impegnato più che potevo, cosa ti aspettavi nelle mie condizioni? Quel
poco aiuto che mi hai dato, pensavi che facesse miracoli?!” - “Hai il
coraggio di dirmi che non ho fatto abbastanza?!”
- aveva perso le staffe e ormai stava gridando: “E tu allora,
cosa hai fatto per me?!!” - “... a quel
tempo purtroppo ben poco, adesso cerco di insegnarti a recitare... ad arrabbiarti ci riesci benissimo.”. Il
tono della voce era ritornato perfettamente normale, tranquillo come al solito.
Anne realizzò che l'aveva volutamente provocata per farla
arrabbiare, mettendoci qualcosa di molto personale altrimenti non avrebbe
funzionato; mentre lo faceva non le era passato lontanamente per la testa che
fosse una recita, reagendo istintivamente a quello che interpretò come un
momento... fuori di sé di Gerard. Imparò più da quella breve lezione che non
studiando, capendo cosa intendeva per caricare le parole.
Pensò che forse poteva farcela ma aveva troppa paura e glielo
disse. Gerard rispose: “Benvenuta nel mondo della recitazione, dove tutti
gli attori hanno paura di sbagliare e sudano, leggono il copione sino
all'ultimo secondo, fanno finta di niente o mille altre cose aspettando il
miracolo che immancabilmente, salvo imprevisti, accadrà: al via entreranno
nella parte e saranno quel personaggio, sino alla fine!” - “Ma... il
pericolo, c'è troppo rischio, Gerard!” - “Su questo sono d'accordo e hai
perfettamente ragione; ho cercato in tutti i modi un'altra via ma solo questa sento
che ha delle possibilità. Se davvero vogliamo aiutare Claude c'è da
rischiare e pagare un prezzo.” - “Ci saranno contatti fisici con altre
persone...” - “Eh sì... qualche attore lo considera un privilegio associato
alla professione, altri non ne vorrebbero proprio sapere, ma tutti al momento
stabilito faranno lavorare il loro corpo come uno strumento; una bella
esperienza, vedrai.” - “Se lo dici tu...” - “Non Gerard, lo dice il regista.”.
Ormai era deciso, non restava che imparare bene la parte e
trovare il miglior momento per farlo.
1° - sgomberare la scena.
Ottobre, il mese di transito tra la calda estate e
l'accorciarsi veloce delle giornate divenute via via più fresche, a volte
pareva procedere nella direzione opposta, risalivano le temperature e si
smorzava l'intensità del vento; anche la luce del pomeriggio pareva durare
qualcosa in più o
faceva piacere crederlo.
Fatto sta che quella mattina era ideale per visitare il
laboratorio e tutti gli strumenti del mestiere di apicoltore, con dimostrazioni pratiche di come si
ispezionavano le arnie in vista del riposo invernale. Jean partì presto assieme
a Thomas, l'apicoltore amico di Gerard (quello che ne accudiva le api, ormai
adottate).
Non sarebbe mancata l'occasione per vedere la semplice
lavorazione del miele e di masticare come fossero chewingum dei pezzetti di favo, con le celle colme di nettare ancora
chiuse dalla cera, cosa che gli piaceva molto.
Marie aveva ripreso la scuola e a quell'ora era già entrata.
Tra le poche cose da fare a casa, rimaneva da preparare il
pranzo e per questo motivo Anne dispensò Catherine, la quale poté andare a
preparare la chiesa per la funzione della domenica. Per Claude la situazione
non migliorava, ma si oppose con forza alla proposta della sorella di
sostituirla in cucina, volendo rendersi utile.
Buon segno, pensò Anne.
2° - sincronizzare gli orologi. Si parte.
La posta arrivata due
giorni prima non era ancora stata aperta da Anne. Chiese a Claude di andarla a
prendere e portarla nella saletta adiacente alla cucina che serviva anche da
dispensa, dove si sarebbero ritrovate appena finito di telefonare a Gerard.
Intanto poteva controllare se c'erano bollette da pagare e
nel caso annotare l'importo sul registro delle uscite. Claude fece quanto
richiesto e giunta nella saletta depose le buste sul tavolo, poi si sedette per
dividerle.
Da dov'era, attraverso le due porte aperte le arrivava la
voce di Anne che parlava usando il telefono del salone.
La posta non era molta, ma tra la pubblicità e un paio di
bollette risaltava una busta dall'aspetto importante con l'intestazione del
Ministero della Giustizia.
Come molte persone che per vari motivi non hanno avuto
abbastanza istruzione, anche lei provava un irrazionale soggezione nei riguardi
di ogni tipo di autorità, temendo di non poter far fronte alla loro conoscenza
delle leggi.
Si sentiva a disagio: aveva sempre temuto che qualcuno avesse
udito le troppe parole irresponsabili usate dai suoi parenti... pregò Dio che
quella lettera non ne avesse a che fare, lasciandola in disparte, quasi
nascosta dai volantini pubblicitari e iniziò ad aprire la busta della bolletta
elettrica. L'aveva in mano e stava leggendone l'importo quando ritornò Anne.
“Bene, eccomi qua...
ah, quella è di EDF (l'Ente
Elettrico Francese), le altre...” - Claude, vedendola interessarsi al materiale
pubblicitario, prima che fosse lei a chiederglielo le disse, senza guardarla
negli occhi: “ Signora, c'è anche una lettera... della Giustizia, eccola.”.
Anne vide che le tremava la mano, per un istante fu
attraversata da un atroce dubbio, voleva quasi cedergli, ma l'orologio era
partito... non era più possibile fermarlo, le conseguenze potevano essere
disastrose.
“Ohh! Questo genere di lettere non portano mai nulla di
buono.” - la aprì e iniziò a leggere, man mano il suo volto si irrigidiva e
dopo un po' si rivolse a Claude, già in attesa del peggio che non mancò d’arrivare.
- “Vuoi che ti dica cosa c'è scritto? Perché la faccenda ci riguarda tutti!”
- Claude non le aveva mai visto
quell'espressione sul volto, mai aveva sentito quella durezza nella voce; le
pareva di avere davanti un'altra persona. Stava per dirle di continuare, ma fu
preceduta dall'altra. - “Ecco il risultato di aver dato retta a quegli
incoscienti! Mi convocano per dei chiarimenti su come gestisco questo
posto, vogliono vedere le mie credenziali, i documenti, il contratto...” - a
fatica riuscì ad inserirsi in quello che stava diventando un fiume in piena:
“ Signora... è a causa mia, verrò con lei, spiegherò che sono
responsabile...” - “Ma cosa dici!! Di te
non gli interessa niente, vogliono colpire me... chissà cosa c'è dietro
questa storia. Maledizione, dopo tutto quello che ho fatto ecco la
ricompensa!!” - non la guardava neppure e le parole che usava... proprio lei,
Anne! - “Oh Dio, che cosa ho combinato!” - pensò Claude. L'impeto, il
crescendo della furia della signora le
impedivano di pensare, ma non si sentì ferire, anzi...
Qualcuna di quelle parole erano offese belle e buone che si
aggiunsero alla totale mancanza di riguardo; adesso gridava e aveva
preso a camminare per la stanza, scagliando con rabbia la lettera sopra il
tavolo, quasi lei non ci fosse!
Non riusciva a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie.
Ma sentì che quello sfogo, aspro e tagliente come una lama,
produsse qualcosa dentro di lei... stava cominciando a pagare... pensò
che in un modo o nell'altro doveva riuscire a mettere le cose a posto, dovesse
anche andarsene da lì non le importava, ma avrebbe risarcito Anne dei
dispiaceri che le aveva procurato.
Poi la signora senza dirle nulla si spostò nel salone,
chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasta sola, cercando di pensare a cosa fare si ricordò di
dover preparare il pranzo; fosse stato l'ultimo lavoro l'avrebbe comunque
fatto, perché aveva preso quell'impegno. Cercando di asciugarsi le lacrime si
trasferì nella cucina.
3° - la visita inattesa.
L'auto entrando fece un gran rumore, con una breve manovra
posteggiò sotto gli enormi platani del giardino con il muso già rivolto
all'uscita.
Claude poteva vederla facilmente dalla finestra della cucina
e poco dopo sentì aprirsi la porta del salone; anche Anne l'aveva udita e stava
uscendo per accogliere il visitatore. Non era il caso di farsi vedere in giro -
pensò Claude - continuando il suo lavoro; ma volle vedere, spostando appena la
tenda della finestra, chi fosse mai a quell'ora mattutina.
Era un uomo di mezza età, mai visto prima, alto e decisamente pesante; i vestiti già invernali
nonostante la tiepida giornata gli stavano stretti, forse erano di una taglia
inferiore e portava un enorme cappello ben calcato sulla testa.
Anne gli si fece appresso, all'inizio sembrò chiedergli chi
fosse, poi parve ricordarsene e da quel momento i movimenti dei due avevano
qualcosa di strano. Non richiuse la tenda, c'era qualcosa che non andava.
Ora era certa che si conoscessero perché il gesticolare indicava
tempi passati e l'uomo sorrideva amichevolmente; tuttavia aveva l'impressione
che Anne si spostasse ogni volta che lui le si avvicinava. Continuarono a
conversare per alcuni minuti, non si capiva se sarebbe ripartito subito o meno.
Rimase ed entrarono in casa; sapere quella persona
all'interno dell'abitazione la rese irrequieta.
I pesanti passi dell'uomo risuonarono nel corridoio mentre
seguiva Anne nel salone. Claude si spostò nella saletta accanto, adiacente al
corridoio; prima o poi avrebbe dovuto andarci per prendere delle scatole di
verdure dalla dispensa, così decise di farlo subito.
I due si erano fermati davanti alla porta del salone; adesso
distingueva bene le parole: una voce sgraziata che le fece una brutta
impressione, forse un vecchio compagno di studi, diceva di anni all'università
e di problemi economici.
Udì Anne dirgli: “Va bene, per non più di dieci minuti posso
ascoltarti, poi ci dobbiamo proprio salutare perché ho la responsabilità di
questa casa dove stanno per tornare le persone che ci abitano.”. Sentì aprirsi
la porta... ma non richiudersi; la cosa la agitò ancor più perché la signora
teneva alla riservatezza. Se non fosse stato per quanto accaduto poco prima
avrebbe pensato che lo facesse intenzionalmente, ma non ne era sicura.
Questo fatto assieme all'insistenza colta nel dialogare
dell'uomo la innervosiva, forse era suggestione ma decise di rimanere dove si
trovava: ritenne di non essere indiscreta perché pur percependone il tono non
distingueva del tutto le parole.
4° - la situazione precipita.
Nel salone la conversazione non procedeva tranquilla, con le
voci ora dell'uno e quindi dell'altra ad alzarsi oltre il normale; udì
distintamente la signora dire: “Basta così François, cosa ti sia successo da allora, trent'anni fa, non
mi riguarda, non intendo più parlare di quei tempi... devi smetterla!” - Claude
ne era sicura, quell'uomo la stava importunando!
Ancora voleva credere che passati quei dieci minuti Anne lo
congedasse, ma capiva che tra i due era in corso più che una discussione
animata, stavano proprio litigando, e i rumori di passi scomposti e poltrone
spostate non lasciavano dubbi, l'uomo cercava di starle appresso oltre il
lecito! Era combattuta e avrebbe fatto qualcosa in altre circostanze; però dopo
lo sfogo di Anne temeva di farla infuriare ancor di più intromettendosi.
Istintivamente si guardò attorno in cerca di qualcosa da
prendere in mano.
“Adesso telefono e faccio venire qualcuno!!” - stava proprio
gridando. L'uomo replicò: “Nessuno lo saprebbe...” - poi in un attimo non
furono più parole ma rumori e urla sino al grido: “Claudeeee!! Aiuto Claude!!!”
- afferrò quella lunga asta metallica che serviva a manovrare le provviste
nella dispensa e si precipitò nel salone. Quanto vide era inequivocabile,
vicino al telefono a penzoloni, l'uomo - che le dava le spalle - vestito
com'era arrivato con ancora l'enorme cappello in capo teneva avvinghiata Anne e
le stava strappando le vesti!
Lei resisteva cercando di divincolarsi ma era un gigante al
confronto; si accorse che stava arrivando Claude con il pesante bastone e si
lasciò cadere ritraendo le braccia.
Claude urlò a sua volta parole impronunciabili e non ci pensò
un attimo, giunta alle spalle dell'uomo, a sferrargli un violento colpo sulla
schiena.
Sentì un tonfo, il grasso e le vesti ne attutirono la forza.
Lui si girò, fu forse maggiore la sorpresa che l'effetto della bastonata. Non
poté far altro che proteggersi con le braccia all'arrivo del secondo colpo e
subito scappò verso l'uscita, rovesciando un mobiletto nella corsa.
Anne da terra gridò a Claude di fermarsi, di lasciarlo andar
via per non peggiorare la situazione.
Si trattenne a stento, benché in cattive condizioni la rabbia
che l'aveva presa la spingeva a rincorrerlo; qualcosa che forse proveniva dal
suo difficile passato da sposata si era aggiunto alle deboli forze... per
l'uomo poteva davvero finir male, la fortuna volle che non accadesse.
5° - riconciliazione.
Claude sentì la porta sbattere violentemente e l'auto
ripartire a gran velocità; si era chinata per aiutare la signora a rialzarsi e
si sentì male a vederla in quello stato: la maglia rimasta a coprire un solo
braccio e la camicia strappata; il gonfiore di un livido che cominciava ad
apparire sotto l'occhio.
Anne adesso piangeva tra le mani a coprire il volto, sfogando
l'angoscia e la vergogna per l'accaduto,
con Claude che la teneva abbracciata cercando di tranquillizzarla.
Rimasero un po' in quella posa che ricordava la pietà di una
statua del Michelangelo.
Quando si calmò Anne prese a ringraziarla per quanto fatto,
per averla salvata da una situazione vergognosa e pericolosa, ma ogni poche
parole riprendeva a piangere e singhiozzare. Claude la convinse ad andare a
distendersi nella sua camera.
Le chiese se fosse il caso di avvertire la polizia ma Anne
negò decisa: quell'uomo non si sarebbe più fatto vedere, aveva mal interpretato
la sua disponibilità ad ascoltarlo sperando in qualcosa che riempisse la sua
vita. Avrebbe avvisato chi poteva farsene carico ma le chiese di giurare che nessuno
avrebbe dovuto sapere nulla di questa brutta storia, nemmeno Catherine.
Claude giurò e una volta in camera le disse: “Signora, oggi
non potete presentarvi a pranzo in
queste condizioni! Lasci fare a me, dirò che ha avuto un mancamento... cose di
donne, poi è scivolata battendo il volto. Non è niente di serio ma per
precauzione è meglio che rimanga a letto; preparerò il pranzo e mi occuperò di
rimettere tutto in ordine nel salone.” - “Claude, perdonami per come ti ho
trattata prima, ne provo vergogna, non ho saputo trattenermi e...” - “No
signora, ha fatto bene, me lo meritavo... le confesso che mi faceva più male il
suo perdono che la sua collera; non posso far molto ma col tempo la ripagherò
di tutto.” - “Cosa dici, Claude! Sono io in debito con te! Non hai esitato a
rischiare, se fossi stata da sola... non oso immaginarlo! La lettera del
Ministero, non parlare neanche di quella, andremo insieme all'incontro e
cercheremo di sistemare quello che sarà possibile, senza coinvolgere anche
altri.” - “Non ne parlerò signora, grazie per permettermi di accompagnarla, non
se ne pentirà. Ma adesso basta pensarci, quando se la sentirà, mi ascolti, ne
parli a Gerard, si faccia consigliare.” - “Hai ragione, devo dirglielo al più
presto; un'altra cosa: riferisci a Jean che non me la sento di vederlo,
preferisco stia con voi oggi. Comunque chiedigli se ha visto le api regine e
quando puoi fammelo sapere.”.
Claude la aiutò a distendersi dicendole che le avrebbe
portato in anticipo il pranzo e le accarezzò la testa salutandola; Anne si
accorse che la mano non le tremava e ora la guardava dritto negli occhi...
Catherine fu la prima a tornare e andò subito in cucina per
dare una mano.
Erano mesi che lavorava duro, sbrigando anche la parte della
sorella pur se Anne non era d'accordo. Avrebbe fatto qualunque cosa, in
aggiunta alle sue preghiere, per scacciare quella che riteneva la maledizione
di qualcuno nei loro riguardi.
Come vide Claude intuì che era accaduto qualcosa, fu presto
informata del mancamento della signora ma non c'era da preoccuparsi, il pranzo
era preparato e lei poteva andare a cambiarsi, visto che era tutto pronto.
Tranquillizzata sulle condizioni di Anne guardava incredula la sorella. Da
tempo non la vedeva così: aveva nuovamente raccolto i capelli a chinon con il
fiocco provenzale, lasciando vedere il viso che per quanto portasse evidenti
segni di sofferenza era più luminoso e disteso. Anche la schiena che un poco
aveva cominciato ad incurvare pareva ritornata diritta: era successo qualcosa
di grosso, ne era certa e provò a sollecitare maggiori informazioni.
Ma se fino a poco prima doveva badare a lei, ora aveva
nuovamente di fronte la sorella maggiore, a riprendere le redini della
famiglia, la sicurezza che emanava non lasciava dubbi.
Catherine, non sbagliando di molto, pensò che l'aiuto dato
dalla sorella ad Anne fosse stato molto di più di quel che aveva deciso
di raccontare e forse questo le aveva ridato fiducia.
Non voleva insistere oltre, lei badava ai fatti e non
aveva ambizioni, per questo si sentì felice di ritornare a essere la sorella
minore.
Marie arrivò di lì a poco e le ci volle ancor meno a sentire
che la mamma era guarita (così disse a Jean) ed ebbe ragione a
crederlo, perché quel dolore continuo che la prostrava impedendogli di
alimentarsi a sufficienza scomparve... e in capo a pochi giorni riprese a
mangiare normalmente!
Jean fu l'ultimo, Thomas lo accompagnò sino alla cucina
portando uno scatolone dei suoi prodotti e si accomiatò in fretta. Il ragazzo
incrociò lo sguardo di Claude che non lo ritrasse come al solito. Non gli
occorreva altro per capire che il suo regista preferito aveva avuto il
successo che meritava; finì di recitare la sua piccola parte quando Claude gli
riferì le parole in codice di Anne a cui rispose: “Sicuro che le ho
viste le regine, proprio come mi immaginavo, magnifiche!”.
Ebbe modo in seguito di farsi raccontare i particolari da
Anne a cui il rivivere quell'esperienza portò nuove emozioni.
Jean le disse che era orgoglioso di lei e si lanciò in altri
elogi, dicendole che non sospettava
avesse quel grande talento nascosto da qualche parte; poiché sembrava
prenderci gusto con l'adulazione, Anne gli rispose sorridendo: “Zip your
lips!” - “Sai che non ci piglio con
l'inglese, cosa significa?” - “Vuol dire che l'argomento è chiuso... e che è
ora del the.”.
Tre giorni dopo il tempo era talmente bello e mite che
decisero di andare tutti a trascorrere una
giornata al Lieu, dove potevano mangiare nella piccola cucina del
cabanon riscaldata con una stufetta a
gas.
Da molto tempo quel luogo non li rivedeva uniti e in discrete
condizioni.
Pareva di ritornare da un amico che pur privato della magia
della lavanda - data la stagione - non
lo era da quella della luce del cielo che quel giorno aveva qualcosa di
speciale, indescrivibile per tutti ma non per Jean e Marie, ai quali fu
concesso dalle circostanze, dal caso o dagli occhi di vedere più di quello che
tutti vediamo.
Le tre donne all'interno del cabanon preparavano il pranzo;
sembrava impossibile che avessero dovuto attendere così a lungo per ritornare
in un luogo che amavano, pur avendolo così a portata di mano.
Là il tempo e i pensieri scorrevano in modo differente, una
cosa che ognuna a proprio modo conosceva; in più oggi si sentivano rinfrancate,
come se si fossero immerse in una pozza d'acqua curativa che lenì il dolore di
cicatrici non solo fisiche.
La mente funzionava al minimo come un'auto di cui non si
avverte il rumore del motore, così che i sensi, ritornati padroni
dell'esperienza collegavano in un unico flusso interno ed esterno.
Questo contava veramente, si avesse o meno qualche sensazione
tutto il corpo ne era interessato;
il risultato, un rilassamento e una contentezza senza motivo,
era una vera benedizione.
Quando fu pronto mangiarono con calma e discreto appetito.
Nessuno aveva voglia di parlare se non per chiedere qualcosa che mancava sulla
piccola tavola. Non per mancanza di argomenti: erano appagati dalla calda sensazione che viene dallo stare
assieme condividendo cose semplici, non serviva altro.
Al termine si spostarono all'aperto: Jean vi rimase poco
perché preferì riposare subito sì da avere più tempo in seguito per l'ultima
passeggiata, quando il sole avrebbe iniziato la discesa, uno dei momenti che più amava.
Arrivato quel tempo invitò Marie, non preferendo più rimanere
solo come in passato. Per la prima volta ammirava l'aspetto del Lieu in
ottobre, frequentato sinora solo durante i mesi della fioritura della lavanda.
Ne rimase affascinato; il paesaggio colorato dal giallo della
vegetazione quasi autunnale si mescolava alla luce del sole che calava; ci
sarebbe stato un momento in cui i due toni si sarebbero accordati come
strumenti musicali.
I ragazzi nei loro caldi maglioni poterono passeggiare
liberamente nei campi spogli, quanto erano mancati anche a loro quei momenti!
Semplicemente camminare piano osservando ogni cosa si presentasse e riferendolo
all'altro.
Certo la maggior parte dei giovani non sono come loro, ma
anche le circostanze fanno le persone: se l'unica vita che conoscono è quella
dello stimolo continuo non è facile che li incuriosisca la coda storta di una
cincia od i diversi colori dei bombi. Ma c'è sempre speranza, perché la traccia
del bambino rimane nell'adulto e potrebbe ancora accadere domani.
Avevano camminato oltre il limite del campo dove c'erano
delle grosse rocce su cui sedettero a riposare. Davanti ai loro occhi il
paesaggio si distendeva senza limiti; il sole si trovava alla loro sinistra
cominciando adesso ad essere nascosto dal costone di una collina.
La luce ora cambiava in fretta ma per un poco rimase ferma,
quasi sospesa... il lento respiro dei due ragazzi procedeva uguale a quello del
cielo, con quella luce che diminuiva e
aumentava appena.
Da quel cielo davanti a loro scendevano miriadi di
particelle appena più luminose, dalla forma tonda e a virgola; appena i loro
occhi si abituarono a distinguerle ne videro sempre più, che tutto il cielo in
ogni direzione ne era pieno.
Non si agitarono né dissero alcunché, per quanto meraviglioso
non rimasero sorpresi, quasi fossero preparati. Durò molti minuti, poi la luce
cambiò sciogliendo l'incantesimo.
Era tempo di tornare e una volta alzati Jean disse: “Marie,
quello che hai visto le altre persone non l'hanno mai visto... è una forma di
luce, quello che c'è dentro la luce... non parlarne, capirebbero cose
sbagliate.” - “Va bene, ma se anche tu l'hai visto, perché gli altri non
possono vederlo?” - “Non succede spesso, bisogna trovarsi in un certo posto
in un certo momento, restando calmi... ma anche se tutto è come
dev'essere questo spettacolo decide se mostrarsi oppure no.” - “Allora
ho avuto fortuna oggi!” - “Sì Marie, una grande fortuna per tutti e due.”
- “Ma tu come conosci queste cose, Jean?” - “Non lo so, ma quando succedono sento
la risposta, mi viene in mente qualcosa ed è la risposta.” - “Ohh... se mi
accadesse con la matematica!” - “Chi lo sa! Un giorno potrebbe
succedere!” - rispose sorridendo.
L'appuntamento col magistrato che le aveva convocate era per
un venerdì pomeriggio di novembre, ad Avignone.
A Catherine era stato detto che il viaggio aveva uno scopo fiscale:
il controllo dei contributi versati e delle tasse pagate.
Claude si era completamente ripresa ma questo colloquio la
preoccupava molto. Per quanto poteva, con gran sollievo di Anne, riusciva a
mantenersi calma. Era un'altra Claude, più sicura e tranquilla di prima.
Partirono la mattina e fecero il viaggio con calma; ad
Avignone le attendeva Nicole, la moglie di Mathieu, con cui fecero colazione.
Poi visitarono brevemente la città che piacque molto a Claude.
Mangiarono al solito ristorante, purtroppo Mathieu aveva
degli impegni e non poteva essere con loro. Arrivò il tempo di recarsi in
quell'edificio dove Nicole le salutò pregandole di chiamarla al termine,
sarebbe arrivata in meno di venti minuti. Anne prese la grossa cartella con i
documenti e si avviò con l'amica.
Entrando Claude ebbe un momento di crisi, la sua storia -
all'inizio d'amore - con l'ex marito si concluse in un posto simile. Ma serrò
la mascella e mantenne il passo di Anne, seguendo le indicazioni sino alla
porta dell'ufficio.
Suonarono il campanello e attesero per poco, un uomo di mezza
età venne ad aprire e le fece accomodare sulle due poltroncine davanti ad una
grande scrivania quasi del tutto sgombra.
Un altro funzionario, del tutto indifferente al loro arrivo,
lavorava nella stanzetta attigua divisa da un basso tramezzo.
“Adesso ci siamo, in qualche modo finirà, che Dio ci aiuti.”
- pensò Claude.
Il funzionario dai pochi capelli compensati dalla folta barba
non aveva fretta, si presentò invitandole a fare altrettanto, chiese se il
viaggio fosse andato bene e se volevano dell'acqua o qualcos'altro.
Claude fu rincuorata da quei modi gentili e cominciò a
sperare.
“Prima di cominciare devo chiarire che questa convocazione
non è ufficiale, le parti hanno convenuto, ognuna per i propri interessi, di
ottenere ogni informazione utile a dirimere le controversie in merito. Allo
scopo sono stato incaricato di acquisire da tutti i soggetti interessati ogni
elemento di rilievo, da utilizzarsi al momento opportuno.
Ho facoltà di agire secondo le modalità che ritengo più
idonee, così acconsento alla vostra richiesta di essere presenti entrambe,
all'unica condizione di non fare menzione a terzi di quanto verrà detto in
questa sede, pena l'annullamento degli elementi acquisiti per questa via e una
successiva convocazione ufficiale separata.
Lei (rivolto a Claude) ha compreso bene quale sia la
condizione? Le faccio presente che è una situazione delicata, le conseguenze
potrebbero anche compromettere la posizione della signora Anne.” -
Claude aveva capito bene e rispose: “Non le nascondo che sono ignorante,
Dottore, ma capisco quando mi dicono che non devo parlare di informazioni
riservate, le giuro che non una sola parola uscirà dalla mia bocca, la
prego di credermi.” - “E lei, signora Anne, vuole avvalersi del contributo
della sua dipendente in questa sede, la signora Claude ha la sua fiducia?” -
Anne rispose: “Ritengo importante il suo contributo e le confermo che ne ho
assoluta fiducia.” - Claude fu colpita da quell'assoluta e si promise di
ringraziarla ancora una volta in seguito. Il funzionario cominciò: “Allora, visto
che è tutto chiaro ecco quello che ho da dirvi. Signora Anne, lei sa bene che
vi sono diversi interessi sulle proprietà in questione, per la quasi totalità
delle quali è legittimata da regolare contratto ad amministrarle; poi le
chiederò di visionare i documenti originali che lo comprovano.
La sua posizione è complessa perché allo stesso tempo è anche
responsabile della salute e dell'educazione di Jean, con il dovere e piena
libertà di fare tutto quanto sia necessario. Tale incarico le fu affidato da tutti
gli aventi titolo, i documenti risultano regolarmente registrati presso un
notaio. Nei dieci anni trascorsi da allora non risulta nessuna richiesta di
modifica dell'incarico conferitole, ma con la morte del padre - il signor
Marcel - la situazione è cambiata: sono state depositate istanze, anche da
altre persone aventi titolo che richiedono una revisione delle condizioni
contrattuali. A queste richieste, giustamente, i legali che la rappresentano
hanno subordinato la verifica della posizione giuridica delle stesse persone e
la validità dei documenti addotti da un
altro soggetto importante, la signora Valéria, convivente del defunto Marcel.
La procedura è stata avviata ma nel frattempo la richiesta di
revisione si è arricchita di nuovi elementi che sono stato incaricato di approfondire.”.
Ecco che si arrivava
al dunque, pensò Claude.
“Questi nuovi elementi hanno a che fare con le modalità di
espletamento della funzione di sorveglianza ed educativa affidata alla signora
Anne - il funzionario capì di dover esprimersi più semplicemente - in poche
parole, sono state depositate... delle osservazioni che riferiscono di
una situazione riguardante il ragazzo lasciata un po' a sé stessa, senza
adeguato controllo. Sull'argomento ho preparato delle domande per entrambe a
cui vi chiedo di rispondere, se siete d'accordo.” - “Siamo senz'altro
d'accordo, vero Claude?” - “Sì signora, dirò solo la verità.”
- rispose, e anche il funzionario ne apprezzò la semplicità.
- “Non lo dubito, comunque iniziamo con lei, signora Anne: può confutare
l'osservazione che il ragazzo sia stato lasciato per lunghi periodi da solo,
senza nessuna assistenza?” - “Mai una sola volta dall'inizio ad oggi è mancata
al ragazzo la sorveglianza: io, Claude o sua sorella Catherine siamo sempre
state presenti o nei paraggi, intendendo dentro casa o nel giardino della
stessa, se le condizioni di Jean erano buone. Quando la sua salute l'abbia
richiesto la nostra presenza va intesa come assistenza fisica. Nei
casi in cui altre persone oltre a quelle citate, su mia autorizzazione si sono
rese disponibili al controllo e ribadisco solo se le condizioni del ragazzo
fossero buone, prima sono state adeguatamente informate su come
intervenire in caso di emergenza.” - “È vero che diverse volte di tale sorveglianza
sia stata incaricata una bambina di quattro anni più giovane del ragazzo?” -
Claude ebbe un sussulto, quelle erano
domande precise e purtroppo conosceva chi poteva averle suggerite. - “Non è
corretto, signore, la bambina - Marie - è figlia della mia dipendente che come
saprà risiede nella casa accanto. Vivendo in un ambiente rurale ne sopportiamo
il relativo isolamento, è naturale che le poche persone residenti
familiarizzino per alleviarlo, tuttavia questa amicizia del tutto normale
non è mai stata sfruttata per coprire le mancanze di qualcuno; tali
affermazioni devono essere provate, alle insinuazioni risponderemo per vie
legali!” - “Comprendo il suo disappunto, non è questa la sede, a me bastano
delle chiare risposte in merito.”.
Claude era un po' in soggezione, parlavano così bene! Sperò
di essere in grado di rispondere correttamente quando fosse toccato a lei; in
futuro forse doveva leggere di più per cercare di migliorarsi, troppe volte si
sentì messa in disparte per questo.
Le domande proseguirono per un altro quarto d'ora toccando
tutti gli aspetti della loro vita; ebbe l'impressione che li stessero
osservando da tempo con un cannocchiale... come potevano sapere tutte quelle
cose?!
Arrivò il suo momento di rispondere e strinse le mani per
concentrarsi. - “Ora, signora Claude, alle successive domande lei può dare
risposte più approfondite, avendo diretta conoscenza delle situazioni a cui
fanno riferimento, iniziamo subito: è vero che alcuni suoi parenti hanno avuto
modo di trascorrere abbastanza tempo nella sua abitazione e di conoscere le
altre persone di cui stiamo parlando?” - “Sì, si sono spostati per lavoro e non
conoscevano nessuno oltre a noi, così abbiamo iniziato a frequentarci.” - “Ma
oltre alla sua famiglia, hanno conosciuto di persona anche Anne e Jean?”
- “Non sono mai entrati nella loro casa, le giuro che quando Anne e Jean non
c'erano non li ho mai fatti entrare, si sono conosciuti all'esterno e si
salutavano per cortesia.” - “E che lei sappia, hanno avuto modo di conversare
con loro e conoscere come si svolgeva la vita all'interno della casa, ad
esempio come trascorrevano il tempo Jean e Marie?” - “Li ho visti solo
salutarsi, mai parlarsi né entrare nella loro casa.” - “Allora come avrebbero
potuto sapere che i ragazzi si frequentavano da tempo, forse era Marie o sua
sorella che fornivano queste notizie?”
- “No, Dottore, Marie non parlava con loro, non legava
neppure con i figli e mia sorella non approvava la confidenza tra me e i miei
parenti. Se hanno saputo qualcosa l'hanno sentito da me; in buona fede spiegavo
loro di mia figlia, come viveva e le sue amicizie perché era un momento
difficile per la piccola e credevo potessero consigliarmi.” - “Pare che
l'abbiano ben consigliata, si è rivolta a degli esperti, sono iniziate delle
cure appropriate, quindi ne aveva fiducia?” - “Sì, ne avevo fiducia.” - “I suoi
parenti potevano avere qualche interesse a diffondere notizie delicate, senza
controllarne la veridicità?” - “Quello
che dicevano a volte mi pareva esagerato, ma erano discorsi fatti in casa;
ero preoccupata per mia figlia, non prestavo molta attenzione a quelle
parole, spesso andavano a ruota libera... non pensavo che ne parlassero ad
altri.” - “Le spiego meglio quello che intendevo: i suoi parenti l'hanno ben
consigliata riguardo al consultare degli esperti; poterono farlo perché
passando così tanto tempo con voi ebbero modo di osservare bene il
comportamento di Marie, avevano buone intenzioni, anche se erano un po' esuberanti.
Se in qualche modo avessero saputo o intuito qualcos'altro... dobbiamo
presumere le loro buone intenzioni nel riferirglielo, è d'accordo?” -
“Queste altre cose che andavano dicendo, non potevo neppure pensarci! Glielo
dissi, ma non come avrei dovuto...” - “Mi rendo conto di quanto l'abbiano
turbata, ma è prova d'amicizia dire tutto quello che può aiutare, anche quando
fa male sentirlo. Perché non considerare che, magari sbagliando nel modo, ci
fosse qualcosa di plausibile nelle loro osservazioni?” - “La mia famiglia ha
vissuto più di dieci anni con Anne e Jean, tutti i giorni, non è possibile che
a me o mia sorella Catherine siano sfuggite cose del genere!” - “Ma altri occhi
potevano vedere quello che per lei non era neppure pensabile... lei e
sua sorella siete dipendenti della signora Anne, a cui dovete il lavoro e
l'alloggio, è naturale sentirsi in debito e in buona fede lasciar correre
qualche piccola cosa...”.
Claude cominciava a sudare, intuiva dove voleva giungere e ci
sarebbe riuscito a portarla, perché la logica oltre ai fatti le dava contro. E
rispose nell'unico modo di cui era capace, col cuore: “Dottore, io ho
sbagliato, deve sapere che la mia famiglia ha sofferto molto per la fine del
mio matrimonio e l'allontanamento del padre, per questo Marie ha tutti questi
problemi, non per altre cause. Io stessa
ho ancora dei rimorsi, mi chiedo sempre se dovevo agire diversamente; quando
sono di fronte ad una famiglia intera e
unita come quella dei miei parenti mi sento in colpa... come se l'avessi
negata ai miei figli. Se sono stati capaci di conservare la propria famiglia,
allora credevo di dover imparare da loro, ascoltarli e dargli fiducia.
Ma troppo tardi mi sono accorta che dopo aver teso la mano si
sono presi il braccio.
Tutte le storie che hanno messo in giro sono solo spazzatura;
non so perché agirono così, non credo che avevamo qualcosa da invidiarci,
abbiamo ben poco... una delle poche cose belle ce l'hanno quasi portata via: la
tranquillità, con la quale potevamo risolvere col tempo anche i problemi di
Marie. Mi sono affrettata a seguire i loro consigli perché ho temuto per la mia
piccola, di tutto il resto sono responsabile perché dovevo fermare le loro insinuazioni
e non ne sono stata capace.” - parlò di getto e non ci sarebbe stato verso di
fermarla, né il funzionario l'avrebbe voluto.
Lui e Anne ascoltarono le due verità a confronto, quella che
proviene dalla logica e dai fatti e quella che proviene dall'intimo di una
persona; se un giudice le avesse ascoltate entrambe sarebbe stata la sua
coscienza a decidere, perché l'una escludeva l'altra. Ma rifiutare la verità
del cuore, quando sia manifesta, comporta un prezzo alto anche per un giudice.
“Signora Claude, io non devo giudicare nessuno, tanto meno in
questa sede, ascolto le risposte di ognuno e le registro. Posso fare delle
domande dirette come posso acquisire una dichiarazione. Quest'ultima risponde
al resto delle domande che avevo ancora in serbo per lei. Non ho altro da
chiederle e tuttavia, al di là del mio compito, vorrei dirle di non
preoccuparsi. Nel caso fosse chiamata a rispondere in un'altra sede con più
persone ad ascoltarla, a domande come quelle che le ho fatto oggi, si comporti
come le viene di fare.”.
Anne lasciò al funzionario alcuni fascicoli personali e
furono congedate, l'uomo si alzò ad aprirle la porta e le salutò con rispetto;
per Claude fu la fine di un incubo.
Una volta all'esterno Anne telefonò a Nicole e quasi gridò
dalla gioia: Gerard sarebbe arrivato in serata
ad Avignone, potendo restare qualche giorno!
Claude le disse d'un fiato: “Signora, si fermi qui, posso
prendere un autobus per il ritorno, a Jean, alla casa, penserò io... si fidi la
prego, mi permetta di farlo.” - Anne la guardò e non poté fare a meno di
intenerirsi, avrebbe fatto più di qualunque cosa le chiedesse. Non voleva un
tale squilibrio nel loro rapporto così le rispose: “Claude, se avevi ancora
qualcosa da pagare sei andata oltre... in questo modo non riuscirò mai a
pareggiare i conti con te, hai fatto più di quanto dovevi e mi ricorderò sempre
che mi hai salvata. Sì, mi farebbe piacere rimanere, ma potrei accettarlo
solo a due condizioni.” - “Sì, sì... me le dica.” - “La prima è che tu ritorni
con tutte le comodità in un taxi, sei d'accordo?” - “Ma... va bene accetto, mi
dica l'altra, signora.” - “La seconda è veramente difficile, se dopo che me
l'avrai promessa te la rimangerai mi sentirò libera di arrabbiarmi... più di
quanto mi hai visto fare, sei pronta?” - Claude ebbe un'esitazione, ma Anne le
parlava con un bel sorriso e fece cenno di continuare. - “La condizione è che
tu, da adesso e per sempre non mi chiamerai più signora, ma
Anne... non sono la tua padrona, per Dio! Sono tua amica!”.
Claude dovette fare uno sforzo, anni di abitudine da
cancellare in un istante, ma ne capiva il senso e riuscì a risponderle: “Sì
Anne, sei davvero la mia sola amica...”.
Capitolo 19 - Come andarono
le cose
A Claude ritornare a casa nel comodo taxi fece davvero
piacere; quella considerazione nei suoi riguardi completò il suo recupero. Da
allora non avrebbe più permesso a nessuno di trattarla con sufficienza o di
approfittare della sua ignoranza.
Prima della partenza chiese di fermarsi in una libreria per cercare un
libro. Non ne aveva letto che un paio durante la scuola e non aveva la minima
idea di cosa prendere; pensò di farsi guidare dalle belle copertine per avere
un'indicazione, ma abbandonò questo criterio quando leggendo i nomi degli
scrittori arrivò alla “G” di Giono, anch'egli portava il nome Jean... e decise
per quello. Lesse che diversi suoi libri erano ambientati in Provenza, compreso
il primo, quello che gli aveva dato notorietà e che risaliva agli anni '30. Fu
uno scrittore davvero prolifico che nacque e morì a Manosque, così vicino alla
sua cittadina! E lei non ne sapeva niente, non era neppure mai entrata in una
libreria sino ad allora. Si chiese il perché senza trovare risposta.
Decise di acquistare proprio quel libro d'esordio dello
scrittore, “Colline”, sentendo che non sarebbe stato l'ultimo.
Al vederlo Anne le disse che poteva darle il suo, ma lei
rispose: “No, ti ringrazio, è il mio primo libro, troppo importante per averlo
di seconda mano.”.
Anne rimase di stucco dalla bella risposta e dalla
franchezza!
Nicole e Anne una volta a casa iniziarono a preparare la cena. Mathieu e
Gerard sarebbero arrivati assieme; si
preannunciava una serata, se non una nottata, con pochi tempi morti; c'era così
tanto da raccontarsi!
Le due coppie si riunirono per la prima volta assieme,
esauriti abbracci e saluti di rito, fu convenuto di non parlare dell'argomento
principale: la fatica delle due donne ai fornelli meritava almeno un'ora di
tranquillità.
L'ora passò e non rimase traccia di tale fatica; iniziarono a
parlare e passarono le ore... ma procediamo con ordine, per spiegare come
andarono le cose.
Mathieu: “Se tutto quello che abbiamo fatto è andato in porto
prima di tutto dobbiamo rendere merito al suo ideatore, al regista che ha
saputo cucire un tale abito dovendolo fare senza essere presente; una vera
impresa, lasciatemelo dire.
Noi tutti siamo stati orgogliosi di avervi partecipato ma
ancor più felice di noi è la società telefonica che ha potuto arricchirsi con
le nostre interminabili telefonate!” - applauso e risate (le bollette
dovevano ancora arrivare...).
Gerard: “Avete compiuto qualcosa di straordinario; recitare al
buio, senza prove e mescolando realtà e finzione. Una specie di esperimento,
questa mi pare la parola adatta. Ma il desiderio di aiutare la nostra amica
Claude per fortuna vi ha resi ciechi di fronte alle difficoltà e ai notevoli
rischi, tocca a me applaudirvi!”.
Anne: “Non potete immaginare in che condizioni si trovava
Claude, se non fossimo intervenuti... Gerard, devo ringraziarti per la fiducia, ma ora che è
finita, se penso a cosa ho fatto mi vengono i brividi.” - Mathieu: “Ohh...
parli come un'attrice! Com'è stato difficile... ero al limite... non potrei
rifarlo. Poi arrivano altre scene, nuove difficoltà... e si accetta la
sfida.”.
Nicole: “Gerard, come ti è venuta in mente una cosa del
genere?” - egli rispose: “Ho visto Claude nel film della lavanda e l'ho
incontrata in seguito per poco tempo, sufficiente per capire che è una persona
semplice e pratica. Una tale persona quando sbaglia si aspetta di pagare, in
qualche modo deve pagare, o non avrà pace con sé stessa. Il perdono di
Anne (che le rende merito, avendo permesso di riportare a casa Marie) teneva i
conti aperti, incolmabili. Così ho cominciato a pensare a come farla pagare
e con l'aiuto indispensabile di Mathieu abbiamo progettato la messinscena.
Tutto dipendeva da Anne, era una recita ma doveva picchiare sul serio... e
dopo aver iniziato a pagare serviva una grossa occasione per riscattarsi,
sentirsi utile; abbiamo messo le due cose insieme, tutto in una volta e via!”.
Quel giorno le due donne dovevano restare in casa da sole; si
organizzò per tempo la gita di Jean, mentre non c'erano problemi per Marie;
solo per un momento si temette che Catherine mandasse tutto all'aria,
fortunatamente le sue abitudini e le sollecitazioni della sorella la convinsero
ad allontanarsi.
All'inizio Anne non telefonò a Gerard, bensì a Mathieu che
fece partire il tempo, lasciando nell'occasione il telefono penzoloni con la
linea attiva, per permettergli di ascoltare come procedevano le cose. Anche la
lettera del Ministero della Giustizia era ovviamente opera sua. Anne aveva
venti minuti.
Il luogo della discussione e tutti i particolari, compresi i
suoi vestiti, erano stati studiati con cura. François, il vecchio compagno di
studi, era un cascadeur (stuntman) che Mathieu conosceva bene, il quale
fu contento della proposta; anche se non sarebbe stato visto da nessuno aveva
l'occasione di recitare e non solo di rischiare l'osso del collo sostituendo
gli attori nelle scene pericolose.
Calcolò perfettamente il tempo della sua entrata in scena ed
era preparato, dopo le urla di Anne, a subire la reazione di Claude.
Ammise di aver esagerato un po' con Anne per rendere
realistica l'aggressione, ma il livido se lo procurò da sola, sbattendo la mano
contro il viso nella fretta di ritirare le braccia. Non sbagliammo a prevedere
che Claude si sarebbe servita del bastone di ferro, ma la schiena e il capo di
François erano stati imbottiti e potevano sopportare ben di più.
Mathieu apprezzò grandemente la recitazione di Anne,
ascoltata al telefono fin quando non si trasferì nella sua camera. In caso di
bisogno era pronto in ogni momento ad intervenire mandando un altro suo uomo,
il quale attendeva nel bar di René, da dove era partito anche François. Ma
fortunatamente non servì.
Per finire l'opera, un attore reclutato da Mathieu ricevette
le due donne presso l'ufficio di un funzionario suo amico prestatosi alla
commedia, convinto fosse a scopi cinematografici. Costui ritenne la sua
recitazione (fingere totale disinteresse..!) buona al punto da meritarsi
una qualche parte in futuro... Mathieu dovrà ricordarsi di lui, cercando di
fargli fare la comparsa in qualche produzione.
Purtroppo quello di cui si parlò non era invenzione, le
notizie giunsero dal notaio amico di Anne e in parte da sua moglie che le
acquisì per altre vie.
Gerard chiese come Sophie
riuscì ad allontanare quei parenti, senza il suo intervento non ci
sarebbe stato nessun seguito. Anne lo venne a sapere dall'amica, la quale si
raccomandò alla sua riservatezza; anche se parlandone le sembrava di tradire
il patto allo stesso tempo si sentiva in obbligo di condividere tutte le
informazioni... gli amici degli amici sono miei amici... quindi disse:
“Sophie sa capire da pochi elementi le persone con cui ha a che fare, un po'
come Gerard. Rimane un mistero per me come abbia una tale esperienza di
situazioni difficili e di come risolverle. Noi forse non avremmo agito come lei. Mandò da
quelle persone, mentre lavoravano in un mercato, un uomo di cui si fidava.”.
Il resto della storia è questo: l'uomo prese a parlare con
il capofamiglia del più e del meno ma allo stesso tempo osservava con
insistenza dei grossi copriletti imbottiti e ricamati, la merce più
costosa.
Il titolare non ebbe fretta, rispose alle sue domande e
non lo sollecitò, presagendo la possibilità di una vendita. Il possibile
acquirente chiese in quali mercati esercitassero e al nome di una grossa città,
dove si sarebbero recati di lì a due giorni, mostrò grande soddisfazione
entrando nel merito. Disse di ricercare un articolo per un regalo importante,
destinato ad una famiglia che risiedeva nella stessa città; domandò se fosse
possibile, dopo averlo pagato che venisse ritirato in quella sede. Ovviamente
si. Un'ultima cosa, non era sicuro del colore, anche se quello dai toni rossi l'aveva quasi convinto. Una volta
pagato l'avrebbe portato a casa per mostrarlo alla moglie, tempo un paio d'ore
e sarebbe ritornato per la conferma oppure l'avrebbe sostituito con un'altra
tinta. Nessun problema. Così fece e pagò senza fiatare. Ritornò confermando
l'articolo e lo riconsegnò, sulla confezione c'era scritta una frase d'auguri;
lo avrebbe ritirato un ragazzo
riferendogliela. “Una gran bella vendita, non sembrava un tipo sveglio.” -
pensò l'ambulante che aveva alzato il prezzo in attesa della normale
contrattazione che avviene in un mercato. Ma andò liscia; lasciò volentieri il
suo numero telefonico al cliente, di quella specie non si incontrano
facilmente. Si salutarono e nell'osservarlo andar via notò quanto era elegante:
abiti costosi, probabilmente fatti su misura.
All'andar via si accorse che immediatamente una persona
dalla bancarella vicina si mise a seguirlo: svoltava dove lui svoltava, rimase
fermo mentre l'altro si guardava in giro e poi riprese a stargli dietro, almeno
fin dove poté vederli.
Era troppo curioso per lasciar perdere, chiese alla moglie
che riferì la stessa impressione.
Si rivolse alla bancarella vicina e domandò se avessero
visto quell'uomo: sì, erano diverse volte che andava e tornava a rovistare tra
la ferramenta in vendita senza comprare niente, così lo tenevano d'occhio
pensando volesse sottrarre qualcosa, anche se non era merce di valore come
quegli articoli ricamati.
Anche loro si accorsero che osservava, cercando di non farsi
scorgere, l’elegante cliente alla bancarella a fianco ed erano altrettanto
certi che lo stesse seguendo, ma non volevano impicciarsi in cose che non li
riguardavano.
Senza farsi notare il capofamiglia entrò nel furgone dove
aveva riposto il copriletto con la dedica e lo prese in mano, confrontandolo
con un altro uguale nell'altra mano... di poco, ma era sicuro che la scatola
fosse più gonfia. Forse aveva inserito qualcosa all'interno, un altro regalo,
un libro, niente di strano se non fosse per quello che aveva visto.
Ci pensò tutto il giorno e alla sera, assieme alla moglie,
si decisero a dare un'occhiatina.
Si sarebbero pentiti presto della loro curiosità.
Appoggiarono la grossa scatola sul tavolo della cucina e
con l'aiuto del vapore per non danneggiarne la carta colorata, pian piano
tolsero tutti i pezzi di nastro adesivo. Davvero abili, avevano una certa
esperienza; estrassero delicatamente il copriletto ripiegato in tre strati e
sentirono subito che c'era qualcosa di rigido all'interno. Alzarono il primo strato... rimanendo
ammutoliti.
Come in un romanzo giallo l'interno del secondo strato del
copriletto, quello di mezzo, era stato asportato, tagliandolo salvo i bordi per
far posto ad un contenitore avvolto in un tessuto nero.
Il copriletto non era un regalo, ma serviva per occultare
qualcos'altro, non si rovina un dono per farne un altro, su questo non c'è
alcun dubbio.
Rimosso il contenitore e messolo sul tavolo tolsero il
tessuto che faceva ben due giri attorno ad una scatola di legno, nera a sua
volta, circa 30x40 cm e alta 7.
Il coperchio rientrava nella scatola, dell'altro tessuto
nero che fuoriusciva da tutti i lati per qualche centimetro faceva tenuta. Non
c'erano chiusure o sigilli.
Potevano ancora fermarsi e rimettere tutto a posto,
nessuno si sarebbe accorto della loro ispezione, ma non ci pensarono proprio.
Alzarono con la massima attenzione il coperchio usando due
sottili lame per svincolarlo dalla sede e lo appoggiarono sul tavolo. Tolsero
il tessuto nero adagiato sulla scatola
ora aperta e videro la grande busta nera che si trovava all'interno.
Le dimensioni erano appena inferiori alla scatola e
usarono la medesima attenzione per mettere anch'essa sul tavolo, ora ingombro
di tutti quei materiali.
Sotto la busta contarono 20.000 franchi in banconote di
grosso taglio; se ne intendevano di banconote e quelle non erano false.
Quel denaro impedì loro di comprendere che procedevano su
una strada senza ritorno: il colore dei soldi ha qualcosa che stimola
immediatamente l’avidità, specie se si può ottenere senza fatica. Si rivolsero
alla busta, anch'essa senza chiusure né sigilli né altro, giusto un lembo
ripiegato. Pian piano sfilarono il contenuto per guardarlo.
Era una tela che aderiva su un cartoncino. Non ne capivano
d'arte ma dava l'impressione di essere molto vecchia: una bella Madonna con
bambino.
Si erano imbattuti in qualcosa molto più grande delle loro
possibilità, quella poteva essere refurtiva, forse proveniente da qualche
chiesa... solo a quel punto si resero conto di essersi spinti troppo oltre.
Non potevano tenere né il denaro né il quadro e tanto meno
consegnare tutto alla polizia, come l'avrebbero spiegato? Se anche gli avessero
creduto certamente avrebbero preteso che facessero da esca, anche per provarne
la buona fede... e dopo, su quale protezione potevano contare?
Non conoscevano la persona dell'acquisto, ma lui o loro
sì! Forse li stava controllando, e quell'altra persona che ruolo aveva? Il
telefono... aveva voluto il numero e magari potevano controllare anche quello.
Si rinfacciarono la responsabilità finché decisero che
avrebbero rimesso tutto perfettamente in ordine, come non fosse successo
niente. La tensione li faceva sudare e anche i movimenti non erano più precisi;
quando venne il momento di reinserire la tela all'interno della busta si
accorsero che conteneva ancora qualcosa - una strisciolina di plastica - la
tirarono fuori per osservarla meglio e furono presi dal panico: pellicola
fotografica!
Adesso ben impressa dalla luce della stanza e assolutamente
impossibile da rimpiazzare, perché da un lato era stata tagliata con precisione
formando un profilo ad onde e punte: avrebbe combaciato perfettamente solo con
il pezzo asportato.
Dovettero sedersi e il cuore dell'uomo faticò a calmarsi,
per giunta ne soffriva e queste emozioni erano pericolose. Pensarono a tutte le
opzioni, nessuna era esente da rischi.
Ma la paura di quelle persone sconosciute era maggiore.
Non c'era scampo, sviluppata la pellicola si sarebbero
accorti che avevano ficcato il naso dove non dovevano. Non restava che una cosa
da fare, rimettere tutto a posto, consegnare la scatola come da istruzioni,
restando assolutamente tranquilli e... scappare, sperando di avere abbastanza
tempo per mettere quanta più strada possibile tra loro e quella gente.
La fuga non è mai una soluzione ma spesso regala del
tempo, sperando che in seguito intervenga la fortuna.
Venne il ragazzo a prendere il copriletto e al termine del
mercato presero un'altra strada, non quella di casa che lasciarono con quanto
conteneva; nessuno ne sentì più parlare.
Anne continuò: “Non mancava neppure una banconota e
ovviamente non ci fu nessun bisogno di sviluppare la pellicola fotografica,
perché Sophie li seguì per un po' constatando che si allontanavano verso nord
invece di ritornare verso est, dove risiedevano.
L'opera d'arte era appena discreta, di modesto valore, ma
serviva esperienza per capirlo. L'uomo di fiducia e un suo amico si divertirono
nell'occasione, ma erano all'oscuro dei retroscena; dovevano solo prendere e
riconsegnare la scatola dopo che la donna avesse scritto la dedica. L'uno aveva
il compito di farsi ben notare mentre controllava e seguiva l'altro; il perché
non doveva interessarli, 500 franchi a testa non si discutevano. Per il ragazzo
che ritirò la scatola bastarono 20 franchi.
Se le cose fossero andate diversamente Sophie non avrebbe
esitato a denunciare il furto di quella tela già fotografata e delle banconote
di cui per abitudine, essendo di grosso taglio trascriveva i numeri di
serie. La faccenda sarebbe diventata furto e ricettazione; la paura
li ha comunque salvati da conseguenze peggiori.
Prima di giudicare se abbiano avuto una punizione troppo
dura, devo dirvi l'ultima che sono venuta a sapere: sembra che in principio
quelle persone siano state contattate da qualcuno che le ha convinte a trasferirsi
nella nostra cittadina per acquisire informazioni, riguardanti tutta
questa storia delle proprietà. Un giorno mentre si trovavano nel suo bar René
li sentì parlare della faccenda e discretamente continuò ad ascoltarli. Non era
tutta farina del loro sacco il tentativo di screditarmi. Non posso provarlo, ma
non mi riesce difficile crederlo.”.
Mathieu e Gerard provarono ammirazione per il gran talento e
immaginazione di Sophie, loro stessi non avrebbero trovato un modo migliore per
risolvere la difficile situazione.
Si può discutere della sua mancanza di scrupoli nell'usare mezzi non propriamente amichevoli, ma c'era una sola cosa, escludendo un intervento diretto, che poteva allontanare quelle persone da Claude: la paura.
Capitolo 20 - L'indaco
Tutto si quietò. Si prospettavano tempi lunghi per la faccenda delle proprietà.
Claude recuperò il peso perso a cui aggiunse il gusto della
lettura, per la gioia di Marie che poteva starsene seduta con lei sul divano
alla sera, senza che fosse sempre indaffarata in qualche lavoro. Si preparava
già col suo pigiama e si addormentava appoggiandosi alla madre; lei la lasciava
tranquilla sino a quando non decideva di andare a dormire. Chiedeva alla
sorella di aiutarla e la portavano a letto, così rilassata che non si svegliava
se non la mattina dopo.
Quella fu la vera cura per la ragazzina.
Col ritorno in salute della sorella, Catherine poté
finalmente rallentare il ritmo. Adesso avrebbe potuto dedicare maggior tempo
alla sua vocazione religiosa, ma ultimamente si sentiva tranquilla solo in
compagnia della sua piccola famiglia, senza cognati e genitori (una malattia si portò via presto la
madre, un incidente il padre).
Aveva sempre creduto che il suo impegno spirituale dovesse
nel tempo aumentare, anche se non ricordava l'origine di tale convinzione.
Quell'impegno, cui nessuno la costringeva, la allontanava dall'unica
cosa che invece conosceva bene: la famiglia che era parte del suo sangue e
della sua storia; in quella c'erano le radici e il senso della sua vita. Non
provò quindi alcun senso di colpa ad averlo di molto ridimensionato, ritenendo
di aver fatto la cosa giusta.
Aveva 36 anni, al pari della sorella aveva conosciuto troppo
lavoro, troppa fatica, abbandonando gli studi ancor prima. Il destino le negò
l'esperienza di una propria famiglia ma non se ne dispiacque: si irrigidiva
solo al pensare di stare troppo vicino alla gente, immaginarsi a un marito!
Molte persone sono come lei, non c'è una regola. In natura
anche i passeri che rimangono soli
continuano a cinguettare, così come ugualmente ululano la maggior parte dei
lupi che non hanno diritto ai rapporti con le femmine del branco. Pure
continuano a rimanere con i propri simili, contribuendo a loro modo alla
continuazione della specie.
Fin che Claude e Marie ne avessero avuto bisogno potevano
contare sul suo aiuto.
Dopo tutto quello che accadde ritornò la serenità in casa;
certo le faceva strano che la sorella avesse preso a leggere quasi tutte le
sere. All'inizio non ci badò molto, pensava che le avessero regalato un libro e
che lei per riconoscenza si sentisse in dovere di leggerlo, una bella
scocciatura! Ma dopo quel libro ne venne un altro e un altro ancora.. e se li
comperava da sola!
Non si ricordava come capitò che dalla sua sedia si ritrovò
anche lei sul grande divano a lavorare a maglia, non si avvicinava che
raramente. E ancor meno rammentava quando udì Claude leggere a voce alta, pensò
che forse le riusciva meglio.
Pian piano cominciò ad interessarsi a quei racconti. Claude
leggeva anche per lei.
Jean aiutò Marie a riparare la sua collezione di scatole
danneggiate dai parenti. La sua pazienza e abilità però dovettero arrendersi
con una di cartoncino usata come recipiente per l'acqua (sperava fosse
stata acqua, poiché l'aveva presa in mano molte volte...).
Tentò l'impossibile e propose una parziale ricostruzione con
un materiale diverso, ma per Marie sarebbe stato come una bambola con il
braccio di un'altra; la conservò ugualmente, mettendola dentro un sacchettino di plastica e questo all'interno
di una scatola più grande.
Quelle scatole le erano preziose, la prima risaliva
addirittura a quel viaggio in Corsica; forse conteneva caramelle e aveva dei
bei colori. La tenne e cominciò la raccolta; solo scatole belle, ma
soprattutto scelte da lei. Questa era una cosa strana e dispiacque a
tutti non poter dare il proprio contributo.
Poco prima del compleanno dei ragazzi (16 e 12 anni) che
secondo il loro accordo si sarebbe festeggiato il 22 luglio, arrivò una
telefonata che non fece piacere a nessuno.
Era il direttore dell'associazione a cui spedivano la
lavanda, impegno cui riuscirono a far fronte anche negli ultimi difficili tempi.
Diceva che l'avevano rimosso e destinato ad un lavoro d'ufficio presso un'altra
sede; gli mancavano solo due anni al pensionamento e accettò il consiglio di
non fare questioni, la sede avrebbe potuto essere molto più lontana.
Il nuovo direttore non voleva mantenere nessuna delle
attività iniziate dal precedente, aveva le sue idee e non chiese agli
interessati il loro parere, decideva lui, così niente più lavanda.
Fece chiudere una delle due sedi trasferendo tutti gli
assistiti nell'unica rimasta, per contenere i costi, il vero motivo per cui
l'avevano mandato.
Visto che non voleva aver a che fare con le attività
precedenti, il vecchio responsabile chiese di tenere le etichette in ricordo
del lavoro svolto (erano ben conservate in buste di plastica e pensava di
renderle a Jean, ringraziandolo per quanto fece). L'altro rispose ... che le
attività venivano soppresse, ma il materiale esistente era proprietà
dell'associazione... in pratica le custodiva lui.
Anne commentò: “Costui sa che hanno cercato di acquistarle,
non credo che per il momento pensi di venderle, a ogni buon conto in qualche
modo gli faremo sapere che noi abbiamo le ricevute di tutte le spedizioni,
compresa diversa corrispondenza che ne parla.”.
Trovarono subito un volontario per quel compito, Sophie disse
che se ne occupava lei, e come l'altra volta i suoi occhi cambiarono
luce. Anne avvertì la conosciuta sensazione di disagio, non sarebbe mai
riuscita ad abituarsi a una cosa del genere, ma a Jean quel lato oscuro
dell'amica non dava alcun fastidio.
Claude si era lasciata alle spalle la paura per ogni tipo
d'autorità, riuscendo a prendere la licenza di guida; a dispetto dell'età e
della poca pratica esibiva sicurezza e prudenza assieme, tanto che ben presto
Anne le affidò commesse e incarichi, prestandogli l'auto senza timore.
Lei ne era contenta al pari di Anne che poteva disporre di
più tempo da dedicare al giardino. Quando Gerard lo venne a sapere fece
revisionare e sistemare la sua vecchia R4 che Thomas, l'amico apicoltore, portò
davanti a casa di Claude: era in prestito sino al suo ritorno. A questa
condizione accettò.
Jean si vide spuntare un po' di esile barba solo in alcune
zone del viso, gli piacque vedere qualcosa di diverso in lui e la tenne, però
regolata ad un centimetro; ma il vero motivo è che quel segno di maturità
fisica lo considerava un traguardo che aveva dubitato di raggiungere.
La portava come una medaglia, con un po' d'orgoglio e
appagamento.
Metà del mese di luglio era già alle spalle e un'altra bella
ma calda giornata li convinse ad andare al Lieu, dove la temperatura era
gradevole anche all'aperto.
Dopo aver visto e rivisto innumerevoli volte il film sulla
lavanda e aver compreso che mancava una qualche radiazione in quelle immagini (ultravioletto,
ma non solo) Jean pensò ad una cosa
insolita e sconcertante: di essere lui a portare quello che mancava al film.
Se ne avesse discusso in termini scientifici sarebbe stato
deriso, gli sarebbe stato detto che non c'è alcuna possibilità che
l'organismo umano trattenga la luce, sia essa visibile o ultravioletta,
dopo che l'abbia raggiunto.
Forse Catherine, la quale della Bibbia conosceva abbastanza,
poteva rispondere che Mosè scendendo dal monte Sinai con la Tavola dei
comandamenti aveva la testa circondata da luce (anche se Michelangelo lo
raffigurò con le corna, a causa dell'errore di traduzione di “karan”,
in ebraico brillare, con “keren”, corna; il pittore Chagall accettò
di non violare la tradizione raffigurandolo anch'esso in una sua opera con le corna; singolare come
anche gli errori divengano tradizione). Le strane aureole dei santi sono pur
sempre luce, da qualche parte deve pur venire... ma questo è un campo
estraneo alla scienza.
Jean lesse che la luce ha velocità diverse in ambienti
diversi; nel vuoto si dice abbia il massimo della velocità che diminuisce
(anche se pochissimo) nell'aria e ancor più nell'acqua o nel vetro.
La materia investita dalla luce in alcuni casi le permette di
farsi attraversare (materiali trasparenti o semi-trasparenti),
pretendendo però un pedaggio, così che la nobile luce bianca si smorza o decade
ai più semplici colori.
Ma la materia è ingorda di luce e normalmente se la
piglia quasi tutta (assorbimento dei materiali opachi) e amen, mangiata.
Allo stesso modo si comporta il corpo umano che la assorbe riflettendone solo una parte.
Il ragazzo era un artista, un pittore e luce e colori sono
alla base di quest'arte.
Quando era intento alle sue opere, per ottenere sul foglio il
colore desiderato non aveva bisogno di pensarci, di ricordare come e dove.
Quasi senza intervenire col pensiero (come guidare un'auto) le sue mani
mescolavano e diluivano e alla fine il colore era là, proprio quello.
Com'è stato possibile? Mentre impastava e diluiva c'erano
i pigmenti, la luce che
permette di vederli e l'occhio che sovrintende tutto il processo
(tralasciamo il ruolo del cervello, considerandolo per il momento un tutt'uno
con l'occhio); senza uno dei tre non si ottiene quello che si desidera.
Qual è il ruolo del pigmento? Comportarsi con la luce come
l'occhio ha deciso, riproducendo proprio quel colore. Potreste obiettare
che sulla pellicola non c'è stato l'occhio a comandare alcunché, pure il colore
è venuto lo stesso... dimenticando che chi la sviluppa decide tonalità e
saturazione dei colori, il più delle volte standard. Per quello non sarà mai esattamente
l'originale.
L'occhio c'entra, eccome! Se non è il vostro sarà stato
quello di qualcun altro.
E cosa accade nell'occhio?
Ma partiamo dall'inizio, dal colore che l'artista vuole
riprodurre, il colore di quel fiore che è entrato attraverso il suo occhio.
Jean, seguendo una propria direzione formulò questo
pensiero: tutta la luce visibile e
invisibile entra attraverso gli occhi interagendo con loro.
La luce, la quale è energia, si trasforma (viene assorbita),
ma di questo processo viene conservata memoria (non una memoria di
pensieri, forse biologica o di altra natura).
Quando vi sia l'intenzione dell'artista tale memoria
sollecita l'occhio che entra in risonanza con quel colore. Se pensate al
viola vedete il viola (diciamo nella mente), perché possiate vederlo come
viola deve averne la peculiare vibrazione e energia, anche poco più o meno
e avreste un altro tono, se non un altro colore.
Da dove viene quell'energia e dove va una volta richiamata?
Per Jean quell'energia viene da qualche parte (forse)
dentro di noi ed esce dagli occhi... ma
non più come energia bensì come forma immateriale, la forma che
l'artista rivestirà del pigmento voluto. Una forma invisibile, per accogliere
materia (pigmento) ed energia visibili (colore).
Questo è il quarto fattore, di cui non ci rendiamo conto (in
aggiunta a pigmento, luce e occhio).
Le forme vengono prima dell'energia e della materia,
sostenendole come un'intelaiatura.
Se quella forma invisibile proiettata dall'occhio e sentita
dalle mani dell'artista verrà ricoperta dal pigmento saprete dove è andata,
altrimenti assieme ad infinite altre forme farà parte del nostro universo,
forse per sempre; la materia può trasformarsi in energia e viceversa, entrambe decadono, ma non la forma, che è
qualcos'altro.
Goethe comprese che nell'occhio accadono miracoli (e forse
qualcosa di simile potrebbe interessare gli altri sensi) e che questa
meraviglia a cui ci abituiamo troppo presto non è un passivo, semplice
recettore ma risponde all'istante alle sollecitazioni della luce e della
sua compagna, l'oscurità, ricomponendo l'unità della percezione.
Arrivati sin qui il ragionamento di Jean va oltre.
La luce invisibile che entra attraverso l'occhio, che
gli accade?
Non genera una memoria, come per i colori, perché pur
attraversando l'occhio esso non la vede; anch'essa si spoglia della sua pelle
d'energia (assorbita) e se diviene qualcos'altro non è solo invisibile, ma
anche inconoscibile.
Per riconoscere qualcosa dovete conoscerla e avere un nome
per essa.
Che accada poi a quella cosa invisibile e
inconoscibile al ragazzo non interessava, non c'era modo di saperlo. Ma si
convinse che come le altre forme potesse uscire da dove era entrata,
dall'occhio, ricomponendo l'unità della percezione perduta nelle immagini
proiettate sullo schermo.
Come poteva fare perché accadesse?
Se non siete più dei ragazzi difficilmente potrebbe venirvi
in mente quello che venne a Jean, semplicemente pensò di chiederglielo...
Come chiedere una cosa del genere è un bel problema,
ma lui trovò un modo.
Una settimana dopo la festa di compleanno, ritornando al Lieu
che era diventato quasi la loro seconda casa da quanto lo stavano frequentando
quell'anno, Jean portò con sé la pizza
del film. Disse che voleva riprodurre sul contenitore metallico un particolare
del grande dipinto sul tramezzo, usando sempre i pastelli.
Quando si trattava di ispirazione Jean non aveva fretta,
forse per meglio disporsi portava con sé quella scatola di metallo anche nelle
usuali passeggiate; a volte si sedeva e la teneva davanti a sé guardando allo
stesso tempo questa e la lavanda.
Anne era un po' perplessa dal quel comportamento bizzarro,
una tale preparazione per un compito tutto sommato semplice (almeno a confronto
con i grandi acquerelli); ma rimase ancor più sorpresa quando un giorno il
ragazzo eseguì il lavoro: un disegnetto con quattro segni colorati che anche
Marie avrebbe fatto meglio!
Andò così: i due amici fecero l'ultima passeggiata nel
pomeriggio inoltrato, Jean sempre con la sua pizza appresso. Un grosso cumulo
bianco (nuvola) continuava ad espandersi come un fungo ad una velocità maggiore
di quella del sole in ritirata; quando capì che ce l'avrebbe fatta a
nasconderlo, Jean chiese a Marie di sedersi per riposare un poco, allo scopo le
rocce non mancavano.
Il ragazzo alzò davanti a sé il disco con la pellicola; Marie
che l'aveva visto fare altre volte non ci fece più caso, preferendo prestare
attenzione ad una pianta di lavanda proprio davanti a lei. Poco dopo il cumulo
vinse la sua gara; non sazio del successo crebbe a dismisura, smorzando la luce
solare come una piccola eclisse.
Marie vide quella pianta di lavanda reagire immediatamente:
in un attimo dal lilla al blu-viola... e il colore sembrava espandersi oltre i
confini della forma dei fiori, quasi avesse vita propria.
Aveva visto una cosa simile nei fiori di geranio rosso fuoco
che tenevano in un enorme vaso a casa, di cui andavano giustamente orgogliosi.
Quando erano investiti dal pieno sole il colore si espandeva oltre il limite
geometrico dei petali, talmente radiante da risultare difficile continuare ad
osservarli. Una impressione confermata da tutti.
Qui il fenomeno accadeva al contrario rispetto al sole e quel
blu-viola a guardarlo bene più che irradiare pulsava. E tra intensificazione
e successiva diminuzione si presentò un altro colore che non riusciva a
riconoscere bene, sul viola comunque. Poi vi fu solo quel colore.
Non le era mai capitato di osservare un tale fenomeno, era a
tal punto assorbita che non si accorse di quanto accadeva accanto a lei; per
quello che sembrò un breve tempo i suoi occhi videro quel colore e null'altro.
Le parve che quella tinta, l'indaco, la avvolgesse morbidamente come un
mantello e le facesse qualcosa di incomprensibile...
Prima che si ritirasse da dov'era venuto, vide che era tutto
percorso da ricami e disegni, sempre dello stesso colore. Uno di quei disegni
raffigurava un bimbo piccolo, che parve voltarsi nella direzione dei suoi
occhi, sorridendo - chissà come, le venne da pensare che fosse Jean - sentì un
calore riscaldarla piacevolmente e solo dopo ricomparve il sole.
Si girò alla sua sinistra dov'era seduto Jean. Non si era
accorta che era già in piedi davanti a lei, in attesa che si alzasse. Stava per
dirgli cosa aveva visto, ma come in un sogno il ricordo evaporava al tentativo
di richiamarne contorni e particolari.
Riuscì a riferirgli le sole due cose che ricordava bene:
l'istante che l'indaco l'avvolse e quel piacevole calore. “Sì, Marie, l'ho
visto anch'io. È un effetto particolare della luce sulla lavanda, anche questa
volta sei stata fortunata.”.
Affrettarono il passo
e tornando al cabanon videro Claude armeggiare con il suo orologio, come
se non funzionasse bene.
Jean entrò e in meno di un minuto tracciò quei quattro segni
colorati sulla pizza.
Anne stava preparando l'auto per tornare, anche a lei
l'orologio non la raccontava giusta, ma aveva già avuto a che fare con una cosa
del genere e rinunciò da subito a tormentarsi alla ricerca di spiegazioni,
preferendo continuare a seguire quelle strane sensazioni fisiche che provava.
Al vedere Jean salire sull'auto ebbe modo di osservare la
pizza del film; come dicevamo ne fu molto sorpresa, non ebbe dubbi che quello
non fosse lo scopo per cui l'aveva portata.
Il ritorno a casa fu come viaggiare su una nuvola; qualsiasi
cosa successe era oltre la possibilità di comprenderlo.
La sera successiva Jean preparò il proiettore che non usava
da alcuni mesi per rivedere il film portato al Lieu. Stava per avviarlo quando
si fermò, come ascoltando qualcosa; uscì dalla sua stanza e raggiunse quella di
Anne.
Bussò discretamente e la donna venne ad aprire; si preoccupò
al vederlo poiché non andava da lei se non per qualche urgenza, ma il sorriso
del ragazzo la rassicurò prima delle sue parole.
“Anne, sei invitata alla prossima proiezione del film, so
bene che non l'hai bevuta la storia del disegno.” - mentre ritornavano assieme
nella stanza dov'era già pronto il proiettore Jean iniziò a spiegarle, con
semplici parole, quella strana teoria che abbiamo incontrato poco prima.
Alla fine Anne gli chiese: “Perché mi hai voluto chiamare prima
di verificare se ci sia qualcosa di diverso?” - “Se c'è qualcosa di
diverso allora riguarda anche te, tu hai avuto il maggior ruolo nella mia vita,
non avrei avuto una mia vita senza di te.” - usò molte più parole del
solito, volendo le rimanesse impressa la
considerazione e la riconoscenza che provava.
In breve si accomodarono e partì la proiezione.
Le ben conosciute immagini non parevano diverse dal solito,
pur non avendo la memoria del ragazzo anche Anne ricordava l'ordine delle
sequenze; comunque era sempre un gran bello spettacolo.
Jean era perplesso, si spostava leggermente ma continuamente
dalla sua posizione cercando differenti prospettive; provò anche a tenere le mani come un cannocchiale ma vi
rinunciò presto.
Al termine del film era visibilmente deluso.
Ad Anne dispiacque non poter far nulla, pensò che forse aveva
esagerato con le aspettative e non riusciva ad accettare i fatti: il film era
tal quale, né più né meno.
Aspettò a lungo prima di rivolgergli la parola: “Jean, forse
non poteva essere che così... può darsi che la tua teoria non sia ancora
completa, forse occorrono altre prove.” - “No, non ci saranno altre prove. Lo
so che ha funzionato! Non capisco come mai non si veda!” - la sicurezza del
ragazzo l'aveva sempre impressionata, ma questa volta temette che si fosse
lasciato prendere la mano. - “Come fai a esserne sicuro?” - “ Anne... lo so
perché me l'ha detto.” - “Chi, l'indaco?”
- “Sì Anne, non con le parole, ma ieri al Lieu me l'ha
mostrato, nel film c'è quello che mancava... e anche molto di più. ” -
“Possiamo rivederlo, potrebbe essere un particolare che ci è sfuggito.” - “Non
a me, Anne, conosco a memoria quasi ogni fotogramma; ma se non sei stanca
riprovare non costa nulla.” - “No, non sono stanca. Qualsiasi cosa tu voglia
fare io sono con te, per tutte le ore che occorrono.” - “... no, no... non
reggerei io! Lo vediamo solo un'altra volta e poi pazienza!”.
Fu contenta di
sentirlo reagire, lo aiutò a riavvolgere la pellicola e avviarono il
proiettore.
Tutto come prima; stavolta
il ragazzo non cercò nessuna posizione diversa né tentò altro.
Tranquillamente riguardò le medesime immagini apparentemente rassegnato.
A poco più di metà del film si rivolse ad Anne: “Non occorre
farla lunga, possiamo interrompere qui.”.
Anne era dispiaciuta, avrebbe voluto dipingerli lei quei
fotogrammi pur di vederlo contento. Disse che andava bene e che l'indomani
avrebbero pensato a qualcos'altro.
Mentre Anne continuava a guardare sullo schermo quei fiori
mossi dal vento Jean si alzò e si avvicinò al proiettore; allungò un braccio
per raggiungere l'interruttore della lampada e così facendo con la mano
intercettò il fascio luminoso.
“Jean!! Guarda!!”. - Esclamò Anne. I margini
dell'ombra prodotta dalla mano sullo schermo erano di un incredibile color
indaco!
Anne provò a sua volta ma senza risultato, il fenomeno si
produceva solo con l'intervento di Jean e solo con quella pellicola.
Allontanando progressivamente la mano dalla sorgente luminosa trovò che ad una
certa distanza quel colore si diffondeva sulla lavanda fiorita, dove
questa non era presente nelle immagini non cambiava nulla.
Anne era quasi ipnotizzata dall'insolito colore che pulsava
nella lavanda. Non era impresso sulla pellicola, si produceva momento dopo momento; era evidente che il
tutto si doveva all'interazione tra il ragazzo e la pellicola. Quello che
vedevano dimostrava che Jean era nel giusto quando pensava di essere
lui a portare quello che mancava al
film.
Solo in un particolare si era sbagliato: alla luce invisibile
e alla sua elusiva manifestazione visibile, l'indaco, non servivano gli
occhi per giungere alle immagini sullo schermo, le mani erano la
porta. Al temine Jean appariva molto affaticato, forse non dipendeva solo dal
tempo dedicato a quelle prove. Quando la logica riprese il sopravvento Anne
mise assieme tutti i pezzi di quel mistero e non mancò di farsi l'ultima
domanda: perché tutto questo?
Capitolo 21 - Famiglie
All'approssimarsi dell'inverno, a metà strada tra i 16 e i 17
anni, il ragazzo chiese ad Anne alcune cose sul padre; nell'occasione lei sentì
che era giunto il momento per consegnargli le lettere.
Pur non conoscendone il contenuto aveva piena fiducia che
sarebbe stato in grado di leggere ogni cosa senza turbarsi. Jean dopo averle
lette gliele ritornò chiedendole di farlo a sua volta, così Anne non poté
sottrarsi dall'entrare nella vita privata di quella famiglia.
Marcel e la moglie Juliette appartenevano più al 19° secolo
che al 20°; il loro non fu propriamente un matrimonio d'amore, come per molte
altre faccende di quei tempi anch'essi percorsero una strada che qualcun altro
tracciò. Ma lo fecero con la compostezza delle persone di allora, in funzione
di quel bene superiore - la famiglia - che tanta importanza ha nella società
umana.
Ci piaccia o meno quasi tutti noi proveniamo da una famiglia.
Non sarà certo una istituzione perfetta, ma qualsiasi altra
non ha retto e non reggerà alla prova del tempo e delle difficoltà. Sappiamo
bene che in molte accadono le cose peggiori, da condannare senza esitazione;
non vogliamo difendere tutte le famiglie, ma l'idea di famiglia.
Un po' di quell'idea è presente anche nelle situazioni più
difficili, se non è l'amore del padre lo è della madre, del fratello o della
nonna. Se non è l'aiuto o l'incoraggiamento di uno sarà il conforto dell'altro.
Il senso di incompletezza provato spesso per tutta la vita da molti orfani e
bambini che sanno di essere stati adottati ci rivela se la famiglia abbia o
meno significato.
Marcel aveva 36 anni, amava viaggiare e si trovava all'estero
dove stava avviando una attività commerciale quando gli giunsero le avvisaglie
dell'imminente ultima guerra.
Decise di tornare in patria e nell'occasione gli fu
presentata Juliette, una ragazza poco più che ventenne. I rispettivi padri
vedevano di buon occhio la loro unione e si dettero da fare già prima di
quell'incontro. La famiglia della ragazza, più che benestante, aveva
quell'unica figlia; davvero una fortuna per chi l'avesse presa in moglie.
In meno di un anno Marcel sposò la giovane e appena nato il
primo figlio ripartirono per l'estero, intuendo il volgere degli eventi.
A distanza di un paio d'anni, in quell'altra terra, venne
alla luce il secondogenito.
Mentre in tutto il mondo la guerra mieteva vite a lei era
dato di metterne al mondo, ma Juliette si rallegrò per poco di quella fortuna,
perché tra le vittime finì parte della sua famiglia; la triste notizia unita
alla nostalgia e alla fragilità della sua mente, produsse l'effetto di
svuotarla di ogni interesse, cadendo preda d'una forma d'apatia che non
rispondeva ad alcun trattamento.
Marcel dovette fare tutto da solo, fortunatamente aiutato da
una cospicua fortuna.
Solo dopo 15 anni dal termine della guerra si crearono le
condizioni per il ritorno in Francia: un inatteso miglioramento di Juliette
unito a questioni d'eredità e denari.
Ma in tutti quegli anni Marcel poté far conto su un'altra
persona per conservare il suo equilibrio.
A onor di verità i patti furono subito chiari, mai avrebbe
sciolto i suoi legami; tuttavia i patti nelle questioni affettive sono parole
scritte sull'acqua; quella persona di un'altra nazionalità non si lasciò
mettere da parte e Marcel non poteva né voleva opporsi a che venisse con loro.
Partì anche Albert, il figlio minore, mentre il maggiore, Pierre, restò per
mandare avanti l'attività.
Quando Juliette giunse nella casa circondata dalla lavanda,
incredibilmente l'orologio della sua mente si rimise in funzione.
Quello che non poterono dottori e affetti poté un fiore.
Trascorso il primo anno Marcel fu certo che non si trattava
di un recupero temporaneo.
Juliette si dedicò a
quei campi di lavanda riallacciando i contatti con i pochi parenti rimasti,
mentre pareva ringiovanire piuttosto del contrario.
La relazione del marito che prima le era indifferente non
poteva più esserlo ora.
Gli disse di agire come meglio credeva, avrebbe accettato
qualsiasi soluzione prospettata; l'unica condizione che pose era che quella
relazione avvenisse altrove.
Azione e reazione, causa ed effetto. E così via, un anello
dopo l'altro a comporre la catena della vita. Cosa realmente abbiamo deciso
nella nostra?
A volte abbiamo l'impressione di essere spettatori di un
meccanismo che iniziò anche prima della nostra nascita; tali questioni hanno
impegnato moltitudini di filosofi e non avranno termine.
Marcel fu preso tra due fuochi, incapace di districarsi. Non
poteva rinnegare quella giovane che si fece carico di gravose situazioni; non
poteva lasciare la moglie poiché il legame con la famiglia non era mai stato in
discussione.
La giovane donna, Valéria, non si adattò ad un'altra
sistemazione per quanto più che signorile al di fuori di quella casa; chiusa
per lei la porta vide aprirsi nella sua mente altre porte di cui ignorava
l'esistenza... il rancore fece il resto.
Toccava a Marcel prendersene cura, ma le cose non furono più
le stesse tra loro; la riconoscenza e l'affetto passato permettono di
sopportare, non di vivere.
Marcel scrisse tutto questo al figlio, come si erano svolti
gli eventi, come successe che lui nacque.
“... tua madre si
rendeva conto che con i figli non c'erano speranze di recuperare il tempo
perduto, l'altra donna negli anni era
divenuta molto importante per loro. Albert ascoltava più lei di chiunque altro,
me compreso, divenendo sempre più insofferente della nuova situazione. Preferì ripartire e Valéria tornò
con lui. Rimanemmo soli e non ci fu mai nessun problema tra noi, era come
iniziare di nuovo. Fu il più bell'anno della nostra vita che culminò con il tuo
concepimento, inatteso da parte mia ma non per Juliette che mi chiese di
riferirti, un domani, come e dove avvenne. Non capivo a quel tempo il perché di
questa richiesta ma, pur se mi imbarazza parlarne, devo mantenere la promessa,
sperando tu abbia l'età giusta per ascoltare. Eravamo verso la fine di
settembre, un mese che ci regalò ancora calde giornate quell'anno; facendo un
giro delle nostre proprietà per controllare la lavanda arrivammo a quelle più
in alto, dove c'è un appezzamento non molto grande ma che produce un'essenza
tra le migliori.
Juliette adorava quel posto e sono venuto a sapere che
anche tu lo frequenti in compagnia di Anne. Adesso mi pare di scorgere qualcosa
nel desiderio di tua madre di dirti queste cose, perché proprio in quel posto
cominciò la tua vita. I particolari non mi si addicono ma almeno posso dire che
quel giorno era... strano. C'era una luce particolare - tutto sembrò fermarsi -
mi sentivo diverso dal solito; Juliette invece era a suo agio, forse intuì che
sarebbe successo.”.
Il figlio maggiore mandò notizie sempre più preoccupanti
riguardo il fratello e Valéria, anche l'attività ne risentiva e Marcel dovette
partire.
Juliette non mostrò il
minimo disappunto, anzi lo incoraggiò a prendersi cura dei figli a qualsiasi
costo, senza preoccuparsi per lei che poteva contare su Claude, Catherine e
qualche parente.
“Marcel, non rattristiamoci, nessuno ha colpa se la nostra
famiglia deve affrontare queste prove che ad altri sono risparmiate. Se non ci
fosse stato l'aiuto di Valéria per più di quindici anni, oggi non esisterebbe
nessuna famiglia! Neppure la vita di
quest'ultimo figlio... le cose sono andate così... ma io vedo
molto di buono in questo.” - scrisse Juliette.
Marcel riuscì a ritornare qualche mese prima della nascita e
già sapeva dei seri rischi che si sarebbero presentati, vista l'età e le non
buone condizioni generali della moglie. Ma la determinazione della donna nel
mettere al mondo quel figlio fu sempre assoluta, nonostante fosse stata
informata di possibili disfunzioni nel bambino.
Come possa una madre andare incontro alla propria fine, per
permetterne l'inizio di un'altra ha un'unica spiegazione, racchiusa nella
parola stessa. Si può condividere o meno una scelta, anche quella
estrema, ma ognuna merita rispetto perché solo chi la compie ne conosce i veri
motivi.
Marcel non ebbe nemmeno il tempo di piangere la perdita di
Juliette: presto scoprì che quel bimbo aveva bisogno di cure, non poteva
viaggiare e neppure vivere in luoghi troppo caldi.
Tuttavia non poteva assolutamente chiedere a Valéria
di prendersene cura, anzi, doveva tenerla il più lontano possibile. La
donna pensò che prima o poi Marcel avrebbe ceduto e finalmente avrebbe avuto la
sua rivincita: sarebbe tornata in quella casa in Provenza, non come una
discussa ospite ma come proprietaria. Ma Marcel non cedette né allora né
mai.
Accettò di continuare a vivere con lei, formalmente come
conviventi ma di fatto lontani, non solo fisicamente. Se fece un errore non lo ripeté
una seconda volta. Le diede molto più di quello che chiedeva; poi i figli lo
resero nonno e lui cercò, sino alla fine, di tenere tutti uniti, anche se Jean
ne pagò il prezzo maggiore. O forse no... in cambio del padre forse non
avrebbe avuto Marie, Anne, Claude, Catherine, Gerard, il Lieu e la
lavanda... e non avreste letto questa
storia.
Anne conobbe l'intera vicenda e aumentò la sua stima per
Marcel e Juliette, ma quello che la impressionò di più fu sapere che Jean fu
concepito al Lieu, era sicura che non si trattasse di una semplice coincidenza.
Quell'inverno fu abbastanza freddo e le cince ritornarono più
numerose del solito; Jean non avrebbe mai mancato l'appuntamento quotidiano per
osservarle mangiare, solo il viaggio all'inizio della primavera per il
controllo delle sue condizioni lo costrinse ad allontanarsi.
Gli esami durarono più del previsto e il negativo responso
trovò Anne impreparata: le cose stavano peggiorando, ma non si poteva dir nulla
sul modo e sui tempi.
Al contrario Jean rimase calmo nell'apprendere la notizia,
tanto che fu lui a cercare di rincuorare Anne: “Sapevamo che sarebbe successo.
Avrebbe potuto accadere molto tempo fa, prima di conoscere tante belle persone
e di fare le incredibili cose che abbiamo fatto e che continueremo a fare, vero
Anne?” - “Questo è sicuro, in ogni caso è troppo presto per sconfortarci;
faremo il possibile, te lo prometto.” - “Tutti stiamo già facendo il possibile,
per cui non abbiamo nulla da rimproverarci. Invece per la faccenda delle
proprietà e di tutte le persone coinvolte credo che dovremo parlare con mio
fratello maggiore.” - “Vuoi che gli telefoniamo?” - “Non solo, deve venire
qui. Lo invitiamo al mio prossimo compleanno, facendogli capire chiaramente
che non sarà solo quello il motivo.”.
Anne si diede subito da fare e all'inizio di maggio il
fratello maggiore, Pierre, confermò che sarebbe venuto al compleanno di Jean;
aveva intenzione di portare anche la moglie e i due figli (il loro primo
viaggio in Francia) e chiese come fare per la sistemazione. Gli fu risposto che
la casa poteva ospitare qualunque familiare.
Gerard dopo aver finalmente terminato il suo lavoro
all'estero, con una parte dei risparmi avviò un'attività indipendente assieme
a Mathieu. Acquistò un'auto più comoda
vendendo la sua R4 a Claude ad un prezzo più che onesto, perché lei non
accettava regali di valore.
Per il momento risiedeva ad Avignone e tornava spesso per
seguire i lavori di ristrutturazione della sua casa, dove un locale e una sala
da bagno già utilizzabili divennero il luogo di
incontro con Anne, quasi ogni settimana.
Quando poteva andava a cenare da lei e Jean, ricomponendo l'altra
famiglia del ragazzo, il quale gli
disse che preferiva incontrarlo la sera; collegò la cosa al peggioramento del
suo stato di salute e si fece scrupolo di non dimenticarsene.
Avrebbe voluto trascorrere più tempo con il ragazzo... con
l'amico; si era accorto che ora si affaticava in fretta. Pensando a quanto
combinarono assieme rimpianse di essere stato tutto quel tempo lontano. Ma una sera
Jean gli disse: “Gerard, sono felice di come hai usato il tuo talento; alle api
non sarebbe servito a nulla, mentre io e Anne siamo orgogliosi di quello che
hai fatto in pochi anni... il lavoro, la casa, la nuova attività. Non
dimenticherò mai l'aiuto che mi hai dato, anche mio padre ha potuto vedere il
nostro film! C'è una cosa di cui devo parlarti... l'indaco nel film e
come si manifesta... adesso posso mostrartelo.”.
Da tempo Gerard desiderava vedere con i propri occhi quello
che conosceva solo tramite le parole di Anne; finora non ne aveva mai parlato
perché lei gli riferì che al termine della proiezione il ragazzo era
visibilmente provato. Forse si sbagliava ma riteneva che avesse a che fare col
fenomeno. D'altronde quella fu la prima e unica volta che accadde, di questo
era certa perché Jean fece riporre il proiettore in un ripostiglio; tutta la
faccenda era troppo fuori dall'ordinario per trattarla con leggerezza: se e
quando entrare in argomento doveva deciderlo Jean.
Fu quindi con apprensione che si trasferirono nella
saletta predisposta, provarono anche a dire al ragazzo che non era
importante, ci sarebbe stata un'altra occasione, ma la sua risposta li raggelò:
“Gerard, se c'è qualcosa di importante è questa; sai bene quanto
tempo e sforzi ci siano voluti. Non ci sarà un'altra occasione perché questa è
l'ultima volta che qualcuno lo vedrà, me compreso. Uno dei motivi è che a suo
modo è faticoso e le mie condizioni vanno peggiorando, domani potrebbe essere
troppo dura per me. Poi non siete voi che lo chiedete... questa cosa decide
da sé quando e a chi mostrarsi.”.
Il silenzio che si era venuto a creare fu interrotto dal
ronzio del proiettore alla sinistra di Jean, mentre Gerard e Anne sedevano alla
sua destra; spensero le luci e iniziò la proiezione.
Jean attese quasi dieci minuti, poi con la sua mano sinistra
andò ad intercettare il fascio luminoso.
Anne sobbalzò sulla sedia, non era come la volta precedente: istantaneamente
l'indaco si produsse attorno alla lavanda ma con una intensità di molto
maggiore che man mano aumentava, tanto che non si distinguevano più le piante.
Gerard non riusciva a credere ai propri occhi, si ritrovò a stringere con forza
i braccioli della sedia, sopraffatto dallo stupore.
Passato appena un minuto Anne si accorse che Jean non aveva
più la mano nel fascio di luce, questa volta il fenomeno si manteneva da sé.
L'indaco pulsava e si diffondeva su tutto lo schermo,
aumentando la sua intensità finché si espanse oltre lo schermo, ai lati
e di fronte... comparvero delle sottili linee dello stesso colore che formavano
come dei disegni, dove Anne e Gerard riconobbero qualcosa... poi parve che
tutto quel colore fosse inghiottito in un solo istante da qualche parte.
Subito dopo si accorsero che la luce era stata accesa. Jean
era accanto all'interruttore mentre la pizza del film, esaurita la pellicola
girava a vuoto. Anne con uno sforzo si alzò e spense il proiettore; guardò
Gerard... era così assorto che gli massaggiò piano il collo finché si riprese,
almeno a sufficienza per alzarsi. Jean si era seduto e appariva spossato.
Ritornarono nel salone e Anne preparò un the leggero e caldo,
guardò l'orologio della cucina: il film
durava una mezz'ora ma le lancette indicavano che era passato ben più di quel
tempo.
Nessuno disse qualcosa al riguardo, non ce n'era bisogno,
l'evidenza parlava da sola. Le uniche parole riguardarono il miele da
aggiungere alla bevanda e qualche biscotto per accompagnarla, poi si sedettero
tutti tre sul grande divano con Jean in mezzo a loro.
Restarono là per un bel pezzo, Anne e Gerard a cercare di
dipanare il groviglio di quei disegni visti nell'indaco, ognuno i suoi, mentre
Jean faticava a riprendersi.
Capitolo 22 - Sogni
Per un paio di
settimane dopo la proiezione Jean non fu in grado di uscire di casa, così
chiese a Marie se poteva fare al suo posto le sole due cose che non voleva
interrompere: mettere qualche noce spezzata nella retina per le cince e gli
avanzi di cucina in fondo al giardino, per l'altro discreto frequentatore della
casa, Chatnoir.
La ragazza amava quel luogo, tuttavia lo considerava un posto
riservato, per questo pur potendolo non vi andava mai da sola. Anne aveva
notato lo scrupolo con cui evitava anche di avvicinarsi e in più di
un'occasione fu tentata di permetterle di entrare a suo piacimento, ma si
trattenne pensando che Jean era sicuramente consapevole di tale comportamento,
potendo osservare l'entrata del giardino dalla sua finestra; se lui non lo
aveva fatto doveva esserci qualche motivo.
In altre occasioni fu Anne a supplire all'indisposizione del
ragazzo, adesso era arrivato il suo momento: quando le chiese se accettava
quell'incarico Marie si sentì come un soldato che improvvisamente venga
innalzato di grado; avrebbe svolto quel nuovo compito con la massima diligenza.
Ritenne importante farlo con puntualità sempre alla stessa ora del pomeriggio.
Lui rispose che andava bene in ogni modo ma stranamente all'ora scelta le
finestre della camera dove riposava
erano sempre chiuse; essendo le uniche che davano sull'entrata del giardino
nessun altro poteva vederla.
I primi giorni eseguì l'incarico in modo quasi meccanico: per
prima cosa metteva le noci dentro la retina posizionata giusto davanti alle
finestre, poi andava fino in fondo al giardino dove su una pietra piatta vi
erano due ciotole di terracotta, una per l'acqua e l'altra, sempre vuota quando arrivava, per il cibo. Claude, Catherine od
Anne, a seconda di chi cucinava quel giorno,
lasciavano un po' di avanzi su un piatto.
Trascorsa una settimana, poco prima di uscire dal giardino,
si chiese perché lo facesse sempre così in fretta... non aveva nessun impegno
urgente, non andava da Jean che stava riposando e non c'era un posto più bello
di quello, dove la primavera aveva già comandato ai bulbi interrati di iniziare
la danza dei fiori e dei colori, per la gioia degli occhi e la vita degli
insetti.
Si risedette sulla comoda panca di legno a guardare quella
meraviglia, non le passava quasi nulla per la mente. Seguiva il volo delle api
dai bassi muscari blu ai primi giacinti bianchi che in una zona ben riparata
anticipavano di molto la fioritura degli altri fratelli, rosa e viola.
Le gemme di tutti gli arbusti erano gonfie e molte iniziavano
ad aprirsi, alcune erano ricoperte da una fitta peluria bianco setosa e altre
mostravano l'accenno di petali o di foglie.
C'era così tanto da guardare! Le venne un pensiero... per
quante volte poteva vedere ricominciare
quello spettacolo? Per il tempo che si viveva a cui andavano tolti i primi anni
e altri ancora, prima che si formasse l'interesse a quell'osservazione... si
rese conto che adesso lei sentiva quell'interesse. Tutte le volte
che negli anni era stata in quel posto - centinaia - era a causa di quello di
Jean a cui lei si univa e solamente ora, a quasi 13 anni, poteva dire di vederlo
il giardino.
Rimase stupita da come la sua mente approfondì l'argomento, non si riteneva in grado di
ragionare a quel modo... forse significava che non era più una bambina.
“Che strano.” - pensò - “... non credevo che sarei
potuta rimanere qui senza Jean, che mi parlava degli insetti e dei colori. Però
l'ho ascoltato bene, perché mi pare di vederle come diceva lui le cose. Che
buffo sentirlo parlare dei suoi “amici bombi”, ora sì che li sento anche miei
amici! ”. Anche altri cambiamenti
avvennero in lei quel giorno, ma questi la sua mente acerba non li poteva
comprendere.
Dopo un bel po' che era lì seduta un senso di fresco la
convinse ad alzarsi, guardò un'ultima volta i grandi alberi e si volse alla sua destra per
prendere il piatto appoggiato sulla panca. Per poco non lanciò un grido dalla
sorpresa: Chatnoir se ne stava accovacciato a non più di due metri,
fissandola con i meravigliosi occhi
giallo-verde che risaltavano nel tondo muso nero. Neppure il movimento che fece
lo scompose; erano anni che desiderava vederlo!
Le pareva impossibile che quel diavolo di gatto stesse là a
guardarla tranquillamente.
Ricambiò a lungo lo sguardo, l'animale non abbassò un solo
istante le palpebre: più passava il tempo e più ne apprezzava la bellezza
finché sentì che amava quel gatto, proprio per quello che era, un
animale fiero e indipendente.
Fino a poco prima lo odiava per la sua elusività, per non
ricambiare in qualche modo, almeno facendosi vedere, chi lo nutriva da tanto
tempo.
Realizzò che anche lei, da quando cominciò ad entrare nel
giardino da sola, non era più interessata a cosa faceva e se c'era o meno. Al
pari di Jean non si attendeva nulla da Chatnoir.
Questa cosa non funziona come la calamita, dove due poli
uguali si respingono: qui, due poli ugualmente vuoti di aspettative si
attraggono e per un breve tempo diventano un unico movimento, un unico respiro.
Il sole stava per tramontare, ancora poco e avrebbero
potuto riprendere la fuga. Erano stremati a causa della fatica e della mancanza
di cibo. Dei tre ragazzi la fanciulla
era la più provata e solo il sostegno continuo di uno di loro le impediva di cedere,
di lasciarsi andare e farla finita; l'altro ragazzo, pur essendo il più grande,
non riusciva a padroneggiare la paura. Al minimo rumore o imprevisto provava
l'impulso di scappare, correre... non importa dove, non importa se da solo,
senza gli altri, non importa se sarebbe servito o no, se così facendo metteva
tutti in pericolo. Quello che li guidava non lo rimproverava, comprendeva che
era più forte dei suoi propositi, sperava solo di essere pronto e abbastanza
vicino per riuscire a fermarlo.
Quella notte era cruciale, si sarebbe deciso della loro
vita.
Venne l'oscurità e abbandonarono il rifugio correndo; la
fortuna li assisteva e gli concesse di arrivare a poche centinaia di metri
dalla salvezza. Si tenevano per mano a causa della poca visibilità, non
rimaneva che quell'ultimo tratto, l'unica speranza era di procedere insieme.
Se la direzione fosse stata quella giusta ce l'avrebbero
fatta.
Si mossero con cautela, ma dovevano scegliere tra un
percorso allo scoperto e uno riparato. Quello che li guidava osservò a lungo la
zona e alla fine decise per il primo; si raccomandò con gli altri di non
fermarsi e soprattutto di non cambiare percorso. Ripresero a camminare quando
all'improvviso sentirono delle voci - forse li avevano scoperti - potevano
ancora farcela, le voci erano distanti... ma il più grande di loro non resse,
abbandonò la mano e scappò in cerca di riparo. L'altro disse alla ragazza di
continuare in quella direzione senza mai voltarsi e rincorse l'amico. Le voci
erano sempre più vicine, ormai li avevano individuati: erano troppi e troppo
vicini, se proseguiva li avrebbe guidati nella sua direzione... e per entrambi sarebbe stata la fine. Meglio uno di
due... non provò paura ad attirare su di sé gli inseguitori. Quando il mantello
della fine lo avvolse seppe che l'amico ce la fece e fu contento della sua
decisione.
Quel ragazzo si salvò ma un ultimo salto gli rovinò per
sempre una gamba.
Anche la ragazza si salvò, capì cosa accadde e pianse per
ore.
Anne si svegliò con quelle lacrime... e ricordò che quel sogno lo vide nell'indaco,
ma non credeva fosse solo un sogno.
Gerard ricordava poco di quanto vide nell'indaco; gli rimase
invece una sensazione che gli creava un disagio profondo, insopportabile, da
cui cercava di tenersi lontano, stimolando il pensiero ad intervenire con
ragionamenti, immagini od altre attività per scacciarla. Non c'era nulla da
fare, rimaneva sul fondo in attesa, voleva mostrare il suo contenuto.
Dopo tanti anni di abbandono dell'alcool quella fu l'unica
volta che gli venne la tentazione di servirsene per allontanare l'incontro con
quell'angoscia, ma sarebbe ritornata comunque, forse in modo ancor più forte. Così cessò di resistere
e fu sommerso da quell'onda che lo aspettò al varco tra veglia e sonno. Il
contenuto della sensazione riguardava il tempo.
Nella sua mente si ricompose l'immagine che l'originò... vide
l'orologio del tempo di Jean fermarsi... ora, suo malgrado, conosceva quando.
Gli orologi delle altre persone continuavano, tuttavia senza
quel sicuro riferimento non erano più sincronizzati, parevano procedere per
conto proprio. Il dolore che provò a quella rivelazione gli mostrò il profondo
legame che lo univa al ragazzo, avrebbe dato la sua vita in cambio senza
esitazioni, ma non siamo padroni del nostro destino.
Non aveva il minimo dubbio che Jean conoscesse quel quando
da molto tempo, tenendo sempre per sé quello che provava a vedere man mano
diminuire la sabbia della propria clessidra. Gerard pensò che siamo tutti condannati a morte, in
altre parole si potrebbe dire che viviamo per morire, anche se quei pochi che
conoscono quando forse iniziano a morire da quel giorno.
Poté appena sopportare l'impatto della rivelazione, al pari
di Jean non ne avrebbe parlato a nessuno, neppure ad Anne. Domandandosi perché
gli successe una cosa del genere gli vennero in mente le molte persone che,
senza rendersi conto di cosa potrebbero incontrare, cercano di forzare le porte
di una coscienza più ampia nel desiderio di segni e visioni, esperienze e
bizzarri poteri. Per loro fortuna quasi sempre interviene un qualche
meccanismo di auto protezione che li risparmia dal dover un giorno
rimproverarsi per la propria sventatezza.
La tristezza che seguì tolse a Gerard, per giorni, la voglia
di fare alcunché; poi una mattina si alzò e tra i molti pensieri uno era la
risposta: diceva che gli era stato concesso di portare una piccola parte del
peso toccato al ragazzo, così la tristezza si tramutò in qualcos'altro
che diede un posto e un senso alle cose accadute.
Una sera mentre era a cena da Jean lo osservò discretamente
ma con molta attenzione; senza sapere come fu certo di una cosa: Jean non
aveva paura! Forse non ne aveva mai avuta.
Ne era assolutamente sicuro, perché la paura si trasmette,
mentre dal ragazzo proveniva gentilezza, umorismo e aveva dato ampie prove di
aver a cuore ognuno di loro.
Quasi allo stesso tempo prese coscienza, per la prima volta,
della propria paura, rivelatasi brutalmente: gli pareva di avere un buco
da qualche parte dentro di sé dove si riversava pian piano la sua forza vitale.
Quanto più provava ad avvicinarsi per cercare di chiuderlo tanto più quello si
allargava potendo inghiottire in un attimo la restante. Si ritrasse come dal fuoco,
cercando di allontanarsene il più
possibile, ma anche dal limite estremo della propria coscienza, ora che si era
rivelato, poteva percepirlo... un orribile buco nero di paura...
Al termine della serata, nel salutarsi, Jean sorridendogli
indugiò nel guardarlo, non aveva per niente un bell'aspetto. Poi gli disse: “Da
quasi famoso regista... ti ho
promosso mio regista preferito ma mi sono scordato di dirti che sei
anche il mio miglior amico!”.
Il sorriso di Jean era
più contagioso dell'influenza e Gerard stavolta si accorse che aveva un effetto
su chi lo riceveva: al contrario di quella, questo ti faceva sentire bene.
Jean si era ripreso a sufficienza per uscire, chiese comunque
a Marie se poteva continuare ancora per un po' a rifornire di cibo gli animali
del giardino; lei fu contenta e gli raccontò di Chatnoir e di quanto si sentiva
bene in quel posto. Quando ripresero ad andarci assieme ogni tanto scorgevano
il loro gatto a volte vicino e altre meno, fin quando Marie si accorse
di una cosa che riferì all'amico: “Ormai l'avrò visto una decina di volte, mi
accorgo di lui accovacciato da qualche parte... ma come ci sia arrivato e
quando se ne vada via non l'ho mai visto, non pensi che è strano?” - “Una volta ti avevo detto che
nessuno conosce veramente tutto degli animali; ad esempio qualcuno dice
che non si possa spiegare come i grossi bombi, quelli con le righe giallo-nere
e la parte terminale dell'addome bianca, possano volare, considerato il peso
notevole rispetto alle piccole ali. Forse un giorno troveranno la risposta. Pure
i gatti hanno i loro segreti, sono animali che vivono soprattutto di notte: è
difficile osservarli. Anche quando non riuscivi a vedere Chatnoir pensavi che
era una cosa strana, adesso è strano non vederlo muoversi; non è che fa
qualcosa di strano: fa qualcosa che non capiamo, con noi si comporta come di
notte.”.
Marie rimaneva affascinata dalle risposte di Jean, specie
quando riguardavano la natura; non come quelle che ascoltava a scuola precise
su tutto, le sue avevano un alone di mistero.
Da diversi giorni Jean aveva difficoltà a prendere sonno,
provò senza risultato qualche infusione di erbe preparate da Anne di cui
comunque apprezzava odore e sapore.
In quelle ore decise di dedicarsi alla scrittura; anche se
non era mai stata il suo forte man mano gli riusciva meglio. Si applicò con
l'unico scopo di lasciare qualcosa per Marie e gli altri della sua famiglia
d'elezione. Rileggendo quanto scrisse lo trovava sempre esageratamente lungo,
così di semplificazione in semplificazione le pagine divennero brani e questi
parole. E anche di quelle sentì di far a meno, riandando alle sensazioni che le
produssero. Rimasto con queste ne risalì il corso, tutte riportavano allo
stesso punto... sé stesso. Si chiese se fosse possibile procedere ancora oltre:
quel sé, poteva essere abbandonato come prima le pagine e alfine le sensazioni?
Sapeva, da molto prima di Gerard, quanto tempo gli rimaneva
ed era suo proposito utilizzarlo al meglio, la mancanza di sonno arrivò al
momento giusto.
Gli venne l'immagine di uno che inizia a preparare i bagagli,
ben in anticipo sulla partenza: Jean era un perfezionista, amava fare le cose
per bene, curando particolari che altri trascurerebbero; aveva ancora tanto da
fare e quello che faceva era iniziato molto tempo addietro.
Sentì avvicinarsi quel torpore che di solito lo conduceva al
meraviglioso momento del dormire, così apprezzato perché diverso, un'altra
cosa dall'essere sveglio, anche se nei suoi sonni non c'erano quei sogni
che tanti ricordano e considerano importanti.
Era ormai passata l'una di notte e finalmente dalla poltrona
passò al letto, spense la luce e tuttavia gli occhi conservarono un'impressione
di luminosità diffusa, aperti o chiusi era eguale. Pensò che forse l'indaco
si stava ripresentando. Ma non era quel colore, piuttosto un blu-azzurro,
soffuso e tuttavia luminoso... e infondeva conforto.
Non era da lui chiedere, ma sapeva ringraziare a modo e poco
dopo si addormentò facilmente.
Quella volta sognò... sognò il volto della madre che non vide
e sentì la sua carezza amorevole.
Gli parve di trovarsi assieme a lei su una specie di autobus
che si spostava piano per strade tranquille e spaziose: tutto era morbido e le
luci della sera non avevano quel tono freddo od arancione, piuttosto la
luminosità di piccoli soli.
Ad un punto sua madre non era più con lui ma la sentiva e
vedeva dappertutto.
Il viaggio poteva durare all'infinito, tutto era al posto
giusto... tutto andava bene.
Capitolo 23 - La visita di Pierre
Nelle notti insonni Jean studiò tutta la faccenda delle
proprietà, voleva essere ben preparato quando in capo ad un mese sarebbe
arrivato il fratello con la famiglia.
Si trattava di un cospicuo patrimonio, oltre alle terre e
alla casa vi erano un paio di grandi immobili di pregio in una importante
città, i quali producevano una notevole rendita. Una parte di questa serviva
per la retribuzione di Anne e le spese della casa, quello che rimaneva man mano
aumentava; la somma che sarebbe servita per compensare, a fine servizio, Anne e
la famiglia di Marie l'avrebbe appena intaccata.
Tutto il patrimonio di beni immobili e denari era vincolato
ad una disposizione a suo tempo sottoscritta dai figli di Marcel: poteva venire
diviso solo alla maggiore età di Jean o alla sua morte.
Il ragazzo ne discusse con Anne, dicendole che voleva mettere
in ordine tutto prima che intervenisse la disposizione, nel tentativo di
risolvere il contenzioso in sospeso.
Con un po' di apprensione - era evidente che si trattava di
una sorta di testamento - lei non mancò
di aiutarlo in tutti i modi possibili, organizzando degli incontri con l'amico
notaio che dispose delle perizie e diede forma giuridica alle indicazioni di
Jean.
Anne non ne commentò nessuna, comprese quelle che la
riguardavano. Non avrebbe permesso alla sua mente di dubitare minimamente che
quanto faceva non fosse per il meglio; dopo quello strano sogno vedeva le cose
con una diversa prospettiva.
Il 15 luglio arrivò Pierre. Erano molti anni che un
componente della famiglia non si recava in visita portando anche i propri
familiari. Le loro stanze furono preparate con la massima cura e tutti si
impegnarono per rendere confortevole il soggiorno.
La moglie, Blanche, era una persona tranquilla e riservata;
non era francese ma l'aveva studiato tanto da insegnarlo a scuola e anche ai figli, Charlotte e il maggiore
Gabriel, di qualche anno più giovani di Jean.
I ragazzi non desideravano che visitare quanto più possibile
quella terra di cui avevano tanto sentito parlare il padre, sovente con
nostalgia. Claude si incaricò di accompagnarli un po' dappertutto; si univa
anche Marie a cui piaceva stare con loro. La mamma ormai guidava la sua R4 con
disinvoltura ma dovette accettare di usare quella più grande e confortevole di
Anne.
L'incontro tra i due fratelli sembrò una cosa normale a tutti
i presenti. Tuttavia non era spiegabile solo con la lunga assenza e il senso di
colpa di Pierre il suo cercare di stare quanto più poteva con Jean. Tempo
sottratto alla sua famiglia che comunque godeva della compagnia delle altre
persone, di Anne in particolare a cui non sfuggirono i suoi movimenti, offrendo
la sua presenza in cambio. Jean le fece capire quanto apprezzasse tale
disponibilità, lui stesso intrattenne in molte occasioni i suoi nipoti; avendo
quasi la sua età trovavano strano chiamarlo zio così li pregò di usare il nome.
Fece scoprir loro i segreti del posto: riconobbero il
meraviglioso giardino che avevano visto nel film e ascoltarono storie su
uccelli, insetti e piante; mostrò loro anche alcune sue opere che li lasciarono
senza parole dall'ammirazione, facendo intendere che in futuro ne avrebbe destinata una ciascuno.
Gli piacevano i due ragazzi e la loro rumorosa presenza non
gli dava alcun fastidio; per la durata della visita la grande casa respirò con
tutti loro.
Gli spazi sono fatti per essere riempiti, il vuoto non serve
neanche a sé stesso.
Trascorsa quasi una settimana disse al fratello che era tempo
di parlare di cose serie.
“Pierre, ti trovi qui da diversi giorni, sufficienti per capire come viviamo,
non solo io ma le persone che mi assistono e che sono diventate la mia
famiglia.
Prima che tu lo sappia da altri preferisco dirtelo personalmente:
per me non rimane molto tempo, le mie condizioni peggiorano mese dopo mese. Ma
mi sono stati regalati tutti questi anni, un vero miracolo! Nessuno l'avrebbe
creduto possibile, nemmeno nostro padre.
Questo tempo non mi sarebbe servito a nulla senza le persone
che mi sono accanto; tutte loro hanno
vissuto per me e il mio debito di riconoscenza è grande.
Mi sento responsabile di ognuno, come te della tua famiglia.
Per questo ho studiato tutta la faccenda delle proprietà: so perfettamente cosa
mi appartiene e cosa devo dividere, non discuterò di questo, ma ti farò una
proposta complessiva che dovrai accettare o rifiutare e dopo di te l'altro mio
fratello Albert e sua moglie.” - Pierre replicò: “Non sarà una cosa
semplice; immagino tu sappia di Valéria, la moglie di Albert è sua cugina.”
- “Sì, sappiamo di loro e anche altre cose che tu ignori, le quali potrebbero
avere un peso considerevole se non arriveremo ad un accordo. Non ho nulla contro Valéria, come papà
anch'io credo di doverle molto ma non tutto. Come vedrai nella proposta
sarà ricompensata più di quanto potrebbe sperare continuando l'inutile guerra
che ha avviato, senza dover attendere troppo a lungo.” - “Ma tu sai davvero
cosa vuole? Lei vuole questa casa.” - “Questo non potrà averlo
perché tu sei l'unico a cui spetta per quanto hai fatto e perché venendo da me,
anche se dopo tanto tempo, hai dimostrato di sentirti mio fratello.” - “Ma
io non pensavo di tornare a vivere qui.” - “Pierre... tu sei già tornato
qui; non è un caso che tua moglie e i tuoi figli parlino
perfettamente la nostra lingua.” - “Hai ragione, avevo pensato a questa
possibilità, purtroppo non posso lasciare la nostra attività.” - “È la vostra attività che vi sta lasciando.
Anche prima della morte di papà le cose andavano male, senza di lui pare vadano
peggio nonostante ti sia dato un gran daffare, cercando sempre di proteggermi.”
- “Ma come fai, da qui, a sapere tutto questo?” - “Te l'ho già detto, mi
sento responsabile e mi informo continuamente su cosa succede, pensando a cosa
posso fare; è un modo per passare il tempo!
Ora smettiamo di
girarci intorno, devi dirmi se ci sei anche tu nella mia famiglia.”
- Pierre guardava sbigottito l'esile fratello, aveva colto in paese qualche
voce che parlava di lui, del suo talento per la pittura e poi altre storie di
persone che cercarono di danneggiare lui e Anne e di come misteriosamente le
cose si erano messe a posto. Tutti quelli che vivevano qui… si sentiva che lo
amavano e altrettanto affezionati erano i suoi amici: la famiglia del notaio e
Gerard che lavorava con successo nel cinema e che lo aiutò a realizzare lo
splendido film, attraverso il quale l'amore di Jean raggiunse il padre
risvegliandone umanità e dignità, da allora conservata sino alla fine. Pierre
sentiva nel fratello una forza che si diffondeva attraendo chi gli era accanto,
come stava accadendo a lui.
La cosa aveva un'unica
spiegazione: stava bene con Jean come non era mai stato in vita sua.
I pensieri, le preoccupazioni, la paura del domani e quella profonda tristezza che lo tormentava
continuamente si accorse che riusciva ad affrancarsene in sua compagnia; questo
era il motivo per cui cercava di stargli vicino. Nel cercare conforto per
sé si accorse di non aver reagito, almeno con una qualche parola di
circostanza, alla confidenza di Jean mentre gli rivelava di avere poco
tempo... fu come uno schiaffo e la vergogna gli fece abbassare gli occhi.
Quando li rialzò nuovamente c'era il sorriso di Jean ad attenderlo: “... ben
tornato a casa, Pierre, lo senti che questo è il tuo posto? ” - pensò che era
inutile controbattere a chi ha accesso alla tua anima. - “Cosa potrei fare, Jean?” - “Intanto
leggere con calma questi fogli che riguardano la proposta, poi non devi
preoccuparti, quando ritornerai a vivere qui qualcuno ti darà una mano per un
buon lavoro; stanne certo, ho degli ottimi amici!”.
Pierre in seguito lesse la proposta del fratello: nulla era
stato tralasciato, proprietà, quote, riferimenti, rendite. Niente gli era
sfuggito; solo il padre conosceva tutti i particolari, molti dei quali lui
stesso ignorava. Adesso comprendeva quanto accadde al termine della proiezione
del film, il vero significato delle parole di Marcel: ... Maximo, adesso
fallo! A Jean erano stati fatti avere dal padre i documenti originali,
segno che di lui aveva piena fiducia!
Nella proposta erano evidenziate clausole e impegni in
caso di accettazione; l'amico notaio e la cura dei particolari di Jean non
avevano lasciato spazio ad alcuna possibilità di equivocare od appigliarsi a
chi sa cosa. Tuttavia fu meravigliato dell'equanimità del documento, ognuno ne
usciva bene, non sarebbe stato possibile fare di meglio volendo tenere conto di
tutti, senza imbrogli.
Assieme alla proposta Jean gli consegnò un pacchettino con le
lettere del padre (ma non quelle rivolte a lui che volle fosse Anne a
conservare) dicendogli: “Questa è la nostra storia, se siamo qui lo dobbiamo
a loro, anche tu devi conoscerla.”.
Pierre, pur se ancora giovane (39 anni) e con una bella
famiglia, stava soccombendo alla sua fragilità interiore. Jean e le persone
attorno a lui gli mostrarono un altro modo di vivere, qualcosa che cercava da
tanto, ben diversa dalla continua fatica di mantenere relazioni senza
sostanza.
Non solo aderì completamente alla proposta, ma disse al
fratello che avrebbe incalzato le altre persone coinvolte, a costo di procurare
loro ogni sorta di difficoltà.
Non avrebbe più avuto tutti quegli scrupoli nei loro
riguardi; quella sorta di timidezza, di paura di esporsi, evaporò in quelle
settimane. Ricordò il padre dirgli che al ritorno in Provenza fu come cominciare
di nuovo.
Ora anche lui aveva la stessa impressione, poteva
cominciare di nuovo.
Guardò dall'ampia finestra la distesa di lavanda ormai in
piena fioritura e, come un tempo alla madre, anche a lui quel fiore regalò
qualcosa. Il risultato di tutto si manifestò nella convinzione che ce la poteva
fare... e il desiderio di farlo presto.
Blanche fu profondamente attratta da quei luoghi e dai suoi
fiori. D'altronde il nonno era francese e qualcosa di lui si intrufolò nei geni
che le dettero forma, dapprima predisponendola alla conoscenza della lingua e
ora facendole risuonare qualcosa internamente ogni volta che visitava una città
di quella regione o ne osservava qualche particolare.
Forse il dejà-vu è il già-visto di qualcun altro che
risale la corrente della nostra elica genetica, o almeno questa ipotesi
potrebbe spiegarne qualcuno.
Quanto ai figli, Gabriel si ostinava a considerarsi francese,
forse per giustificare a sé stesso l'indifferenza per il posto in cui vivevano
dove non legava che con poche persone e le sole cose che amava veramente erano
la frutta dolce e profumata e il legno degli alberi tropicali. Tra i quali
preferiva i legni di Caienna che per gioco aveva cominciato a
lavorare e a cui dedicava sempre più tempo e attenzione.
La sorella Charlotte, al pari della madre, soffriva per quel
padre perennemente angosciato e triste; in questa terra lo rivide come non lo
ricordava da tempo, aveva recuperato le forze e il sorriso e questo valeva per
lei molto più delle amicizie che aveva a casa.
C'è un legame particolare tra padre e figlia, una relazione
delicata e difficile che richiede la massima attenzione e presenza; una figlia
può mettere in secondo piano i suoi desideri per compiacere o aiutare il padre,
forse non fa parte della natura femminile ma è sicuramente presente in molte
donne. Il padre dovrà ricordarsene al momento giusto; fare quanto necessario
per estinguere il debito e aiutare l'animo della ragazza a sciogliere quel
legame, per incontrare il suo destino.
Comunque ci sarebbe stato tempo per questo, nel breve periodo
Pierre seppe di poter contare su tutta la sua famiglia e la forza di una
famiglia unita conosce pochi ostacoli.
L'amica di Anne, la signora Jade (quella dei fiori azzurri di
duranta), cadendo malamente si ruppe un braccio che fu ingessato.
Essendo quello che usava maggiormente con l'altro riusciva a malapena a badare
a sé, ma non poteva più accudire il giardino e la sua regina azzurra.
Quando Anne lo venne a sapere si recò da lei; l'età avanzata
ingigantisce le disgrazie, pur se già serie; la vide depressa e conosceva come
fosse difficile reagire a quella condizione.
Provando a rincuorarla capì che Jade era preoccupata più per
il giardino che per se stessa: era estate e abbisognava di acqua e di cure;
nessuno eccetto lei aveva mai messo mano alle sue piante, nemmeno i figli. Non
riusciva ad accettare il pensiero di altre persone estranee, chiamate a provvedere al giardino senza conoscere di
ogni essenza le sue necessità.
Ma lasciarlo a sé stesso, abbandonato, era altrettanto
avvilente.
“Jade, non è così grave, posso aiutarti a trovare un
giardiniere per il tempo necessario.” -
“Anne... la mia duranta, il giardino conosce solo me e custodisce i miei
ricordi, lo sento che sarà la fine.”.
La faccenda era molto più seria di quanto sembrava, non si
risolveva come avevano cercato di fare in buona fede i figli mandandole
qualcuno ad aiutarla. Non era solo il suo corpo e non era solo il
suo giardino: lei e il giardino erano un'unica entità, andavano aiutati
entrambi allo stesso tempo.
Solo certe rare persone, dotate di un'umiltà naturale,
possono agire adeguatamente in situazioni del genere; l'unica che Anne
conosceva con questi requisiti era Catherine. Ne parlò a Jean che rispose: “Se
potessi lo farei io, so cosa vuol dire amare le piante. Senza dubbio Catherine
sarebbe la persona adatta.”.
Claude rassicurò la sorella, tre giorni alla settimana senza
di lei erano sopportabili, anche perché Anne organizzò la gestione della casa
tenendo conto della nuova situazione.
A giorni alterni (salvo la domenica) Catherine si recava
dalla signora Jade, puliva la casa e l'assisteva, poi l'accompagnava nel
giardino e l'anziana le spiegava cosa occorreva fare ad ogni pianta e come
farlo, rimanendo ad osservarla.
Dopo un po' di volte Catherine si accorse che le ripeteva
cose già dette, ma non le dava fastidio, anzi quella voce le piaceva, le
piacevano le storie delle piante e ancor di più le altre che raccontava... di
quando svolgeva il suo lavoro di maestra e di tutti gli alunni che conobbe, dei
loro genitori, dei fatti accaduti negli innumerevoli giorni passati a scuola.
Di queste storie, data la buona memoria, poteva raccontarne per anni!
Pian piano il loro divenne un forte legame che continuò anche
dopo la guarigione del braccio. Tutti rispettarono quell'amicizia, compresi i
figli della signora che la videro rifiorire al pari del giardino. Marie
all'inizio si sentì un po' trascurata dalla zia, così lei volle portarla con
sé, farle vedere cosa faceva e con chi. C'era un altro giardino molto più
grande che l'aveva incantata, ma quello della signora Jade aveva
quell'incredibile regina azzurra, non aveva ricordi di una singola pianta così
grande e bella!
Anche se aveva 13 anni poteva capire come la zia fosse
divenuta indispensabile all'anziana. Non era solo aiuto, compagnia; c'era uno
scambio reciproco in quell'amicizia, un po' come lei e Jean.
Del perché Catherine accettò da subito l'incarico la risposta
data fu che Jade le ricordava la madre e in parte era vero, ma lei comprese
all'istante che quello di Jean non fosse solo un suggerimento. Iniziò
gradatamente a distaccarsi dalla sorella e Claude da lei; alla luce di quello
che accadde in seguito fu la cosa migliore.
L'autunno arrivò in anticipo ma la prima metà di novembre
regalò giorni tiepidi e luminosi che aiutarono fisicamente Jean, costretto in
meno di tre mesi a due lunghi soggiorni presso il centro medico. Risollevarono
un po' il morale a tutti, ma divenne evidente - salvo per Marie, che rifiutava
di ascoltare qualunque cattiva notizia sulle condizioni dell'amico - che non
c'era modo di rallentare quanto gli
accadeva.
Egli tuttavia non aveva cambiato nulla del suo modo di fare,
solo lo faceva di meno, e aveva chiesto
nuovamente a Marie di portare il cibo nel giardino.
Per rispetto al suo esempio anche gli altri non cambiarono il
loro, la vita continuava allo stesso modo in quella casa e attorno.
Nessuno si chiedeva fino a quando, perché conoscevano
la risposta.
Jean avrebbe segnato uno di quei giorni sul piccolo quaderno
dove riportava alcuni eventi che riteneva importanti: venerdì 14 novembre.
Accadde di notte e non durò a lungo, bastarono poche righe a descriverlo, ma
solo chi l'abbia provato può comprenderlo.
Jean trascorse una giornata tranquilla, aveva fatto le
solite cose e si era coricato come di consueto. Il sonno stavolta non si fece
attendere. Le imposte della finestra erano state lasciate leggermente aperte
per far passare appena un po' di luce lunare che gli piaceva. Non fu nessun
disturbo fisico, né alcun rumore dall'interno o dall'esterno la causa del suo
risveglio.
Semplicemente si risvegliò... ma “lui” non c'era... aprì
gli occhi e si sedette sul letto, di fronte alla finestra; c'era una pressione
all'interno del suo corpo ma non sapeva da dove provenisse,
non sapeva proprio chi era. Meglio sarebbe dire che “non
sapeva che non sapeva” chi era.
Non conosceva una sola cosa di quello che i sensi
provavano, non sorse una sola parola per descrivere alcunché, ogni cosa attorno
a lui e dentro di lui era sconosciuta. C'era solo questa pressione da qualche
parte e la poca luce della stanza, ma in quella situazione una stanza, una
vallata o ancor più non significavano nulla, al pari della luce e
dell'oscurità. Non c'erano confini tra quel corpo sveglio, la luce e l’oscurità.
Gli occhi non erano i “suoi” occhi; erano solo occhi che vedevano, ma “cosa”
vedevano non c'erano parole a descriverlo. Se qualcuno avesse potuto osservarlo
direbbe che rimase in quello stato qualche minuto. Ma il tempo, il modo di
misurarlo e anche lo stesso concetto non
potevano raggiungere quel corpo, un abisso inghiottiva qualunque cosa
“conosciuta” tentasse di avvicinarsi. Come respirava quel corpo non respirò
nessun altro, come batteva quel cuore nessun altro cuore fece; ogni minima cosa
che accadeva era assolutamente unica e irripetibile... un pulsare di creazione
e distruzione.
La pressione divenne sempre più forte, sempre più forte...
e si sincronizzò col respiro fino al momento in cui esplose in una parola che
vibrò all'interno... Jean! In un batter di ciglia con la parola venne la
persona e il suo modo d'essere. La memoria conservò traccia dell'accaduto e
subito il cervello trovò le parole per esprimerlo. Il corpo era ancora percorso
da una corrente sconosciuta e non si lasciò distrarre dal dialogo interno che
si affievolì, pur senza cessare.
Si sedette sulla poltrona con una coperta, continuando a
guardare davanti a sé la vivente oscurità che aveva aperto le sue porte...
Capitolo 24 - Impegni e
promesse
Senza alcun preavviso Jean cominciò a parlare della
(propria) morte ad Anne: lo fece in modo diretto e senza sentimentalismi, non
sembrava preoccupato della morte ma solo delle sue conseguenze pratiche.
Viene detto che il morire avviene attraverso delle fasi
che riguardano sia chi muore sia chi ha un rapporto con lui: incredulità,
rifiuto, rassegnazione, accettazione. Siano queste o ve ne siano altre, o si
sviluppino secondo un ordine differente è più o meno riconosciuto da tutti.
Il modo di parlare del ragazzo non era riconducibile ad
alcuna di queste, quasi le avesse passate tutte o non ne fosse toccato da
nessuna.
A questo Anne non era preparata perché non aveva ancora
affrontato la prima... e mentre Jean le
parlava il suo sguardo si era fatto diverso, quasi non lo riconosceva. Le dava
la sensazione di essere estraneo a quanto diceva, facendolo solo a suo
beneficio.
Nella sua mente si manifestò quella prima fase: “...
no, non è possibile, almeno non presto. Alcuni dottori mi dissero che potevano
volerci ancora degli anni.” - ma Jean non le permise quella strada: “Il
tempo che mi resta non voglio consumarlo a consolarvi e non posso aspettare
perché ho delle cose da fare e sempre meno energie.” - a sua volta Anne, senza capire come fosse
possibile, si ritrovò a parlarne come se non riguardasse né l'amico né se
stessa: “Ti riferisci alla faccenda delle proprietà?” - “No, quella
oramai è avviata... se le persone interessate hanno un minimo di buonsenso
capiranno che è nel loro stesso interesse risolverla in breve tempo, prima che
io non ci sia più, altrimenti si bloccherà tutto per chissà quanto!
Sono altre le cose che devo chiederti, molto più
impegnative. Marie non potrà sopportare quello che verrà: è l'anello più debole
della nostra catena, della nostra famiglia; sarà il momento più
critico della sua vita, ancora peggio di quando l'avevano ricoverata. Sono
fiducioso che alla fine ce la farà, ma non dipenderà solo da lei, molte cose
devono mettersi assieme per aiutarla ad uscirne.” - “Come posso aiutarla?”
- “Marie mi ha promesso che avrebbe studiato sino alla laurea. Come sai una
parte di quello che mi appartiene è già stato destinato a questo scopo, ma da
solo non garantisce nulla. Nell'accordo tra me e Marie è previsto il
festeggiamento della laurea in questa casa; devi rammentarle che
è sempre valido: tutti saranno qui ad aspettarla. Ti chiedo di occuparti di
questo, sapendo bene di domandarti un impegno per un futuro lontano.
Immagino e spero che dopo... viaggerai, ma dovrai essere
qui per allora e preparare le cose per bene come solo tu sai fare.”.
Quanto ascoltava era il proposito di pianificare gli
eventi futuri e le pareva di scorgere che qualcosa di quel piano era iniziato
già tempo addietro, senza che nessuno ne avesse il minimo sentore. Aveva la
sensazione che quasi vi fosse una regia dietro a tutto ma non riusciva a
credere che fosse Jean l'artefice, in qualche modo consapevole degli sviluppi
di quella trama. Gli disse: “Jean, puoi contare su di me, chiedermi
qualunque cosa per adesso o tra dieci anni.
Desidero aiutare Marie e ognuna delle persone con cui abbiamo condiviso
la nostra vita facendo le cose più belle e incredibili! Ma tutto quello che è
successo e che succederà... dipende da te?” - “No, Anne, anch'io ho la mia
parte, la regia è di qualcun altro.” - “... dell'indaco?” - “L'indaco è
la porta, forse solo una delle porte, dietro c'è la cabina di regia.” - “E
chi c'è lì dentro, si può dire?” - “Forse, come dicesti tu a proposito del
film di Gerard... il Divino Romanziere; ma ti anticipo la risposta alla
prossima domanda, non ne so nulla. Una volta parlammo della vita come fosse un
film sulla pellicola, dicevi che alcuni in India usano questa immagine; se le
cose stanno così ecco perché nessuno ne sa veramente qualcosa, allo stesso modo
che le immagini sui fotogrammi non sanno come sono finite là e facciano quello
che fanno.” - “ Ogni tanto sembra che qualcuno conosca come stanno le cose.”
- “Quello che sa è la sua parte, né più né meno di ogni altra parte.” -
“E l'indaco, che ruolo ha? ” - “Hai colto il punto, Anne! È la luce che
dà vita alla pellicola; da dove venga e chi la accenda non ci è dato conoscere.
Ma c'è un'altra luce - l'indaco - che permette di muoversi indietro e
avanti nella pellicola e in alcuni casi si mescola con le immagini...
che, magari di poco, non sono più le stesse.” - Anne ricordò le due proiezioni,
specialmente l'ultima, quando l'indaco interagì e trasformò le immagini
proiettate. Se si riferiva a qualcosa di analogo le implicazioni erano
rilevanti. - “E questo potrebbe cambiare qualcosa in quello che deve ancora
venire?” - “Sì, ma quello che si aggiunge da una parte viene tolto da
un'altra e dopo non hai modo di controllarlo e modificarlo, perché lo
vorresti diverso da come è venuto; giocare con l'indaco può costare molto
caro.” - “Quello che ti è successo all'ultima proiezione, tutto quel tempo
per riprenderti! Lo sapevi come sarebbero andate le cose, perché lo hai fatto,
rischiare così tanto!?” - “Come ti dissi per il nostro film (La petite
mer...) l'abbiamo fatto perché andava fatto; dopo abbiamo visto che
ha portato buoni frutti, per tutti. L'ultima proiezione l'ho fatta per lo
stesso motivo; sono certo che l'indaco vi ha rivelato qualcosa che vi riguarda.
Se anche questo porterà buoni frutti io non potrò saperlo ma voi sì!” - “Hai
un'idea di quando lo sapremo?” - “Sì, e riguarda Marie: se studierà come ha
promesso allora ritornerà per la sua festa e non passerà troppo tempo che lo
saprete.” - “Ma potrebbe andare male?” - “Può sempre andar male.
Il nostro Romanziere talvolta si diverte ad aggiungere pagine, ma alla fine la
scriverà l'ultima del nostro capitolo e se è destino ci arriverete. Come nei
film speriamo che sia un lieto fine.”.
Tra le altre cose di cui parlò c'era una questione
delicata: le cure a cui si sottoponeva
ormai non davano i risultati sperati, non abbastanza per continuare su quella
strada.
Si sa come la pensano molti dottori. Per una ragione o
per l'altra le vorrebbero provare tutte, anche una settimana di vita in più
viene considerata un valido motivo: venne prospettato un intervento che aveva
dato buoni risultati in casi analoghi, ma a condizione di rinunciare ad importanti funzioni fisiologiche compensate in altro modo. Jean
disse semplicemente che la cosa non lo interessava. Anne doveva trovare il modo
di far rispettare la sua volontà, tutt'al più ricercando assieme ai dottori una
qualche forma di assistenza per continuare alla meno peggio.
“Non sarà difficile, Jean, troveremo chi ci assista.”
- “Ti sbagli, sarà davvero difficile, perché dovrò tornare là.” - “Non è
necessario, c'è un ospedale anche qui dove potranno seguirti allo stesso modo.”
- “Non hai capito, io ritornerò là perché Marie non deve vedermi alla fine.”.
Aveva già pensato anche a quello! E rinunciato per lei a
poter terminare la propria vita nella tranquillità della sua casa, magari
guardando dalla finestra i voli degli uccellini l'inverno o la sfavillante
lavanda l'estate.
Che potesse dare tanto non aveva dubbi, ma fino a questo
punto... finire in una bianca stanza anonima! Era convinta che se fosse stato
per lui si sarebbe fatto portare al Lieu e li avrebbe congedati dicendo di
ripassare dopo un po'. Pensando alle difficoltà adesso era d'accordo: quello
era un centro dove si cercava di contrastare in tutti i modi il declino delle
funzioni vitali, anche se negli anni molte cose erano cambiate in merito alla
convenienza o meno di intervenire.
Doveva presto prendere contatto con quei pochi là dentro
che avrebbero potuto comprendere come la vedeva Jean, per assicurarsi che fosse
seguito esclusivamente da loro. E doveva rivedere tutto il protocollo dei
trattamenti previsti, essere preparata alle loro obiezioni; per fortuna queste
cose aveva avuto modo di studiarle, pur se tanto tempo addietro.
Fu interrotta nei suoi pensieri dalla voce del ragazzo
che le disse sorridendo: “Te l'avevo già detto che ci capisci più tu di loro, les
médecins...”.
Intanto la ristrutturazione della casa di Gerard era
quasi terminata. Jean promise che sarebbe andato a vederla quando si sarebbe
potuto muovere liberamente. Era inverno e non sopportava più il freddo, così
Gerard sperava di portarlo a visitarla quando fosse completamente finita e ben
riscaldata. In quel periodo continuava a
fare la spola tra il lavoro ad Avignone e la nuova casa, trascorrendo ogni tanto
la sera con la compagna e l'amico.
Anne raccontò dell'impegno preso per la festa di laurea
e di come Jean affrontò con lei il tema della propria fine e delle cure
mediche, rimanendo meravigliata di come Gerard assorbì quelle tristi notizie,
quasi fosse già preparato. Tuttavia lo vedeva tormentarsi al pensiero di non
aver fatto abbastanza per sdebitarsi con l'amico e c'era sempre meno tempo.
Anne, avuto dal sogno un indizio da dove provenisse almeno una parte di
quel sentimento, non poteva aiutarlo, rischiava di acuirlo ancor più. Sperava
che Jean chiedesse anche a lui qualcosa di difficile.
Non si era accorta che da tempo stava chiedendogli
qualcosa: di andarlo a trovare solo di sera, ma le sue condizioni fisiche
non erano il motivo principale. Di lì a poco una nuova richiesta alquanto
impegnativa spiegava il perché di quel limite alle sue visite. Gerard promise
che l'avrebbe eseguita nel migliore dei modi, poter fare qualcosa per
Jean era come ricevere un bel regalo. A cui pensò di ricambiare nel modo che
gli riusciva meglio e per questo chiese ad Anne di aiutarlo. Lei fu
immensamente felice di quell'idea alla quale non aveva pensato.
Purtroppo Jean quell'inverno soffrì molto. Ci furono
altri due viaggi al centro ma almeno quelli furono tranquilli perché Gerard noleggiò
a tempo indeterminato un grande furgone attrezzato al trasporto di persone
malate. Non era bello ma almeno non aveva contrassegni medici, per questo
piacque molto al ragazzo che lo abbellì con alcuni mazzetti di lavanda e
scherzandoci sopra lo chiamò Lavender-camper, usando l'inglese per
lavanda e il francese per l'altra parola, dimostrando di essersi dato almeno un
po' da fare con le lingue.
L'impegno e gli sforzi di Anne produssero dei buoni
risultati: grazie alla continua insistenza i due dottori che accettarono di
assistere il ragazzo misero a punto una terapia domiciliare associata ad un trattamento un paio di volte al mese,
presso uno studio medico attrezzato.
Adesso la sofferenza era quasi sopportabile, soprattutto
non più continua.
Jean ringraziò i due medici per questo risultato e in
anticipo... per quello finale, regalando ad entrambi uno dei suoi acquerelli.
All'inizio giustamente rifiutarono, ma Jean sapeva bene cosa dir loro: “Non
intendetelo come un regalo, servirà a ricordarvi che se avete aiutato un
paziente difficile come me, potrete aiutarne altri nelle mie condizioni.
Quelli come noi non chiedono di vivere di più, ma solo di essere accompagnati
alla fine senza troppo dolore.” - Ne avevano conosciuti di pazienti, ma
questo...
Anne osservava costantemente il comportamento di Marie,
informandosi di continuo anche da Claude e Catherine. Purtroppo, come aveva
previsto Jean, non dava il minimo segno che cominciasse a rendersi conto della
situazione dell'amico; qualcosa in lei si opponeva tenacemente alla possibilità
della sua fine, quasi che il rifiutarla avesse il potere di sospenderla.
Claude già una volta la forzò ad accettare
un'eventualità del genere, con il risultato che conosciamo. Ora poteva solo
attendere gli eventi e far fronte a quanto sarebbe seguito.
Anne cercò di rincuorarla, dicendole che Jean era
fiducioso per il futuro; lei rispose: “Senza Jean l'avrei già persa quella
volta e con lei anch'io. Se siamo ancora qui lo dobbiamo a lui; come sia
possibile che quel ragazzo abbia salvato le nostre vite non ci arrivo a
capirlo, ma so che è così, anche mia sorella lo crede. Ci ha dato fiducia che
potevamo farcela anche nei momenti peggiori. Anne, non temo quanto verrà;
qualunque cosa sia, anche che la mia Marie non ce la faccia, che le succeda
qualcosa nella testa. Non voglio nascondere la mia sotto la sabbia: so quello
che può accadere e credimi, sono pronta. Mi rattrista pensare che non potrò
ricambiare quanto il nostro Jean ha
fatto per noi.”. Catherine si allontanò
con una scusa e Anne rimase con l'amica
a condividere quel dispiacere che era anche il suo.
All'inizio della primavera Pierre telefonò al fratello
per dirgli che tutti avevano firmato la proposta nello studio dell'ex legale
del padre, l'avvocato Maximo D.S..
Anche questa guerra era finita, furono riposte le armi
(legali) e non ci furono né vinti né vincitori, ma solo persone che riconobbero
l'imparzialità delle condizioni.
Valéria fu fortemente consigliata dai suoi
avvocati di accettare la proposta prima della scomparsa di Jean, altrimenti non
avrebbe ottenuto tanto e con tempi che sarebbero diventati assolutamente
incerti. Fino all'ultimo però volle verificare la possibilità di scambiare
quanto le era assegnato con la casa di famiglia ma si ritrovò isolata. Né
Albert né la moglie, sua cugina, vollero seguirla e la pressione esercitata da
Pierre aumentava di giorno in giorno.
Con l'accettazione della proposta sarebbero arrivati in
breve tempo denari e proprietà; i debiti si erano accresciuti, i creditori
incalzavano, i legali che avevano avviato la disputa ora reclamavano i loro
lauti compensi arrogandosi il merito di aver spuntato favorevoli condizioni,
era da pazzi opporsi per orgoglio.
Pierre cedette tutte le sue quote dell'attività e una
buona parte dei contanti futuri al fratello e
a Valéria, in cambio delle loro quote dei terreni in Provenza; avendo
già la casa, alla fine la proprietà sarebbe rimasta integra.
Albert e Valéria si sarebbero ritrovati ciascuno
proprietario di un immobile di gran valore e di una somma in
contanti davvero considerevole.
Jean volle per sé solo la casa dove viveva la famiglia
di Marie, mentre il terreno di scarsissimo valore del Lieu (dove Anne aveva già
acquistato il cabanon) era già suo per disposizione della madre. Alla
maggiore età, ormai vicina, avrebbe avuto a disposizione una notevole somma di
danaro che aveva già disposto venisse divisa tra Pierre, Anne, Marie, Gerard,
Claude e Catherine e a queste ultime avrebbe donato anche la casa dove avevano
sempre vissuto.
Il Lieu l'avrebbe tenuto Anne sino alla laurea di Marie.
Quando ricevette la telefonata del fratello, preludio
che tutta la faccenda stava per concludersi come sperato, Jean fu felice: il
pensiero di mettere a posto la stanza prima di lasciarla gli procurò una
gran soddisfazione. La vita potrà anche sembrare un caos, ma i suoi
sottoinsiemi sono perfettamente ordinati...
Con la primavera e l'aumentare della temperatura Jean si
disse pronto a visitare la casa di Gerard che ormai non ci sperava più. Un
pomeriggio i componenti di quella famiglia d'elezione entrarono in una
casa riscaldata sei-sette gradi sopra il normale, cosa che Jean apprezzò
grandemente, potendo togliersi alcuni indumenti che gli davano fastidio e
rimanere con una maglietta.
Il lavoro fatto fu notevole, pur se l'aveva visto
progredire nelle foto che man mano Gerard gli portava ammise che dal vero
l'impatto era oltre ogni aspettativa.
Della vecchia casa rimaneva una facciata esterna ben
restaurata, ma all'interno era un altro pianeta. La pianta era di otto metri
per tredici (interni) su due piani, con l'entrata al centro del lato minore che
dava ad ovest; alla destra una cucina e dei servizi igienici; sulla sinistra la
scala e una sala da bagno. La scala conduceva a quattro ampie stanze al piano
superiore, di cui due con con doccia e servizi. Al piano terra entrata, vano
scala, cucina e servizi occupavano meno di un terzo della superficie; la
restante, otto metri per nove di lunghezza, era vuota senza nessuna finestra ai
lati. Ma la parete di fronte (rivolta ad est) era un'unica enorme vetrata
divisa in due superfici rettangolari, dal pavimento al soffitto. Un meccanismo
permetteva di aprirle agevolmente e indipendentemente verso l'interno. In più
si poteva oscurare completamente tutta la vetrata per mezzo di un telo cerato
bianco che scorreva dall'alto verso il basso su delle guide: era un cinema!
Ma era anche un'astronave rivolta al sorgere del
sole, della luna e delle costellazioni, con nessun impedimento alla visuale.
Davanti solo un campo di bassa, meravigliosa lavanda.
Era stato quello l'intervento di Jean sul progetto; ora che tutti lo vedevano
compiuto non poterono trattenersi dal festeggiare: La petite mer... de la
Provence fu proiettato come meritava
un'opera di tale bellezza.
Capitolo 25 - Il tesoro
Da qualche mese Jean frequentava uno studio medico nella
cittadina per i necessari controlli e l'integrazione della terapia che stava
seguendo. Venne deciso di andarci di mercoledì; in tal modo Marie, terminate le
scuole, poteva unirsi a loro e visitare per suo conto il mercato, un posto che
adorava.
Mercoledì 17 luglio fu la prima volta e Marie per la
fretta di vedere tutto non lo fece con la solita cura, vagando senza concludere
nulla.
Si ripromise di agire con metodo alla successiva
occasione, giusto la settimana dopo,.
Quel diversivo la distolse una volta di più
dall'accorgersi delle condizioni dell'amico, ma non se ne sarebbe accorta
comunque, dato che non voleva vedere.
Domenica 21 ritornarono tutti al Lieu, dopo un anno.
La temperatura non era troppo calda sì da permettere a
Jean di fare una breve passeggiata, accompagnato dall'amica di una vita. Non fu
neppure aperto il cabanon, si trattava di una visita veloce.
Le tre donne li guardavano continuamente, pronte ad
intervenire. Il ragazzo era malfermo sulle gambe e si riposava dopo appena
pochi passi, fin quando si sedette su una di quelle rocce usate tante volte
come sedile, rimanendo assorto a guardare davanti a sé. Marie camminava lì
vicino osservando con cura le piante di lavanda, da cui voleva raccogliere
qualche spiga di una tonalità particolare. Anne, Claude e Catherine ebbero lo
stesso pensiero: quel giorno Jean salutava per l'ultima volta l'amato Lieu.
Erano certe che non sarebbe più ritornato, se non altro per la fatica che non
poteva più sopportare; si domandarono se sarebbe stato meglio evitare di
venirci, ma chi negherebbe l'ultimo saluto ad un amico?
Marie alla fine individuò le spighe che cercava, ne
prese una e guardandola provò uno strano dolore, ma non sembrava provenire da
lei. Cercò di non badarci ma anche con la successiva provò lo stesso dolore, se
non era suo poteva esserlo dei fiori?
Impossibile, pensò, ma la cosa la turbò al punto da
lasciare quelle spighe per terra e correre dall'amico che le sorrise pregandola
di aiutarlo a tornare, sostenendosi al suo braccio.
La lavanda viveva il dolore di Jean.
Tornarono velocemente a casa e Jean si ritirò in fretta
nella propria stanza.
Se Marie avesse ascoltato quel fiore avrebbe capito da
dove veniva il dolore, potendo forse ancora affrontare per tempo la fine dell'amico.
Abbiamo già detto all'inizio del libro cosa accadde il
mercoledì (24) successivo, di come ritornando allo studio medico Marie stesse
pensando di chiedere l'aiuto di Jean per l'acquisto della busta...
... Jean si era in parte ripreso dopo la frettolosa
visita al Lieu, dove aveva abusato della sua resistenza per accomiatarsi come
doveva da quel posto che diede senso e scopo alla sua vita.
Vide arrivare l'amica nello studio con il viso
arrossato, la conosceva bene per sapere
che non dipendeva dal sole ma da uno stato di eccitazione; era sicuro che gli
avrebbe chiesto qualcosa. Infatti, quando trovò il momento giusto: “Jean... non
so come posso chiederti questa cosa, non volevo, non pensavo che l'avrei
chiesta proprio a te. Forse ho sbagliato, ma mi sono impegnata e ho già dato il
denaro che avevo, ma non ho quella cifra, è troppo per me!” - “Ehilà, calma,
calma, non c'è niente che non si possa rimediare: hai promesso di acquistare
qualcosa e hai lasciato un anticipo?” - “Sì, per una busta colorata... che però
contiene qualcosa di speciale!” - “Deve essere davvero speciale se costa
così tanto come mi par di capire. Forse ti sei pentita e non la vuoi più,
magari vorresti recuperare il tuo denaro?” - “No, ormai non posso più, questo
libro... se non compro la busta che sta conservando per me saremo pari.”
- “Ma quanto gli hai dato?” - “Tutti i miei 50 franchi.” - “50 franchi per quel
libro! Non ne varrà che qualcuno al massimo! Perché quella busta ti interessa
tanto?” - “Jean, ti prego di credermi... io penso che sia vero, ti giuro che ho
sentito che lì dentro c'è qualcosa per me. Non so cosa ma potrebbe essere
importante, valere molto.” - era seria, non l'aveva mai vista prendere così
seriamente qualcosa. - “Se hai avuto questa sensazione allora devi andare fino
in fondo. Lo farei anch'io al tuo posto, garantito, non c'è prezzo che ti deve
fermare, di sicuro non fermerà me che sono tuo amico... e diventerò ricco il
giorno dei miei 18 anni! Se sarà così importante come pensi, mi basterà quale
rimborso. Comunque era da tempo che volevo farti un bel regalo per il tuo
compleanno, pensavo ad una vecchia scatola decorata ma so che non l'avresti
accettata, una busta speciale è altrettanto un bel regalo.” - “Ma costa
troppo, io pensavo di chiedere anche a mia mamma e alla zia...” - “Mi faresti
un grave torto a concedermi di farti solo mezzo regalo; i tuoi familiari
possono darti un'altra cosa, questa l'hai chiesta prima a me e pretendo, quale
tuo miglior amico, di essere il solo a fartelo!”. Jean era capace di rivoltare
ogni argomento sino all'opposto: fu lei a chiedergli un favore e ora lui
insisteva che lo accettasse come suo regalo! Se non fosse stato il compleanno
avrebbe sicuramente trovato un altro modo per
raggiungere lo scopo. Nessuno che conosceva aveva un simile amico; giurò
che questa sarebbe stata la prima e ultima volta che avrebbe preso del denaro
da lui, ma anche di questo dovette ricredersi, perché non lo toccò mai: “Marie,
non posso permetterti di ritornare con i soldi dal venditore, ti accompagnerà
Anne e sarà lei a saldare il conto a nome mio; io vi attenderò in auto, non ci
vorrà molto e poi oggi sto molto meglio.”.
Quando raggiunsero l'ambulante Marie lo vide allegro e
pensò che fosse a causa sua, per l'imminente acquisto, ma non era solo per quello:
“Ohh... signorina! Sono sicuro che mi ha portato fortuna! Una grande
fortuna! Pensi, poco dopo che lei si allontanò, un ricco signore che tempo
addietro acquistò una delle buste è ritornato per acquistare quelle rimaste.
Era così interessato che... beh, non gli ho fatto lo stesso prezzo che feci a
lei, in fin dei conti erano le ultime... - rivolto ad Anne - ... sa come
funziona, pensavo che avremmo contrattato, gli ho chiesto una cifra enorme,
spropositata, così, tanto per cominciare. Non ha battuto ciglio! Mi ha solo
domandato se ce ne fossero altre e risposi di no, perché ero sicuro che la
signorina sarebbe tornata, la sua busta la consideravo già venduta! Contento
del saperle finite aggiunse ancora del denaro, molto, molto di più della cifra
precedente... non potevo credere ai miei occhi! Gli dissi che eravamo andati
troppo oltre e non potevo accettare. Ma non ci fu verso, rispose che doveva
fare così. Quello che trovò scritto nella busta precedente si avverò
completamente... e furono cose molto importanti per lui, senza prezzo,
aggiunse. Quasi lo supplicai di prendere qualcos'altro, almeno la bella scatola che conteneva le buste. Mi suggerì di
darla in regalo al primo a cui fosse piaciuta... e ho subito pensato a lei!”.
Marie ascoltò quanto diceva come si ascolta una fiaba,
addirittura la scatola! Certo che le piaceva, molto, ma dopo la busta pensò che
per un bel pezzo non avrebbe più acquistato nulla; però quella era in regalo!
Un altro regalo. Anche se fu quanto riferito dallo
sconosciuto acquirente che la eccitò maggiormente; disse che... quanto trovò
scritto nella busta si avverò completamente.
La circostanza rafforzò la sua convinzione che c'era
qualcosa di molto importante nelle buste e anche lei tra poco ne avrebbe
posseduta una!
Sentì che la fortuna le stava baciando non una, ma tutte
due le guance. L'ambulante proseguì: “Adesso posso raggiungere alcuni miei
parenti all'estero, dove la vita costa pochissimo; con quello che ho ricavato
oggi non avrò problemi per un bel pezzo e potrò partecipare alla gestione del
loro piccolo negozio. Quello che le ho domandato per la sua busta, me ne dia
solo la terza parte. Potrei anche regalargliela, ma le toglierebbe valore; di
quello che c'è dentro, intendo...”.
Marie vide quanto Anne era meravigliata da quello che
succedeva. Diverse volte la accompagnò a far spese, anche importanti: non c'era
nessuno che poteva tenerle testa quando si trattava di denaro! Riusciva a
capire osservando il venditore se era disponibile a qualche sconto; nei casi
non lo fosse pretendeva almeno qualcosa: una facilitazione di pagamento, un
articolo in aggiunta, il trasporto gratuito o almeno l'impegno per uno sconto
sul prossimo acquisto. Qualcosa spuntava sempre e chi ormai la conosceva
considerava suo dovere cercare di rivalersi, così Marie ebbe modo di assistere a contrattazioni degne di un
mercato nord africano, capaci di lasciare esausti senza il più delle volte
concludersi con l'acquisto.
La forza di chi compra sta nel poter rinunciare; lei
sapeva come comunicare a parole o con la mimica quella possibile decisione al
venditore, che a sua volta doveva valutare se era il caso di ammorbidire le sue
pretese. Per contro al ristorante Anne poteva lasciare una generosa mancia,
spesso sostituendosi in questo a Gerard (sono ben poche le donne che lo fanno).
Aveva considerazione per il faticoso lavoro di cameriere
che fu quello del padre, e capiva se sotto la cordialità esibita c'era anche
rispetto per il cliente.
In quest'occasione Anne appariva spiazzata; ascoltò
l'ambulante non intervenendo mai. Gli diede quanto chiedeva e lo ringraziò.
Quando stavano già allontanandosi l'uomo li richiamò, chiese a Marie il libro e
le ritornò i 50 franchi. “Cosa ne pensi, Anne?” - chiese la ragazza - “Che è
una persona buona e sincera.” - rispose.
Marie si volse a guardarlo un'ultima volta, le due borse in una mano e la gruccia nell'altra; aveva già fatto qualche passo e le fece pena vederlo camminare con fatica. Lui si accorse che lo stava osservando e le mandò un bacio con la mano. Era così contenta che la fortuna avesse toccato anche quel pover'uomo che per un po' dimenticò la sua busta e la scatola dorata.
Al ritorno verso casa Marie stringeva tra le mani la
scatola che custodiva la preziosa busta color lilla. Pur se impaziente di
aprirla essendo il regalo per il compleanno, avrebbe atteso sino al 29 del
mese, solo cinque giorni ancora. Naturalmente l'avrebbe aperta con l'amico al
suo fianco a cui raccontò cosa successe al mercato. Jean affermò che questo
confermava la sua sensazione: la busta era davvero destinata a lei.
Quattro di quei cinque giorni furono terribili per il
ragazzo, ormai la terapia per il dolore funzionava solo per alcuni giorni;
cercò di resistere ma dovette tornare allo studio il giorno prima del
compleanno, per essere sicuro di poter rimanere un po' di più con Marie e gli
altri alla festa che finalmente arrivò.
Gerard fu
trattenuto ad Avignone da problemi di lavoro, sarebbe venuto solo verso sera,
ancora in tempo per salutare e abbracciare il suo giovane amico.
Erano presenti le tre donne, Marie, il notaio con la
moglie e per la prima volta Mathieu e Nicole (accolti con tale calore e affetto
da Jean che lasciarono a bocca aperta Marie, quasi li conoscesse da sempre!).
C'era un'altra prima volta, la signora Jade,
desiderosa di conoscere e vedere con i suoi occhi quel ragazzo di cui Catherine
le raccontava cose meravigliose.
Jean le chiese come stesse la sua regina azzurra e
lei rispose tra lo stupore generale (tutti conoscevano la storia) che se poteva
servirgli a qualcosa gliela avrebbe portata subito. Lui la ringraziò ma le
disse che ognuno aveva un proprio fiore e il suo era la lavanda.
Jade annuì, aveva portato con sé un ramo fiorito della regina
che dette a Jean, il quale lo mise prontamente in un vaso con dell'acqua,
dicendo che il suo regista preferito non aveva ancora un fiore e lo
avrebbe sicuramente accettato.
Di quel regista fu poi proiettato il film “16 giorni,
il numero dai due colori” che nessuno aveva ancora visto; inutile dire
quanto fu apprezzato. Marie ne perse una piccola parte che le venne descritta
in seguito perché Jean la mandò a prendere la busta lilla.
La petite mer... fu il secondo, in onore della
signora Jade che ne fu commossa quasi fino alle lacrime; ma a tutti loro che lo
conoscevano ricordò quanto la vita possa risplendere: nel cielo, nei fiori, nei
piccoli insetti e nelle persone.
Due volte durante quel pomeriggio Jean si ritirò nella
sua stanza per una mezz'ora; ce ne fu una terza, di un'ora, al termine della
quale chiese a Marie di raggiungerlo.
Si era ben riposato per essere pronto all'apertura di
quella busta speciale.
L'amica si sedette su una sedia vicino alla poltrona
dov'era Jean.
Non si persero in parole, la ragazza esaminò con cura
quello strano sistema d'apertura per mezzo di un sottile cordoncino; non voleva
rischiare a causa di una manovra sbagliata di comprometterne il contenuto. Fu
rassicurata che il modo di procedere era corretto. Apertala ne estrasse un
semplice foglietto di carta più spesso del normale e lilla come la busta, dove
erano scritte con una grafia non ricercata solo alcune parole:
“quando le
promesse saranno mantenute avrai il tuo tesoro,
più
grande di quanto tu possa immaginare”
La prima istintiva reazione fu di disappunto, avrebbe
preferito l'uovo oggi al tesoro domani... poi con più calma cercò di interpretare con
l'amico il messaggio: “Peccato, speravo in qualcosa adesso. Quali
promesse dovrei mantenere?” - “Avevi promesso qualcosa a tua madre o a Catherine?
“ - gli domandò Jean. - “No, che mi ricordi... ahh! Adesso mi viene in mente!
Alla zia avevo detto che sarei andata dalla signora Jade per aiutarla a
sbrigare i lavori di casa, quando lei sarebbe stata occupata a preparare la
chiesa per un matrimonio a cui tiene. A
dir la verità, visto che non me l'aveva più ricordato... ma adesso lo farò di
sicuro!” - “Sì, è capitato al momento giusto! Tua zia ti chiede così poco che
ci sarebbe rimasta male. Ma ti ha parlato di un qualche compenso per questo?” -
“No, ma poi mi dà sempre una buona mancia.” - “Non ci siamo Marie, per quanto
buona sarebbe solo una piccola parte del prezzo della busta! Qui dice
addirittura di un tesoro! Dimmi una
cifra, subito!” - “Ma Jean, così , non saprei... centomila franchi!” -
“Marie, il tesoro è molto più di questo che hai immaginato!! ” - “...
credi davvero?” - “Mi hai raccontato del venditore, quello ha intascato una
cifra enorme per le buste! E chi le ha comperate... già nella prima busta trovò
qualcosa che addirittura non aveva prezzo! Questa è una cosa
super-importante, di quelle che possono cambiare la vita. Molto denaro, o forse
qualcosa di maggior valore, non credo proprio che si riferisca alla promessa
fatta a Catherine.” - “Io non ricordo altre promesse, a parte quella fatta a
te, di studiare e...” - “... e festeggiare qui la laurea! Una promessa
del genere che impegna per anni e anni, può meritare un tesoro!” - “Farò
tutto il possibile per mantenerla, Jean.” - “Ne sono sicuro. Il messaggio ti
anticipa che sarai ricompensata grandemente e sapendolo avrai più forza,
forse ti aiuterà anche con la matematica!” - “Ehh... ne avrei veramente
bisogno!” - rispose ridendo.
Capitolo 26 - L'ultima
sorpresa
Il pomeriggio seguente l'amico notaio ritornò da Jean
che firmò, maggiorenne, le sue disposizioni finali. Tutto quello che poteva
fare e anche di più era stato fatto: aveva curato ogni particolare e ora la
stanza - la sua vita - era completamente in ordine.
La forza che l'aveva sorretto sino ad allora iniziò
gradualmente a ritirarsi; era preparato a questo momento e non cercò di forzare
il suo debole corpo quando cominciò a non rispondere come di solito. Per tanti
anni l'aveva assecondato oltre le sue possibilità; era giunto il momento di
rispettarne i limiti, il vero modo per ringraziarlo.
In capo a qualche giorno, nel Lavender-camper,
avrebbe lasciato per sempre la sua casa e i luoghi che conosceva. Da essa e da
ognuno si era congedato per tempo, salutando ogni collina e campo, ogni pianta
e animale e per ultimo il cielo; tutto quello che aveva era ben ordinato nella
sua camera.
Si accomiatò da
Claude e Catherine che andarono da lui la sera prima della partenza, a
tarda ora, quando Marie era già a dormire. Parlò con ognuna separatamente e poi
assieme; entrambe si attennero a quanto si raccomandò Anne: di resistere alla
commozione e serbarla per dopo la visita. Ce la fecero, perché conoscendo il
vero motivo per il quale lasciava la sua casa si imposero di non aggiungere il
minimo peso a quel momento d'addio, ma avrebbero pagato a qualsiasi prezzo la
possibilità di lasciarsi andare all'emozione e ai ricordi. Il debito che
avevano con lui aveva un solo modo per estinguersi: rispettarne le volontà e
portare a compimento il suo desiderio di aiutare tutti loro. Ora dovevano
dedicarsi a Marie.
L'indomani in tarda mattinata la ragazza ebbe una
stretta al cuore al vedere arrivare, guidato da Anne, quell'orribile furgone
che Jean insisteva a chiamare nel solito modo buffo.
Un'altra volta le avrebbe portato via l'amico; le
partenze per curarsi erano diventate sempre più frequenti e lunghe ma Jean si
comportò come sempre, anche se non si alzò per salutarla.
Le due famiglie gli stavano attorno e Anne e Claude lo
aiutarono, delicatamente, a distendersi
sul lettino all'interno del furgone a cui si accedeva comodamente dalla
porta laterale scorrevole. Avevano lasciato la visuale libera sulla casa e il
vialetto del giardino che lui vedeva bene mentre tutti loro l'avevano alle
spalle.
Improvvisamente l'aria si caricò di tensione, Marie percepì che questa
volta non era come al solito e per un istante la sua mente si
avvicinò alla verità, ma non avrebbe
retto se l'avesse vista in faccia... stava
per accadere... quando Jean si accorse di qualcosa e alzando la voce disse:
“Guarda, Marie... Chatnoir!” - l'ineffabile animale se ne stava seduto sulle
zampe posteriori all'angolo della casa, a non più di qualche metro da loro.
Quella fu la sola volta che tutti lo videro. Non mostrava alcun timore, fissava
quel ragazzo che non desiderò mai, in nessuna circostanza, di volerlo diverso
da com'era... libero. La tensione se ne andò, assorbita da quel gatto
che dette il suo contributo all'opera di Jean e che dopo d'allora nessuno più
vide.
“Adesso devo partire, se Chatnoir saltasse qui dentro
comincerei a starnutire... Au revoir amici miei!”. Anne prese posto alla
guida, Claude e la sorella chiusero il portellone e Marie rispose con la mano
alla mano dell'amico che la salutava, senza sapere che era un addio.
Avevano appuntamento con Gerard nei pressi di quella
bella città - Carpentras - dove molte volte frequentarono il variopinto
mercato. Uno dei due sarebbe rimasto accanto al ragazzo mentre l'altro guidava.
Quando si incontrarono Gerard caricò due grossi borsoni
e si sedette accanto a Jean, capace di scherzarci su: “Beh... se hai portato i
viveri, con questo camper possiamo farci un bel giro. Dove vorresti andare,
Gerard?” - “Qualunque posto va bene se ci andiamo insieme.” - “Eh no,
così non vale! Non hai risposto.” - “Hai
ragione, ma non mi viene in mente nulla; quand'ero giovane pensavo che potevo
prendere una qualunque strada e andare... se diritto, a destra o a sinistra
sarebbe venuto in seguito.” - “Sai Gerard, qualunque strada tu prenda in
realtà è sempre la stessa, quella che porta indietro.” - “Indietro
dove?” - “Nell'unico posto dove tutti vorremmo andare, a casa.” - “Ma tu
hai appena lasciato la tua casa...” - “La casa di cui parlo è un'altra, una
casa vuota, dove man mano si accumulano tutte le cose che vediamo e facciamo.
Ad un certo momento siamo capitati là ad abitarla e nello stesso momento inizia
la nostalgia per quella casa vuota, che cercheremo per tutta la vita.” - Gerard
pensò che stesse parlando di come vedeva le cose in questo momento. - “E la
troveremo, un giorno?” - “Questo volevo dirti... tutti la troveranno; alla
fine la casa si svuoterà e per un istante ci sarà qualcosa di completamente
diverso, nuovo... per cui non ci sono parole a descriverlo.” - “Ma uno che
osserva dal di fuori, si potrebbe accorgere di qualcosa?” - “In alcuni casi
sì... negli occhi, Gerard, rimane un'espressione di stupore, di meraviglia.” -
“ Però, Jean... un istante è davvero poco... che senso avrebbe in confronto
a tutta una vita?” - “La vita che tu intendi non conoscerà mai
quell'istante, il quale non appartiene al tempo, non appartiene a nessuna cosa
tu conosca. Solo quando la casa sarà davvero vuota ci sarà quel momento.
Se valga o meno più di tutta una vita non è la questione, non ci sarà nessuno
allora che potrà valutare; quell'istante è il senso di tutta la
vita, di più non saprei dire.” - “E arriva solo alla fine?” - “Sì. Ma in casi rari, molto
rari, la vita continua. C'è una possibilità.” - “Come puoi conoscere tutto
questo, Jean?” - “Non chiedi all'autista come abbia imparato a guidare,
l'importante è che ti porti al posto giusto, no?” - “Giusto... ti ringrazio
di dirmi queste cose, c'è un motivo?” - “ Perché so che ti servirà, amico
mio...”.
Quelle parole, amico mio, richiamarono qualcosa
alla mente di Gerard, come se le avesse già udite un tempo. Dei forti brividi
gli corsero per la schiena, ma non si formarono immagini.
Il viaggio fu lungo e ogni momento meriterebbe di essere
descritto, perché la consapevolezza che sarebbe stato l'ultimo lo portò fuori
dal tempo usuale, illuminandolo in modo tale che sarebbe rimasto impresso per
sempre nella loro memoria. A tempo debito da quel viaggio Anne e Gerard
avrebbero ricavato significati e forza.
Jean dopo essersi riposato riprese a parlare e - pur se
lentamente - lo fece a lungo. Affrontò ogni argomento e ogni ricordo
sollevandoli dall'aver riguardi nel fargli domande, che non avrebbero potuto
peggiorare il suo stato.
Anne ascoltava guidando; quando Gerard le dette il
cambio Jean continuò con lei. Entrambi scoprirono che nel loro amico accadde
molto di più di quanto fece trasparire. Descrisse alcune strane esperienze che
gli capitarono e a cui, una volta concluse, non dette più di tanto importanza.
Sino a quel giorno (14 novembre) quando qualcosa finì in lui.
Dopo successe anche dell'altro, ma di questo disse che
non era comunicabile a parole.
Alla luce di quanto rivelò si spiegava in parte la sua
capacità ad affrontare le proprie prove e aiutare per quelle altrui, ma più ne
venivano a conoscere tanto più sorgevano nuovi interrogativi e altre domande.
Ad un certo punto sentirono di doversi fermare e
l'ultima parte del viaggio la fecero in silenzio, grati al destino di averli
messi assieme in quel furgone: quel viaggio valeva più di un'intera vita.
Giunsero tardi a destinazione e il giorno seguente
arrivò Pierre, avvertito per tempo.
L'aveva voluto accompagnare il figlio Gabriel a cui Jean
si rivolse per primo: “Sono contento di rivederti, avevo ancora qualcosa da
raccontarti.” - poi al fratello: “Pierre, due volte in così poco tempo hanno
pareggiato per quelle che non sei venuto. Hai davvero fatto le cose per bene,
sapevo di poter contare su di te!”. Anne era meravigliata della trasformazione
del fratello maggiore, pareva un'altra
persona. Ora stava ben diritto, un pezzo d'uomo come lo fu il padre e pure se
il momento era triste si manteneva composto; anche a lui Jean avrebbe potuto
chiedere qualunque cosa. Non mancò di farlo, ricordandogli quanto gli promise: avrebbe permesso ad Anne di
organizzare nella casa la festa di laurea di Marie e fino ad allora la lavanda
nei campi attorno non sarebbe stata toccata.
I due dottori furono di parola, aiutarono quel corpo
senza togliergli dignità, non ci fu nemmeno bisogno di intervenire per ridurre
la sofferenza perché accadde qualcosa che impedì a Jean di sentirla... perse la
sensibilità eccetto di una mano.
Purtroppo era anche l'avvisaglia della fine. Ma rimase
lucido sino all'ultimo giorno quando parlò qualche minuto da solo col fratello,
poi gli disse di tornare l'indomani.
Verso sera Gerard portò nella piccola stanza i due
borsoni che teneva nel furgone e ne estrasse dal primo dei gran mazzi di
lavanda che sistemarono diritta, appoggiata al muro sul tavolino davanti al
letto di Jean il quale riconobbe subito che era lavanda del Lieu.
Ma non era finita, perché dal secondo borsone venne fuori un proiettore e altri accessori che permisero a Gerard di usare il muro bianco sopra la lavanda come schermo. Il ragazzo stava per dire che avrebbe rivisto ancora il film (La petite mer...) se a loro faceva piacere ma non ebbe tempo di dar voce al pensiero che fu anticipato dall'amico: “No Jean, non è quello che immagini; questa è la nostra ultima sorpresa per te, una cosa che non hai mai visto.” - Jean sorrise, un sorriso dolcissimo rivolto ai due amici. Aveva subito immaginato che nei borsoni ci fosse la lavanda... ma un film nuovo non se lo sarebbe mai aspettato! Fu felice della sorpresa e della curiosità che ancora provò, ma si accorse di non poter più esprimerlo con le parole. I due amici capirono e avviarono subito la proiezione, con Anne seduta su una sedia da una parte del letto e Gerard dall'altra.
La scena mostrava la casa e lentamente si spostava sulla
corte dove si affacciavano le finestre della camera di Jean, ora socchiuse,
quindi sull'ingresso del giardino.
“Visto che non potevo rimanere a casa... hanno portato la casa da me!” - fu il primo pensiero.
Dopo una dissolvenza ecco arrivare Marie, diretta verso
la retina dove mettere le noci spezzate per le cince...
“I miei amici sono dei ladri d'immagini... non me n'ero proprio accorto... e così mi hanno portato anche Marie. Se ci sono le cince devono averlo girato quest'inverno...”.
... poi si diresse verso il giardino, ma prima
d'entrarvi si sedette sul basso muretto ad osservare i magnifici uccellini arrivati dal nulla.
Certamente la stavano osservando dall'alto dei maestosi platani. La cinepresa
si spostò sulla retina e ingrandì l'immagine.
Ben quattro funamboli piroettavano in ogni direzione
attorno alla mangiatoia; si distinguevano perfettamente le loro macchie nere
sul petto giallo. Una aveva qualcosa di strano... ancora un po' di
ingrandimento e si vide che la coda invece di essere diritta terminava con una
virgola a destra.
“...anche questa! Codastorta è ritornata! O potrebbe essere un figlio... che importa... la stirpe continua!”.
Nella nuova inquadratura la vegetazione del giardino era
adesso quella rigogliosa della primavera avanzata e Marie, vestita più
leggermente, entrò e si diresse sino a dove c'erano le ciotole per Chatnoir.
Riempì una di cibo e rabboccò l'acqua nell'altra, poi andò a sedersi sulla
panca e rimase lì a guardare i fiori e gli insetti.
L'immagine non era mossa nonostante l'ingrandimento
usato per filmare da lontano.
“...ohh, il giardino... che meraviglia!... e come se
ne sta tranquilla Marie...”.
Gerard era seduto alla destra di Jean; entrambi
conoscevano quando sarebbe arrivata la fine, Anne lo seppe dal compagno
quel giorno.
D'un tratto sentì la mano (l'unica parte del corpo rimasta sensibile) dell'amico posarsi nella sua... lui la strinse delicatamente... e in quel preciso momento il buco di paura di Gerard si chiuse per sempre...
Le riprese del giardino durarono almeno dieci minuti,
solo qualche zoom ogni tanto, fino al momento in cui l'operatore - Anne - si
accorse di qualcos'altro.
Nella nuova inquadratura Chatnoir fece il suo ingresso
nel film in tutta la sua bellezza. Non si capiva da dove fosse arrivato ma
adesso stava là ad un paio di metri dalla ragazza, accovacciato a guardarla. Si
distinguevano gli occhi che talora chiudeva, segno che si sentiva a proprio
agio.
“Chatnoir!... sei arrivato al momento giusto l'altro giorno... altrimenti Marie sarebbe crollata. Ci vorrà tempo, molto tempo e un po' di fortuna per tirarla fuori...”.
Marie si accorse dell'animale come avrebbe potuto
accorgersi di una farfalla, senza reagire o volendo far qualcosa. Ormai lo
conosceva bene, non si sarebbe avvicinato al cibo se non quando fosse stato
solo; attese qualche altro minuto e riprese il sentiero al contrario.
Da un'altra angolazione si vide la ragazzina avviarsi
verso l'uscita della corte; giunta sotto le finestre di Jean si girò verso
quelle fermandosi per un po', come per parlargli. Mosse un passo ma si fermò
un'altra volta, le era venuto in mente qualcosa: con la mano inviò un lungo
saluto verso quelle finestre... che raggiunse adesso Jean in un tempo e
uno spazio differenti ma trasportando intatto con sé l'affetto che nutriva per
lui.
Jean alzò l'altra mano per rispondere a quel saluto:“...
addio Marie, grazie di tutto...”.
La mano ricadde sul letto e Anne la prese a sé.
Il film terminò con quel saluto... assieme alla vita di
Jean.
Negli occhi un'espressione di meraviglia, forse
per le immagini che l'hanno accompagnato dall'altra parte... o forse per quello
che accade alla fine, chi può dirlo?
Capitolo 27 - Il ritorno del
colore
La sera stessa Marie cadde svenuta. Stava per coricarsi e le
mancarono le forze; in seguito dissero fosse in relazione al ciclo femminile
che si era interrotto.
Fu costretta a letto, dove apprese la triste notizia. Come lo
seppe si aspettò anche la propria fine, ma Claude, Catherine e poi Anne non la
lasciarono sola un istante, la costrinsero a mangiare e le parlarono in
continuazione.
Il corpo di Jean fu riportato nella casa, dove fu allestita
una stanza al pianterreno fatta riempire completamente di lavanda, pareva di
stare in mezzo a un campo.
Armand e Sophie, Mathieu e Nicole, Pierre e Gabriel, la
signora Jade, Gerard e gli amici Thomas, René e Viviane, l'ex direttore
dell'associazione per l'aiuto ai disabili con due ragazzi, Anne, Catherine,
Claude e il figlio Patrick. Erano tutti là, nella stanza profumata, chi a
piangere e chi a ricordarne l'esempio.
Anne e Claude non sapevano cosa fare con Marie, che non aveva
manifestato la minima intenzione di voler portare l'ultimo saluto all'amico.
Le sue condizioni consigliavano di evitarle altre emozioni ma
il rimpianto per quell'ultima occasione mancata avrebbe potuto affliggerla per
sempre.
Suo fratello andò da lei chiedendole di ascoltarlo. Non era
di molte parole, le disse solo: “Tutta la nostra famiglia ha un debito con
Jean... anche se io forse non c'entro molto, perché me ne sono andato presto.
Vedo come stai male ma che tu lo voglia o no... ti prendo in braccio e con la
mamma e la zia andiamo a salutarlo per l'ultima volta.”. Il tono non ammetteva
repliche e la dimostrazione di forza, almeno per quel momento, ebbe la meglio
sul suo desiderio di sparire.
Sostenendosi al fratello e alla madre si avviò a compiere il
suo dovere di amica del cuore.
Quando il dolore è troppo non si può raccontare, perché a
quel punto non è più dolore, ma una forza formidabile... una strada con due
uscite, una verso l'annientamento e l'altra verso la guarigione. Esiste una
terza possibilità: rimanere in mezzo alle due. Se almeno non conduce alla fine
a volte è anche peggio, una vita sospesa che pur continuando resta ferma.
Alla fine di tutto parenti e amici (ma non Marie) si
ritrovarono nel salone dove il notaio lesse le disposizioni di Jean, il quale volle
fosse fatto subito.
Lasciò una delle sue opere - composizioni floreali e paesaggi
- alla famiglia del notaio che così ne possedeva due, alla famiglia di Mathieu,
a Pierre e a ognuno dei suoi figli come promise, all'altro fratello Albert, a
Thomas l'apicoltore, a René, a Claude, a Catherine, a Patrick, alla signora
Jade.
Dei ritratti ne lasciò la metà ad Anne e Gerard e l'altra a
Marie (dati in custodia ad Anne e da consegnare solo in occasione della laurea;
in tutto erano sei, il settimo l'aveva avuto in precedenza Sophie, la moglie
del notaio).
A Gerard i film.
Il denaro lo divise tra Pierre, Anne, Gerard, Claude,
Catherine e Marie (anche questo in custodia sino alla laurea, salvo la parte
occorrente per gli studi).
A Claude e Catherine lasciò la casa dove avevano sempre
vissuto, con un bel pezzo di terreno esposto a sud. Ebbero anche delle laute
liquidazioni, al pari di Anne che in aggiunta poteva continuare a risiedere
nella casa sino al termine dell'anno e prelevare dall'arredamento ogni oggetto
di suo gradimento, compreso tutto quanto si trovava nella stanza di Jean.
Quel tempo le servì per
far trasferire, completamente, il giardino nella proprietà di
Gerard mantenendone inalterata la disposizione dei percorsi e delle essenze,
anche le più minute. La ditta che se ne occupò dovette fotografare ogni
particolare prima, durante e dopo (in più Anne e Gerard filmarono ogni operazione). Il conto
finale fece sobbalzare Anne; però si riprese subito e propose di usare tutto il materiale a scopo
pubblicitario.
Gerard ne ricavò un cortometraggio che fu molto apprezzato;
nei dépliant della ditta ora troneggiava quell'impresa: un intervento del
genere non aveva precedenti e il ritorno in termini di commesse fu
straordinario. La ditta oltre ad azzerarle il debito le rimborsò l'anticipo
offrendole un incarico di consulente per i casi difficili.
Il Lieu non fu mai menzionato in quanto apparteneva ad Anne
che lo ebbe quale donazione da parte di Jean alla maggiore età, promettendo a
sua volta di donarlo a Marie, quando laureata.
La generosità di Jean era pari all'equanimità con cui divise
tra tutti loro ogni sua cosa.
La famiglia di Claude che non aveva mai potuto permettersi se
non poco oltre l'indispensabile si ritrovò proprietaria della casa e di molto
denaro che, come disse qualcuno... è l'unico visibile supporto alla vita... almeno
da quel fronte non ci sarebbero stati problemi.
Marie si chiuse sempre più in sé; benché fosse piena estate
non volle mai uscire di casa, né fare nient'altro se non restare davanti alla
finestra che (gridando) impose dovesse rimanere sempre chiusa. Le tre donne le
provarono tutte. Una volta Anne azzardò l'idea di andare al Lieu, pentendosene
amaramente perché servirono giorni per farla alzare nuovamente dal letto e gli
sforzi di tutte perché riprendesse a mangiare.
A due mesi dal decesso si resero conto di quanto Jean
conoscesse l'amica che era un libro aperto per lui e anticipò quanto le sarebbe
accaduto... doveva succedere... le uniche cose da fare erano di assicurarsi che mangiasse e l'altra di non lasciarla mai sola.
Disse che qualcosa avrebbe cercato di aiutarla, ma giurò di non avere la minima
idea di cosa potesse essere, né quando... e con quale risultato.
Catherine aiutata dalla signora Jade e dalla sorella per le
lezioni pratiche, studiò per conseguire la licenza di guida e se ci riuscì lei
chiunque può farcela.
Anne ogni tanto ritornava al Lieu dove decise che non avrebbe
più fatto tagliare la lavanda, si mescolasse pure a quella selvatica e alle
altre piante. Vi andava da sola o con Gerard; ma non era lo stesso posto senza
il suo principe, quasi avesse perso la sua carica. Solo all'interno del
cabanon provavano la sensazione della
presenza dell'amico (o meglio, la persistenza nella loro mente della sua
scia vitale; forse aveva qualcosa a che fare con quella luce invisibile di
cui parlava Jean).
Avevano molto da dirsi, molto da ricordare; progettarono dei
viaggi che avrebbero fatto solo dopo il ristabilimento di Marie.
E così passarono tre mesi, poi quattro e venne novembre.
All'inizio il tempo fu bello, ma all'avvicinarsi della seconda settimana il
vento cominciò a portare aria sempre più fresca.
Marie era nell'identico stato di quattro mesi prima; neanche
parlarne della scuola, era già tanto costringerla a camminare appena un po' di
fronte alla casa.
Si sparse la voce che non la stessero curando adeguatamente e
le tre donne videro riaffiorare gli incubi del passato. Ma questa volta erano
pronte a tutto.
Un vento sempre più forte e freddo strappò in due giorni
tutte le risplendenti foglie giallo-marroni rimaste sugli alberi; gli ultimi
fiori del loro meraviglioso geranio rosso si seccarono e la spoglia lavanda
divenne ancor più grigia. I colori avevano quasi abbandonato quel posto dopo
essersi ritirati da tempo dall'animo di
Marie che in quel momento guardava indifferente dalla finestra.
Claude sedeva su una poltrona, intenta a leggere.
... una piccola e veloce scia, in parte gialla, attraversò
la visuale della finestra.
All'inizio la ragazza non ci fece caso... ma la vide
nuovamente, poi ancora ... e poi furono due... le cince erano ritornate!
Quelle scie forarono le porte dell'isolamento riportando
un po' di colore nel suo animo; moltitudini di pensieri ed emozioni in attesa
cercarono di ripresentarsi alla mente, ma l'esigua apertura non lo
permetteva... i fori delle porte stavano già per richiudersi... solo un po' di
luce, di colore poteva ancora passare... giusto il lilla di quelle spighe del
Lieu tenute sul comodino, ancora incredibilmente chiaro e brillante... Marie si
ricordò un'altra cosa di quel colore... la busta!
Claude vide la figlia alzarsi con decisione e cercare
qualcosa nell'armadio. Rammentò di averla vista comportarsi a quel modo quando
con Jean andarono a riprenderla dalla clinica. Con calma le chiese se volesse
un aiuto, lei rispose: “Sì mamma, portami delle noci, sono tornate le cince di
Jean!”. Claude corse in cucina (Catherine era dalla signora Jade) mentre Marie,
presa da un quaderno la busta lilla, ne
estrasse il foglio e rilesse:
“quando le promesse saranno
mantenute avrai il tuo tesoro,
più grande di quanto tu possa
immaginare”
Nella sua mente avvertì la pressione di quella moltitudine di
pensieri, costretti fino ad allora al silenzio. Dalle porte che ormai si
stavano aprendo, uno su tutti, il più forte, liberò il suo contenuto per primo:“...
la promessa Marie, tu me l'hai promesso...”.
Claude la trovò in lacrime, comprese subito che quelle erano
vere lacrime, le si mise accanto e non disse nulla; quando vide il foglio lilla
(la figlia le raccontò la storia prima della partenza di Jean) fu sicura che quell'aiuto
era arrivato e con esso la speranza
che Marie riprendesse a vivere.
Dopo un po', ben protette dal freddo, andarono verso la
mangiatoia degli uccellini nella corte e incontrarono Anne, a cui bastò vederla
per capire.
Per la prima volta la ragazza si accorse che il giardino... non
c'era più... al suo posto una distesa livellata di terriccio; collegò
quanto vedeva con tutto quel rumore di macchine e attrezzi andato avanti per
mesi. Capiva che aveva a che fare con il prossimo arrivo della famiglia di
Pierre... ma il dolore era finito, c'era solo dispiacere per la fine di quel
capolavoro.
Però la retina per le cince era ancora al suo posto e fu
subito riempita.
“Marie, il giardino non è distrutto; l'ho fatto spostare
nella casa dove andrò a vivere. Vedrai con i tuoi occhi che non è cambiato
nulla.” - le disse Anne - “Davvero è stato possibile fare una cosa del
genere... tutte le piante, i fiori, i vialetti?!” - “Sì, queste cose per
quanto difficili si possono fare.” - “Ma perché?” - “Perché qui
arriveranno altri. Un giardino nasce e cresce con le persone, quando se ne
vanno anch'esso se ne va, o meglio si trasforma. Fin che io ci sarò il
nostro giardino rimarrà lo stesso, pur trasformandosi con noi.
Pierre e la sua famiglia devono poter creare il loro
giardino, senza sentirsi obbligati a prendersi cura di quello che c'è.
Adesso il foglio è bianco (il terreno), con calma decideranno cosa metterci e
di quali colori. Ma qualunque cosa faranno sarà bella, perché sono belle
persone, Jean lo disse più volte.”. Parlavano sotto alla retina con le noci e
Marie disse che bisognava spostarsi perché venissero a mangiare, già erano in
attesa, si vedevano volare tra i rami spogli dei platani lanciando il loro
verso squillante.
Prima di muoversi Marie rivolse lo sguardo, dopo tutti quei
mesi, alle finestre della camera di Jean. Le due donne la precedettero. Non la
videro salutare con la mano in quella direzione ma non c'era bisogno degli
occhi per sapere che lo fece.
Finalmente Marie fu capace di dire addio a Jean,
accettando che la sua vita ne fosse separata per sempre, ma in quel saluto
aggiunse qualcos'altro:“... Jean, manterrò la promessa, ad ogni costo... tutti
vedranno che ci riuscirò...”.
Marie visitò il giardino nella nuova casa di Anne e fu
felice del miracolo; poi nel giro di una settimana inscatolò tutte le sue cose
e partì con la madre. Andarono a vivere a Marsiglia, dove presero in affitto un
minuscolo appartamento vicino alla casa del fratello.
Catherine rimase a prendersi cura della sua amica, la signora
Jade, facendo la spola tra la sua casa e quella di lei con l'auto lasciatale
dalla sorella.
Quando Anne e Gerard partirono a loro volta per uno di quei
viaggi da tempo progettati, aggiunse anche la cura del giardino alle sue
attività, ma non era un lavoro impegnativo visto che si avvicinava l'inverno;
per l'estate ci avrebbe pensato un perfetto impianto di irrigazione automatico.
Bastava solo andare là e controllare alcune cose, se le piante si fossero
espanse o ritirate non importava, il vivente giardino aveva il permesso
di trovare da sé il suo equilibrio.
In quel posto incontrò spesso Thomas, l'amico di Gerard che
accudiva gli alveari e allo stesso tempo si occupava della lavanda nei campi
attorno alla casa.
Mai dire mai... due solitudini, se non sofferte,
possono sempre unirsi e fiorire assieme.
Prima di natale arrivò Pierre con la famiglia, trovando la
casa in perfetto ordine; la stanza di Jean e quelle di Anne erano completamente
vuote e ridipinte, come non ci avesse abitato nessuno.
Jean disse il vero, aveva degli ottimi amici. Armand e Sophie
li aiutarono per ogni pratica e li presentarono a delle persone che trattavano
legname esotico; anche il buon lavoro stava prendendo forma. Catherine
si rese disponibile ad aiutarli per quello che riguardava la cura della
lavanda, felice di sapere che sarebbe
continuata quell'attività; i figli di Pierre inevitabilmente le ricordavano
Jean e sentì che quello che faceva per loro era un po' come farlo a Jean. Pian
piano entrò in confidenza con la signora Blanche e con Gabriel, curioso di
conoscere la storia di quel posto e soprattutto di chi ci aveva vissuto. Ma
Catherine prima di dire alcunché chiese il parere di Anne e Claude che la
pregarono di non parlare del Lieu.
Charlotte, la sorella di Gabriel, prese a rifornire di noci
gli alati abitanti degli alberi e Blanche iniziò a collocare delle piante
dov'era il giardino.
Catherine vide che anche lei amava le rose, come all'inizio
Anne.
Capitolo 28 - Anni dopo
La determinazione e l'impegno con cui Marie affrontò gli
studi alla scuola superiore le guadagnarono in breve tempo l'ammirazione dei
professori e il rispetto dei compagni, a cui non negava il suo aiuto. La
matematica, sua bestia nera, non riuscì mai a domarla completamente ma quando
il compito si faceva troppo difficile reclamò quella forza che Jean individuò
nel messaggio della busta lilla. Suggestione o meno non mancò mai
all'appuntamento: non le faceva miracolosamente comprendere gli argomenti, ma
allontanava dal suo corpo la stanchezza e ne
rafforzava la determinazione, così da poter continuare lo studio per
altre ore.
A chi dava fastidio la sua dedizione, tanto che non era mai
disponibile per qualcos'altro, rispose che quel qualcos'altro avrebbe
dovuto aspettare; il poco tempo libero preferiva dedicarlo alla sua famiglia,
specialmente al nipotino per il quale nutriva un grande affetto.
Per quella bella ragazza bionda molti cuori soffrirono, ma lei non assecondò nessuna aspettativa, erano cuori giovani e guarirono presto.
Claude seppe adattarsi quasi subito alla nuova vita, certo le
mancavano gli ampi spazi cui era abituata ma in compenso aveva quattro
familiari cui badare.
Patrick rimaneva per mare quattro mesi e poi ne restava a
casa due; prima di sposare un marinaio una donna doveva pensarci bene (sempre
che potesse scegliere): l'arrivo della suocera che si prese volentieri cura del
nipotino permise a Rose, la moglie, di avere compagnia prima e poi un ottimo
lavoro in un rinomato centro estetico-profumeria, con cui contrastare il
pensiero ricorrente della lontananza e dei giorni mancanti al ritorno del
marito.
Le poche spese della famiglia che consumava i pasti assieme
permisero a tutti grossi risparmi. Marie saputo del lascito di Jean per pagare
i suoi studi si rifiutò sempre di spendere se non l'indispensabile.
Anne e Gerard andavano spesso a trovarla, anche tre volte
all'anno - se era stagione portando degli enormi mazzi di lavanda - e ogni
volta con un motivo, di lavoro Gerard o legato a qualche consulenza Anne, per
rimanere a lungo. Quando arrivavano Claude era così felice da preparare alla
sera le pietanze del giorno dopo per non vederli rivolgersi a qualche
ristorante.
Loro, spesso in viaggio per il mondo e proprietari di una
casa grande come un piccolo cinema, un giardino favoloso e campi di lavanda
tutto attorno... si adeguavano perfettamente al piccolo divano
dell'appartamentino e quando si decideva di uscire volevano lo si facesse tutti
assieme; purtroppo senza Rose, che diceva di soffrire il mal d'auto.
Gerard comperò il Lavender-camper, facendolo
convertire per il trasporto di passeggeri: sei
comodi posti e un ampio bagagliaio. Lo preferiva all'auto e con quello
un giorno arrivarono da Marie, che lo riconobbe nonostante fosse stato parcheggiato
distante e avesse un nuovo colore (da grigio a blu); le venne un groppo in gola
ma accettò la situazione così che Anne - attenta alle sue reazioni - non
dovette intervenire.
Gerard aveva insistito che era la volta buona per farglielo
rivedere e superare anche quel triste ricordo.
Disse alla ragazza: “Marsiglia è meravigliosa, specie ora
che si avvicina l'estate... ma noi provenzali abbiamo bisogno della
nostra lavanda, per questo non mancheremo di portartela. So quanto ami il suo
colore e penso che sei una vera esperta, così vorrei chiederti un parere: dirmi
se una cosa che ho colorato abbia proprio quel
colore.” - “Mi piacerebbe aiutarti, Gerard, fammela vedere.” - “La
tengo nel furgone, è un po' ingombrante. Dovresti entrare con me per vederla...”
- “... va bene, andiamo.”.
Non se lo sarebbe mai aspettato, tutto l'interno era color
lilla! Non solo la tappezzeria e i sedili, ma anche le parti metalliche a
vista... tutto esattamente dello stesso colore!
Adesso le piaceva proprio e pensò che Jean in qualche modo lo
immaginò come sarebbe stato adesso, tanto da dargli quel nome Lavender-camper...
Marie di fatto conobbe il regista preferito di Jean lì
a Marsiglia; stranamente per un
motivo o per un altro non lo vide mai in precedenza. Eppure era diventato una
persona molto importante per l'amico. Rammentò di non averlo visto neppure nel
suo film (16 giorni...) poichè poco prima che giungesse la scena in cui
parlava, Jean la mandò a prendere la busta lilla e in seguito le raccontò cosa
perse; comunque recuperò in fretta le
occasioni mancate e divennero grandi
amici.
Per tutta la durata delle scuole superiori Marie non accennò
mai a voler rivedere la loro casa in Provenza e nessuno glielo propose, neppure
Catherine che sentiva spesso per telefono.
Invece la zia veniva a trovarla un paio di volte all'anno a
Marsiglia, rimanendo di solito un paio di giorni perché non voleva far mancare
all'amica Jade la sua compagnia.
Faceva il viaggio di andata assieme ad Anne e Gerard e
ritornava da sola; ma al termine della scuola superiore sarebbero arrivati in
quattro: con lei sarebbe venuto anche Thomas - l'apicoltore - e tutti sarebbero
rimasti per una settimana.
Marie sapeva che Thomas era un gran amico di Gerard; lei l'aveva conosciuto e frequentato alcune volte ma le parve un po' troppo intimo portare anche lui. Era un posto così piccolo che già ci stavano a malapena loro e con Anne e Gerard rimaneva così poco spazio che al confronto erano più comode le sardine in scatola.
Era una situazione davvero strana... almeno per pranzare
avrebbero potuto spostarsi nello stabile accanto dov'era l'appartamento del
fratello, col solo soggiorno tre volte più spazioso del loro intero
appartamentino; eppure Claude non lo chiese mai alla nuora, pretendendo con
forza che non lo facesse neanche la figlia.
In quel piccolo cucinino-soggiorno arrivavano a starci anche
in sette: Anne e Gerard nel posto d'onore del divano, Marie, Catherine e la
cognata sulle sedie attorno al piccolo tavolo e il nipotino libero di trovare,
ammesso che ci fosse riuscito, il suo spazio vitale.
Claude rimaneva quasi sempre in piedi, servendoli di ogni
cibo o bevanda desiderassero, forzatamente consumata tenendo il piatto con una
mano, visto che il piccolo tavolo serviva da appoggio.
Quando c'era anche la zia Catherine si oltrepassava il
limite, ma durava giusto due giorni e ci si adattava alla meno peggio, con
qualcuno che ogni tanto usciva dalla stanza.
Il tempo trascorreva con racconti di viaggi e di lavoro, di
scuola e ovviamente un po' di politica, come in tutti i paesi.
Ma la prossima situazione sarebbe stata insostenibile: Anne e
Gerard, la zia e addirittura un'altra persona in più... per una settimana!
Nonostante questo Claude fu irremovibile: a nessun parente o amico sarebbe mai stata rifiutata ospitalità. Piuttosto si sarebbe tolto anche il tavolo e se non bastava avrebbero usato anche l'unica camera, strapiena di libri e quant'altro, dove la figlia studiava e dormivano, i letti divisi da un leggero tramezzo.
Marie si chiese spesso come ognuno di loro potesse sopportare
una tale scomodità; lei era giovane e sapeva adattarsi, eppure era certa di non
aver mai colto in sua madre, in Anne, Gerard, o la zia nessun segno di
insofferenza... improvvisamente comprese...
...qualcun altro avrebbe dovuto capire e agire, avendo
ricevuto innumerevoli vantaggi dalla disponibilità di Claude che non chiese mai
nulla in cambio. Nonostante le difficili condizioni non sentì di proporre una
soluzione. Adesso capiva perché la madre le impedì di chiedere alla cognata un
aiuto... se non riusciva a vederlo con i suoi occhi forse non l'avrebbe visto
neppure con quelli degli altri... tutti loro sopportavano con un sorriso il
disagio per dare una possibilità alla donna di salvarsi dal suo egoismo. Le
venne prima rabbia e quindi da piangere; poi si sentì tranquilla perché era
sicura che si comportavano come avrebbe voluto Jean.
Mancavano ormai pochi giorni all'arrivo degli ospiti e a
Claude non sfuggì la tranquillità della figlia; non sentì di doverle confermare
che aveva capito come stavano le cose.
C'era una novità rispetto agli anni precedenti: Patrick
avrebbe preso un aereo dal posto dove terminava il suo imbarco, in modo da
tornare a casa prima della partenza della comitiva per trascorrere gli ultimi
giorni assieme.
Un venerdì di luglio quando le due donne e i due uomini
scesero dal Lavender-camper Marie ebbe una sorpresa. Prima che le fosse
detto capì che la zia e Thomas erano più che amici.
Un po' ne rimase stupita, ma Catherine era molto
cambiata dagli anni in cui vivevano assieme; ora era sicura di sé, si spostava
con l'auto per suo conto impegnata com'era in diverse attività e non poche
persone cercavano la sua compagnia, compreso il notaio e la moglie. Aveva
ripreso a studiare (Jade la obbligò...) e come la sorella si appassionò
alla lettura.
Diventò il punto d'unione tra la loro famiglia e quella di
Pierre che la teneva in gran considerazione; se qualcuno meritava una
ricompensa affettiva per l'altruismo che dimostrò non c'era candidata migliore;
solo un'altra poteva esserle pari, Claude.
Catherine sapeva da dove originava la sua nuova vita. Jean
recise per lei gli ormeggi della sua barca, quasi dicendole “vai e non
temere”. Solo da lui poté accettare un consiglio del genere, e così oltre
alla terra conobbe il mare.
Come facilmente prevedibile, l'appartamentino collassò: era
stato tolto il tavolo ma solo per mettere al suo posto un paio di sedie,
sembrava di trovarsi in un autobus e ancor peggio nessuno poteva usare il bagno
senza comunicarlo a tutti.
Thomas disse: “Non è poi così male... le mie api hanno ancora
meno spazio!” - gli rispose ironicamente Gerard: “... sì, ma almeno quando
volano fuori non lo dicono a tutti (riferito al bagno). E ti raccomando
di guardare per terra prima di muoverti, il nipotino non ha le ali!”.
Era la prima volta che Marie li sentiva scherzare apertamente
sulla faccenda, pur nel disagio c'era un senso di leggerezza, ma intuiva che questa
volta sarebbe stata l'ultima.
L'arrivo della cognata interruppe il corso dei suoi pensieri.
Rose salutò i presenti, presentandosi al nuovo venuto; prese
in braccio il figlio (che rimaneva affidato a Claude mentre lei era al lavoro)
e anche lei, in quell'autobus, si unì alla conversazione e mangiò alla mensa,
scomoda ma gratuita.
Marie ebbe la seconda sorpresa quel giorno appena entrò Rose:
tutti smisero di scherzare sulle condizioni in cui si trovavano,
cambiando subito argomento... erano tutti d'accordo e recitavano in quello
stretto palcoscenico! Per cinque anni misero in scena la stessa
rappresentazione: “sorridere di fronte al disagio”, a beneficio di quell'unica
spettatrice la quale nonostante le crescenti difficoltà considerò il tutto
appunto come uno spettacolo che non la riguardava.
Una bizzarria della suocera ostinata ad accogliere più
persone di quanto lo spazio permetteva. Alcune volte fu tentata di suggerirle
di incontrarli al ristorante, sapeva che non mancava certo il denaro a quelle
persone, ma poi si disse che se non lo vedeva con i suoi occhi...
Si sentiva perfettamente a posto con la sua coscienza, era
gentile e di circostanza quando doveva esserlo. Riteneva che la compagnia del
nipotino ripagasse abbondantemente la suocera per l'assistenza che gli prestava... mentre lei
lavorava, accumulando denaro per un futuro migliore “anche” per suo figlio, a
cui non erano arrivati quei denari che Claude, la sorella Catherine e Marie
ebbero con l'eredità. Non che ne reclamasse una parte, ci mancherebbe... ma a
loro dettero solo quell'acquerello del giovane... (che fu tentata di far volare
dalla finestra quando venne a conoscere la consistenza dell'eredità arrivata
agli altri, per poi relegarlo dentro uno sgabuzzino dell'entrata, neanche
visibile, proibendo a Patrick di appenderlo sui suoi muri!).
Era solo un misero quadro la considerazione per il figlio,
il nipotino e anche per lei che erano parte della famiglia?
Ma in tutto questo ragionamento dimenticò che Claude,
Catherine, Marie erano l'altra parte della sua famiglia, e i loro amici
(senza considerare l'aiuto che dettero) avrebbero dovuto essere trattati anche
meglio, mentre lei non offrì loro una sola volta il suo bel
soggiorno con l'aria condizionata e i comodi divani per riposarsi, dopo il
lungo viaggio per venirli a trovare.
Quella era casa sua... che c'entrava?
Il giorno successivo, sabato, Rose lavorò solo al mattino.
All'ora di pranzo venne a prendere il nipotino e non mancò di servirsi alla
mensa visto che era pronto; rimasero a fermentare buona parte del
pomeriggio e quando giunse il momento di far respirare quelle mura, Claude le
disse che l'indomani sarebbero partiti e che non facesse affidamento su di lei.
Rose rispose che non c'era problema e sarebbe andata dai
genitori, anzi, ci sarebbe andata giusto quella sera.
Tutti la salutarono cordialmente e le fecero gli auguri per i
suoi prossimi 25 anni (lei ricordava solo la data del compleanno di Claude e
Marie).
Domenica mattina presto Thomas arrivò con un grande furgone e
due uomini.
Ci misero meno di due ore a caricare tutto. Poi partirono per
Parigi dove incontrarono Mathieu e Nicole che avevano messo a disposizione di
Marie e Claude, per tutto il tempo necessario, metà del loro grande
appartamento usato saltuariamente, vicino al quartiere latino.
Lo spazio non mancava in quella casa tuttavia per i restanti
cinque giorni, a pranzo e cena, mangiarono sempre al ristorante, facendo a gara
per pagare il conto. Ma quello era territorio di Mathieu che la vinceva
quasi sempre.
Rose perse anche l'ultima possibilità, non ce ne sarebbe
stata un'altra. Per anni tutti loro sperarono che qualcosa si risvegliasse in
lei; Claude si accorse fin da subito di quale pasta era fatta la donna, però
era pur sempre la moglie di Patrick e la rattristava che il tenero nipotino
venisse allevato senza i valori che per lei davano senso alla vita: famiglia e
amicizia.
Tuttavia in quei cinque anni la presenza della nonna paterna
e della zia favorirono nel bimbo la produzione degli anticorpi all'egoismo; il loro ricordo l'avrebbe sempre accompagnato.
Patrick seppe cos'era accaduto solo quando arrivò a casa, la versione della moglie fu:
“Dovevo aspettarmela l'ingratitudine di tua madre,
andarsene via in quel modo senza neppure ringraziarci. Noi che l'abbiamo
accolta affidandole addirittura nostro figlio perché le facesse compagnia...
sempre in casa a cucinare e a star dietro a Marie, la tua sorella scombinata
che non esce mai e non frequenta nessuno se non quei matti provenzali che se ne
vanno in giro col furgone color lavanda. Non so cosa ci trovano qui da venirci
più volte all'anno, mettendomi in imbarazzo con la gente che mi conosce e mi
chiede come si fa a stare tutti in quel buco d'appartamento... con tutti i
soldi che ha!! Che li mandasse al ristorante invece di risparmiare; doveva tenerli lontano, per rispetto a me! E
alla fine ecco il ringraziamento, se ne sono andati in vacanza, neanche mi
hanno avvertito... e adesso come facciamo con nostro figlio?
I miei genitori lavorano, lavorano sodo loro, devono
pensare ai miei fratelli e....”.
Anche Patrick fino a quel momento non aveva dato
importanza al fatto che le riunioni tra familiari e amici avvenivano nel
piccolo appartamento, gli andava bene pensare che fosse solo il luogo del
ritrovo, da cui muoversi. Non aveva dato importanza al comportamento
della moglie che non offrì una sola volta un pranzo agli amici di famiglia. Non
trovava niente da dire neppure della sua mania per la pulizia della casa,
lucidata ogni giorno e attento a dove metti i piedi; giusto una questione di
igiene un po' eccessiva, poteva comprendere come ospitare tutta quella gente
la mettesse in crisi.
Certo, anche Patrick lavorava duro e guadagnava bene, molto
più della moglie, ma per cosa?
Per poter un domani iniziare un'attività in proprio e
smettere di andar per mare... per quanto già nei due mesi che trascorreva a
casa gli pareva di aver meno possibilità di muoversi che nelle navi.
Arrivò la telefonata di Claude a spiegargli che il loro era
un addio, restavano a Parigi dove Marie si sarebbe iscritta all'università
(indirizzo ambientale). Disse che poteva venire quando voleva e portare (ma lei
non lo avrebbe mai pregato per questo) il nipotino a far visita agli altri
suoi familiari. Quanto a Rose dubitava che le cose sarebbero cambiate, ma
quando avesse preparato un pranzo a
casa sua per lei, i familiari e gli altri amici allora si poteva voltar
pagina.
Patrick le disse che non c'era nessuna possibilità per una
cosa del genere, Claude replicò che se non sentiva di far qualcosa al riguardo
avrebbe fatto bene almeno a sperarci.
Ma non fece nulla. Non andò mai, neppure solo, a trovare la
madre e la sorella; solo qualche telefonata per i compleanni.
Il nipotino conobbe molte baby sitter e lui, sulle navi, dopo
i mesi passati a casa finalmente poteva
mettere i piedi dove voleva. Aveva una sua famiglia, i parenti della moglie...
se perse qualcosa lasciamo ai lettori giudicare.
Marie si immerse ancor più nello studio e non ritornò in
Provenza neppure l'estate seguente. Invece fu Claude a dover tornare per
assistere la sorella dopo un piccolo intervento medico andato a buon fine; in
quell'occasione ebbe modo di rivedere casa sua e quella di Jean.
Per quanto Claude fosse una roccia anche le rocce hanno le
loro fessure... da cui entrarono ricordi, sensazioni, luci e profumi. Il
pensiero che mancasse meno tempo al ritorno di quello che era già trascorso e
che Parigi fosse davvero una bella città le risollevò il morale.
Pierre insistette per farle visitare il giardino e
soprattutto la casa, lei rispose che la conosceva bene e non voleva disturbare,
ma il vero motivo era che non se la sentiva di affrontare un'altra ondata di
ricordi. Riconobbe nell'uomo qualcosa del fratello, al pari di Jean anche lui
aveva un dolce sorriso: fu quello o il contemporaneo arrivo della moglie e dei
figli, fatto sta che senza sapere come si ritrovò all'interno, ma non se ne
pentì, specie dopo la visita della stanza di Jean che le procurò una forte
emozione.
I ricordi aprono ancor più le fessure della nostra roccia
esterna, ma ve ne sono di un altro tipo, ricordi senza passato... che la
trasformano in un materiale poroso, rendendola capace di scambiare aria,
acqua e fuoco con il mondo esterno, senza alcun danno per la sua natura di
terra.
Rimase a parlare lungamente con la famiglia di Pierre che le
chiese dettagli sui cinque anni trascorsi a Marsiglia... un po' intimi a dir la
verità, ma quando egli le spiegò cosa aveva in mente abbandonò ogni reticenza e
ne parlò come si parla a uno stretto familiare.
In quella settimana passò quasi più tempo con loro che con la
sorella la quale, a parte l'aiuto per qualche medicazione, non aveva necessità
di un'assistenza particolare.
Thomas le teneva compagnia quasi tutto il giorno e Claude
realizzò che colsero l'occasione di quell'intervento per riportarla, almeno un
po', a respirare il profumo dei suoi luoghi, della sua lavanda.
L'anno successivo (dopo sette anni) Marie non avrebbe
potuto rifiutarsi di tornare, per essere presente al matrimonio della zia! Ma
quando mancavano ancora cinque mesi suonò un forte campanello d'allarme: una
valutazione appena sufficiente fu un duro colpo per lei che nei precedenti esami prese sempre il massimo dei voti.
Claude aveva visto crescere l'irrequietezza della figlia ma
pensava a una fase transitoria, o forse fu troppo sicura che ormai era fatta: avrebbe
rivisto la sua casa e pian piano...
Cancellò il sogno dal calendario e dopo averne parlato con
Catherine e Anne modificarono i piani: il matrimonio religioso (Thomas
non poté rifiutarsi) si sarebbe celebrato nella loro città, quello civile a
Parigi.
Il progetto entusiasmò Mathieu e la moglie che si dettero da
fare per l'organizzazione, ovviamente aiutati da Armand, Sophie e la signora
Jade, che trent'anni dopo poteva rivedere la torre Eiffel, sperando questa
volta di poterci salire lassù, visto che già allora c'era così tanta gente in
attesa che d'accordo col marito rinunciarono, dicendosi che ci sarebbe stata
un'altra occasione.
Se ne pentì sempre, non perché non ce ne furono, ma perché lo
credette possibile. Non c'è mai un'altra occasione, al massimo si ripresenta la
medesima. Jade capiva la differenza.
Il cambiamento del programma ebbe immediatamente effetto su
Marie che nei successivi esami ottenne nuovamente il massimo punteggio.
La cosa fu chiara a tutti, non si sarebbe mai più cercato di
riavvicinarla a casa anzi, nel caso dovevano farla desistere. Ci sarebbe stato
un solo momento in cui Marie poteva ritornare: come disse Jean sarebbe stato il
giorno del festeggiamento della laurea.
Non dubitavano che quel giorno sarebbe stata sotto la
protezione dell'amico.
Il matrimonio civile di Catherine a Parigi rimarrà
memorabile. Non solo perché Gerard come si attendevano ne fece un film, ma
perché tutti loro, pur se in modi diversi si sentirono parte di un film più
grande che riguardava le loro vite.
In quello era scritto che questa volta tutto sarebbe andato
bene e il regista, pur attenendosi al copione fece anche meglio, una specie di
“licenza poetica”.
Nel film di Gerard si vide una radiosa Catherine in abito
bianco e con un foulard dello stesso colore sul capo, camminare per la città
assieme al suo compagno in completo marrone.
Inquadrati spesso dal basso facendo ondeggiare lentamente la
cinepresa, sullo sfondo di grandi palazzi, monumenti e opere architettoniche...
davano l'impressione di muoversi sospesi.
Anche Sophie era vestita di bianco con uno strano cappello
rosso come la corta sciarpa che le copriva appena il petto.
Arrivati in un piazzale alberato da cui si vedeva la Torre Eiffel,
Gerard li dispose nell'ordine - Thomas, Catherine e Sophie - con alla loro
sinistra la Torre e alla destra un alto platano verde... pareva un vivente
quadro di Chagall!
Era quello il motivo di cappello e sciarpa rossi: ad imitare
cresta e bargigli del gallo! (i fidanzati della Tour Eiffel, 1939).
Per il pranzo di nozze presero posto in uno splendido
terrazzo all'aperto, coperto da un tendone a strisce bianche e arancio da dove
si poteva vedere la Senna appena nascosta da rigogliosi cespugli sulla riva.
Thomas era seduto dando le spalle a Gerard che riprendeva la scena,
indossava un cappello anch'esso marrone
e aveva di fronte Catherine, spostata alla sua sinistra e appoggiata ad una
balaustra. Anche lei adesso portava un cappello (di paglia chiara), le maniche
risvoltate sulle braccia e fermate da un nastrino rosso... esatto, un vivente
quadro di Renoir! (la colazione dei canottieri, 1881).
E così via, a replicare quelle e altre splendide opere che il
talento e le scelte tecniche di Gerard riuscirono a richiamare in vita!
Sotto c'era ovviamente lo zampino di Sophie che preparò con
Mathieu l'itinerario dove ambientare le rappresentazioni (arrivando a pagare di
tasca propria il tendone a strisce, troppo importante nell'opera per farne a
meno.), un'idea geniale, unica!
Nessun altro aveva mai pensato ad un “servizio di matrimonio”
di tale originalità. Se avrete modo di vederne di simili almeno sappiate da
dove proviene l'idea.
Per una settimana la comitiva fu interamente alloggiata
nell'appartamento di Mathieu e in quello
adiacente che si fece “prestare” per l'occasione. Non volle mai rivelare
come riuscì a convincere i proprietari,
che conosceva appena. Vero che a Parigi accadono cose impensabili altrove, ma
anche qui è sempre questione di “lubrificante”.
Jade e l'intera troupe non dovettero attendere neppure un
minuto per la salita sulla torre Eiffel perché Mathieu ottenne per tempo i
permessi necessari a girare un “esterno” sulle piattaforme; dai 276 metri della
più alta era previsto il lancio di un fiore da parte dell'anziana signora,
assistita dai parenti in ricordo dell'amato marito.
Era straordinariamente vero e a loro modo tutti si sentivano
“parenti”. Anne e Gerard ripresero la scena da angolature diverse: il ramo
fiorito della regina azzurra che fluttuò nell'aria e cadde chissà dove fu un
ponte tra cielo e terra... che permise a
quell'occasione e non un'altra di
ripresentarsi. Jade, adempiuto il desiderio, si disse pronta a qualsiasi
destino (amava l'opera e le pareva di sentire anche una musica assieme a
quel tragico pensiero...), ma quando la chiamarono sentì quanto le erano cari i
suoi amici, così chiese al destino di non prenderla troppo sul serio.
Catherine, Thomas, Claude, Marie, Anne, Gerard, Jade,
Mathieu, Nicole, Armand e Sophie;
undici persone che suonavano - come neanche un'orchestra
potrebbe - la musica della vita. Nessuno stonava, né iniziava o terminava fuori
tempo, né andava oltre la sua parte, nessuno voleva esibire alcunché. Il loro
direttore, che si dovette assentare, li aveva istruiti bene, con ognuno
aveva ripassato la parte assegnata, limando qui e aggiungendo là solo quel
tanto.
Prima di andarsene li pregò di continuare che stavano andando
bene ed era contento di loro, la ricompensa per quello che stavano facendo era che
lo facevano assieme, una cosa già rara tra due persone, straordinaria in
undici.
Se fu il direttore a sceglierli, loro a seguirlo o entrambe
non serve a nulla saperlo, le cose in qualche modo vanno avanti e fin
che vanno l'unica cosa che potete fare è suonare. Ognuno deve trovare la
propria misura, la propria nota e intonarla al meglio; se qualcuno ascolta o
meno cosa importa, sapete che il direttore è contento di voi.
I successivi tre anni passarono come un aliante in volo
scivolando senza far rumore; come dicevamo altrove: “la vita che non
ricordiamo è quella che abbiamo vissuto” e per tutti fu la medesima cosa.
Fu un tempo ricco di molti incontri e tante cose fatte
assieme, come pure di approfondimenti personali nei rispettivi ambiti, ma fu
giusto un tempo vissuto pienamente a cui il ricordarlo non aggiunge né toglie
nulla, nemmeno al nostro racconto.
Marie terminò uno straordinario percorso scolastico e non
fosse stato per la matematica avrebbe ottenuto il massimo risultato, ma non se
ne fece una colpa avendo dato molto più di quanto poteva. Ricevette le
congratulazioni di quanti la conoscevano e diverse proposte tra le quali, dopo
un meritato riposo, avrebbe scelto la sua strada futura.
Erano passati dieci anni da quando aveva lasciato la sua casa
in Provenza sperando nell'arrivo di questo giorno; ora ne era immensamente
felice perché era riuscita a mantenere la promessa fatta a Jean, a cui non
smise mai di pensare.
Non sappiamo se fu questo uno dei motivi per cui non aveva
l'affetto di un compagno da portare con sé, ma della cosa non se ne fece mai un
problema né glielo fecero altri.
Non dubitava che quella promessa le avesse salvato la vita,
se non quella fisica quella mentale sicuramente. Era ancora ben presente nei
suoi ricordi quella sensazione di sprofondare che si unì al desiderio di
scomparire; le due cose rinforzandosi vicendevolmente non le avrebbero dato
scampo, era solo questione di tempo e neanche tanto.
Come accadde che il petto giallo di un piccolo uccellino la
ricondusse a guardare il colore del suo amato fiore e da questo alla misteriosa
busta lilla, sino ad udire dentro di sé la voce di Jean a ricordarle la sua
promessa, non riusciva a ricordarlo con precisione. Le rimase solo
l'impressione che un opprimente peso le venisse tolto da dosso e che fosse
stato Jean a compiere quest'altra impresa per lei.
Mancava una sola cosa per sciogliere l'enorme debito di
riconoscenza: tornare a casa, nella casa di Jean a festeggiare assieme alle
molte persone che in quegli anni non le fecero mai mancare il loro incitamento
e la loro amicizia.
Spesso si chiedeva il perché di quelle visite frequenti e
ripetute, da cui la madre traeva la forza che le permetteva di sopportare la
lontananza dai luoghi cari.
Pensava fosse questo il motivo, appunto sostenere Claude, ma la
banda di Jean sosteneva soprattutto lei.
Dieci anni sono davvero tanti giorni ma ora stava arrivando
l'ultimo. Unita all'apprensione che non riusciva se non in parte a controllare
si sorprese della sua impazienza: l'indomani con la madre sarebbe partita in
treno per Avignone, dove Mathieu e Nicole le avrebbero ospitate per ripartire
tutti insieme il giorno seguente.
Pierre e famiglia attendevano con altrettanta trepidazione il
loro arrivo.
Si erano perfettamente adattati alla nuova vita; la figlia
Charlotte, ora fidanzata, si sarebbe sposata entro un paio d'anni e Blanche
accudiva un giardino altrettanto esteso di quello precedente, a cui man mano
aggiungeva nuove piante. Non solo rose ma anche piccole essenze dalla lunga
fioritura, come la nepeta datale da Catherine, così gradita ai bombi e
agli altri insetti che presto ripopolarono il giardino. Anche lei ne apprezzava
sempre più la presenza, per il colore e il gran darsi da fare. A questo punto
un giardino comincia veramente a vivere, quando non è solo l'idea di un luogo
ma un luogo per accogliere la vita, quella più vulnerabile in particolare.
Pierre assieme al figlio avviò un'attività di importazione di
legnami esotici che rendeva secondo le previsioni. Avrebbe potuto rendere ben
di più se fossero stati disposti a viaggiare ma nessuno dei due lo era, per
differenti motivi: l'uno perché amava starsene a casa il più possibile con la
famiglia e l'altro perché poteva dedicarsi alla sua passione, il legno: per
arredare, costruire e scolpire... qualunque cosa ma di legno, esotico in
particolare.
La loro nuova vita la dovevano interamente a Jean e quel
giorno erano emozionati perché arrivò finalmente l'occasione di fare
qualcosa in cambio. Se non fosse giunta nessuno avrebbe chiesto loro nulla
ma si sarebbero per sempre sentiti in debito. Anche estinguere i debiti (in
questo caso di riconoscenza) è una delle cose da farsi per mettere la
stanza in ordine.
Anne ebbe mano libera per fare tutto quello che riteneva
opportuno all'interno e all'esterno della casa. Era diventata una cara amica di
tutta la famiglia e si frequentavano con regolarità, come pure gli altri della banda
di Jean. Pur essendo ormai di casa, Anne una cosa non l'aveva ancora fatta:
rivedere la camera di Jean. Era giunto il momento di farlo perché Marie
l’avrebbe domandato, doveva sentire se c'era qualcosa che non andava.
Così un paio di mesi prima della festa, durante una
ricognizione, si decise di chiederlo a Blanche.
Vide come la donna a stento celò la soddisfazione per la
richiesta, come non attendesse che quella domanda.
Stava un paio di metri avanti quando le aprì la porta; nel
farlo indietreggiò, le disse di guardare da sé e che l'avrebbe attesa al
pianoterra. “Che strano comportamento” - pensò - “oramai mi conosce
abbastanza per sapere che non cedo facilmente ai sentimentalismi, forse se le
avessi ben spiegato il motivo... beh non fa nulla, può ben credere che mi commuova
all'entrare... e se me lo chiederà le dirò che successe.”.
Ma era Anne che non aveva colto del tutto quanto rispetto e
gratitudine quella famiglia nutrisse per Jean.
Dall'esterno aveva notato come le due finestre della camera
avessero sempre le imposte aperte: tre per metà e una del tutto, quella da cui
Jean aveva la visuale più ampia sulla lavanda. Si incuriosì, perché conosceva
bene quella disposizione; osservando attentamente vide che erano state bloccate
a quel modo. Fra le varie ipotesi ritenne più probabile che la stanza fosse
usata adesso come studio da Gabriel, dove creare le sue opere con il legno.
Le piacque crederlo: un altro artista in quella
stanza! Non cercò mai di conoscere come stavano in realtà le cose, magari le
avrebbero rivelato che veniva usata per scopi meno nobili, molto meglio non
saperlo.
Era il pomeriggio di un giorno assolato, Anne già conosceva
quale intensità e tono di luce avrebbe trovato all'interno della stanza: Jean disponeva
le finestre a quel modo quando, risvegliatosi dal riposo pomeridiano, sedeva
sulla poltrona a guardare i campi di lavanda; non gradiva aprirle
completamente.
Dopo essere cresciuta alla scuola di Jean
difficilmente si sarebbe potuto impressionare Anne, figurarsi farla addirittura
commuovere!
Così varcò decisa la soglia, mentre Blanche si era di già
allontanata.
Il pavimento era stato rifatto in legno, di una grana fine
e dorata che assorbiva una parte della
luce e rifletteva la sua componente più simile all'oro, un lavoro magistrale.
Una poltrona, quasi identica a quella di Jean era collocata più o meno nella
stessa posizione. Dopo appena un solo passo dovette sedersi, con il cuore che
le batteva forte e le lacrime che non chiesero il permesso di rovinarle il
trucco leggero...
... non c'era che
quella poltrona, ma a tre pareti della stanza erano appese le opere di Jean!
La quarta, quella che aveva la luce migliore, era libera.
Su una parete erano appese tutte le 49 etichette create per
spedire la lavanda alle associazioni.
Che ci fossero tutte era stupefacente, pensò che quando
qualcosa era oltre le comuni possibilità allora lo si doveva a Sophie.
Con meraviglia vide che non mancava nemmeno un'opera tra le
composizioni floreali e paesaggi!
Le tre della famiglia di Pierre, le altre tre che avevano
Armand e la moglie, quella di Claude e l'altra di Catherine, quella di Mathieu
e di René, di Thomas e Jade.
Non mancavano neppure i due acquerelli regalati ai medici, ma
incredibilmente c'era anche quello di Albert e l'ultimo di Patrick... questo
proprio non avrebbe mai pensato di rivederlo!
Ovviamente la parete vuota attendeva i ritratti che
appartenevano per metà a lei e Gerard e per l'altra metà a Marie (custoditi da
Anne sino al ritorno).
In una posizione appartata c'era un piccolo dipinto
plastificato; seppure molto rovinato ancora si distinguevano, ormai
mescolati tra loro, fiori rossi tropicali e lavanda assieme...
Tutte le opere con la propria cornice erano inserite al
millimetro in altre magnifiche cornici di legno, intonate al contenuto e dalle
forme inusuali, a loro volta un'opera d'arte di Gabriel.
Solo con Jean presente avrebbe potuto provare una tale emozione che la tenne a
lungo su quella poltrona. Ridiscesa al pianterreno andò a ringraziare e
abbracciare Pierre e la sua famiglia; apposta non volle prima riassestare il
trucco, vedessero anche da quello quanto la avevano resa felice. L'indomani
avrebbe portato le opere mancanti e Gabriel le disse che in un mese le cornici,
di cui aveva già scelto le essenze, sarebbero state pronte. Lavorò duramente,
con un risultato all'altezza di quei quadri meravigliosi. Anne domandò a Pierre
come avevano pensato ad una cosa del genere e in che modo ottennero la custodia
dei dipinti. Lui rispose:
Col tempo abbiamo raccolto informazioni e voci su Jean.
Aggiunto a quanto accadde a me e alla mia famiglia ce n'era abbastanza per
capire che fu una persona... speciale; fece cose che non riesco a comprendere
ma che hanno portato grandi vantaggi e benefici alle persone che vivevano con
lui, noi compresi.
Quando nella clinica parlai l'ultima volta con mio fratello
gli domandai se potessi fare qualcos'altro, oltre alla festa per Marie e
mantenere la lavanda qui intorno, che comunque non toglieremo mai.
Mi chiese se volevo essere messo alla prova, naturalmente gli risposi di sì. Riuscì a
sorridermi dicendo: “Per tanto tempo non siamo stati assieme... adesso puoi
tenermi con te.”.
Non volle aggiungere altro, lasciando intendere che dovevo
trovare da solo il significato di quelle parole. Non sai, Anne, quanto ci ho
pensato, fino al punto di chiedermi se intendesse proprio con me
fisicamente, nel senso di conservarne i resti nella piccola cappella del
giardino. Ma in questa e nelle molte altre soluzioni che mi vennero in mente
non c'era quel senso vitale che percepii nelle sue parole.
La sua stanza decidemmo subito di non usarla - ce ne sono già
tante - così Gabriel ebbe modo di rifare
il pavimento usando un legno difficile e raro. Mio figlio è socio in una
impresa di posatori di parquet, ha
imparato il mestiere e l'ha sviluppato; ora eseguono lavori speciali
molto richiesti.
Charlotte trovò una poltrona simile a quella di Jean e mia
moglie nella stanza ci appese i suoi quadri, tenuti sino ad allora in mostra
nel salone.
Ma un giorno in cui ero seduto nella stanza di Jean, provando
a regolare le imposte mi accorsi che in una certa posizione la luce cambiava,
diventava appunto quella luce che anche tu hai visto e senz'altro conosci... e
i quadri, che non avevano mai apprezzato l'ampio salone, presero vita... quella
vita che cercavo di tenere con me.
Mi ricordai in seguito che Jean teneva le imposte a quel
modo, lo vidi bene le volte che ero stato con lui. Io credo che forse realizzò
o completò le sue opere proprio con quella luce.
Felice del risultato iniziai a sedermi in quella stanza per
un po' ogni tanto senza far nient'altro, giusto guardando fuori della finestra.
Per questo non ho sviluppato oltre la mia attività, dovrei
lasciare per troppo tempo questo posto, l'unico dove ho trovato la mia
tranquillità e l'ha trovata la mia famiglia.
Un giorno che me ne stavo là arrivò mia moglie, guardò a
lungo la stanza e alla fine mi chiese: “Quando tornerà Marie, pensi che le
piacerà?” - risposi che c'erano buone possibilità. - “Ma se ce ne fossero
ancora di più, sarebbe meglio, no? ” - Certo che sarebbe stato meglio,
qualunque cosa in quella direzione andava fatta; le domandai se aveva qualche
idea... devo a lei quello che hai visto. - “Ma come sei riuscito a farteli
prestare e a tenermelo nascosto? ” - “Beh, tu e Marie avete le opere più belle
di Jean, abbiamo pensato di vedere quante riuscivamo a raccoglierne prima di
chiedere le vostre date per scontate; via via che ottenevamo la disponibilità
al prestito si profilava un gran risultato.
Quando ci rivolgemmo a Sophie per le sue, alla domanda su
quante ne sarebbero mancate rispondemmo forse quattro o cinque. Replicò che
oltre a quelle ne mancavano ben di più,
49 per l'esattezza... le famose etichette.
Dissi che qualcuna di quelle etichette avrebbe fatto proprio
bella figura, lei rispose di non pensare a qualcuna ma a tutte... e
forse c'era una possibilità.
Promise che avrebbe fatto l'impossibile ma che anche noi a
questo punto dovevamo fare altrettanto: voleva che ci fossero tutte le opere,
non doveva mancarne nessuna!
Tu la conosci meglio di me, devo dirti che un po' quella
donna mi impressiona, ma quella volta mi mise quasi paura, ti giuro che proprio
temevo di rispondergli che non sarebbe stato possibile.
Ad esempio per quella di Patrick, dopo che Claude se ne andò
a Parigi ero convinto che non ci fosse alcuna speranza. Così dissi che ci avrei
tentato, lei replicò: “Come sarebbe... tentare? Dopo aver avuto quest'idea, preparato la stanza... e
dopo che ti ho detto che non un paio, ma TUTTE
quelle 49 etichette io voglio portarle da te, costi quel che costi... tu
solo TENTERAI per le altre? Io conto su di te, non sei una persona qualunque,
sei il fratello di Jean!”.
Il solo racconto trasmise un po' di brividi ad Anne, sappiamo
che Sophie provocava anche a lei
una certa inquietudine. Aveva qualcosa di selvaggio dietro il trucco
perfetto e l'abbigliamento elegante. Rammentò che Jean le disse ridendo che se
si spogliava al buio e dopo accendevi la luce non la vedevi più, come Chatnoir
poteva sparire e apparire senza lasciare traccia... una natura civilmente
selvaggia, le venne da pensare.
“E come andò che ci sei riuscito?” - riprese Anne. - “Per
quella di Albert mi aiutò Maximo, l'avvocato. Quando gli spiegai del progetto
mi rispose che potevo contare pienamente su di lui, in cambio chiese
solo le foto della stanza con le opere al completo.
Mio fratello aveva dei problemi che egli prese in carico a
patto del prestito e per Albert fu una fortuna, stava rischiando molto e
l'avvocato recuperò la difficile situazione.
Maximo si recava ogni tanto al cimitero per rendere saluto a
mio padre, suo caro amico; in un'occasione si accorse che qualcuno, in un altro
tentativo di asportarlo danneggiò la plastificazione del piccolo dipinto di
Jean. L'acqua infiltratasi lo rovinò un pò e l'avrebbe distrutto in breve
tempo.
Chiese ad Albert se poteva sostituirlo con una foto e lui gli
propose di scegliere tra quelle che aveva; ne prese due - una di Marcel e una
di Jean - che fece comporre in un unico ovale da un fotografo e mi mandò il
dipinto da tenere qui per sempre.”.
Altri ricordi si riaffacciarono alla mente di Anne, come
quelli di Claude anche questi della stessa specie occorsi all'amica: ricordi
senza passato... Pierre seguitò a dire: “I medici a cui ci presentammo io e
mia moglie furono contenti della visita; ricordavano molto bene quel loro difficile
paziente (che non lo era affatto) convincendoli a trattare persone come lui
in modi diversi dal protocollo.
Si sparse la voce della loro sensibilità e in breve
diventarono un punto di riferimento, apprezzato e richiesto al punto che la
clinica affidò loro un piccolo reparto apposito dove lavorano assieme. Nel loro
studio c'erano un divano con due poltrone e ai muri erano appese le due opere
di Jean.
Alcuni esperti d'arte rimasero subito catturati dai dipinti
richiedendo informazioni, spingendosi addirittura a chiedere se fossero in
vendita... e dimenticandosi per un momento quale fosse la causa della loro
visita. I medici dissero che trattandosi di un loro paziente erano vincolati
alla riservatezza e pur se avevano capito che le opere erano notevoli non
immaginavano sino a quel punto; in ogni caso non se ne sarebbero mai separati,
vedendo in esse una sorta di diploma per il loro difficile lavoro.
Saputo il motivo della nostra richiesta accordarono il permesso, ma solo dopo
che delle fedeli riproduzioni ne avessero preso momentaneamente il posto;
fortunatamente Sophie ci aveva presentato dei professionisti nel campo che
realizzarono in pochi giorni delle copie fotografiche perfette.
I due medici chiesero se sarebbe stato possibile vedere
l'intera collezione e pensammo che era il minimo che ci potessero domandare.”.
Ci fu una pausa, Anne pensò che il famoso Romanziere si era
particolarmente impegnato nel loro caso: come le cose procedevano si rivelavano
le azioni e il ruolo di ognuno.
Per altre azioni non era ancora il momento: nel Lavender-camper
aveva chiesto a Jean se mai sarebbe stato possibile svelare a Claude, senza
che ne subisse alcun danno, come fu messa in scena la storia dell'aggressione;
nonostante fosse stato a fin di bene ancora si sentiva in colpa per averla
trattata a quel modo, era la sua più cara amica e le bruciava mantenere quel
segreto.
Jean comprendeva il suo stato d'animo ma quell'azione così
forte necessitava di un lungo periodo di
tempo per perderne la carica che altrimenti poteva rivolgersi contro.
Disse che doveva portar pazienza e lasciar fare al Romanziere.
Pierre riprese: “A questo punto ne mancava una soltanto, la
più difficile. La credevo un'impresa senza speranza, ma Gabriel non la pensava
così e suggerì di chiedere a Claude, quando venne per assistere la sorella,
tutti i particolari che riguardavano la famiglia di Patrick.
Claude riteneva che a chiedere in prestito il quadro si
otteneva l'effetto contrario: Patrick è troppo succube della moglie, non
avrebbe potuto disporre del dipinto senza darle prima delle spiegazioni; aggiunse che il figlio non voleva storie e
non sapeva mentire, bisognava per forza trattare con Rose. Si pensò di
acquistarlo in qualche modo, ma anche questo l'avrebbe insospettita, come
spiegare l'interesse per quel quadro?
Sarebbe stato più facile rubarlo. Poiché non si poteva fare,
Gabriel mi chiese... e le riassunse il colloquio con il figlio:
“ Si può rubare qualcosa senza rubarla? - disse
Gabriel - Non ha senso, risposi. - È come per le riproduzioni, si
sostituisce con una copia. - No, è sempre rubare! - Se lo facciamo noi
sì ma se lo fa lei... - Se lo
facesse non sarebbe rubare, è suo. - Non è solo suo, è anche di Patrick, per
questo dico che lo ruba a lui ma non a se stessa, perché come dici anche tu, è
già suo. - Gabriel, ignoravo che tu fossi capace di queste acrobazie
mentali... ma qui giriamo intorno, rubare o no non ce lo da a noi! - Noi gli offriamo di acquistarlo, senza dire
chi siamo ovviamente. Lei risponde che non può, è di famiglia... e allora
alziamo un po' il prezzo e le diciamo che ci sarebbe un sistema per prendere i
soldi e tenere il quadro, che tanto non è nemmeno in mostra e nel caso potrebbe
sempre farlo sparire... qualche modo lo troverebbe di sicuro. - E chi ci
parla con lei? - È una giovane donna che tiene molto al suo aspetto, i
complimenti le fanno di sicuro piacere... - Ma che ti sei messo in testa?!
Sono persone legate alla nostra famiglia, a Jean!! - Ehi..! Ho detto “complimenti” e intendevo
solo quello! Sei tu che pensi male, adesso lascia che ti spieghi l'idea. Io
vado dove lavora, mi faccio consigliare qualche prodotto di marca per la mia
ragazza, come quelli usati da lei che la valorizzano... (sono questi i
complimenti che intendevo!), li compro e
conversando le dico che la mia ditta vorrebbe sviluppare la sua attività
in quella zona. Lavori pregiati ma costosi, non è facile trovare clienti, se
qualcuno mi indicasse un po' di nomi, poi mi arrangio da solo... che ne so, in
cambio potremmo farle gratis il pavimento di una camera... legno esotico! Se
funziona andiamo con la mia squadra, due giorni al massimo e mentre lavoriamo
in un imprevisto si apre lo sgabuzzino, salta fuori il quadro... che dobbiamo
appena tagliare da una parte. Ma conosciamo dei professionisti che lo riparano,
poi lo vorrebbero,... poi il prezzo... poi si può fare una copia fotografica.
Pavimento gratis e soldi in cambio di quel quadro che odia, cosa te ne pare?-
Che sei troppo sicuro, non ci credo che si comporterà come ti aspetti. - Può
essere, adesso sentiamo la tua idea. - ... ma io non ne ho nessuna... - Beh...
allora vinco io per abbandono, no?”.
Anne rimase affascinata dal racconto, le pareva di essere
tornata ai tempi in cui la banda di Jean compiva simili incredibili
imprese: Gabriel sarebbe stato arruolato a pieno titolo.
Anche lei sarebbe stata d'accordo che poteva funzionare, ma
quell'idea era... troppo matura, troppo perfetta per un ragazzo.
Occorrevano buona capacità di interpretare l'animo umano, esperienza e un po'
di cinismo per concepirla... chi aveva
quelle doti?
Una sola persona avrebbe potuto suggerire quella soluzione,
una persona che si nascondeva nell'ombra... che se anche accendevi la luce
non vedevi.
La cosa funzionò alla perfezione, con qualche variazione. Non
servì rilanciare sul prezzo, Rose accettò la prima offerta ma pretese
risolutamente il cambio della camera con il grande soggiorno... eh sì, quanto a
trattare anche lei non era male. Non aveva alcun dubbio di aver fatto un grande
affare: una crosta di quadro trasformata in un bel gruzzolo depositato nel
suo conto... e il pavimento del soggiorno in legno esotico che lasciò a
bocca aperta tutte le sue amiche (quelle sì le faceva entrare, per godersi la
loro invidia), per la cui realizzazione si vantò col marito del buon prezzo che
riuscì a spuntare (... quale prezzo?).
Era così compiaciuta di quanto riuscì ad ottenere che non le
venne in mente di chiedere dove mai avesse la sede quella ditta che
arrivò da lei con un anonimo furgone a nolo. Trattandosi di un lavoro senza
fattura meno tracce rimanevano meglio era. Tuttavia nel caso di lavori delicati
in legno esotico è opportuno spendere qualcosa in più e avere una qualche forma
di garanzia.
Gabriel sfogò l'irritazione per essere stato costretto ad
accettare le sue condizioni... sulla colla usata, di una qualità che già aveva
dato problemi col passar del tempo.
Rose non voleva correre rischi, una volta che ebbe una forte
lite col marito, ovviamente a causa dei parenti di lui, accentuò ad arte la sua
collera sino a ridurre letteralmente a pezzetti quel dannato quadro - copia o
meno che fosse - e bruciarli nel caminetto davanti allo sguardo allibito di
Patrick. Fortunatamente il figlio non era presente e il marito non seppe far
altro che uscire e andare al solito bistrot, la sua oasi di tranquillità.
Rimase talmente avvilito da cercare conforto nella madre
(come fanno in molti, a qualunque età) raccontandole quanto accadde. Claude
sapeva che il quadro era una copia; buon per Rose che non cercava alcuna
rivalsa, ma se le cose fossero peggiorate, mettendo a rischio il figlio o il
nipotino, allora avrebbe fatto una sola
cosa... il dannato quadro sarebbe ricomparso in quella casa e nessuno l'avrebbe
potuto distruggere veramente, perché sarebbe stata solo un'altra copia di cui
qualcuno avrebbe dovuto rendere conto.
L'originale era in mani più degne, custodito sino a quando
quella famiglia non ne avesse compreso il vero valore, ben oltre il denaro.
Tutte le opere di Jean sarebbero state presenti nella sua
stanza quel giorno, in seguito sostituite con delle fedeli riproduzioni
professionali. Sophie forse avrebbe raccontato come fece a recuperare l'intera
collezione di etichette, chissà se ne era anche diventata proprietaria... ma se
non l'avesse rivelato di sua iniziativa era meglio non saperlo.
Quanto era stato capace di fare Pierre e la sua famiglia
rendeva il compito di Anne meno difficile.
Pierre non poteva sapere che in quella stanza mancava un'opera
importante e unica che solo quanti frequentarono il Lieu - la famiglia di Marie
e quella d'elezione di Jean - conoscevano: il grande dipinto a pastello
sul tramezzo del cabanon.
Nessuno di loro l'avrebbe mai rivelato, neppure ai loro
amici. Il dipinto apparteneva a quel luogo che era oltre l'amicizia. Il Lieu
era la seconda natura di Jean e se non fu lui a parlarne in nessuna
occasione significava che non voleva che altri sapessero.
Per Pierre il Lieu era solo un pezzo di terra di poco valore
che Jean donò ad Anne e se ne dimenticò in fretta.
Entro breve sarebbe appartenuto a Marie. Un regalo unico e
una grande responsabilità.
Capitolo 30 - Festeggiamenti
Marie e Avignone entrarono subito in sintonia: il grande
fiume Rodano con i suoi battelli e la città così piena di vita le sembrò una
piccola Parigi, però più intima. Promise a Nicole che sarebbe ritornata a
visitarla con più calma.
La mattina seguente si alzarono presto ma non Mathieu, che
era abituato a lavorare fino a notte inoltrata e si alzava quasi per pranzo. La
moglie dovette tirarlo giù dal letto e lui, scusandosi con tutti, disse di aver
bisogno di soli dieci minuti per riordinare una cartella di progetti da
lasciare al portinaio per un collaboratore. Dieci minuti... se sveglio. Dal
grande studio stracolmo di classificatori, librerie con migliaia di riviste e
un po' meno libri, tavoli da disegno e i più disparati modelli e attrezzature,
nonché decine di scatoloni accatastati alla rinfusa e altro ancora provennero
forti rumori ed esclamazioni non riferibili.
Amava il suo disordine, muoversi dentro stimolava il suo lato
creativo. La moglie invece non l'apprezzava e col tempo aveva persino
rinunciato ad entrare, senza poter aspirare, lavare, riordinare e quant'altro
serve a rendere distinguibile un posto abitabile da un qualsiasi retrobottega.
Mathieu era in difficoltà e Claude si rese conto che la
moglie non l'avrebbe aiutato anzi, stava già avviandosi con le valigie per
preparare l'auto.
Claude fece cenno a Marie di seguire Nicole ed entrò senza
esitazioni: era franata una colonna di scatoloni colmi di cartelline,
trascinando con sé un tavolo e altre pile di fogli che ci stavano sopra...
purtroppo c'erano anche quelli di cui Mathieu aveva bisogno.
La pazienza di Claude riuscì a calmarlo, si fece spiegare
come voleva risistemare il materiale iniziando a raccogliere la miriade di
fogli sparsi sul pavimento; tredici anni meno dell'amico si vedevano,
eccome.
Verso la fine, recuperato il progetto, mentre stava per
completare una delle ultime cartelle Claude
sentì arrivarle alla spalle Mathieu, che quasi spostandola le disse:
“No, no, Claude lascia stare, qui finisco un'altra volta, ormai il progetto è
tutto qui, adesso dobbiamo proprio andare... vi ho fatto aspettare fin troppo,
mi dispiace.”.
E nel parlarle cercava di frapporsi, quasi ad impedirle la
vista di alcuni fogli sparsi a terra, ma lei li aveva già visti: bozzetti
a carboncino di una scenografia di qualche film, scene di un'aggressione...
di un litigio tra due donne... forse c'era anche qualcosa di
compromettente?
Non volendo mettere in imbarazzo l'amico l'assecondò dando le
spalle ai fogli e sveltendo il passo verso l'uscita.
La buona memoria di Claude aveva registrato le immagini che
le ricordavano qualcosa, forse aveva visto un film con quelle scene e prima o
poi le sarebbe venuto in mente.
In quel momento non ricordava che non l'aveva solo visto quel film...
Alla fine di luglio quasi tutta la lavanda della piana era
già stata tagliata e distillata, salvo poche parcelle tra cui quella della
famiglia di Jean.
Questa fu la prima cosa che Marie vide tornando a casa, tutto
il resto che incontrò arrivando sin lì lo ricordò mentre lo vedeva, come
accade a tutti. Ma quella lavanda
la vedeva per la prima volta, o meglio, appena la vide cessarono
i ricordi, senza i quali non aveva modo di sapere alcunché... e questa non è
una cosa che accade a tutti.
Anche l'irrequietudine scomparve e altre cose iniziarono a
risvegliarsi dentro di lei, ma non poteva ancora percepirle.
Tornare a casa era come essere arrivati in cima all'otto
volante: non doveva più salire e senza nessuna possibilità di retrocedere il
suo solo peso l'avrebbe fatta scendere.
In quella discesa credeva fermamente che il suo amico, anche se non presente, l'avrebbe protetta come aveva sempre fatto.
Non ci furono mai così tanti ospiti in quella casa: Claude,
Catherine e Thomas, Anne e Gerard, Jade, Mathieu e Nicole, Armand e Sophie,
Pierre e Blanche, Charlotte e Gabriel; addirittura Anne riuscì a portarci ben
undici compagni di scuola e due insegnanti di Marie.
Vi erano anche René e Viviane, i proprietari del bar sulla
strada e altri sei abitanti della cittadina (di cui un paio lavoravano in
municipio) e Louis, l'allevatore di capre da cui si rifornivano di latte e
formaggi da sempre.
C'era qualcuno che la ragazza non conosceva: il direttore
dell'associazione dove inviavano la lavanda e uno dei medici (con signora) che
assistettero Jean.
Mancava purtroppo l'intera famiglia di Patrick, ma una felicità di questo mondo non sarà mai completa.
Marie era sbigottita per le dimensioni della festa in suo
onore; ricordò le parole dell'amico, tanti anni prima:“...ce la farai Marie
e ti giuro che faremo una grande festa quando sarai laureata, anzi lo dirò
subito ad Anne che cominci a prepararla...
vedrai che festa!”.
Jean non parlava mai a vuoto.
La casa e il giardino erano stati addobbati con festoni di
carta colorati; in cucina Catherine e Blanche sfornavano in continuazione
prelibatezze al pari di un gran ristorante e Anne, Gerard e Mathieu si
alternavano a filmare ogni situazione: ne sarebbe uscito un gran bel film.
Sia nel salone che all'esterno erano stati predisposti spazi
per degli spettacoli.
Sulla pedana situata nel giardino due compagni di Marie alla
fisarmonica e chitarra con René alla batteria partirono con il loro repertorio,
messo a dura prova dalle entusiaste richieste del pubblico. La musica era ben
eseguita e mancando un vero cantante tutti poterono dare il loro contributo.
Dopo un bel po' i musicisti si presero una meritata pausa; ripresero verso sera
quando tra la sorpresa generale Sophie salì sulla pedana: come al solito trucco
e abbigliamento non avevano rivali e già quello, pur avvicinandosi ai
cinquant'anni, era uno spettacolo per i signori e un po' d'invidia per le
signore.
Quando fu preparato il programma Sophie disse che avrebbe
potuto cantare una canzoncina, per la gioia di Anne che vedeva crescere la
lista degli intrattenimenti, ma nessuno immaginava che sapesse farlo a quel
modo. Durante la sua esibizione (altro che canzoncina...) nessuno si
spostò e la cucina fu abbandonata.
Conosceva il mestiere alla perfezione, era lei che trascinava
ritmicamente i musicisti che galvanizzati dettero più di quanto si credevano
capaci e il repertorio classico francese, così ben interpretato, rese i colori
della vita.
Tutti rimasero ipnotizzati dalla sua bravura e lo stesso
Gerard dovette costringersi a filmare; si sarebbe volentieri seduto ad
ascoltare con un bicchiere di vino in mano... non beveva da quasi quindici anni
ma quel ricordo ogni tanto ricompariva.
Se lo avesse fatto non si sarebbe accorto dell'emozione del notaio. Attese che si ricomponesse prima di riprenderlo; dopo tanti anni quella coppia non aveva ancora rivelato i propri segreti.
Col fresco della sera gli ospiti furono fatti accomodare nel
grande salone, svuotato del contenuto e attrezzato come un piccolo teatro con
seggiole e poltroncine.
Diversi compagni di Marie raccontarono i loro percorsi
scolastici e di vita in modo goliardico, essendo una festa di laurea; alla fine
la alzarono in aria e una volta con i piedi per terra sul muro alle sue spalle
venne srotolato un enorme lenzuolo, con su scritto: “Marie sei stata la più
brava di tutti. ” (il disegno che accompagnava la frase però sottintendeva
una bravura in tutt'altro campo...).
Lei un po' si commosse ma chi la vide non poteva sapere che
la vera causa era il ricordo delle parole di Jean: “... tu che hai la
capacità e la forza per riuscire nella
vita ce la puoi fare... lo faresti anche per me, sarebbe un po' come se ci
fossi riuscito anch'io.”.
Se non fosse stato per lui non avrebbe fatto nulla, il suo successo lo dedicò completamente all'amico.
In seguito Mathieu ottenne un meritato successo con un numero
semplice e difficile allo stesso tempo: raccontare barzellette. Ne conosceva di
tutti i tipi e non si fece per niente pregare... un po' di applausi per chi
lavora nello spettacolo sono come il pane.
E per terminare fu la volta di un professionista: Gerard non
solo imitò attori e personalità ma addirittura qualcuno di loro! Memorabile la
caricatura di Mathieu alla guida, sempre al limite dell'incidente, accelerando
quando doveva frenare e viceversa... l'amico non se l'aspettava ma rise al pari
di tutti.
Rise anche Jade al vedersi ritratta come una cantante lirica
sempre in attesa della tragica fine che tardava (e Gerard cantava mica male).
René era capace di acchiappare le mosche con una mano senza
schiacciarle e per quante ne togliesse di mezzo non mancavano mai nel bar...
addirittura gli riusciva anche al volo! Nell'imitazione era così determinato da
farlo pur se posate sulle persone e anche su di sé, dove una degna avversaria
insisteva ad atterrare; iniziò una lotta sempre più aspra con lui che mise da
parte il fioretto e ormai a manate cercava di spiaccicarla dandosi delle sonore
sberle tra l'incredulità e le risa (ovviamente produceva lui il rumore al
momento della finta sberla, ma il sincronismo era perfetto).
Neppure Anne venne risparmiata: nell'imitazione contrattò
tutti i suoi soldi per un posto in una scialuppa di salvataggio... salvo
accorgersi alla fine di essere in un aereo, senza più denaro per un paracadute.
Per ultimo, chissà come le venne in mente, Marie gli disse:
“Imita te stesso!”. Non si perse d'animo, era un vero attore, sapeva
improvvisare... si raffigurò appunto come un attore comico che rappresentava
questa scenetta: per contratto la sua mano destra doveva imitare quanto faceva
la sinistra che però aveva vita propria e non poteva controllare.
All'inizio presentò le mani ben alte facendo vedere come
l'una imparava ad imitare l'altra tra improperi e goffaggini. Poi si avvicinò
al pubblico e la sinistra mollò un buffetto ad uno... prontamente seguita dalla
destra, scusandosi subito dopo... e ad un altro, sfilato il portafoglio, la
sinistra prese una banconota, imitata dalla destra che fece altrettanto... ma
di nuovo la sinistra un'altra... e così via fino a svuotarlo... scusandosi in
continuazione mentre ritornava il portafoglio vuoto tra le risate. Per
terminare disse che tra il pubblico c'era un mago (scelse ovviamente Marie) che
avrebbe sciolto quell'incantesimo; fatta pronunciare la parola magica... la
sinistra cominciò a togliere la camicia al braccio destro... e viceversa. Non
aveva funzionato... anzi, era ancora peggio!
Retrocedendo guadagnò l'uscita prima che le sue due mani gli
togliessero i pantaloni!
Tutti risero a crepapelle e Marie più d'ogni altro.
Quelli che conoscevano la vita di Gerard aggiunsero una lacrima di diversa provenienza a quelle fatte affiorare dalle risate: lui non si era risparmiato, per rendere ancor più efficace l'interpretazione non si sottrasse dal camminare in pubblico, addirittura all'indietro... rischiando più volte di cadere! Ma da grande attore fece credere che il suo impaccio non fosse che una caricatura per farli ridere di più...
Era ormai tardi quando venne il momento del commiato; gli
ospiti furono alloggiati nelle case di Pierre, Claude, Gerard, René e degli
altri amici.
La festa non terminava quella sera, bensì il giorno dopo.
La mattina seguente più di trenta persone trovarono posto in
nove auto, formando una processione che si snodò per le magnifiche strade e
stradine di quei luoghi e tutto come al solito venne filmato.
Apriva il corteo l'auto con Marie e i suoi compagni e via via
tutti gli altri.
Era stato predisposto un itinerario con cinque brevi soste,
una per ogni anno di università.
Durante le prime quattro veniva raccontata nell'ordine una
barzelletta, quindi un aneddoto, poi cantata una canzone e infine recitata una
poesia. L'ultima sosta fu sulla cima del Monte Ventoso (il punto più alto), a
significare che il traguardo era stato raggiunto: là non c'era nulla da dire o
da fare, volutamente un tempo e uno spazio vuoto che ognuno riempì con un
pensiero o con nulla.
Non volendo far torto a nessuno riportiamo per tutti quello
della festeggiata.
Marie si volse nella direzione del Lieu da dove aveva visto
innumerevoli volte quella cima che adesso la ospitava; non cercò di
individuarlo, men che meno avrebbe usato uno dei cannocchiali a disposizione
(il panorama è straordinario, a 360 gradi).
Il suo pensiero fu molto breve, poche parole: “... grazie
di tutto, Jean...”.
La comitiva si ritrovò a casa di Anne e Gerard, dove era
stato allestito da una ditta un grandioso buffet all'aperto poiché nessuno
doveva più lavorare quel giorno.
L'incredibile rigoglio del giardino che si fondeva con i
campi di lavanda tutt'attorno e il panorama non interrotto da alcunché facevano
del posto un eden.
Marie non vedeva il giardino da dieci anni... le parve di
rincontrare un amico e ricordò con un po' di nostalgia il re di quel luogo: Chatnoir.
Jade tutte le volte che si recava da Anne per prima cosa
andava a vedere, addossata alla grande parete esposta a sud della casa, come
stava la figlia della sua regina azzurra che si era acclimatata alla
perfezione e dominava lo spazio davanti a sé, rivaleggiando quanto a dimensioni
con la pianta madre.
Gerard fu contento che Jean gli avesse dedicato quel fiore e
come la signora Jade sviluppò una sorta di affetto per la pianta, non mancando
di salutarla prima di una partenza e al ritorno (siamo certi che tanti lettori
condividono una tale passione).
Il programma pomeridiano prevedeva semplicemente... chiacchiere, almeno fino a sera quando vennero proiettati nel cinema che era quella casa: La petite mer... de la Provence; 16 giorni, il numero dai due colori; e il più recente, lo straordinario Sposi d'arte a Parigi (Catherine e Thomas). La cineteca di famiglia avrebbe atteso fiduciosa la quarta opera di cui erano ancora in corso le riprese ma per la quale il semplice titolo era pronto: Complimenti Marie, questa è la tua festa.
Nessuno aveva mai partecipato ad una festa così perfettamente
riuscita in ogni dettaglio, curato con la massima attenzione da Anne che
finalmente si rilassò, pensando che Jean sarebbe stato contento.
Il film, così ricco di situazioni, prometteva bene e Mathieu
pregò che lo si lasciasse metter mano almeno un po', ma Anne e Gerard avevano
pensato la stessa cosa: di lasciar fare tutto a lui, se lo meritava davvero.
Prima dei saluti finali arrivò un'altra telefonata: erano
state molte finora ma questa, non solo per Marie, era la più importante di
tutte.
Quelli che le erano intorno capirono che si trattava di qualcosa di personale e si allontanarono.
“Marie, purtroppo questo è il massimo che mi riesce di fare, gli auguri per telefono... ti meriteresti un fratello migliore di me ma almeno lascia che ti faccio salutare da mio figlio.”.
Una felicità di questo mondo non sarà mai completa... ma ci
si può avvicinare abbastanza.
-----------------------------------------------------------
*** Gentili lettori quello sopra è l’ultimo capitolo del romanzo.
Ma la direzione futura della storia, la
spiegazione di ogni dettaglio e situazione –
ricordate la misteriosa busta color lavanda? – sono descritti nell’epilogo
che oggi ho deciso di pubblicare, si sa mai che dovessi assentarmi indefinitamente…
La storia che
avete letto evidenzia uno dei maggiori doni, dopo quello d’esser venuto al
mondo, che possa capitare ad una persona - l’amicizia - che nel romanzo si
manifesta concretamente in pensieri e opere.
Tale sentimento oltre
il tempo e lo spazio, come accadde ai personaggi del romanzo lo auguro ad
ognuno di voi.
Non si può
sceglierla, solo essere disponibili a seguirla – e mantenerla – quando bussi
alla nostra porta.
In precedenza ritenevo che chi avesse interesse di leggere l’epilogo del Colore nascosto della lavanda poteva semplicemente chiederlo indicando un indirizzo dove inviarlo. Questo in segno di reciprocità e apprezzamento per la fruizione gratuita dell'opera.
Ma nessuno l'ha fatto e al di là di altre considerazioni, oggi lo ritengo un segno del nostro - mondiale - difficile tempo.
Così completo senza alcuna richiesta la pubblicazione del libro augurandomi che la storia abbia allietato il tempo che gli avete dedicato.
Cordialmente, Jean.
................................................
Epilogo
Il terzo giorno Anne andò da Marie, sola in quel momento,
chiedendo di parlarle.
La ragazza pareva aspettarla: “Anne, hai fatto una cosa
esagerata ma meravigliosa, non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza. Se
ci fosse stato il tempo mi sarei sentita imbarazzata, ma tutto si susseguiva
così in fretta e c'era così tanta gente...” - “Anch'io sono felice di come è
riuscita. Jean non amava le mezze misure ed era un perfezionista... spero di
essere stata alla sua altezza.” - “Oh sì, puoi starne certa!” - era giunto
il momento di dirle diverse cose, la prima si riferiva a quello che le era
stato destinato: “ Jean donò i suoi quadri a molte persone, ma i ritratti,
eccetto uno che dette a Sophie, come sai appartengono a noi due. Insieme a
tutti gli altri sono qui, ancora per questa settimana.”.
In precedenza i possessori dei dipinti, eccetto Marie, erano
stati fatti entrare singolarmente nella stanza di Jean per ammirare la loro
opera nella collezione completa.
Ognuno ne ebbe una forte impressione, amplificata
dall'atmosfera che regnava nella stanza e tutti si sedettero su quella
poltrona, a rivivere i ricordi della
loro vita o dell'incontro con Jean.
In seguito sarebbero stati ripagati del prestito con un
catalogo per pochi amici, contenente tutte le riproduzioni fotografiche della
mostra.
Marie aveva notato quegli spostamenti al piano superiore;
immaginava avessero a che fare con la stanza di Jean, ma che là dentro ci
fossero tutte le sue opere, questa era un'altra grossa sorpresa, al
punto che le residue resistenze a rivedere quella stanza, così ben conosciuta,
si dissiparono.
Non avrebbe perso per nulla al mondo quell'unica possibilità.
Ma questo era solo l'inizio, Anne continuò: “Jean volle
che solo al tuo ritorno ti fosse data questa notizia: il Lieu lo ha lasciato a
te, compreso il cabanon e quello che contiene. Nulla è stato spostato o
cambiato nel corso degli anni.” - “Ecco qual'era il tesoro!”. Fu il
primo pensiero. Che quel posto fosse speciale non lo aveva mai dubitato ma che
proprio lei ora ne fosse la proprietaria... le sembrava una cosa troppo grande,
non si sentiva adeguata per un tale regalo, Anne era senz'altro la persona
migliore. Ma quel dono era anche un impegno, sapeva che per Jean il Lieu era
più prezioso di ogni cosa.
Solo la sua famiglia, Anne e Gerard lo conoscevano e potevano
frequentarlo; quando venne Pierre le fu chiesto di non farne menzione, neppure
alla moglie e ai figli. Nemmeno il notaio e Sophie, Mathieu e Nicole, neppure la signora Jade ne sapevano
nulla. E Catherine non ne parlò mai neanche al marito che pure era un caro
amico di Gerard... non sarebbe stata lei a cambiare le cose, questo era
sicuro.
Fu distolta dalle sue riflessioni da Anne che le porse una
lettera dicendo: “Come ultima cosa dovevo consegnarti questa lettera che
Jean scrisse poco prima della fine; mi rendo conto di quanto sia delicato
questo momento, io stessa non ne immagino il contenuto che riguarda solo te e
Jean, la vostra amicizia, forse la cosa più cara che aveva. Se me lo permetti
vorrei darti un consiglio...”. Pur se il Lieu aveva un valore inestimabile
per lei questa lettera che le riportava gli ultimi pensieri dell'amico lo era
ancor più, tanto che se avesse dovuto scegliere l'avrebbe scambiata con quello.
Si ricordò dell'ultima volta che lo vide, sul Lavender-camper,
salutarla con la mano. Aveva sentito
dentro di sé qualcosa ma Chatnoir s'impossessò della scena e un attimo dopo era
già tardi, il destino volle che quello fosse l'addio; tuttavia Jean aveva
continuato a pensarla sino alla fine e col tempo Anne le avrebbe raccontato
anche di quegli ultimi giorni.
Con la mano tremante per la grande emozione prese la lettera,
ascoltando le parole di Anne:
“...un consiglio.
Io, Pierre e la sua famiglia stiamo andando a casa mia; tua madre e
Catherine ritorneranno tardi. Resterai
qui sola per molte ore... la casa di Pierre è aperta per te e la stanza di Jean
aspetta solo la tua visita, l'ultima.
Non c'è un posto migliore dove leggere quella lettera;
anche se sarà un'esperienza forte... sappiamo entrambe che lì non ti accadrà
nulla.”.
Appena entrata nella stanza, ancora prima di vedere gli splendidi
quadri appesi alle pareti, i dieci anni di assenza si fusero in un solo
istante... e passato quello, non ci fu più tempo... nell'eterno presente non
c'era fisicamente Jean ma la sua scia vitale, una sorta di qualità
individuale che si amalgamò a quella di lei.
Niente a che fare con fantasmi e spiritismo. Per riportare
questa ad esperienze che tutti noi abbiamo avuto è come quando ritornate in un
luogo dopo molto tempo, ad esempio un posto di villeggiatura dove vi siete
trovati bene, in montagna od al mare. Dopo un po' vi ritrovate sintonizzati
nuovamente con quel posto, come se non vi foste mai davvero allontanati... vi
siete riagganciati alla scia vitale del posto e procedete con lei...
Nulla poteva più farle paura, né ferirla, né farle perdere la
sua energia, né insidiarne la mente. Guardò con ammirazione ognuna di quelle
opere, dalle etichette che aveva visto dipingere sino ai ritratti che Jean non
ritenne di mostrarle: erano meravigliosi e non si sentì turbata a vedersi
rappresentata, anzi fu contenta a sapersi ispiratrice di quel talento.
La poltrona simile a
quella dell'amico fu il punto d'arrivo di quell'itinerario nell'anima e nel
cuore. Dopo aver aperto la lettera qualsiasi cosa vi fosse scritto adesso
poteva assorbirla.
“ Cara Marie, non ho dubbi che avrai mantenuto la tua
promessa. Quando leggerai questa lettera saranno passati dieci o undici anni
dal nostro ultimo incontro e puoi comprendere molte cose che non potevo dirti
allora. Ma prima mi unisco a tutti coloro che ti avranno festeggiata nella casa
dove ho vissuto tra persone care e amici miei quanto tuoi:
COMPLIMENTI MARIE, SONO
ORGOGLIOSO DI TE!
Ho lasciato il Lieu nelle tue mani, tu sai che tra quel
posto e noi c'è un legame.
Qualcosa l'hai provata quando eravamo lassù assieme, altre
ne proverai per conto tuo. Lascia fare al Lieu e abbi fiducia che sarà per il
tuo bene, come lo è stato per il mio.
So per certo che la mia vita, nelle mie condizioni, è
durata molti, molti anni oltre ogni
ragionevole aspettativa. Non sarebbe stato così senza il Lieu.
Come sei riuscita con le tue forze a realizzare il
proposito di studiare per costruirti una vita, non negarle la possibilità che
prosegua oltre la tua. Se ne verrà un'altra da te anche un po' della mia
continuerà, in modi che noi non possiamo conoscere, se il destino deciderà
così.
Non voglio ricordare in questa lettera nessun momento che
abbiamo vissuto assieme per non escludere gli altri, ugualmente importanti.
Non so se quello che provo per te sia racchiuso in quella
parola di cinque lettere... ma non credo sia la stessa cosa che i più
intendono. I luoghi dove ho vissuto, i fiori, gli insetti, gli uccelli, Chatnoir... tu e tutte le persone che mi sono
state vicine... per tutto questo la mia vita ha avuto un significato e ne sono
riconoscente.
I saluti migliori sono quelli che durano poco, io ho un
po' esagerato, ma era da tanto che non ti parlavo. Buona fortuna, amica mia.
Jean”.
Seduta sulla comoda poltrona, al termine della lettura di
quelle poche frasi, i ricordi di cui
Jean non parlò invasero la sua mente; ognuno era un nodo intrecciato alla scia
vitale dell'amico, fatto di una sostanza che non era né materia, né energia e
neppure forma.
A poterli vedere da distante avrebbe dato l'impressione dei
nodi di una rete che si allargava intessendosi ai nodi di altre persone, di
ogni altra cosa animata e inanimata... la trama della vita, che è la vita
stessa. Ogni nodo una lettera usata dal Romanziere Divino.
Poté assorbire ogni
ricordo, ogni sensazione... ma alla fine si sentì stanca e le mancava la voglia
di muoversi. Guardò la morbida e calda luce che entrava dalle imposte... un
passerotto venne a posarsi sul davanzale, Jean non l'avrebbe fatto attendere a
lungo prima di dargli un pezzetto dei suoi biscotti, anche lei aveva qualcosa in tasca... era ora
di muoversi.
La sera stessa Marie domandò ad Anne, Gerard e a sua madre se
potevano accompagnarla al Lieu l'indomani (l'avrebbe chiesto anche alla zia, ma
era occupata).
Ognuno sapeva che quello sarebbe stato il momento conclusivo
di quel difficile percorso che la ragazza dovette compiere per far pace col
passato, accettandone tutti gli eventi.
La gioia al sentire alfine quella richiesta li ripagò di
quanto fecero in quei dieci anni perché accadesse. Jean dette ancora di più:
sorvegliò e si prese cura di quella fragile piantina sin che poté, affidandola alla fine nelle loro mani.
Il giorno seguente arrivarono Anne e Gerard: Claude si
accomodò davanti con Anne alla guida, mentre Marie sedette dietro accanto all'uomo
che teneva un cesto contenente il semplice pranzo: formaggi di capra, frutta la
più varia e pane... era quasi come la prima volta, con Gerard al posto di Jean.
Arrivati là il caldo era piacevole e come allora il vento
fece la sua parte preparando per i visitatori un cielo blu splendente; i
cereali e la lavanda erano già stati raccolti ma anche il colore dei campi
rasati era una meraviglia di ocre e grigio-verdi.
Come allora non c'era nessuno, salvo un'auto parcheggiata
appena all'inizio della strada sterrata. Raggiunto il cabanon Marie si accorse
che la lavanda, ancora in fiore, si era mescolata con quella selvatica e altre
piante che poterono diffondersi, il tutto impreziosito qua e là da fiordalisi e
papaveri; tutto si era amalgamato e non c'era traccia dei filari
originari.
Quando scesero dall'auto Anne avvertì subito il
cambiamento... per dieci anni il Lieu era rimasto uno splendido posto
incontaminato, un po' selvaggio... ma ora, con il ritorno di Marie si era
risvegliato. Le cicale pur dandosi da fare come al solito erano superate da
quello strano silenzio, che assorbiva il loro richiamo e quello degli uccelli.
Pareva di muoversi in un'atmosfera più rarefatta e i pensieri
erano ridotti ad isolate nuvolette che passavano veloci, senza lasciar traccia.
La quercia vicino al cabanon era diventata grande e la sua
ombra poteva ospitare decine di persone, il posto preferito di Claude che si
sedette lì sotto appagata.
Gerard preferì sistemarsi all'interno, di fronte al dipinto
di Jean che riportava il tempo all'indietro, a quello che lui vedeva in quei
giorni. Anche Anne dopo un po' entrò, voleva terminare di scrivere qualcosa che
avrebbe dato a Marie quando fosse venuto il tempo:
“Cara Marie,
successero molte cose quando Jean era con noi, alcune sono troppo personali e
delicate per parlarne, ma di qualcuna lascio scritto qui perché un giorno tu possa apprezzare oltre
alla natura altruistica di Jean anche la sua genialità, la sua sensibilità
unica che gli permetteva di leggere nell'animo delle persone... di tutti noi.
Jean sapeva che non avresti retto al vederlo morire, così
decise da solo di allontanarsi, per mitigare l'impatto dell'evento. Gli avevi
fatto una promessa ed era sicuro che l'avresti mantenuta. Il ricordo di
quell'impegno doveva venire da dentro di te, ma il trauma per la fine del tuo
più caro amico ti avrebbe risospinta, come avvenne in precedenza, in una
condizione molto pericolosa, dovuta ad una certa fragilità della tua giovane
mente.
Con Jean niente ti poteva accadere. Mi disse che cercava
un modo per essere presente anche dopo. Senz'altro un buon proposito,
irrealizzabile per chiunque, ma non per lui!
Che poteva contare sulle sue qualità e sui suoi amici
fidati che oltre a noi erano anche gli animali, i fiori, gli insetti e chissà
cos'altro... ci credeva davvero, te lo posso giurare!
Quando alla fine mi disse quale incredibile soluzione
aveva trovato rimasi senza parole... era talmente difficile che tutti i
tasselli di quel puzzle si potessero incastrare al momento giusto al posto
giusto che non seppi trattenermi dal farglielo notare; lui rispose che ne era
consapevole, ma che avrebbe comunque funzionato. Gli chiesi da dove veniva la
sua convinzione e rispose: “Funzionerà perché tutti daranno il meglio di sé
perché funzioni, a queste condizioni anche la fortuna ci darà una mano! ”. La
sicurezza di Jean non ammetteva repliche che sarebbero state solo una perdita
di tempo.
Questa fu la soluzione: ... Gerard era l'ambulante che ti
vendette la busta lilla; dette talmente il meglio di sé da non esitare a
mostrarsi e muoversi senza la protesi alla gamba... l'unica volta che lo fece.
Convenne con Jean che tu non dovessi avere la minima possibilità di
riconoscerlo, pur se truccato, accettando per questo di non farsi mai vedere da
te. Anche se per farlo doveva limitare la compagnia dell'amico, la cosa a cui
più teneva. Jean si assicurò che tu non lo vedessi neppure nel suo film, mandandoti poco prima a
prendere la busta.
Gerard studiò attentamente le parole da usare con te, ogni
suo gesto lo provò lungamente.
Se avesse sbagliato qualcosa, se ti fossi distratta o se
non avesse ben calcolato il prezzo da chiedere, pronto a limarlo nel caso, o se
fosse accaduta qualunque altra cosa imprevedibile non ci sarebbe stata un'altra
possibilità... il senso di colpa, pur non avendone, l'avrebbe distrutto... ma
accettò senza riserve, perché Jean glielo chiese.
La prima volta qualcosa andò storto. Per qualche motivo
pur vedendolo con la mercanzia tu decidesti di fare altrimenti; dubitò che ci
fosse realmente una possibilità, ma Jean gli disse che quella era giusto una
prova, la prossima, l'ultima, sarebbe stata quella buona.
Jean aveva visto
giusto... la busta lilla si aprì nelle tue mani e le sue parole scritte
avrebbero fatto il resto. Quando fosse giunto il momento sarebbe stato
presente, anche se non fisicamente. Dopo qualche mese capii che quel momento
arrivò, quando venisti per dare il cibo agli uccellini. Il resto lo conosci.
Tutti noi ti siamo stati vicini per accompagnarti sino al tuo ritorno, Jean lo
raccomandò ad ognuno, ma l'avremmo fatto
comunque.
Vivendo incontriamo persone, esseri viventi e luoghi, ma
grazie a Jean quelle persone, animali, piante sono diventate la nostra vita,
non solo un'immagine da un treno (noi) in corsa.
In questa vita non
rimpiango e non cambierei nulla. Con affetto, Anne. ”.
Marie preferì camminare fin da subito, lentamente, fermandosi
spesso e sedendosi su quelle stesse pietre usate molte volte in passato come
sedili. Non pensava a nulla, era felice di essere là.
Come allora osservava le piante davanti a sé e gli
innumerevoli insetti, del tutto inconsapevoli della presenza di quella montagna
di carne che poteva disporre come meglio credeva delle loro esistenze. Quelle
minuscole vite tuttavia non rischiavano nulla perché come lo furono a Jean anche a lei erano altrettanto care e
degne di rispetto.
Nel guardare una magnifica pianta di lavanda ancora ricca di
fiori, un ricordo si insinuò nella sua mente...
... una volta era là con Jean che continuava in quei
giorni a portare con sé la pizza del suo film per disegnarci qualcosa. Poi una
nuvola coprì per un po' il sole e il colore della lavanda cambiò
repentinamente, non solo più cupo, ma proprio diverso, un colore che non aveva
mai notato prima, l'indaco... quel colore riempì completamente ogni cosa
davanti ai suoi occhi.
Ora ricordava che c'erano dei disegni e uno era proprio
nitido... un bimbo! Come aveva fatto a scordarlo... era così bello, lo sentiva
così familiare. Allora non le sarebbe venuto in mente che quel bimbo potesse
essere suo figlio! Una forza amica le permise di sbirciare un evento futuro che
non sarebbe stato possibile nel suo caso: il suo ciclo, l'ovulazione, si erano
fermate da quel giorno e non aveva pensato fino ad oggi che si potesse far
qualcosa.
Il ricordo ritrovato le procurò una bella emozione e se la stava assaporando quando vide quella
persona che entrò nel suo campo visivo giusto al limitare della proprietà,
ormai indistinguibile dal resto. Pareva che stesse cercando qualcosa, forse
addirittura dandogli la caccia, anche se
non era permesso in quel periodo! Senza pensarci gli andò incontro e si
accorse che se si trattava di caccia era di altro genere... quello che scambiò
per un fucile era un treppiede, in più l'uomo aveva appese al collo un paio di
grosse macchine fotografiche e due voluminosi borsoni a tracolla, uno per
spalla. Un fotografo!
Visto che non era come aveva pensato stava per ritornare
sui suoi passi, ma egli stava andando verso di lei e se non lo fermava adesso
quello sarebbe arrivato sino al cabanon. Per non dargli occasione di curiosare
ritenne conveniente incontrarlo, spiegargli che per quanto incolta era pur
sempre una proprietà privata, in attesa di sistemazione.
Al diminuire della distanza vide che era giovane:
nonostante la fatica che faceva a muoversi con tutto quel peso si
manteneva calmo, sopportando con un
sorriso il disagio e il caldo.
La macchina ferma all'inizio della strada sterrata doveva
essere la sua.
Oramai erano alla giusta distanza per salutare, ma
restarono ancora un momento a guardarsi... Marie dovette sforzarsi per smettere
di fissarlo... non le era mai successo di sentirsi attirata a quel modo da un
ragazzo; forse perché quella persona era al Lieu, pensò.
Gli chiese cosa ci facesse da quelle parti e lui rispose
che cercava di far diventare un mestiere la passione per la natura e la
fotografia, con poche speranze al momento. Se proprio non riusciva in quel
campo avrebbe provato con la scrittura, dove se la cavava abbastanza.
Era capitato là cercando di fotografare un animale che si
aggirava da quelle parti e quello era l'ultimo giorno che gli restava; per
quanto l'albergo fosse meno caro che altrove le sue riserve economiche stavano
finendo e l'indomani avrebbe liberato la stanza.
“Che genere di animale?” - gli chiese Marie - “Non ne ho
idea, non molto grande... ma svelto e furbo tanto da prendersi gioco di me,
facendosi appena scorgere in più occasioni, mentre fotografavo il paesaggio e
le piante; anche qualche animale selvatico mi avrebbe fatto comodo.”
-“Un animale selvatico non si prende gioco delle
persone... di solito scappa o si nasconde fino a quando rimane solo; almeno hai
visto i colori del manto o della coda, se ne aveva una?” - “Non ci giurerei, ma
mi sembrava nero...”.
Alla nostra cara Marie mancarono d'un tratto le forze, tanto
che il ragazzo la sorresse appena in tempo... ma in aggiunta a quello che
pensate le accadde un'altra cosa.
L'avrebbe compreso in seguito, in quel momento stava davvero
male, provava un dolore così forte da toglierle quasi la parola. Chiese al
ragazzo se poteva aiutarla a ritornare fino al cabanon, dove c'erano i suoi
familiari.
Lui lasciò tutte le sue cose a terra, sorreggendola con
cautela la accompagnò sin quasi all'entrata.
Il caso volle che mentre accadeva tutto questo Claude fosse
rientrata a parlare con i due amici; da dentro sentirono Marie chiamarli con
una voce sofferente, si precipitarono all'esterno e rimasero sorpresi di
vederla in compagnia. Una provvidenziale compagnia, visto che praticamente la
stava trasportando... nessuno di loro aveva mai visto Marie così vicina ad un
ragazzo.
Fu aiutata ad adagiarsi su un lettino e mentre Anne e Claude
cercavano di capire cosa le stava succedendo, Gerard restò all'esterno con il
visitatore, ringraziandolo per l'inatteso aiuto e chiedendogli come era
accaduto. Lui ripeté più o meno quello che disse a Marie e come lei
d'improvviso si sentì male, poi fece cenno di doversene andare.
Gerard capì prima di tutti cosa stava succedendo. Disse che
doveva permettergli, dopo quanto aveva
fatto per la ragazza, di ringraziarlo a modo. Lo accompagnò a riprendere la sua
attrezzatura e in seguito lo avrebbero riportato alla sua auto.
Intanto si presentò e cominciò a dirgli, fatalità... che
stava giusto cercando un fotografo per un progetto, ma che non era facile
trovare la persona giusta, dovendo avere anche altre qualità... lui che altro
sapeva fare? Ahh...! Sapeva scrivere! Proprio quello che serviva...
Dopo una mezz'ora Anne uscendo li vide seduti a chiacchierare
come fossero amici: chiamò a sé Gerard per dirgli che Marie adesso stava bene,
il ciclo era inaspettatamente ripreso e il dolore collegato era molto
diminuito... due secondi dopo si rese conto che per Gerard non era una
sorpresa. Guardò il ragazzo e capì a sua volta: quello che stava accadendo era
il vero tesoro di cui parlava la lettera lilla... il Lieu avrebbe avuto qualcun
altro a cui rivelare il colore nascosto della lavanda.
Fine?
Commenti
Posta un commento