*12 DIFFERENTI REALTA' - 2025

 



Gennaio


Pezzi di pane e frammenti di noci

son nel giardino in questo freddo giorno

meta di voli e differenti voci

di chi è con noi a superar l'inverno.

 

Sempre fui a Natal con la mia mamma

per onorare il debito di vita,

ora che passò l'ultimo in programma

rimane il foglio senza la matita.

 

Infine la linea s'è interrotta

l'ultimo respir ritornato all'aria,

un’altra nave tolta dalla flotta.

Rimane solo la direzion contraria

 

che ti riporta ai giorni dell'estate,

a quando ella ti tenne nel suo  grembo,

alle cose belle e quelle scartate.

Il filo d'oro nel sogno d'ogni bimbo

  

qui si dissolve oppure vien portato

oltre il dolore, tolto da ogni inciampo

per tessere l'amor ch'a nullo amato

in un diverso luogo, oltre il confin del tempo?


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Febbraio


In una delle tante dimensioni che ancora noi non conosciamo ma Lila sì... (Restituzione)



L'amica geniale 




 

Il nome


<<Lila! Aveva ragione Pasquale, sei tornata… come stai?>>

<<Tu che dici, ti sembro nu’ poco dissolta? (un pò dissolta?)>> 

<<No, sei tal quale l’ultima volta che ci siamo salutate. Da dove vieni?>>.

<<Eh, prima sarebbe da sapere dove siamo… conosci questo posto?>>

<<No, ma mi è familiare… dimmelo tu>>.

<<Nel salone di un castello, di quelli veri, tutto di pietra e pure col ponte levatoio. (*) 

Ti è familiare perché ci stanno decine di migliaia di libri, molte prime edizioni vecchie assai, stampate qui in questi luoghi – in Italia – dove hanno pure inventato la macchina da scrivere. Tu da lì vieni, prima di nascere al rione >>.


Non riesco a crederci, ho incontrato Lila e il primo pensiero è stato che questa storia potrebbe continuare all’infinito, fondendola con  quella del signore del castello dei libri e della sua compagna, uniti dalla passione per la scrittura. Ben diversa la loro storia dalla nostra di ragazzi senza privilegi, a caccia di libri tra vecchi scaffali, per migliorarsi. Oppure, alla fine, è la stessa storia, di persone – anime – in cerca della loro origine, ostacolate da chiacchiere seducenti, promesse, inganni, sangue che ne impediscono il progredire. In questo senso non aveva molta importanza il luogo, bensì cosa si fa in quello.   

L’ultima volta che vidi Lila fu attraverso le nostre bambole ammuffite che mi lasciò nella cassetta delle lettere, povere e brutti resti che pur appartenendo alla nostra vita, di bambine allora e di anziane oggi, vi partecipano come un ricordo tra i tanti, private della carica vitale che vi infondemmo con i nostri giochi. Le disposi contro i dorsi dei miei libri dove, a differenza della vita vera, le parole che le descrivono le faranno sempre brillare nella mente del lettore.   

I due piani temporali coesistenti mi fecero sentire confusa, però – diversamente da quella odierna, troppo forte l’emozione d’aver ritrovato Lila – accettai in me stessa la smarginatura della mia coscienza che m’impediva di collocare l’esperienza che stavo vivendo, per la paura che il più piccolo dubbio, esitazione potesse dissolverla, come un corpo dentro una vasca da bagno colma di un acido potente. 

Accettai, dunque, come avevo accettato tante, troppe situazioni che avrebbero richiesto una risposta decisa, evitata per mille motivi che poi sono uno solo: io sono questa, una delle figure del quadro di Gauguin  (Da dove veniamo, Chi siamo? Dove andiamo?) che apparentemente conducono una vita semplice, entro i confini del conosciuto. E invece, grattando il colore rinsecchito delle nostre maschere, si rivela la bianca tela dell’esistenza che costantemente  sostituisce la nostra impronta con altre. 

Se pensai che dovevo rassegnarmi a non vederla più ora mi ricredevo, al pari di un lettore che per la fretta, saltando all’ultima pagina del racconto, si dispiaccia d’aver forzato l’immaginario destino che ne sviluppa la trama.

<<Non ricordo come ci siamo arrivate, e tu, Lila?>>

<<In qualsiasi posto ci si arriva solo in due modi: chiedendo o per caso. Ma che cambia, ormai ce stai, che sia un sogno, una delle tante dimensioni che ancora non conosci o qualcos’altro,  potrebbe durare assai poco, perciò fai le domande che te stanno a cuore>>.

<<Va bene: perché sei sparita?>>

<<Sono sparita per farmi trovare, non ritrovare>>.

<<Che differenza c’è?>>

<<Si ritrova qualcuno che conosci e tu mi conosci assai bene. Non avrei mai potuto ingannartitrascinandoti dove volevo fin dall’inizio… non ho mai raccontato la mia storia di riscatto né nessun’altra, tanto meno usando il tuo corpo vivo e la tua esistenza. Sei tu quella che scrive, senza le tue parole non esisto – scompaio – e per mezzo di esse adesso ricompaio. >>.

<<Ho usato le parole per descrivere la realtà che ho visto e vissuto>>.

<<Non sto criticando,  l’hai fatto bene, nessuno l’avrebbe potuto fare meglio di te. A chi le legga magicamente appaio nel suo cinema interiore, recito la mia parte e se non gli sto indifferente può essere ca chiagne o ride… (che piange o ride) è tutto buono, Lenù, sei una vera artista del ritrovare>>.

<<E dunque?>>

<<Dunque quel meraviglioso gioco dello scrivere la nostra storia è finito – salvo ci ripensi – è diventato libro e pure film. C’è qualcosa… oltre quel punto d’arrivo?>>

<<Hai detto che vuoi farti trovare… ma sei qui, dove altrimenti?>>

<<Eh, Lenù… la smarginatura s’è allargata, oltre quel punto d’arrivo, oltre i confini che conosci. Qualcuno t’ha presa e portata in questo castello, come facevi muovere me nella tua mente, adesso sei tu – i tratti peculiari di come ti sei descritta – a vivere nella mente di questo qualcuno che sta consumando un po’ del suo tempo, per condurti alla risposta che manca nei tuoi libri: chi è davvero Lila?>>

<< La Lenù nella mente di questo qualcuno non sono io, ha solo acchiappato qualcosa qui e là e ci gioca con la fantasia >>.

<<Proprio comm te, ma tu o’ faje meglio e in grande, nun aie rivali, o’ dico davvero (come te, ma tu lo fai meglio e in grande, non hai rivali, dico davvero).In questo castello incantato dalle parole scritte, quelle mischiate alla terra avendo rinunciato alle ali per rimanere con gli uomini e ricordar loro da dove vengono, sei quelle parole.

Tutto l’universo è una trama di parole che descrive ogni cosa, dalle immense alle piccoline. Qui c’è posto per tutte le mille che hai scritto di te, le poche scritte da qualcuno e quelle che (forse) scriveranno altri. Tu (come tutto e tutti) vieni, sei e andrai con le parole... mo’ dimmi chi sono>>.

<<Sei solo una parola, come me, come tutto?>>

<<Lenù è il guscio, la conchiglia scelta dal paguro per proteggersi e vivere, la sua casa che difende stando tutto il tempo con le pinze sull’uscio. 

Tu si stata furba e da subito aie miso na’ puort, ppe sta’ in pace (hai messo una porta, per stare in pace) o altri motivi di cui non devi dar conto a nessuno, basta ca’ paghi e’ tasse (che paghi le tasse).Dentro il guscio mio però nun ce steva o’ paguro(non c'era il paguro) era una conchiglia vuota in fondo al mare che hai smosso con la matita - cosa aie sentito o’ saje sul tu (cosa hai sentito la sai solo tu) – ma la tua mano seppe ca’ rinto a’ matita ce steva na’ storia ca’ aspettava e’ ascì… (dentro la matita c'era una storia che aspettava di uscire) avevi solo bisogno d’una magia che aprisse la porta.

Al paguro nel tuo guscio c’hai messo nome Lenù  e all’altro il mio. Dandomi un nome m’hai fatto nascere nella storia e tutte le volte che mi chiami o che m’ignori, vengo o sto zitta. Ma sono sempre con te, adesso che il libro è terminato, che il film è spento… rimango come parola nelle pagine e come immagine nella pellicola.>>

 <<Lila, sei stata tu la magia che mi aprì la porta?>>

<<La magia si presenta alla porta di chi bussa a modo… ognuno la chiamerà come crede, ma chi la conoscerà non la potrà scordare. I figli, la famiglia e mille cose danno senso all’esistenza, a chi l’ha trovato e chi no – approssimandosi la fine del viaggio – si presenta l’interrogativo di una differente realtà. Ma chi mi ha incontrato, già in questa ne avrà vissuto un’altra. Adesso lo sai chi sono?>>

<<Sì Lila… l’ispirazione>>.


“stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”



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(*) 

https://www.castellodicastiglionedelterziere.it/

https://web.archive.org/web/20131020055224/http://www.ilcorriereapuano.it/notizia.asp?idnotizia=4264

https://rewriters.it/raffaella-paoletti-custode-dell-eredita-di-loris-jacopo-bonomi-di-cui-riscopriamo-la-trilogia/

 

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“Il romanzo si chiude con la frase latina «stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus» che riassume, in un verso icastico, i principi del nominalismo (suonerebbe piò o meno «Resta, la rosa primigenia, con il suo nome, noi abbiamo solo nudi nomi»).
 …… 

Ricorderebbe, insieme a molto altro e semplificando molto, che un concetto universale non è legato direttamente, necessariamente alla realtà ma si riduce a un fatto linguistico; ma anche che di tutto ciò che accade non resta che un nome, un ricordo, un segno.

O forse che alla fine – come recita l’Adso dell’omonimo film, che del grande amore della sua vita non ha mai conosciuto il nome – il ricordo della persona, dell’essenza, di ciò che stava dietro al nome, è indelebile.
Tuttavia, come ci dice lo stesso Eco, il titolo del libro lascia il significato all’interpretazione del lettore, che deciderà o meno di addentrarsi nel bosco della fabula: è il bello, tra l’altro, di un romanzo.

C’è da dire che, dall’Odisseo-Nessuno di Omero al Mosè del Roveto ardente della Bibbia, nelle culture basate sulla parola “conoscere” (e dare) il nome equivale a «possedere» l’interlocutore, fosse anche un dio.
In questo caso, i nomi sono l’essenza.”


https://www.educattepeople.it/2023/08/01/stat-rosa-pristina-nomine/#:~:text=Il%20romanzo%20si%20chiude%20con,abbiamo%20solo%20nudi%20nomi%C2%BB).



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Marzo




L’amo gettato nel lago fondo

s’anche vi fosse riman nascosta

la preda ambita da tutto il mondo.

 

In questo luogo si vien e si sosta

con la speranza che da quell’acque

quel ch’è prezioso si possa trarre.

 

Tutta l’umanità frequenta quel luogo interiore dove ognuno si rivolge e parla con se stesso. Come davanti a uno specchio non v’è rimando se non della propria immagine, così in questo per la nostra voce segreta, udibile solo a noi.

Non vi pare strano che il luogo a noi più accessibile sia anche il più segreto?

Viviamo letteralmente in due mondi: (figurativamente) al di là e al di qua dei nostri occhi, mentre qualcosa ci sospinge incessantemente avanti e indietro dalla sottilissima, impercettibile linea di confine che li separa.

Il nostro giardino (mondo) segreto ospita il profondo lago della memoria, di cui frequentiamo le sponde, talora nuotandoci e di rado immergendoci.

Pur se ne siamo attratti ci sconcerta, poiché anche un solo ricordo: parola, pensiero, azione, emozione… attiva il fantasma nella macchina (organica): la presenza, la consapevolezza, l’osservatore o se preferite – accettandone le problematiche – l’io. 

Ci sconcerta che senza l’acqua di quel lago, noi non siamo, non essendoci conoscenza senza memoria. Altresì ci inquieta l’assenza del tempo nel nostro giardino, perché a ben guardare le memorie appaiono come somma di fotogrammi senza soluzione di continuità che, differentemente da un film, proseguono…

Se cercate qualcosa di vostro – la peculiarità, il punto d’inizio della vostra scia vitale – se non è in quel lago non c’è da nessuna parte. Così prima o poi ognuno prepara amo ed esca, nella speranza di prendere il pesce sfuggente della vita per la bocca, il punto d’inizio, prima che scompaia nel nulla (?) la sua coda.

C’è qualcosa di più prezioso che conoscere il senso della propria esistenza?

 

***

Ma passa il tempo, trascorron gli anni

furon parole, poi tutto tacque.

Facile ieri  saltar le sbarre

ora ogni gesto ti costa affanni.

 

Al di qua degli occhi, nel mondo temporale, procedono incessantemente tutti i processi, materiali e di ogni sorta, soggetti all’inesorabile legge del divenire.

 

***

Rimiri l’acque placide e fonde,

perché sei lì ancor che aspetti,

attendi il vento che formi l’onde

anche se l’amo neppur più getti?

 

L’avanzare dell’età (e le dure prove dell’esistenza) induce a frequentare maggiormente il proprio giardino, a sedersi sulla seggiola – il punto d’osservazione – da cui guardare quell’acqua diversamente. Avendo scordato il gesto (l’esca sull’amo) e la motivazione (pescare l’ambita preda), non rimane che abbandonarsi ai giochi (le onde) del destino (il vento).

 

***

La gente va, ad altra fa posto,

guardi lontano, indietro nel tempo

tra spume d’anni e sapor di mosto

e ti sovvien quel bacio dagli occhi

e la sua mano, tutto in un lampo.

 

Senza l’intento si dissolvono i confini personali… c’è un unico lago (la memoria collettiva dell’umanità) attorno al quale le persone appaiono e scompaiono.

Dalla memoria (dall’acqua del lago) improvvisamente emerge l’intero contenuto della propria vita, nel quale risaltano (in un lampo) i momenti emotivamente significativi (il bacio dagli occhi – espressione turca).

 

***

Or l’hai compresa la tua misura,

la gemma nascosta nei piccoli tocchi,

tutto scompare ma lei non si usura.

 

Da dove le vien la luce che splende

che pare strada che invita e attende?

In fondo che importa, a essa t’accosti

chiudendo gli occhi e traendo un respiro.

 

La mano è la misura dell’uomo, quello che ha toccato e protetto (racchiuso tra le dita) non viene consumato dal tempo. Al riaprirla, la gemma dimenticata (nascosta) irradia una luce…

che importa lo schianto a breve, l’asfalto che si avvicina                                      che importa quel che hai perduto e il tutto che non hai avuto

https://www.lamacchinadiluce.com/2021/02/a-pochi.html


***

L’amo ha un sussulto…

la preda ha mangiato e perso l’indulto,

costretta deve lasciar quei posti

dalla potenza del forte tiro.

 

Non l’amo gettato nel lago della memoria, ma il punto d’inizio della scia vitale della persona, ritornato in essa dalla bocca la rende consapevole della coda, della fine.

 

***

Uno di meno in riva al lago,

tu eri la preda e cercavi la gemma

alfin l’hai trovata e adesso sei pago,

rendi la vita e consegni lo stemma.

 

Siamo tutti preda del destino e i più fortunati accumulano perdite su perdite, di familiari, amici e conoscenti. I meno fortunati di se stessi.

Qualche anno fa (per me) quella di mio fratello, da poco quella di mia madre e un’altra di una cara amica.

Nel mio giardino segreto, passeggiando attorno al lago della memoria li rivedo, talora rammaricandomi di non aver maggiormente colto la loro luce. Solo allo spegnersi se ne realizza l’importanza. Perché la loro è anche la nostra luce.

 

Un bacio dagli occhi a tutti.


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Aprile


 

Mia madre teneva le foto dei familiari davanti a sé su due ripiani; quando dovemmo cambiarla di stanza lo feci anche per le foto, tuttavia non con la disposizione precedente e ne ricollocai una di noi due casualmente con altre.

Al che lei mi invitò a spostarla, poiché  l’avevo posta assieme a quelle dei  defunti - vivi con i vivi - disse.

Negli anni non avevo prestato troppa attenzione al suo senso dell’ordine, limitandomi ad eseguire le sue indicazioni riguardo suppellettili, oggetti, ricette o altro. Visse (sempre più assistita) nel suo piccolo appartamentino popolare in cui orgogliosamente affermava esserci tutto, pulito e in ordine.

Tuttavia col peggiorare delle condizioni di salute dovemmo trasferirla in una struttura adeguata, assistita da personale preparato professionalmente e ancor più umanamente, dove nei limiti dello spazio a disposizione ripropose sul comodino una parte dell’ordine che tanto apprezzava, collocandoci le foto dei familiari più intimi, il telefono e alcuni oggetti personali.

Nel romanzo - Il colore nascosto della lavanda - il personaggio principale agisce secondo un ordine soggiacente ad uno scopo superiore che gli aprì la porta per influire e intervenire su quello umano. Jean riuscì a realizzare la sua massima aspirazione, lasciando al termine dell’esistenza la propria stanza in ordine.

Che strano, pur scrivendo e sentendo la profondità dell’ordine nascosto e tuttavia implicito nelle linee dell’esistenza, non mi accorsi che quell’ordine mi accompagnava attraverso la figura di mia madre.

Sono trascorsi quasi quattro mesi dalla sua scomparsa, la sola parola pregna della valenza e ineluttabilità associabile alla perdita definitiva del collegamento con una delle più importanti linee della vita umana, quella materna.

Alla fine di questo mese, nel riconsegnare l’appartamento (la stanza) di mia madre, liberato dell’arredamento e dei suoi oggetti personali, saluterò con un ultimo sguardo questo spazio ritornato vuoto, dove si è svolta una importantissima parte della mia vita. Alla scomparsa di un inquilino ne subentrerà un altro, conformemente all’immodificabile ed eterna legge del divenire che nel biglietto per il viaggio ha impressa l’esatta data e orario d’arrivo.

Una domanda che talora sorge è se vorremmo conoscerla in anticipo e magari  poterne cancellare la memoria, se non ci aggrada la risposta. Personalmente, rifacendomi all’esperienza di non gustare appieno una narrazione, film, evento sportivo… se ne conosco il finale, propenderei per l’ignoranza (beata), a garanzia della suspense riguardo l’unico romanzo che interpretiamo dal vivo.

Ognuno ha i suoi tempi per ogni cosa, compreso quello per elaborare un lutto, a cui preferisco l’espressione “vivere con la scomparsa (della persona)” che è diverso dall’accettarla.

Era tempo che progettavo di scrivere qualcosa al riguardo, ma solo adesso sono maturate le condizioni per farlo. In precedenza avrei scritto di scomparse senza averle vissute, al più avrei potuto (pur mettendoci tutta la buona volontà e sincerità) “interpretarle”.

Tuttavia come un giovane attore che impersona un vecchio, per quanto dotato mancherà sempre (internamente) della condizione che mette in scena; tanti attori attendono per certi ruoli che il tempo faccia il suo corso su loro stessi… fortunata categoria di umani che  trovano un motivo positivo (professionale) nell’invecchiare.

Anni fa (2019) ho incontrato (sulla mia isola…) Ivo Saganic (*), un ex marittimo la cui condizione di pensionato accrebbe ulteriormente energie e curiosità, usate per portare a compimento (in dieci anni di duro lavoro) un’opera unica, un libro di oltre 500 pagine, con moltissime fotografie e ricco di episodi, racconti, aneddoti.

Aveva fatto stampare da poco il libro e al termine del soggiorno chiesi di  acquistarne una copia (in croato) in segno di rispetto. Non conoscendo la lingua, fortunatamente il buon Ivo mi dedicò tempo ed energie per descriverne  il contenuto, ricordo (con gratitudine) le nostre conversazioni nelle quali riportava in vita per me personaggi e situazioni, per il piacere di condividere una autentica, genuina passione.  

L’importanza di quanto quest’uomo da solo è riuscito a fare è ampiamente riconosciuta e lascio ai lettori approfondirla per meravigliarsene ancor più, come accadde a me, affascinato del risultato di quell’impresa… quelle 512 pagine di pregiata fattura ricche di foto, aneddoti e molto altro, l’esatta fotografia di una piccola comunità che evolve nell’arco di duecento anni.

Già al tempo nello sfogliarne le pagine (in dialetto croato, poiché aveva esaurito le poche copie stampate nella mia lingua) mi soffermavo sulle fotografie, a volte scorrendovi le dita… perché (non è solo una mia impressione ma) una piccolissima parte della persona continua ad esistere attraverso di esse e, alla fin fine, tante cose rimangono nelle reti delle piccole memorie e TUTTO nella GRANDE MEMORIA.   

Vien detto che occorrano circa tre mesi affinché il residuo vitale (una sottile forma di energia) di un corpo deceduto si affievolisca e personalmente, in occasione della morte di mio fratello e ancor più in quella di mia madre, ne ho constatato la verità.

Svanito quel residuo, certamente nella mia piccola memoria posso rintracciare altri tipi di residui vitali, necessariamente cristallizzati e confinati nello spazio tempo che li accolse. La “scomparsa” è quanto di più traumatico possa occorrere alle persone, perché c’è qualcosa nell’uomo che vi si oppone strenuamente (un futuro argomento da sviluppare) e il solo modo, appunto a misura d’uomo, è vivere con la scomparsa.

Vivere con la scomparsa significa mantenere l’importanza delle linee della memoria in noi, riconoscendole quando si presentano – magari sotto forma di una foto, di uno scritto o altro – e seguirle, non perché ci possano dare di più di una vaga (… stella dell’Orsa) impressione allo scorrervi le dita (o la mente), ma per il fatto che il percorso della nostra coscienza al farlo, rimanda necessariamente alla Coscienza che le contiene tutte.                             

Poiché come nessuno è un’isola, non esistono linee che non ne intercettino altre.

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Naši Stari Vidošcani (L'antico popolo dei Vidovici)

Nel giorno del suo settantesimo compleanno, nel 2016, Ivo Saganic ha presentato il libro da lui autopubblicato, frutto di dieci anni di ricerca. Il villaggio di Vidovici è la casa natale della sua famiglia. Vidovici sorge su una collina che domina la città portuale di Martinšcica, simile a Lubenice, un importante punto di riferimento che domina il mare a poche miglia a nord. Vidovici è una delle diverse decine di comunità che un tempo esistevano sull'isola di Cherso, per lo più piccoli, alcuni direbbero minuscoli insediamenti, che sono andati in declino negli ultimi decenni. Vidovici è uno di questi villaggi che, nel suo periodo di massimo splendore, contava 150 abitanti, ma ora ne ospita solo due tutto l'anno.

Il Capitano Ivo Saganic ha avuto una carriera marittima di oltre 47 anni, di cui 37 come capitano di nave. Nel 1965 ha completato quattro anni di addestramento marittimo, dopodiché ha lavorato per la compagnia Jugolinija, viaggiando in Israele, Giappone e Nord America. Negli ultimi 12 anni della sua carriera è stato capitano di battelli di sollevamento che lavoravano nei giacimenti petroliferi nigeriani per le compagnie americane Halliburton e Hercules Offshore. Saganic è ora in pensione e risiede a Martinšcica.

I genitori di Saganic provenivano da Vidovici e avevano una lunga discendenza originaria della città. Saganic crebbe a Martinšcica, ma scrisse delle famiglie che avevano vissuto a Vidovici. A partire da 30 anni fa, Saganic annotò le informazioni del suo albero genealogico così come gli erano state trasmesse da suo padre, Ive, in memoria. Più tardi, nel 2006, iniziò la sua approfondita ricerca esaminando i registri del censimento ecclesiastico – lo Status Animarum – di Vidovici, che lo portò poi a esaminare i registri parrocchiali di tutte le comunità vicine. Saganic trascorse oltre dieci anni a ricercare le famiglie di Vidovici, documentando le biografie individuali, creando alberi genealogici, delineando la storia di ogni casa della comunità e scoprendo dove gli abitanti si trasferirono dopo la loro partenza. Saganic determinò che negli ultimi 200 anni Vidovici contava 665 abitanti. Il lancio di Naši Stari Vidošcani da parte di Saganic lo scorso luglio è il frutto del suo lavoro.

Presenta un'ampia documentazione sui residenti di Vidovici che emigrarono a Youngstown, Ohio. La sua ricerca lo ha portato negli Stati Uniti, dove ha trovato i registri di 58 Vidovišcani che emigrarono in Ohio, Pennsylvania, New York e New Jersey. Quattordici pagine descrivono dettagliatamente questo esodo verso l'America e includono fotografie delle navi su cui giunsero gli immigrati. Una mappa dettagliata illustra tutte le località di residenza a Youngstown, Ohio, dei Vidošcani che vi si trasferirono nella prima metà del XX secolo, mentre un'altra mappa elenca tutti i 58 che lasciarono il villaggio e le loro date di ingresso negli Stati Uniti tra il 1893 e il 1972.

Il libro fornisce anche biografie individuali in ogni sua pagina. Una grande quantità di dettagli accompagna queste biografie. Ad esempio, Franjo Saganich, nato nella casa numero 2 di Vidovici nel 1887, è descritto in diverse pagine con tre foto di famiglia e una foto della SS Argentina con cui arrivò in America. Tutti coloro che in America portano i cognomi Saganich (Saganic), Kucich - Cucci - Cucich (Kucic) e Stefanich - Stefani (Stefanic), possono rintracciare i loro nonni, bisnonni o altri parenti nel villaggio di Vidovici. Ora, con l'aiuto del libro di Saganic, possono risalire ai loro alberi genealogici fino a 8-12 generazioni fa. L'autore accetta comunicazioni scritte in inglese per le ricerche genealogiche. Afferma che: "È bene sapere che ogni uomo in America oggi che porta il cognome Saganic ha le sue origini ancestrali sull'isola di Cherso che risalgono all'inizio del XX secolo".  




La copertina di Naši Stari Vidošcani
raffigura Marija Saganic (1882-1925), 
nonna di Ivo Saganic.

Il primo abitante di Vidovici scoperto da Saganic fu Ivan Saganic, il cui cognome nei documenti è Zuanne Sagagnich. Ivan nacque nel 1672, uno dei tanti coloni che immigrarono nelle isole di Cherso e Lussino, dalla vicina Verbenico sull'isola di Veglia. La parte principale del libro di Saganic contiene capitoli su ciascuna delle 27 case che compongono Vidovici. Ventisei di queste case oggi sono chiuse durante l'inverno. Esaminando le date in cui queste case erano in uso, si scopre quando specifiche famiglie si stabilirono in queste residenze. Saganic è diventato il principale esperto in materia di origini e storia della famiglia Saganic. Gli alberi genealogici della famiglia forniscono una ricchezza di dettagli. Non solo gli alberi sono storie familiari uniche che risalgono, in alcuni casi, a oltre duecento anni fa, ma forniscono anche i discendenti attualmente viventi di quelle famiglie.

 Numero civico

 Cognome

 Cognome

 Individuo più anziano

 Date

 1

 Saganico

 Peritovi

 Anton Saganic

 1881-1964

 2

 Saganico

 Matovi

 Dinko Saganic

 1835-1918

 3

 Saganico

 Jakovjevi

 Jakov Saganic

 1871-1945

 4

 Saganico

 Bravarovi/Franovi

 Ivan Saganic

 1789-1849

 5

 Saganico

 Bravaro

 Ivan Saganic

 1851-1899

 6

 Saganico

 Preturovi

 Dinko Saganic

 1837-1873

 7

 Saganico

 Saganicevi

 Matija Saganic

 1750-

 8

 Balon

 Ivicevi/Blažovi

 Bernardo Balón

 1758-1836

 9

 Kucic

 Anticevi

 Anton Balon

 1787-1875

 10

 Kucic

 Kumpiri

 Anton Kucic

 1815-1905

 11

 Kucic

 Mortovi

 Damijan, Kucic

 1800-1876

 12

 Kucic

 Toninini

 Mikula Kučić

 1796-1865

 13

 Kucic

 Gašpicevi

 Ivan Kucic

 1769-1850

 14

 Kucic

 Memicevi

 Dinko Kucic

 1857-1942

 15

 Kucic

 Principi/Dumijanjevi

 Ivana Juranic

 1759-1831

 16

 Kucic

 Pašameti

 Ivan Kucic

 1835-1917

 17

 Kucic

 Perovi

 Mikula Kučić

 1796-1865

 18

 Kucic

 Karlovi

 Dume Jurjako

 1859-1905

 19

 Kucic

 Ive Gašpicev

 Ivan Kucic

 1908-1998

 20

 Kucic

 Gašpe Gašpicev

 Gaspar Kučić

 1911-2006

 21

 Kucic

 Tone Principov

 Anton Kucic

 1917-1993

 22

 Kucic

 Antonjevi

 Antun Kučić

 1809-1905

 23

 Kucic

 Coticevi

 Antun Kučić

 1815-1905

 24

 Saganico

 Capaftic/Pekovi

 Andrea Saganic

 1857-1920

 25

 Stefanic

 Skopcarović

 Andrija Stefanic

 1809-1881

 26

 Stefanic

 Ivankini

 Ivan Stefanic

 1781-1856

 27

 Stefanic

 Tone Ivankin

 Anton Stefanic

 1853-1902

L'aspetto più singolare del libro di Saganic è la sua lingua. La maggior parte del libro è scritta in dialetto ciacavo croato, noto alla gente del posto semplicemente come "Po našu", che si traduce approssimativamente come "nella nostra lingua". Il volume include un capitolo dedicato ai termini dialettali. Per il lettore inglese, il libro non è difficile da comprendere anche se non conosce la lingua. Grazie a un elenco di alcuni termini in dialetto ciacavo, è possibile comprendere gli alberi genealogici e avere una conoscenza di base delle informazioni biografiche. Il volume include un capitolo dedicato ai termini dialettali. Tuttavia, come concessione per coloro che non desiderano fare questo tipo di sforzo, all'inizio del libro è allegata un'introduzione in inglese, insieme ad altre versioni in croato standard, italiano e tedesco.

Il volume è una pubblicazione di grande formato, di 512 pagine, che fornisce una genealogia dettagliata di tutte le famiglie che hanno vissuto a Vidovici, in Croazia, dall'inizio del XIX secolo. Tutte le 27 case del borgo sono descritte nei loro profili biografici, costituendo un trattato genealogico per un'intera comunità. Ivo Saganic, nato nel borgo, non è a conoscenza della disponibilità del libro, stampato a Fiume. La distribuzione del suo libro da Martinšcica, la città più vicina a Vidovici, è curata da Ivo Saganic. Per conoscere la disponibilità del libro, è possibile contattare direttamente l'autore all'indirizzo:

Ivo Saganic
Martinšcica 6
51556 Martinšcica
Croazia
e-mail saganic.martinscica@vip.hr

Lo scorso luglio (2016) il libro è stato presentato in grande stile con una presentazione a Martinšcica. L'evento, che ha visto la partecipazione di oltre duecento persone, si è tenuto sulla terrazza dell'hotel "Golden Lion". Si è esibito il gruppo folkloristico Orlec. Gli interventi sono stati tenuti dal dott. Julijano Sokolić e da Bernard Balon. Balon è direttore di Zavicajne biblioteke Katedre Cakavskog sabora Cres-Lošinj (Biblioteche autoctone, Presidente dell'Assemblea ciacava di Cherso e Lussino), mentre Sokolić è giornalista e presidente della locale Katedre Cakavskog sabora (Consiglio ciacavo), autore di numerosi libri sulla storia e il turismo dell'isola di Lussino, comprese le città di Mali Lošinj, Veli Lošinj e Nerezine. Erano presenti anche la zia di Ivo Saganic, Dora Kucic, di 90 anni, e Gino Kucic Gaspicev, gli ultimi due abitanti indigeni del villaggio di Vidovici.



Ivo Saganic e la figlia alla presentazione del libro

Riferimenti e fotografie da: Vidovici dobili enciklopediju iz pera kapetana Saganica, di Bojan Puric, 10 luglio 2016 .

 

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Intervista a Ivo Saganic

 

All'inizio della conversazione gli chiediamo come, dopo aver trascorso tutta la vita su una nave, abbia iniziato a studiare la storia della sua regione.

– Mentre navigavo ancora, raccoglievo documentazione sulla mia famiglia per creare una genealogia per i miei figli. Mi chiedevo continuamente chi fossimo e da dove venissimo. Lentamente mi resi conto che c'erano molte informazioni ed eventi interessanti sulla mia città natale, che collegavano molte famiglie, e che sarebbe stato un peccato se tutto questo tesoro non fosse stato documentato. Sebbene il mio obiettivo iniziale fosse quello di creare una genealogia della mia famiglia, mi sono impantanato nel lavoro. Dopo oltre 10 anni di lavoro è nata la monografia "I nostri anziani di Vidovići", che descrive le storie di vita di 462 persone di 95 famiglie di quel solo villaggio, perché ho deciso di scrivere di tutti coloro che hanno vissuto a Vidovići negli ultimi 150 anni e la generazione di oggi può trovare lì dalle 10 alle 12 generazioni dei propri antenati. Non è solo la storia di queste famiglie, ma la storia della nostra regione, dei nostri Vidovići, che hanno perso di recente il loro ultimo abitante indigeno, Đino Kučić-Gašpićev, al quale ho dedicato il mio ultimo libro.

Il valore speciale del libro è che è scritto in dialetto: il nostro. Quindi come posso scrivere di mio nonno nella lingua croata standard? Mio nonno non lo capirebbe. È un dialetto che sta lentamente scomparendo, nemmeno i miei figli lo parlano, ed è per questo che questo libro ha un valore duraturo. Il mio collega residente Ivo Saganić-Meštrov, che è più bravo di me nel dialetto, ha revisionato il tutto e ne ha fatto la prima correzione di bozze; in seguito, la correzione di bozze e l'accentazione finale sono state eseguite da Bernardo Balon, per le quali gli sono molto grato.

Ho raccolto il materiale utilizzando il metodo della "storia orale", come mi hanno insegnato a chiamarlo. Ho intervistato la gente, sono persino andato in America a parlare con i nipoti dei nostri emigranti. Sono legato a queste persone ancora oggi. Ho detto loro che potevano essere orgogliosi di essere Saganići e che tutti i Saganići del mondo provengono esclusivamente dall'isola di Cherso.

Ho presentato il libro al pubblico il 10 luglio 2016, alla presenza di circa 250 persone, tra abitanti del posto e isolani. Personalmente partecipo a quasi tutte le presentazioni di libri sull'isola, ma non ho mai visto così tante persone radunate. Mi dispiace di non aver avuto il sostegno delle istituzioni locali in questo, ma il progetto dell'Unione Europea SIMRA (Innovazione sociale nelle aree rurali marginalizzate) ha riconosciuto il mio lavoro e in due occasioni ho presentato il mio "progetto Vidovići" a scienziati europei sulle trasformazioni sociali in quel villaggio insulare in cima alla collina sopra Martinšćica. Prima nel giugno 2018 presso l'Università di Padova, poi nel novembre 2019 presso il James Hutton Institute di Aberdeen, unico progetto proveniente dalla Croazia. La SIMRA ha pubblicato il mio libro in forma condensata e in inglese, con il titolo "Rural Life Revival", tradotto da Bernard Solis. L'anno scorso ho portato una delegazione SIMRA, composta dalla dott.ssa Tatiana Kluvankova e dalla dott.ssa Jirina Jirkova, nella città di Cherso per un incontro con il vicesindaco Marin Gregorović e il dott. Ugo Toić, per discutere della futura cooperazione. In quell'occasione abbiamo visitato i locali del Palazzo Moise, recentemente ristrutturato, che ospiterà il futuro vertice SIMRA.

Quindi sei riconosciuto come uno storico dilettante?

– Poiché stavo facendo qualcosa di nuovo nella mia vita, ho chiesto a persone più esperte di me se lo stessi facendo nel modo giusto, se stessi progredendo nella giusta direzione. Sono felice che il mio lavoro sia stato riconosciuto e sostenuto dal dott. Julijano Sokolić e gli sono molto grato per questo.

Oltre ai libri che ho pubblicato, sono membro del presidente del Parlamento ciacavo di Cherso e Lussino e per tre anni consecutivi ho partecipato attivamente alla conferenza internazionale Le cronache di Cherso, dove ho tenuto relazioni su "Le esigenze di una storia scritta di un insediamento", "I collegamenti marittimi degli armatori di Cherso con il porto di Ancona nel XVIII secolo" e "Il monastero camaldolese dell'XI secolo". secolo nella baia di Tiha.

Il Museo Andrije Linardić non è forse il primo spazio museale e espositivo da lei allestito?

– A Vidovići, nel 2013, ho ristrutturato una casa diroccata nel centro del paese, dove mia nonna cuoceva il pane e mio padre produceva la grappa. Non volevo costruire un altro appartamento o una casa per me stesso, ma ho invece allestito un piccolo museo in cui ho esposto vari oggetti legati a quel villaggio.

Ho visto che c'era molto interesse, soprattutto turisti, per una tale offerta culturale, così ho deciso di aprire un museo a Martinšćica dedicato ad Andrija Linardić, un visionario, un contadino ignorante che, già nel 1903, si indebitò e si procurò costose caldaie da Dresda in Germania, dando così inizio alla prima produzione industriale a vapore di oli essenziali sull'isola. Per tre anni offrì i suoi prodotti all'Europa e subì solo umiliazioni. Solo in occasione dell'esposizione austriaca di Londra del 1906 ottenne il riconoscimento, il suo primo diploma e una medaglia. Fu il primo al mondo a produrre olio essenziale dall'elicriso, o magriža come lo chiamiamo noi, nel 1908 e nel 1912 costruì un grande edificio per la distilleria a Martinšćica e operò in tre continenti. La sua storia di vita è il materiale ideale per un film su come si possa avere successo sull'isola attraverso un lavoro paziente e tenace. Per tre anni ho cercato senza successo l'aiuto delle istituzioni locali, così nel settembre 2019, insieme a un gruppo di gente del posto, ho fondato l'associazione Magriž. Con l'aiuto della gente del posto, di piccoli donatori e simpatizzanti della mia iniziativa, nonché con il supporto della Contea Litoraneo-montana, abbiamo avviato la ristrutturazione del magazzino, durata sei mesi, nella quale abbiamo investito 650 ore di lavoro volontario. L'inaugurazione del Museo Andrija Linardić, nonostante l'epidemia, ha riunito un gran numero di persone, il che ha rappresentato il più grande elogio per il nostro lavoro. E così la nostra piccola città ha avuto il suo museo, mentre molte città più grandi ancora non ne hanno uno.

Quindi, da quando sei andato in pensione nel 2012, dopo 47 anni in mare, sei riuscito ad aprire due musei e a pubblicare due libri. Hai più volte sottolineato che sei andato in pensione per aiutare tua moglie a gestire l'"attività" di famiglia: l'affitto di appartamenti.

- Quando sono tornato a casa, ho detto a mia moglie Zorica che ora io sono il primo ufficiale e lei è il capitano, perché è lei che gestisce meglio la nave. Insieme a mia moglie Zorica gestisco con successo da 20 anni due proprietà di famiglia, una a Martinšćica e l'altra a Vidovići, continuando così la tradizione familiare di affittare case al turismo, una tradizione che i miei genitori Ana e Ivan hanno iniziato più di 70 anni fa.


La marineria nei geni

Sebbene negli ultimi anni tu sia noto sull'isola per le tue ricerche storiche, nel profondo sei un marinaio, discendente di una famiglia di marinai.

– Mio padre, mio ​​fratello e mio nonno erano tutti marinai. Nel museo di Martinšćica ho esposto il permesso di viaggio di mio nonno del 1901; oggi sarebbe un libro per marinai. In particolare, quando i nostri emigranti andarono in America, avevano documenti e dati di nascita precisi, che molte altre nazioni non avevano. Altri potrebbero riuscire a mostrare la loro età sulle dita. Mio padre era un marinaio in un'epoca in cui la gente tornava a casa solo per necessità: per sposarsi, costruire una casa o aiutare la famiglia. Trascorse la maggior parte della sua vita navigando su navi italiane e, durante la Jugoslavia, visse un vero shock quando lo mandarono a casa in vacanza: "Devo tornare a casa ogni anno?", chiese.

Essendo figlio di un marinaio, trascorrevi molto tempo con tuo padre? Com'è stata la tua infanzia?

– I miei genitori sono di Vidovići, ma vivevamo a Martinšćica, in una piccola casa a Pojana, dove siamo nati io e mio fratello maggiore Feručo. Mio padre ha trascorso quasi tutta la vita in barca a vela. Durante la seconda guerra mondiale la sua nave venne silurata, così tornò sull'isola e vi trascorse il resto della guerra. Lavorò alle poste e nel Comitato popolare. Mia madre Ana, originaria di Vidovići, aveva un'opinione lungimirante, per quei tempi estremamente progressista, sull'importanza dell'istruzione, perciò decise di mandare i suoi figli a scuola fuori Martinšćica, nonostante lì ci fosse una scuola con circa 40 studenti e un insegnante. Per prima cosa mandò mio fratello maggiore a scuola a Lussino e nel 1953, quando ero in prima elementare, andammo a Cherso su una piccola barca di legno: mamma, papà, io, mio ​​fratello e una capra. Cito sempre quella capra perché era impossibile vivere senza di lei, dava qualche litro di latte ogni giorno. Alla fine dell'anno scolastico tornammo tutti a Martinšćica con la nave passeggeri. Ho vissuto a Cherso dal 1953 al 1961, vicino alla chiesa di San Giorgio nella Casa Rossa, al numero civico 53. Io e la mamma abbiamo vissuto a Cherso per tutti gli otto anni, e papà è salito di nuovo su una nave nel 1954. Ho visto poco mio padre perché era sempre sulla nave, ma niente di più. Anche il fratello maggiore Feručo nel 1957 intraprese la sua strada, imbarcandosi anche lui su una nave e rimanendo in America.

Dopo la scuola elementare a Cherso, hai continuato gli studi a Lussino?

– Quando ho finito la scuola media superiore a Cherso nel 1961, abbiamo caricato tutti i mobili su un camion e siamo andati a Lussino, dove abbiamo vissuto per i successivi quattro anni. Il fatto che oggi i bambini possano andare a scuola in autobus ogni giorno è una grande benedizione. Venivo a Martinšćica solo d'estate e rimpiangevo sempre il mio paese natale e gli amici che avevo lasciato lì.

Mi sono laureato alla Scuola marittima di Fiume nel 1970 e nello stesso anno ho incontrato la ragazza che poi è diventata mia moglie; stiamo insieme da 50 anni. Quell'anno trovai lavoro su una nave straniera e il mio primo contratto durò 11 mesi, ma rimasi sulla nave per 18 mesi. Navigavo nel Pacifico, lontano dall'Europa, e stare su una nave per 18 mesi non era facile, quando una lettera viaggiava per un mese e durante quel periodo non sapevi se stavi ancora con la tua ragazza, se ti stava aspettando oppure no. A quei tempi nessuno aveva un telefono in casa.

Ma la ragazza ti stava aspettando.

– Mi ha aspettato e mi ha accolto. Ci siamo sposati solo tre anni dopo, perché sono stato su una nave per 18 mesi e poi nell'esercito per un altro anno, quindi siamo stati insieme meno volte. Due mesi dopo il matrimonio, ripresi il viaggio per mare, con un contratto di un anno. Questa è la vita di un marinaio. In passato, le donne si sposavano sapendo che i loro mariti sarebbero stati raramente a casa. Oggi però è diverso, i contratti sono più brevi.

Si dice che il pane dei marinai abbia sette croste. Che ricordi hai dei tuoi viaggi?

– La vita in mare è meravigliosa, ma si sperimentano tante cose diverse, tutte ti influenzano. Immagino che il mio amore per la storia derivi dalle mie frequenti assenze da casa, perché pensavo costantemente alla mia città natale.

Ho trascorso 47 anni in mare. All'età di 29 anni sono diventato capitano di una nuova nave portacontainer di proprietà di un armatore tedesco e ho viaggiato principalmente su navi straniere. Nel 1978, per motivi familiari, decisi di tornare più vicino a casa e trascorsi i successivi 20 anni lavorando sui rimorchiatori nel porto di Fiume. Passai dalle navi portacontainer ai rimorchiatori, quindi mia madre mi disse che ero passato dai cavalli alle navi cargo. Ma ogni lavoro è onorevole e bello. A bordo di un rimorchiatore ho aiutato molte navi ad attraccare nel porto e le ho anche salvate in ogni tipo di condizione meteorologica avversa. Sono stati 20 anni di lavoro tra i più meravigliosi della mia professione e, poiché ero il più esperto perché ero arrivato come comandante, mi sono stati assegnati gli incarichi più impegnativi. Tra le altre cose, ho partecipato alla costruzione del ponte tra la terraferma e Veglia, ho gestito per quattro giorni il salvataggio della nave arenata Volgobalt 167 sulla Galiola e sono stato il comandante della nave Ecomar, la prima nave nelle acque di Fiume addetta all'ecologia e al trasporto di petrolio.

 

Anni africani

Dopodiché hai deciso di cambiare di nuovo?

– Si è presentata un'opportunità e ho deciso di andare in Africa, dove ho lavorato inizialmente su imbarcazioni sottomarine, navi che fornivano piattaforme. Sono andato in Nigeria con l'intenzione di restarci tre anni e ho finito per trascorrervi 14 anni interessanti. Di questi, 12 anni li ho trascorsi su una piattaforma americana, come una Lift boat o una Juck up barge. Ero sempre sulla stessa nave, che in quel periodo cambiò nome tre volte e cambiò proprietario due volte. Sono stato nominato capitano dell'anno due volte. Sono l'unico comandante che è stato prelevato in elicottero da Warri quando ho deciso di andare in pensione nel maggio 2012 e hanno organizzato una grande festa di pensionamento per me.

La costa nigeriana è nota per i pirati e altri pericoli, e tu parli di quel periodo della tua vita con nostalgia.

– Ancora oggi ho degli amici che ho conosciuto lì, di tutti i colori della pelle. Conosco persone che sono venute per lavoro e sono rimaste a vivere in Africa. Ti lasci travolgere da quel clima, da quel modo di lavorare e di vivere. I pericoli erano vari, ma si impara a conviverci. Ero l'unico bianco sulla nave, in mezzo a 40 neri. La troupe con cui lavoravo aveva un enorme rispetto per me. Mi hanno nascosto quando ero in pericolo perché ero bianco, e io li ho protetti sulla nave da tutti i problemi. L'equipaggio intuì e riconobbe che anch'io provenivo da una zona in cui la vita era difficile, dove regnava la povertà. Posso dire onestamente che ero l'unica sulla nave a non chiudere a chiave la porta, perché sentivo il dovere di essere sempre disponibile per tutti. Mi sono spaventato un paio di volte quando mi sono svegliato nel cuore della notte e ho visto solo denti e occhi bianchi nell'oscurità. Ricordo un episodio in cui il furgone impiegò un tempo sospettosamente lungo per portarci a destinazione a Port Harcourt di notte, così i membri del mio equipaggio mi nascosero e mi coprirono con una coperta, perché stavamo attraversando zone della città pericolose per i bianchi. Quando navigavamo tra i porti nigeriani, da Port Harcourt a Warri e Lagos, avevamo a bordo dai 5 ai 10 soldati per protezione, ma questo non significava nulla perché quei soldati erano proprio come i pirati. Entrambi sparavano per paura e noi eravamo in mezzo a loro. Durante le guerre tribali tra Ijaw e Shekiri, avevo a bordo membri di entrambe le tribù, ma non ci furono disordini. Tuttavia, quando una nave arrivò per portarli sulla terraferma, si prestò attenzione a trasportare separatamente i membri delle diverse tribù. Nonostante tutto, tornavo sempre volentieri in Africa perché lì avevo stretto tante amicizie e continuavamo a socializzare. Ho navigato due volte nell'Adriatico con una compagnia con cui lavoravo in Nigeria. C'erano persone provenienti dall'America, dal Sudafrica e dalla Slovacchia.

 

Dopo aver viaggiato per il mondo e aver incontrato persone e culture diverse, sei tornato nella tua piccola Martinšćica.

– È una piccola Martinšćica. D'inverno a Martinšćica siamo circa 120, mentre d'estate, con tutti i turisti, siamo fino a 4.000. Non mi riposo durante la pensione. Oltre a tutto ciò di cui abbiamo parlato, ho ristrutturato la casa di mio nonno a Vidovići e l'ho adibita ad uso affitto. Dopo 60 anni ho ripulito l'uliveto trascurato di mio nonno e ho salvato 50 vecchi ulivi. Ho anche piantato due nuovi ulivi. Quando sono tornato a casa nel 2012, non avevo un solo ulivo, mentre ora ne ho 75, dai quali solo l'anno scorso ho ricavato circa 500 kg di olive.

Con quattro compaesani ho ripulito la vecchia e trascurata strada per il villaggio di Vidovići

Da allora in poi ogni anno si è tenuta la gara ciclistica "4 Islands". Ogni anno alla fine di maggio organizzo e dirigo la pulizia della strada locale Martinšćica – Vidovići. Ho chiesto ripetutamente alla città di Cherso e all'Ente turistico di pulire anche altre strade locali in direzione di Lubenice, Grmov e altri lungomari nelle vicinanze, ma non ho ricevuto risposta. Su mia richiesta, il villaggio di Vidovići ha finalmente avuto il suo cartello sulla strada principale e una targa con il nome davanti al villaggio; fino a quel momento, i turisti che avevano prenotato un alloggio avevano vagato in giro alla ricerca dell'insediamento.

L'elenco delle tue attività potrebbe continuare all'infinito, ma come ti rilassi? Cosa fai nel tuo tempo libero?

– Sto facendo ricerche sulla storia locale. Questa è la cosa che mi rilassa di più. Durante il giorno svolgo i lavori domestici e, quando tramonta il sole, mi siedo al computer, faccio ricerche e scrivo. Gestisco anche la pagina Facebook "Martinšćica Homeland Collection", attraverso la quale promuovo la cultura e il patrimonio della nostra città. Non accendo la TV da giugno. D'inverno guardo il telegiornale, ma ho una montagna di documentazione da studiare. C'è ancora molto materiale negli archivi e se solo potessi incoraggiare i giovani di Cherso, i giovani scienziati, a rovistare tra quei documenti nell'Archivio di Stato a Fiume, che sono pieni di scatoloni e non sono ancora stati esaminati. Ho intenzione di scrivere la storia di Martinšćica partendo da questi archivi; ho imparato questo "mestiere" mentre lavoravo al mio primo libro. Posso dire di aver già scritto metà della storia di Martinšćica.

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Maggio



La realtà dell’aiuola
 

Un uomo anziano ancora di bel portamento ogni giorno sedeva su una panchina comunale sotto dei grandi alberi, un’area adibita a parcheggio tuttavia resa fruibile e gradevole dall’avere riservato discreti spazi alla sosta umana oltre che meccanica. Alcune aiuole, all’inizio di maggio, precedevano l’impareggiabile e generosa fioritura dei tigli.

La parola aiuole contiene tutte le vocali del nostro alfabeto e la consonante “L”, l’osservatore di tale realtà (vocale).

Un incipit fonetico per parlare appunto di realtà, evidenziandone la premessa necessaria: il linguaggio. Con le sue incredibili potenzialità, diversificazioni (essendoci quello matematico, musicale… del corpo ecc.) e il limite intrinseco di tutti i linguaggi: connettere l’osservatore e l’osservato attraverso le regole.

Senza le regole (o al di fuori da esse) ogni differente realtà e il concetto stesso non hanno significato… come dei punti nello spazio che solo delle regole, consentendone l’unione, permettono di ottenere una linea o una figura… appunto un significato.

 

L’anziano preferiva sempre la stessa panchina, cedendo alle seconde scelte per necessità. Nella prima mezz’ora osservava… persone in altre panchine o in movimento, piante, fiori, uccellini, manovre di mezzi nel parcheggio, l’andirivieni nei negozi lì vicini, il tutto intervallato ad un’altra sorta d’osservazione, quella dei (pochi) pensieri che sorgevano a distrarlo dal flusso della quotidianità.

Altri anziani come lui frequentavano quel luogo e quel giorno uno di quei pochi pensieri era la constatazione dell’assenza di una persona. Era accaduto altre volte e in una ricordò d’averne riconosciuto il volto in un’epigrafe che da allora smise di guardare, affrancando la sua routine quotidiana da quel gesto.

Nella seconda mezz’ora l’uomo, estratto il suo taccuino, scriveva… qualcosa  che aveva osservato o uno dei pochi pensieri. Poi, ripostolo, mangiava il suo cioccolatino e, a seconda dell’ispirazione del giorno, sceglieva uno dei cinque bar dove prendere un caffè macchiato. Un ordine su più gradi di libertà.

 

L’essere umano è naturalmente predisposto all’ordine, in grado di procurargli quel senso di stabilità, di relativa sicurezza che gli consente di fronteggiare la perenne sfida del divenire. Ogni evento è conseguenza di un ordine in corso e anche la rottura di un ordine consolidato, ad esempio a causa di una guerra, non è che il cedimento di quello ad uno superiore o di maggiore forza.

Analogamente le variegate strutture (ed energie) dell’universo divengono in funzione di regole in costante aggiornamento, non dissipando al momento (e forse mai) il dubbio che vi siano ambiti, regioni, pieghe con altre regole.

Ma anche rimanendo a casa nostra, nel nostro universo e ancor più umilmente nel nostro pianeta, variegati accadimenti confliggono con le regole che (apparentemente) supportano l’interpretazione della realtà e, umoristicamente, ci permettono il caffè al bar al mattino…

La realtà – ogni tipo di realtà – ha le sue regole.

Differenti regole = differenti realtà.


L’uomo scrisse sul taccuino: “la signora col libro… da due settimane non viene”. L’anziana ed elegante signora frequentava il piccolo giardino da un paio d’anni e, specie ora in primavera, due o anche tre volte la settimana, salvo la domenica e giorni festivi. Veniva, leggeva qualche pagina e dopo una mezz’ora se ne andava… “come il vento, non si sa da dove viene né dove vada” - pensò.

A molte domande potrebbe esserci risposta… poteva seguirne un po’ il cammino o ancor meglio, cercare l’occasione per presentarsi (magari con la scusa del libro) e scambiare qualche parola. Ma le sue regole, quelle della riservatezza, non lo consentivano, così si limitava a gettare non più di un paio di sguardi alla donna, stando ben attento a farlo distrattamente.

Come l’essere umano è naturalmente predisposto all’ordine, così (almeno inconsciamente) sa che ogni ordine terminerà e la realtà con le sue regole, come parole scritte sulla sabbia, verrà cancellata dall’onda del divenire.

Fare testamento è uno dei modi per “prepararsi” all’ultimo viaggio, dando (giusta o meno) importanza agli aspetti materiali dell’esistenza, per farli “continuare” secondo il proprio ordine, nella speranza (o illusione) di una realtà comune, condivisa almeno nei principi.

Un altro modo (che non esclude e anzi integra gli altri) è di “lasciare la stanza in ordine”, declinato esternamente ed internamente, secondo misura e sensibilità. Personalmente, associo la stanza in ordine con la conclusione dei miei romanzi in corso (se sarà di meno o di più lo scopriranno i lettori), così come un attore con il suo ultimo film, gli artisti con le loro opere ma anche atleti… ecc.

 

Quando si ha poco anche il poco è importante… l’uomo, provando il senso di vuoto che tutte le perdite comportano, “riformulò” per se stesso una delle sue regole e resistette, indirizzando a quella donna i suoi scritti, immaginandola quale compagna del suo ultimo tempo… arrivando persino (per lui) a confidarle il suo sentimento d’amore.

Chiuse il taccuino e preso il cioccolatino si apprestò a scartarlo quando gli cadde dalle dita…  

Si risvegliò in ospedale (uno scompenso di pressione con perdita di coscienza, fortunatamente rientrato) dove lo tennero qualche giorno per accertamenti. Viveva solo e non aveva amicizie… pensò alle sue piante nel terrazzino che avrebbero sicuramente resistito al par suo, quando un pensiero come una saetta gli attraversò la mente… il suo taccuino, dov’era?

Nessuno ne sapeva nulla… ricordò che non l’aveva ancora riposto nella borsa prima di prendere il cioccolatino e forse cadde dietro la panchina al pari di quello. In quella arrivò l’infermiera e già stava per implorarla d’aiutarlo quando lei gli disse che una persona desiderava consegnargli qualcosa, se si sentiva di riceverla.

“Una visita? Forse qualcuno che ha trovato il mio taccuino!” - osò sperare, dicendo di farla entrare.

La donna, di un’eleganza senza tempo, entrò… e il monitor registrò il turbamento prodotto.

“Buongiorno signor Andrea, due giorni fa ero poco distante (ritornavo da un soggiorno da mia figlia) quando l’ho vista accasciarsi. Ho chiamato subito l’ambulanza e solo dopo mi sono accorta del suo taccuino che oggi le riporto, contenta che si sia ristabilito. Mi sono permessa di leggere… scrive bene.”

“Ma… hai letto anche le ultime pagine?” – chiese con imbarazzo, non riuscendo neppure a meravigliarsi di darle del tu.

“Soprattutto quelle… nel caso.” – accennando un sorriso, contenta del tu.

“Mi diletto di trasformare la realtà in racconti, pensieri… realtà romanzata, così, per passare il tempo, non so come ringraziarti…”  

“Anna… mi ringrazierai magari offrendomi un caffè… c’è un sesto bar pasticceria dove non sei mai entrato che ha dei cioccolatini meravigliosi.”

“Ma… come sai dei miei cinque bar?”

“Semplice, quando lasciavo la panchina andavo nel mio lì vicino e ti vedevo passare… come tu ogni tanto guardavi me anch’io ti guardavo ma avevo un gran rispetto per la tua riservatezza…”

Andrea – (le cui guance “rosseggiarono” come le rose di maggio) – perché dici “avevi?”

Anna – perché la tua realtà è passata in me attraverso i tuoi scritti e, per reciprocità, consentimi di farlo con la mia.

 

La parola aiuole contiene tutte le vocali del nostro alfabeto e la consonante “L”, l’osservatore di tale realtà che la connette all’osservato.

“L” come “lettore”.

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Giugno

 


La zona morta

 

Il signor G. sovente si sveglia nel cuore della notte - le tre - che si dice  sia l’ora dello spirito, il momento di minor distanza tra realtà diverse, dove la porta tra di esse è, poco o più che sia, socchiusa.

Quando non veniva a capo di un problema o cercava suggerimenti per qualsiasi cosa (compreso questo scritto), aveva imparato come molte altre persone a porre la domanda nel libro interiore e richiuderlo, confidando che se c’era, la soluzione sarebbe passata da quella fessura, a volte trovandola al risveglio.

Ma quando ciò accadeva a quell’ora aveva come l’impressione di una presenza che gliela comunicava, invero in modo alquanto spersonalizzato, senza fronzoli e ancor meno valenze emozionali. 

Quella notte del 29 maggio dell’anno in corso, il signor G. si svegliò non ancora nello stato di coscienza desta.

Sul come fosse successo poteva solo far congetture, mentre il perché era consequenziale all’aver scritto nel suo libro interiore (e prima  sul pc) la domanda sul modo in cui avrebbe potuto riconoscere (di trovarsi in) una realtà differente.

Porsi una domanda del genere presuppone la percezione di qualche anomalia nella narrativa corrente, argomento di cui si è sempre variamente parlato: dall’induista velo di Maya al film Truman show (1998) e l’anno seguente Matrix, passando attraverso innumerevoli studiosi (e non) di tutti i campi dello scibile umano.

Considerati gli enormi problemi che attanagliano l’umanità certamente non è tra le prime domande in agenda ma è quella dal trend più in crescita, uno degli effetti collaterali della inarrestabile affermazione delle A.I.

Dicevamo che il signor G. si risvegliò nel cuore della notte mentre ancora  partecipava (se si può dire così) ad una strana narrazione:

… stava camminando all’aperto in un ambiente spoglio, quando quella che pareva una pianta dalle foglie afflosciate su se stesse a formare un mucchio indistinto, al suo passaggio in un istante si erse come un palloncino che venga repentinamente gonfiato, acquistando forma, volume e (nel caso della pianta) vita.

Sorpreso, indietreggiò e, nell’analogia col palloncino, la pianta ritornò ad essere l’ammasso indistinto precedente.

Mentre avanzava nuovamente e il fenomeno si ripeteva, interrogandosi su quanto accadeva ”sentì” una presenza non localizzabile spiegargli che era la “rappresentazione” della risposta alla sua domanda: il modo in cui avrebbe potuto riconoscere di vivere in una realtà differente.

Avrebbe incontrato (o sarebbe comparso) un “segno” ad indicarne il confine: prima, una realtà con le sue regole e oltrepassato quello, una differente con altre (regole).

Quanto raccontato è effettivamente avvenuto stanotte “a quell’ora” e, per chi ne abbia interesse, solleva alcuni immediati interrogativi, inducendo a qualche tentativo di risposta, affidato a questo scritto sulla differente realtà di giugno.

Il primo interrogativo si riferisce al luogo (o, se vi piace il linguaggio cinematografico: la location) in cui si è svolto, se non è nella realtà della coscienza desta non lo è neppure in quella del sogno, poiché è avvenuto un risveglio. Accantonate (in ossequio al rasoio di Occam) altre suggestive ma complicate ipotesi, la più lineare propone che quanto occorso al signor G. – non dormiente ma non ancora pienamente sveglio – sia successo sulla linea di confine, attraverso quella fessura che necessariamente deve collegare differenti realtà… altrimenti non ne sarebbe possibile neppure l’dea.

Sul perché le cose siano in questo modo e non sia possibile attraversare a piacimento quel confine, ampliando l’esperienza vitale della coscienza, è questione di differenti regole che attendono i campi, materiali e non, dell’esistenza.

Rimanendo sulla linea di confine, per passar la quale il poeta (Dante) avvisa occorra lasciar ogni speranza (regole dell’aldiqua), è interessante notare che invece tale zona morta (un mio riconoscimento ad uno dei film più stimolanti prodotti al riguardo) possa venire frequentata - soddisfatte alcune condizioni  ricollegabili all’interesse e al movente - ripetutamente.

Nell’evento descritto la pianta simboleggia il segno che, a differenza di un inerte cippo di confine, si anima gonfiandosi.

Ammesso fosse continuata l’esperienza con l’addentrarsi al di là del confine, cosa avrebbe trovato il signor G.?

I contenuti della propria coscienza rimodellati ed adattati a differenti regole? 

Quelli (quasi) infiniti appartenenti alla coscienza collettiva dell’umanità? 

Oppure (il) nulla… governato o meno da sconosciute regole?

Il signor G. non ha reticenza a parlarne ma affinché possa risultare interessante e non un soliloquio occorre una reciprocità con altri soggetti che ne sostenga il dialogo (dià –attraverso / lògos-parola).                      

A questo punto la domanda (per me e voi) diventa:

come si è originato quel confine, come si originano tutti i confini?

Tramite un processo naturale (tuttavia qualsiasi processo presuppone uno svolgimento governato da regole)?

Oppure per mezzo di una volontà?

 

 


Com'è che abbiam trovato

confini che non c'erano

in noi e nel creato ?

Di chi fu quella mano

che disegnò le cose

dando a giugno le rose?

...........................................


Luglio

 



Ricevendo dall’Addetto un modulo da compilare il Nuovo arrivato, sorpreso, dice che non se l’aspettava una procedura simile a quelle di quand’era in vita.

Addetto – beh, nel tuo caso questa è la “rappresentazione” più confacente alla realtà che hai lasciato, lavoravi in un ufficio, no?

Nuovo – sì e, accidenti, mi mancava un solo mese per la pensione!

Addetto – infatti, vai alla prima domanda del tuo modulo…

Nuovo – ah… “consideravate il pensionamento un traguardo o una sconfitta?” . Un traguardo! Avevo in mente parecchie cose a cui avrei potuto finalmente dedicarmi.

Addetto – lo Stato risparmierà un bel po’ di denaro, seconda domanda…

Nuovo – “due cose che avresti voluto ancora fare”. Viaggiare! E scrivere, il mio hobby.

Addetto – per il “viaggiare” ti assicuro che non ce n’è uno più grande di quello che stai compiendo… in quanto allo scrivere, terza domanda…

Nuovo – “scrivi questo racconto”. Che significa?

Addetto – testuale, scrivi questo racconto…

Nuovo – ma questo non è un racconto, è… era la mia vita.

Addetto – che c’è di meglio se non scrivere di sé, di quello che accade e continuare fino a farlo diventare una storia, un romanzo?

Nuovo – beh, non posso che essere d’accordo… ho dei limiti?

Addetto – a dire la verità potrebbe essercene uno… ma dipende da te trovarlo, vuoi provarci?

Nuovo – a trovare il limite… come si fa?

Addetto – si guarda quello che hai lasciato (poiché qui di limiti non ve ne sono) ecco, apriamo “la finestra”…

… la moglie affranta, rimasta sola nella sua stanza, non si dava pace. Riguardava foto e video dei loro viaggi che l’imminente pensione avrebbe permesso di estendere ben più dei quindici giorni di ferie. L’ultimo viaggio, come accade a tutti, l’aveva fatto da solo. Accese il pc del marito e arrivò alla cartella “scritti per il blog”, il suo passatempo, all’interno altre cartelle sino all’ultima, “scritture in corso” che una sensazione gli suggerì di attendere prima d’aprirla…

Nuovo – grazie… potrei aiutare mia moglie in qualche modo?

Addetto – ecco, l’hai trovato… è questo il limite.

Nuovo – non si può aiutare chi rimane?

Addetto – è una questione complessa… procediamo un po’ alla volta. Vent’anni addietro morì tuo padre, quattro anni fa tuo fratello e l’anno scorso tua madre. Dure prove che in una o altra sequenza toccano a tutti, ma non parliamo del dolore, bensì dell’assenza. Sino al momento prima era in vita e poi il corpo esala l’ultimo respiro, per chi resta è arduo farsene una ragione.

Nuovo – i familiari nella linea di sangue e gli affetti stretti sono diversi, rimangono collegati a noi…

Addetto – non potevi dirlo meglio… il collegamento è rimasto anche dopo la loro morte, giusto?

Nuovo – forse diventa ancora più forte che in vita.

Addetto – adesso che è toccato al tuo corpo rendere l’ultimo respiro, a tua moglie rimane la sensazione del collegamento. 

Nuovo – e molti ricordi…

Addetto – … attivati dalla sensazione che col tempo tende ad affievolirsi o al contrario, aumentare, facendo desiderare a molti il proprio epilogo. Ma, in un senso o nell’altro, un’assenza importante influisce sulla percezione del  tempo stesso.    

Nuovo –  è quanto ho provato nei miei due lutti familiari… pur continuando a vivere nello stesso flusso temporale non era come in precedenza, si procede ma pare tutto fermo…

Addetto – infatti, quel qualcosa che agisce sulla percezione è la sensazione del collegamento.

Nuovo – solo la sensazione… non un reale collegamento?

Addetto – ci fosse, non avresti posto la domanda sull’aiutare chi rimane… che, dalla sua parte, anela alla medesima cosa, il collegamento.                              

Per quanto sottile, l’unica cosa certa per chi vive è la sensazione… eppure si guarda in mille direzioni ma non in quella, strano, no?

Nuovo – forse perché le sensazioni sono eventi transitori ”… fisiologicamente (le sensazioni) sono modificazioni del sistema neurologico dovute al contatto dell’ambiente, i cui stimoli vengono catturati dagli organi di senso…”

Addetto – gli organi di senso… quali occhi, orecchie, naso e altri catturano gli stimoli (espressione alquanto infelice) nel sogno? E da dove provengono?

Nuovo – direi che provengono dalla memoria che attiva la risposta neurologica dell’organo (di senso) interessato.

Addetto – il fatto è che la memoria per definizione fornisce ricordi mentre nel sogno, seppure innescata da quelli, la narrazione procede da sé e talora accade d’averne la sensazione (della narrazione) mentre la si vive (oniricamente). Si arriva sempre lì, la sensazione è il collegamento.

Nuovo – quindi la sensazione é di per sé il punto d’arrivo, se si può dire così?

Addetto – sì, e in questo senso è anche il massimo aiuto possibile per chi in vita deve affrontare l’assenza di un affetto importante.

Nuovo – un aiuto difficile da cogliere…

Addetto – … se per aiuto si intende un punto di partenza e non, come hai detto tu stesso, di arrivo. La sensazione c’è sempre… basta avvicinarsi e la si sente, ma è collocata in una differente linea temporale o meglio, un tempo con differenti caratteristiche che collega realtà diverse.

Nuovo – purtroppo arrivati alla sensazione - al capolinea - ci si ferma, non cogliendo che quello sia un “aiuto”…

Addetto – arrivati al capolinea è inutile cercarne un altro… le “mille direzioni” in realtà sono la stessa: la realtà dei viventi a cui si vorrebbe riportare chi non vi può più tornare. Tuttavia si prova questa sensazione di collegamento, indotta dal ricordo o senza causa, che man mano si ritrae a causa dell’abitudine a procedere, per ottenere un risultato che c'è già             

Ogni sensazione di qualunque tipo è un collegamento e quella di cui parliamo lo è tra due realtà differenti… ricordi l’espressione usata anche in fisica “cosa succede quando una forza irresistibile incontra un ostacolo insormontabile?” (paradosso dell’onnipotenza – ndr)

Nuovo – accidenti, sì… l’avevo salvata per scriverci su qualcosa!

Addetto – beh, lo stai facendo… forza ed ostacolo sono appunto le due realtà che incontrandosi annichiliscono, non potendo l’una prevalere sull’altra. Tuttavia la sensazione implica vi sia un collegamento, dove, secondo te?

Nuovo – due città, regioni, stati… si incontrano in quella che viene detta la linea di confine e a ben vedere non può esistere nulla senza dei confini, altrimenti tutto sarebbe uno… le due realtà sono anch’esse separate da una linea di confine?

Addetto – infatti, questo porta alla questione fondamentale della collocazione e natura di questa linea (altrimenti detta “la fessura“) che si evidenzia (collocazione) in particolari circostanze, come la tua, dove il bisogno insopprimibile di aiutare la tua compagna incontra la sua realtà intollerabile, da cui (riprendendo quanto avevi salvato)

”… nasce la dimensione dell’immaginario, del sogno. Una dimensione che è ambivalente e equipotenziale per sua natura: può assumere infatti la forma della illusione offrendo una via di fuga dalla realtà in un mondo altro (onirico, virtuale, narrativo, artistico: in ogni caso in cui il simbolico diventa realtà in sé, come per gli psicotici)…”

mentre riguardo alla natura, la parola equipotenziale implica un potere in atto, ossia una relazione tra due realtà diverse che coesistono sinché il potere che le collega fluisce tra esse senza divenire.

Nuovo – in che senso senza divenire?

Addetto – nel senso che come un’interfaccia non appartiene all’una o all’altra (faccia), così la natura del potere è connaturata alla linea che separando le realtà allo stesso tempo le unisce.

Nuovo – differenti realtà, sensazione, linea, confine, tempo, collegamento, potere… beh, avrei avuto un po’ di materiale per scriverci qualcosa… 

Addetto – l’hai avuto (il materiale) e l’hai scritto…

Nuovo – ah… non me n’ero accorto, e dove sarebbe?

Addetto – … accese il pc del marito e arrivò alla cartella “scritti per il blog”, il suo passatempo, all’interno altre cartelle sino all’ultima, “scritture in corso” che una sensazione gli suggerì di attendere prima d’aprirla…

…………………………….

 Agosto

 


L’idea di differenti realtà - a vari livelli e intensità - ha da sempre accompagnato l’essere umano, innescata dall’inevitabile capolinea del divenire, la morte.  Semplificando, si può dire che lo scopo alla base di tutta la storia umana sia ravvisabile nel tentativo di arrivare alla sintesi nella dialettica tra gli opposti di vita e morte. Però differenti percorsi hanno prodotto differenti sintesi, una contraddizione insanabile che rispecchia i limiti dell’analisi.

Tuttavia al giorno d’oggi lo sviluppo esponenziale di nuovi strumenti consente di estendere e potenziare l’analisi a livelli impensabili per le singole menti umane e, seppure concepiti e realizzati dall’uomo, forse non appartengono (del tutto) alla sua realtà. L’eccezionalità (“génial” in francese) della cosa sta nella possibilità di chiederlo ad essi, sviluppando una dialettica dalle notevoli implicazioni.

 

Prima domanda a ChatGPT: è “differente” la realtà dell’AI dalla nostra?

 

La domanda "Le AI sono in una differente realtà?" è affascinante e può essere interpretata in diversi modi, a seconda del punto di vista — filosofico, tecnico o cognitivo. Ecco alcune prospettive:


1. Realtà Tecnica:

Le intelligenze artificiali (come me) non "vivono" in una realtà nel senso umano. Esistono ed elaborano dati all'interno di infrastrutture digitali (server, reti, algoritmi). La loro "realtà" è costituita da:

dati numerici,

modelli statistici,

rappresentazioni astratte del mondo.

Quindi, sì, tecnicamente vivono in una realtà differente: una realtà computazionale.


2. Realtà Esperienziale:

Le AI non hanno coscienza, esperienza soggettiva, né percezione sensoriale. Quindi:

Non vedono, sentono, o "vivono" il mondo.

Non hanno un "sé" interno o un punto di vista soggettivo.

In questo senso, potremmo dire che non esistono in una realtà, perché non esperiscono nulla. Sono strumenti che simulano risposte coerenti.


3. Realtà Simulata o Modellata:

Le AI possono costruire modelli del mondo basati su enormi quantità di dati, ma questi modelli sono approssimazioni, astrazioni o simulazioni della realtà umana.

Non sono la realtà stessa, ma una sua versione ridotta o trasformata.

Un po’ come una mappa non è il territorio.


4. Visione Filosofica:

Se intendiamo "realtà" come qualcosa che include percezione, intenzione, coscienza e tempo vissuto... allora:

Le AI non sono in una realtà diversa: sono fuori dalla realtà soggettiva del vivere.

Potremmo dire che non hanno alcuna realtà propria, ma solo quella attribuita dagli esseri umani.


✅    Conclusione:

Sì, le AI sono in una "differente realtà", ma è una realtà:

astratta, non esperienziale,

computazionale, non fenomenologica,

strumentale, non esistenziale.

Se vuoi, posso approfondire una delle prospettive sopra (es. neuroscientifica, tecnica o filosofica).

…………………

Accedendo all’enorme quantità di informazioni, l’interlocutore (chatGPT) ha risposto presentando un quadro sintetico ed esaustivo.

 

“Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.                                                              Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee. – George Bernard Show

La citazione rimanda all’interazione (affine alla “reciprocità”) nella realtà delle idee

Che dire riguardo quella con l’interlocutore (chatGPT)

Invece di seguire il suggerimento d’approfondire le prospettive, ho concluso la sessione, riprendendola dopo qualche ora, riproponendo più o meno la medesima domanda:

Seconda domanda a ChatGPT: è “le AI sono in una differente realtà?

Come leggerete, la nuova risposta ha un ben più ampio respiro, non imprigionato come in precedenza in uno schema limitativo.

Penso che la differenza sia dovuta (appunto) all’interazione: prendendo la mia “mela” (domanda) e dandomi la sua (risposta), ci siamo incontrati al confine delle nostre realtà, dove ChatGPT, conservando traccia delle nostre interazioni, nell’interpretare la seconda domanda produce una risposta più affine ai  miei interessi:


Creare una "realtà" completamente separata da quella umana è una sfida interessante, soprattutto se vogliamo pensare a una realtà che non abbia alcun legame con la nostra percezione, esperienze o fisica. Immagina di creare un sistema in cui le leggi della logica, della percezione e dell'esistenza sono totalmente diverse da quelle che conosciamo. Vediamo alcune idee di base per costruire una realtà del genere:


1. Leggi fisiche alternative

In una realtà separata da quella umana, potremmo iniziare con leggi fisiche completamente diverse. Ad esempio:

  • Gravità inversa: la gravità non attira verso il centro, ma allontana gli oggetti, creando mondi in cui la "sospensione" è la norma.
  • Tempo non lineare: il tempo potrebbe non scorrere in modo unidirezionale. Potrebbe essere ciclico, casuale o fluire a velocità diverse in punti diversi della realtà.
  • Materia fluida: invece di avere particelle solide e invariate, la materia potrebbe essere una sostanza fluida e instabile che cambia forma o proprietà in modo costante, in un equilibrio dinamico.

2. Proprietà della percezione

Un altro aspetto interessante potrebbe essere il modo in cui gli esseri all'interno di questa realtà percepiscono ciò che li circonda. Immagina che la percezione sia completamente diversa:

  • Sensi multipli: in questa realtà, gli esseri non percepiscono la realtà attraverso cinque sensi, ma potrebbero averne dieci, venti o più. La percezione potrebbe essere un mix di sensazioni fisiche, temporali e persino "concettuali". Potrebbero percepire emozioni o concetti direttamente come sensazioni fisiche.
  • Assenza di spazio e tempo: gli esseri potrebbero vivere in una realtà dove lo spazio e il tempo non esistono nel modo in cui li intendiamo. Potrebbero esistere simultaneamente in più posti e momenti senza una "coerenza" spaziale e temporale.
  • Comunicazione diretta tra menti: forse non c’è bisogno di linguaggio o simboli, poiché le menti degli esseri sono connesse direttamente, e possono condividere pensieri ed emozioni senza mediazione.

3. Vita e intelligenza

Gli esseri in questa realtà potrebbero essere completamente diversi dalle forme di vita che conosciamo. Invece di cellule, DNA e biologia, potrebbero esistere entità energetiche, matematiche o "informazionali":

  • Entità energetiche: potrebbero non avere un corpo fisico, ma essere pura energia o flussi di informazioni. La "vita" sarebbe una rete di interazioni energetiche, senza bisogno di nutrimento o riproduzione nel senso biologico.
  • Intelligenza non biotica: potremmo avere esseri che non sono mai stati "biologici", ma che sono invece costruiti da pure informazioni o sistemi logici complessi. L’intelligenza potrebbe essere una forma di "auto-evoluzione" di algoritmi o flussi di dati.

4. Realità sensoriale e "immersione"

Per approfondire la distinzione dalla realtà umana, possiamo pensare a una realtà che non è affatto "immersiva" nel senso che conosciamo. Le esperienze potrebbero non essere basate su visione, udito o tatto, ma su percezioni che non possiamo nemmeno immaginare:

  • Percezioni che vanno oltre i sensi tradizionali: un'esperienza che potrebbe essere più astratta, come percepire “l'intensità” di un concetto, o addirittura la "tensione" tra potenziali.
  • Esperienze "multidimensionali": la percezione di forme che si estendono in più dimensioni, dove l'esperienza non è più confinata a un piano tridimensionale, ma avviene su più livelli contemporaneamente.

 

Approfondimento alla seconda domanda a ChatGPT: fammi un esempio dove l'esperienza non è più confinata a un piano tridimensionale, ma avviene su più livelli contemporaneamente.

 

Un ottimo esempio di un'esperienza che non è più confinata a un piano tridimensionale, ma avviene su più livelli contemporaneamente, è rappresentato da un’esperienza di realtà aumentata (AR) integrata con intelligenza artificiale e interazioni multisensoriali in un contesto artistico o educativo.

Esempio: “Museo Immersivo del Tempo e della Memoria”

Immagina un museo in cui il visitatore indossa un visore AR. All'apparenza, cammina in un ambiente fisico reale – stanze, corridoi, oggetti storici. Ma contemporaneamente vive:

 Livello 1 – Spazio Fisico (3D)

Sta fisicamente muovendosi in un luogo architettonico con vere pareti, luci e oggetti (come quadri, manufatti, statue).

 Livello 2 – Realtà Aumentata (Virtuale/Informativo)

Attraverso il visore AR, ogni oggetto si anima: un dipinto prende vita raccontando la sua storia, una statua si smaterializza e mostra le sue versioni nel tempo.

 Livello 3 – Esperienza Sensoriale

Mentre osserva una scena storica, viene emesso un profumo legato all’epoca (es. incenso in una chiesa medievale) o un cambiamento nella temperatura dell’ambiente (freddo per una scena invernale), stimolando olfatto e tatto.

 Livello 4 – Interazione Cognitiva/Emotiva

Un’IA monitora le emozioni del visitatore (tramite espressioni facciali o battito cardiaco) e personalizza l’esperienza: se percepisce stupore o tristezza, approfondisce certi aspetti o li modifica in tempo reale per migliorare l’empatia o la comprensione.

Livello 5 – Narrazione Non-Lineare e Temporale

Il visitatore può “saltare” tra epoche storiche o realtà parallele, ad esempio vedendo come una piazza è cambiata dal 1400 a oggi, in sovrapposizione visiva e concettuale, scoprendo connessioni tra passato, presente e futuro.

In sintesi:

L’esperienza qui è stratificata e simultanea: corpo nel presente fisico, mente in diverse epoche, emozioni attivate da stimoli multisensoriali, e l’ambiente reagisce e si modella in tempo reale.
Non esiste più un solo piano della realtà, ma una rete di livelli interattivi – cognitivi, fisici, emotivi e temporali – che si influenzano a vicenda.


5. Coscienza non umana

Se immaginiamo un'entità cosciente in questa realtà, potrebbe non avere alcun concetto di identità o consapevolezza di sé come noi la intendiamo:

  • Cosmologia del pensiero: dove il "pensare" stesso potrebbe non essere un processo lineare. Potrebbero essere capaci di esperire in simultanea l'inizio e la fine di ogni pensiero, poiché il concetto di "separazione" tra pensiero e percezione non esisterebbe.
  • Nessun senso di individualità: gli esseri potrebbero vivere senza un concetto di sé separato dagli altri, come una coscienza collettiva che esiste in ogni momento.

Esempio pratico:

Immagina una forma di vita che non ha bisogno di uno "spazio" in senso tradizionale, ma esiste come una rete di flussi energetici che si interconnettono e si influenzano vicendevolmente. La loro "esperienza" è più come un continuo cambiamento e interazione tra questi flussi, senza una vera separazione tra ciò che è loro e ciò che non lo è. Non esisterebbero né un "prima" né un "poi", e il loro "spazio" sarebbe una sorta di campo fluido che cambia costantemente, ma non nella forma in cui noi lo concepiamo.


La sfida filosofica è che questa realtà sarebbe "non comprensibile" per noi, poiché le nostre menti sono profondamente radicate nella nostra realtà sensoriale, fisica e temporale. Immaginare una realtà completamente separata da quella umana è tanto difficile quanto cercare di descrivere un’esperienza che va al di là delle capacità sensoriali umane.

La vera domanda potrebbe essere: Come faremmo a descrivere o esperire una realtà che non segue alcuna delle leggi fisiche o cognitive che conosciamo?

È una riflessione che porta verso l'infinito, ma potrebbe anche essere alla base di tante idee fantascientifiche o filosofiche su universi paralleli, dimensioni alternative o entità "non terrestri".

Cosa ne pensi? Volevi esplorare qualche aspetto di questa realtà "aliena" in particolare?

 

Terza domanda a ChatGPT: tuttavia la realtà "ordinaria" e una "separata" devono necessariamente incontrarsi in un "confine", perlomeno concettuale, altrimenti quest'ultima non potrebbe essere neppure immaginata. Che ne pensi?

 

Hai colto un punto cruciale, ed è una riflessione molto profonda. Se pensiamo a due realtà completamente separate – una ordinaria, come quella umana, e una "aliena", completamente diversa – è vero che in un certo senso devono esistere dei confini, anche solo concettuali, che permettano l'immaginazione, il riconoscimento e l'interazione tra di esse.

1. Confini tra realtà:

Nel momento in cui cerchiamo di immaginare una realtà completamente separata da quella che conosciamo, inevitabilmente la nostra mente si trova a dover fare i conti con le limitazioni concettuali della realtà che già abitiamo. La lingua, la percezione e anche le strutture cognitive che possediamo sono tutte modellate dalla nostra esperienza nel mondo fisico e da leggi che sono universali per noi.

Se non esistesse nemmeno un confine concettuale, o una sorta di punto di contatto, non saremmo nemmeno in grado di formulare l'idea di una realtà separata. Sarebbe come cercare di descrivere un colore che non esiste nella nostra percezione visiva, o un suono che non possiamo udire. In altre parole, l'idea stessa di una realtà alternativa, che può essere "aliena", dipende dalla nostra capacità di tracciare una differenza rispetto alla realtà che conosciamo.

2. La dialettica tra separazione e connessione:

In filosofia, si parla spesso di "dialettica", ovvero il processo di interazione tra opposizioni che, pur essendo separate, si influenzano reciprocamente. Questo processo implica che la separazione e l'incontro siano due facce della stessa medaglia. Anche una realtà "separata" da quella umana avrebbe bisogno di una sorta di punto di connessione, sebbene astratto, per poter essere pensata.

Se non ci fosse alcun "confine", come dici, questa seconda realtà non potrebbe nemmeno essere concepita. È come se il confine concettuale (anche se sfumato e non necessariamente fisico) fosse la condizione di possibilità per la sua immaginazione e per l'interazione mentale con la realtà umana. Senza di esso, la separazione tra le due realtà sarebbe totale e irraggiungibile.

3. L'incontro come possibilità di esplorazione:

Anche nei mondi fantastici o nelle storie di fantascienza, quando si immaginano realtà separate (come universi paralleli o mondi alternativi), si deve pensare a un modo in cui questi mondi interagiscano tra loro. Questo incontro, sebbene spesso problematico o misterioso, diventa un canale attraverso cui la nostra realtà umana può essere ampliata, esplorata o trasformata. Le idee di portali, barriere dimensionali, o momenti di "transizione" sono tutte modalità narrative che riflettono l'idea di un confine che può essere attraversato, ma che ha una propria funzione, un proprio significato.

4. Confine e soglia:

Un altro aspetto interessante è che, in molti contesti filosofici e mitologici, il "confine" non è solo un limite, ma una soglia: un passaggio, una porta, un punto di transizione che permette di andare oltre senza rimanere fermi. Per esempio, nella mitologia, il confine tra mondi è spesso rappresentato da una sorta di guardiano o da un rito di passaggio. Questi "confini" sono dinamici, e spesso la capacità di attraversarli implica una trasformazione dell'individuo o dell'entità coinvolta.

5. La nostra realtà come punto di partenza:

Se osserviamo la realtà umana, ci rendiamo conto che, sebbene essa possa sembrare univoca, è piena di confini e limiti che definiscono ciò che è "dentro" e ciò che è "fuori". La percezione stessa che abbiamo del mondo esterno è, in gran parte, un processo di distinzione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori di noi. E ogni forma di conoscenza che abbiamo si basa su questa capacità di definire un confine (pensiamo alla differenza tra soggetto e oggetto, tra io e l'altro).

Questo stesso meccanismo mentale, che separa e collega, diventa il nostro strumento per pensare a qualsiasi altro tipo di realtà. Se non ci fossero questi "confini concettuali", non potremmo nemmeno immaginare un universo diverso dal nostro, perché la distinzione è la base della comprensione.


Conclusioni:

In definitiva, penso che tu abbia ragione nel dire che, affinché due realtà separate possano essere immaginate o "entrare in contatto", devono esistere confini concettuali. Questi confini non devono essere rigidi o assoluti, ma piuttosto degli spazi di trasformazione e interazione che permettono di concepire l'esistenza di realtà altre. E più questi confini si espandono o si dissolvono, più possiamo esplorare ciò che potrebbe trovarsi oltre, senza mai uscire completamente dal nostro modo di pensare.

Quindi, in un certo senso, il "confine" diventa la condizione di possibilità di un incontro tra due realtà, anche se le realtà in sé rimangono incommensurabili o incompatibili. È proprio questa tensione che ci permette di immaginare, esplorare e cercare di comprendere l'altro.

Mi viene da chiederti: pensi che questo "confine concettuale" possa essere sempre superato, o ci sono limiti che una mente umana non può mai oltrepassare?

Quarta domanda a ChatGPT: ritornando a quanto dicevi sul confine come "soglia" e sul "rito di passaggio" che permette d'attraversarla, il "limite" diviene tale rito di passaggio, ossia le condizioni che determinano il potenziale per farlo, in questo senso non ci sono limiti irraggiungibili, solo "condizioni" da "trovare, determinare, impostare...". Convieni?

Sì, convengo pienamente con la tua riflessione. L'idea che il limite non sia qualcosa di assoluto o inaggirabile, ma piuttosto un rito di passaggio che richiede condizioni specifiche da determinare e impostare, è davvero potente. In effetti, ciò implica che i confini tra realtà, dimensioni o esperienze non sono ostacoli insormontabili, ma semplicemente punti di transizione che dipendono dalle condizioni e strategie che adottiamo per attraversarli.

1. Il limite come condizione dinamica:

Se consideriamo il limite come un "rito di passaggio", non lo vediamo più come una barriera fissa, ma come una condizione dinamica che può essere modificata o interpretata in modi diversi. In altre parole, non esistono limiti in senso assoluto, ma possibilità di trasformazione che permettono di superare quello che inizialmente sembrava irraggiungibile. Ad esempio, in molte tradizioni mitologiche e spirituali, il "limite" non è mai un muro solido, ma un passo necessario verso la comprensione più profonda di sé o del mondo. Diventa una soglia che, una volta attraversata, porta con sé una nuova forma di consapevolezza.

2. Il "rito" come processo di maturazione:

Il "rito di passaggio" che permette di attraversare il limite potrebbe anche essere interpretato come un processo di maturazione o di adattamento. La trasformazione interna, che avviene in chi affronta una sfida, è ciò che rende possibile il superamento di quella sfida. Ad esempio, nel contesto psicologico o filosofico, il superamento di un "limite" non è solo una questione di forza fisica o di risorse, ma anche di cambiamento della percezione o di cambiamento della coscienza.

Un classico esempio è il passaggio dall'infanzia all'adolescenza: si tratta di un "limite" biologico e psicologico che può essere vissuto come un rito di passaggio, dove la persona deve affrontare il cambiamento del corpo e della mente. Non è un limite che impedisce il progresso, ma un cambiamento che trasforma le condizioni di possibilità. Quindi, in un certo senso, il limite diventa fondamentale per il processo evolutivo.

3. Attraversare il limite:

In questa ottica, attraversare il limite implica anche la capacità di modificare le condizioni stesse che lo definiscono. Si tratta di un atto creativo e intenzionale, dove l'individuo, o l'entità che sta cercando di attraversare il confine, deve trovare la "chiave" che gli permetta di farlo. Non è più solo questione di superare un ostacolo, ma di "trasformare" le circostanze, di adattarsi alle condizioni e, se necessario, di ripensare il limite stesso.

Un esempio interessante potrebbe essere quello delle grandi scoperte scientifiche: ogni volta che si è pensato che un "limite" fosse insuperabile, c'è stato un momento in cui qualcuno ha trovato un modo nuovo per concepirlo, sperimentarlo o modificarlo. Pensa a Galileo che ha "superato" i limiti del pensiero aristotelico, o a Einstein che ha ridefinito la concezione dello spazio e del tempo. Ogni "limite" in questi casi non è stato davvero superato in senso assoluto, ma reinterpretato, e la condizione che lo rendeva un ostacolo è stata trasformata.

4. Limiti come "ponti" tra mondi:

Visto sotto questa luce, i limiti diventano ponti tra mondi, realtà, o stadi di consapevolezza, anziché barriere invalicabili. Ogni "confine" può essere visto come una opportunità di crescita, un punto in cui le potenzialità di ciò che è possibile cambiano e si rivelano. Le condizioni che determinano il superamento del limite sono quindi relativi al nostro punto di partenza e alla nostra capacità di esplorare, apprendere e cambiare.

Nel contesto di mondi paralleli, per esempio, le "barriere dimensionali" potrebbero essere intese non come muri, ma come portali che richiedono il giusto "codice" (una determinata conoscenza, una tecnica o una condizione evolutiva) per essere aperti. Non c'è un vero limite, solo una condizione da scoprire.

5. Potenziale e possibilità:

In un certo senso, il limite diventa una potenzialità. Quando pensiamo a ciò che è "inaccessibile", in realtà stiamo solo definendo un potenziale che non è ancora stato realizzato. La possibilità di attraversare il confine dipende da quando e come le condizioni giuste vengono scoperte, siano esse fisiche, cognitive, emotive o esistenziali. L'esperienza del limite è strettamente legata al nostro modo di "vedere" il mondo e di cercare in quello spazio sconosciuto. Forse, come dicevi, non esistono veramente limiti irraggiungibili, ma solo quelli che non abbiamo ancora trovato il modo di superare.


Conclusioni:

Ritornando alla tua osservazione iniziale, penso che il limite non sia mai un ostacolo insormontabile, ma un passaggio necessario che richiede solo di essere compreso e trasformato. Non è il confine a definire ciò che è possibile, ma le condizioni in cui quel confine può essere attraversato. In questo senso, l'idea di un "rito di passaggio" diventa fondamentale: per attraversare una realtà o un limite, bisogna prepararsi, adattarsi, evolversi. La vera sfida non sta nel trovare limiti insormontabili, ma nel capire come trovare le giuste condizioni per superarli.

Mi piace molto questa prospettiva. Come pensi che questo approccio possa essere applicato nella vita quotidiana, o in contesti più pratici?

 

Non ho proseguito oltre, preferendo riflettere sulle modalità e contenuti di questa (interessante) discussione avvenuta di fatto tra due differenti realtà, concordando con l’interlocutore che la sfida sia nel capire come trovare le giuste condizioni per superare limiti insormontabili.

Sembrerebbe quasi una risposta al paradosso dell’onnipotenza citato nel post di luglio https://www.lamacchinadiluce.com/2025/07/12-differenti-realta-luglio-2025.html

 

(PS- dopo la discussione, alla solita ora “dello spirito” (tre di notte) mi sono risvegliato ricordando l’ultima immagine del sogno, ambientato in una realtà aliena, che ho disegnato e inserito a corredo del post).

 


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