La congettura di Poincaré
Grigori Perelman Jakovlevic e la congettura di Poincaré
Il mio approccio con la matematica
(scuola) è stato difficile (come lo è anche oggi per la maggioranza degli
studenti), così non me crucciai più di tanto, arrivando ad imparar con l’aiuto
di una buona memoria definizioni e formule e con l’applicazione a risolver
equazioni e problemi.
Non fu quello che si può dire un
“rapporto”, bensì una utilitaristica conoscenza, tutta svolta alla superficie
di quel mondo di simboli, relazioni e rigorose definizioni, senza mai davvero
provare se non un tuffo almeno una significativa immersione.
Mi interessavano altri ambiti ai quali
dedicavo il mio tempo, ma quell’astratto mondo (che tuttavia permette sempre
più di intervenire e controllare quello reale e quotidiano) mi ha sempre
affascinato e con l’andar del tempo mi son convinto che la comunità dei
matematici abbia avuto ed ha un ruolo fondamentale nella storia dell’uomo.
Oggi nel mio riavvicinarmi alla
disciplina sono aiutato dalla preparazione degli addetti ai lavori, capaci di
render a parole quelle che son formule per pochi, così rendendo possibile ai
profani cogliere qualche sprazzo dell’eccelsa astrazione cui può spingersi quel
tipo di pensiero.
Appunto un addetto ai lavori, Donal
O'Shea, ha scritto un libro: La Congettura di Poincaré che ho letto e consiglio
vivamente a chi fosse interessato, oltre che alla congettura stessa anche alla
bella storia della matematica.
Riporto la recensione del libro ad
opera di Maurizio Melis:
http://www.moebiusonline.eu/fuoriond...Poincare.shtml
La Congettura di Poincaré: una storia
matematica
Si racconta che uno studente di
Euclide - il padre della geometria vissuto tra il IV e il III sec. a.C. - dopo
aver appreso il primo postulato abbia chiesto al Maestro che scopo pratico
avesse lo studio della geometria.
Stando alla leggenda, Euclide si sarebbe
allora rivolto al suo schiavo replicando con sdegno: "Da' a questo ragazzo
una moneta, dato che deve trarre un profitto da ciò che apprende".
Molti secoli dopo, nel 2002, il
matematico russo Grigori Perelman, ha risolto uno dei più longevi e
affascinanti enigmi della matematica, che resisteva agli attacchi delle menti
migliori sin dalla fine dell'800.
Si tratta della Congettura di Poincaré, che
Perelman ha dimostrato all'interno di un lavoro, per la verità, di portata
ancora più vasta.
Per questo successo gli è stata assegnata la medaglia Fields
(il più alto riconoscimento a cui possa ambire un matematico) e il premio messo
in palio dal Clay Institute (1 milione di dollari tondo-tondo) per aver risolto
uno dei 7 problemi del millennio, annunciati all'inizio del 2000: Perelman ha
rifiutato entrambi.
Insomma: la leggenda di Euclide che si rinnova, in qualche
modo, anche nella nostra moderna (e materialistica) epoca.
Ma chi fu Henry Poincaré?
Poincaré, francese, nato nel 1854 e
morto nel 1912 fu un topologo, e diede contributi fondamentali a questa
disciplina, che studia proprietà molto generali dello spazio geometrico.
Per
esempio la teoria della relatività generale, che Einstein portò a compimento
nel 1915 - perciò solo 3 anni dopo la morte del matematico - non sarebbe stata
possibile senza il suo lavoro.
La Congettura di Poincaré è stato uno dei più
grandi rompicapi matematici. Certamente il più grande che ci ha lasciato il
topologo francese.
E' uscito un libro (si intitola
"La congettura di Poincaré", diDonal O'Shea - Ed. BUR) che racconta
la storia della Congettura attraversando un po' tutta la storia della
matematica, da Euclide e Pitagora fino ai giorni nostri e all'impresa di
Perelman.
E' la natura della matematica: tutto il suo sviluppo si svolge lungo
un filo senza soluzione di continuità.
I problemi passano da una generazione di
matematici a quella successiva come un testimone.
Si ampliano, divengono sempre
più generali e più astratti.
Ma quel filo è sempre possibile rintracciarlo.
"La congettura di Poincarè" è uno dei più splendidi esempi di questa
continuità, così nel libro di O'Shea emerge chiaramente come i problemi
affrontati da Riemann, Poincaré ed Einstein, che volevano capire la forma
dell'Universo, siano il naturale sviluppo di semi gettati 2000 anni prima da
uomini come Pitagora, Eratostene e Tolomeo che all'alba dei tempi si
interrogavano sulla forma del mondo.
E infatti, uno dei capitoli più interessanti
è dedicato a questa tematica, a cui vale almeno la pena di accennare.
Che la terra fosse sferica, infatti,
era patrimonio comune di ogni persona colta già nell'antichità. (L'idea che nel
medioevo si ritenesse la terra piatta, infatti, è una leggenda priva di
fondamento, dovuta a un certo Irving.) Tuttavia la sfericità della Terra era
una ragionevole supposizione, una brillante intuizione, ma non una certezza.
Di
certo c'era solo che la terra fosse curva. Ma finché non fu esplorata e mappata
completamente, ciò che accadde solo nel XIX secolo, nulla a rigor di logica
impediva di asserire, per esempio, che avesse la forma di una ciambella con il
buco in corrispondenza dei poli, all'epoca ancora inesplorati.
Muovendosi tra apparenti paradossi,
tra il passato e il futuro, "La Congettura di Poincaré" è perciò un
viaggio dentro una disciplina poco nota, la topologia, che oggi è fondamentale
negli studi di fisica più avanzati, quelli che indagano la natura più profonda
dell'Universo.
Ha scritto Galileo: "Il libro della Natura è scritto nel
linguaggio della matematica, e i suoi caratteri sono cerchi, triangoli e
quadrati." Non poteva immaginare quanto profetiche si sarebbero rivelate
le sue parole.
Galvan - Euclide, Pitagora… Riemann, Poincaré, Einstein
e Perelman… pietre miliari di un percorso che ha man mano permesso di farci
un’idea (ben di più in verità, considerato che da quelle rappresentazioni
geometrico-matematiche ne son derivate tecnologie che, volenti o meno,
caratterizzano la nostra civiltà) nientemeno che dell’universo, il nostro luogo
di soggiorno.
Beh, leggendo il libro riesce difficile
pensare che le cose accadano per caso, man mano i frutti maturano e la
generazione successiva li coglie, piantando nuovi alberi da cui altri frutti…
questi son frutti matematici e forse mai nella relativamente giovane storia
(5-6000 anni) della nostra civiltà si è giunti così in profondità nella
comprensione di quanto ci circonda e in cui ci troviamo.
Certo lo è per mezzo di uno strumento
specifico di pensiero (il linguaggio matematico, in questo caso) e nelle
rappresentazioni e formalismi di tale strumento va collocata la comprensione.
Potrebbe essere che alla fine (se mai ci si arriverà) le cose non stiano come
si pensava… forse l’universo o gli universi son “oggetti” troppo complessi,
pure l’uomo a quello (se vogliamo inconsciamente) mirava.
Dapprima la terra, piatta o tonda e poi di
seguito (… bello che Plutone abbia un “cuore”, no? Difficile adesso condividere
la sua declassificazione da pianeta…), sempre più difficile, sempre un po’ più
in là del limite… la congettura di Poincarè, uno tra i maggiori problemi
matematici dopo cent’anni finalmente dimostrato… chissà cosa c’è sotto a tutto
questo.
Disegno o caso, la matematica ha affermato la
sua competenza a trattare argomenti un tempo permessi alla sola teologia… nel
guardare i semi della corolla di un girasole oggi sappiamo che una
semplicissima sequenza (serie di Fibonacci) comanda la loro disposizione
spaziale.
La matematica funziona, attraverso simboli e
rigorose regole spiega il disegno (o il codice) nascosto e se oggi discute dei
massimi sistemi (universo o multiversi, buchi neri, wormhole e quant’altro di
affascinante) ha titolo per farlo.
A causa di persone (come quelle riportate nel
libro) che han dedicato la loro vita a seguire le vie dei numeri per vedere
dove alfine conducono.
Forse non è un caso, anche se non si può
affermar con certezza l’evidenza di un disegno.
Ma questo nostro tempo, così pericoloso e
feroce, tuttavia ospita tali raggiungimenti… sospesi sull’orlo di un’altra
catastrofe globale ci interroghiamo sulla nostra collocazione… che utilità può
avere..?
"Da' a questo ragazzo una moneta,
dato che deve trarre un profitto da ciò che apprende".
Quale riconoscimento all’importanza della
matematica (e degli uomini che vi si sono dedicati) ho cercato di migliorare la
traduzione dell’ultima intervista a
Grigori Perelman, persona che stimo profondamente.
Brett Forrest per The Telegraph, 22 ago 2012
In cerca di Grigori Perelman, il genio della
matematica che vive come un recluso in Russia.
Sei anni fa Grigori Perelman ha
scioccato il mondo della matematica, prima risolvendo un problema rimasto
irrisolto e poi rifuggendo da fama e fortuna.
Dove è andato?
Non ho mai fatto appostamenti, ma
sapevo come si fa. Presi un libro e comprai dei sandwiches, accesi la radio
ascoltando le notizie sul traffico, per rimanere sveglio mentre aspettavo il
mio obiettivo: Grigori Perelman Jakovlevic.
Ero qui per intervistarlo ma avevo un
problema : Perelman viveva come un recluso - forse il più famoso del mondo- e
odiava parlare con la gente.
Considerato da molti quale la persona
più intelligente e pazza del pianeta, oggi ha 46 anni e richiamò l’attenzione
del mondo sei anni fa, quando annunciò di aver risolto la congettura di
Poincarè che interessa la geometria degli spazi multidimensionali che ha
avuto vaste implicazioni nella teoria della relatività e in fisica quantistica,
ed ha contribuito a spiegare la forma dell’universo.
Per quasi 100 anni la congettura aveva
confuso le menti matematiche più acute , molte della quali avevano rivendicato
d’averla dimostrata, salvo trovarvi errori alla verifica successiva. Alcuni,
dedicandovici, sprecarono tutta la loro vita e ne ebbero lo spirito spezzato.
Perelman che pur sconfisse la
congettura dopo molti anni di sforzi e concentrazione ne fu influenzato così
profondamente da apparire spezzato a sua volta.
Chiuse i contatti con la maggior parte
di amici e colleghi, smise di tagliarsi barba e capelli e nel 2005 si dimise
dal suo lavoro, dicendo d’essere deluso dalla matematica e nel 2006 divenne la
prima persona nella storia a rifiutare la medaglia Fields, il massimo
riconoscimento in matematica.
Rifiutò cattedre a Princeton e Berkeley, e nel
2010 ha scioccato nuovamente il mondo rifiutando l’importante premio da
1.000.000 di dollari.
“Ho tutto quello che mi serve” si
riporta abbia detto ad un collega nell’occasione.
Ma nonostante la forte
curiosità dei media di tutto il mondo e le recenti voci di un interesse da
parte di Hollywood e J. Cameron, non ha mai prodotto nulla neppure per il suo
biografo, Masha Gessen.
“Non voglio esser messo in mostra come
un animale nello zoo” disse una volta a un giornalista russo attraverso la
porta dell’appartamento che condivide con la madre in St Petersburg.
Mentre la
società russa ha superato il giudizio su Perelman misantropo e matto, io lo
ammiravo per la sua rinuncia alla aspettative del mondo moderno, la sua
devozione al lavoro, i suoi risultati.
La sua volontà era libera, il suo
risultato puro e in questo stava la sua gloria.
C'era più di un percorso verso la
gloria, ragionavo, e un po’ di gloria potrebbe essere trovata nel risolvere
questo enigma. Perelman era l'enigma, che parla attraverso la matematica, il
complesso linguaggio della sua dimostrazione della congettura di Poincaré,
comprensibile solo a poche centinaia di matematici.
Per il resto di noi, desiderosi di cogliere
il significato di quel comportamento eccezionale, c'era solo silenzio.
L’unico
modo per ottenerla era di recarsi in Russia e sedersi fuori del suo
appartamento sinché non uscisse. Con una tenue speranza, ho prenotato il mio
biglietto per San Pietroburgo.
Prima del mio volo telefonai a Sergei
Kislyakov, il rettore del St Petersburg’s Steklov, l’istituto di matematica
dove Perelman lavorò come ricercatore.
“Ti sconsiglio di venire qui”, disse
Kislyakov.
Perelman non parla con nessuno e in
particolare odia i giornalisti. Per qualche ragione questo mi ha ancor più
determinato.
Arrivai in primavera. Era un giorno
come un altro a Kupchino, la fermata più a sud della linea blu della
metropolitana di St Petersburg.
Il mio piano era d’affittare un appartamento
con vista sull’edificio abitato da Perelman, così chiesi ad un agente
immobiliare di visitare i paraggi.
“Non abita nei paraggi un famoso
scienziato?” chiesi quasi per caso.
“Vive da qualche parte su questa strada”
rispose.
“L’ha mai visto?”
“Visto ?”rispose con una risata.
“Sicuro, come ho visto Putin… in TV”
Alla fine ho noleggiato una Hyundai e
parcheggiato sulla strada prospiciente l’edificio di Perelman, vicino a una discarica. Dodici piani
realizzati in cemento, nel disadorno stile Brezneviano.
Diverse persone fumavano davanti alla porta d’acciaio color marrone del vano
scala di Perelman, scambiandosi una birra mattutina.
Mi dissero che non si univa mai ad
alcuno, rifiutando persino l’ascensore se non era del tutto libero.
E con chi avrebbe dovuto mescolarsi?
Le persone che vidi parevano disegnate, anziani appoggiati su bastoni di legno
e adolescenti che sprecavano il loro tempo tra i chioschi.
Un barbone androgino dai sporchi
capelli biondi annusò intorno alla spazzatura. Una vecchia signora in un abito
grossolano mi guardò attraverso il parabrezza, poi sputò.
Ma, cenciosi come i dintorni, Perelman
li superava.
Da giovane era di bell’aspetto, dalle
caratteristiche morbide e scure, ma le recenti immagini scattate con un
telefono su un treno e trasmesse nel web ne rendevano un’immagine differente.
Gli abiti erano sporchi e
stropicciati, la barba nera rognosa.
Sembrava turbato, come se guardasse
oltre le spesse sopracciglia ritrovandosi a masticare qualcosa di
inaspettatamente duro.
Come avrebbe reagito a un mio
approccio?
Il mio obiettivo non sembrava alla portata quel primo giorno e mi son detto di avere la pazienza di Perelman, che
spese sette anni per dimostrare la congettura di Poincaré. La redazione di un
tabloid russo ha esaurito la pazienza per rintracciarlo. Quando hanno mandato
un reporter a Kupchino il giornalista non ha ottenuto nulla. Un impiegato di
sesso femminile ha detto che una volta aveva scambiato qualche parola con
Perelman. Il mattino seguente il titolo diceva, "Il Segreto Amore di
Grigori Perelman."
Quando ho incontrato Sergei Rukshin,
il miglior amico di Perelman, mi sono reso conto che i miei rispettati colleghi
della stampa russa avevano complicato il mio compito.
"Piacere di conoscerti",
dissi quando arrivai nell'ufficio di Rukshin in una scuola superiore di San
Pietroburgo.
Egli rispose: "Vedremo se sarà
bello o no". Ma come un rubinetto arrugginito, una volta aperto, Rukshin
sgorgava, parlando di Perelman per più di quattro ore.
Fu Rukshin, che funge da
istruttore di un centro specializzato di Leningrado in matematica, che ha
riconosciuto il talento di Perelman nel 1976.
Fu Rukshin, insieme ad altri
sostenitori in diverse accademie, che guidò Perelman attraverso politiche
sovietiche antisemite che quasi impedivano al giovane genio ebreo di ottenere
una formazione commisurata con la sua mente.
Ed è Rukshin che ora piange sopra
la condizione di questo allievo favorito: "Vive in un blocco."
Il secondo giorno un paio di ragazzi
con dei tagli recenti sui loro volti uscirono alla spicciolata cercando
qualcosa da fare.
Rimasi dov’ero e mentre attendevo pensai agli sviluppi della
vita di Perelman.
Cresciuto in St Petersburg dalla madre,
Lyubov, matematico di talento anch’essa e dal padre Jakov, un ingegnere, fu
mandato a una scuola specializzata in matematica e fisica avanzate.
A 16 anni
ha vinto una medaglia d’oro con punteggio pieno alle olimpiadi internazionali
della matematica. In questa fase della sua vita, secondo l’amico più vicino,
Serghei Rukshin, Perelman interagiva con gli altri studenti, divertendosi col
ping-pong e recandosi all’opera.
Era eterosessuale, disse Rukshin, ma
senza il fuoco per seguire l’inclinazione sino alla sua logica fine.
“Se Grisha ha mai guardato qualcosa
con occhi amorevoli,” disse Rukshin usando il soprannome di Perelman “si
trovava su una lavagna.”
Poco dopo che Perelman guadagnò il suo
dottorato di ricerca avvenne il crollo dell’unione sovietica. Si trasferì negli
Stati Uniti, facendo ricerca nelle università, tra cui New York e Berkeley.
Era
nel mondo e interagiva. Lavorava. Eppure stava già volgendosi al suo interno.
Quando i primi matematici in Russia
guadagnavano circa 100 dollari al mese di stipendio, Perelman è stato esposto a
un mondo occidentale di professori di ruolo, borse di studio accademiche e
finanziatori dei laboratori di ricerca - il lato commerciale del mondo
accademico. "E' possibile vendere un teorema ed è possibile
acquistarlo", ha detto Rukshin quando è tornato in Russia, disincantato,
nel 1995. "Anche se non si ha nulla a che fare con esso."
Aveva già iniziato il suo lavoro sulla
congettura, un teorema esposto nel 1904 da Henri Poincaré, erudito francese e
fondatore della topologia, lo studio matematico delle forme astratte, materia
di lavoro attuale per istituti quali il Cern.
La congettura ha avuto una tale storia
di errate risoluzioni da aver indotto Perelman a non parlare con alcuno per non
essere scoraggiato.
Era anche preoccupato che informazioni non richieste
avessero potuto distrarlo. Si fece vedere raramente e lavorò segretamente per
sette anni.
"Per Grisha, era una completa
auto-limitazione," mi ha detto Nikolai Mnyov, un amico ed ex collega di
Perelman.
Avessi la sua capacità non sarei
seduto in una Hyundai in attesa di parlare con qualcuno che sarebbe dispiaciuto
al solo vedermi.
Chi ero io per lamentarmi? Perelman ha
veramente sofferto, acutamente.
Ha resistito a un attacco - poi confutato -
alla sua dimostrazione da parte di un matematico cinese rivale.
Ha rifiutato la Medaglia Fields,
credendo che l'accettazione sarebbe, come Rukshin ha spiegato, fondamentalmente
disonesta.
Perelman una volta ha respinto una
troupe televisiva di Channel One Russia che ha fatto irruzione attraverso la
sua porta di casa, spingendo da parte sua madre.
Ha resistito alla procrastinazione
dell’Istituto matematico Clay, che ha preso il suo comodo tempo – ben cinque
anni - per offrirgli il milione di dollari che si era impegnato a versare alla
persona che risolvesse la congettura di Poincaré.
"Grisha è torturato dalla
imperfezione dell'umanità", ha detto Rukshin.
Dopo tre giorni ancora nessuna traccia
e mi sentivo sollevato, dal momento che non avevo idea di cosa dirgli. Io non
sono proprio un intervistatore. Mi avvicino ai miei soggetti come se fossimo in
un bar, chiacchierando davanti a una birra. Una truffa standard, ma piacevole,
se non sbaglio. Le persone amano parlare di se stesse. Devi solo dar loro la
possibilità.
Ma come si fa a parlare con qualcuno
che non parla con nessuno?
A ogni domanda che mi son figurato: perché non
accettò il premio in denaro, perché rifiutò la medaglia Fields, perché non
parlasse con i media – sapevo che non avrebbe risposto.
Non volevo disturbare Perelman. Io non
volevo essere come tutti gli altri che lo avevano costretto all'esilio. Credevo
ci fosse un modo delicato di avvicinarsi a lui.
Ho consultato chi lo conosceva. Quando
ho incontrato Alexander Abramov a Mosca, ha descritto l'ultima telefonata che
aveva avuto con Perelman, tre anni prima. Abramov, un professore, ha conosciuto
Perelman dal 1982, quando ha allenato la squadra sovietica all'International
Math Olimpiadi. (Perelman ha vinto una medaglia d'oro, ottenendo un punteggio
perfetto.)
Esasperato dalla solitudine di
Perelman, Abramov gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per incontrarlo. Perelman
ha suggerito che Abramov si recasse a San Pietroburgo. "Per sempre?»
Chiese Abramov. "Forse", ha detto Perelman prima di riagganciare il
telefono.
Forse a Perelman non piaceva più
Abramov. Forse non gli piaceva più nessuno. "Ho paura che sia al livello
di una crisi di nervi", ha detto Rukshin. "Se eravamo ancora l'Unione
Sovietica, sarebbe stato costretto a un trattamento psichiatrico per questo
comportamento."
Nel 2008 Perelman ha chiesto a Rukshin a limitare le loro
telefonate. Ora si parla di una volta all'anno.
"Sembra molto simile alla storia
di Bobby Fischer", ha detto Abramov. "E Bobby Fischer non poteva
essere detto un uomo felice."
Era il pomeriggio del terzo giorno e
il barbone androgino ha supplicato attraverso la finestra della mia macchina
per pochi rubli. Anche da vicino non ho potuto dire se si trattasse di un uomo
o una donna. Ho guardato il barbone muoversi con la sua piccola ricchezza. Poi,
focalizzando i miei occhi sulla porta dell’appartamento mi ritrovai ad
ansimare, “Eccolo!”
Era Perelman senza ombra di dubbio.
Barba, capelli e l’espressione di incertezza di chi s’imbatte nel sole e al suo
fianco sua madre, Lyubov. Indossava una giacca da sci nero, una camicia nera,
pantaloni neri. Sua madre era vestita di un cappotto rosso e un berretto
bianco.
Si trascinò verso i cassonetti vicino
alla porta guardandoli come se potesse rovistarci. Si diressero verso il
cortile dietro il loro edificio.
Ho chiuso l’auto. Il cortile era grande, con edifici a
due piani disposti a caso.
Camminando a distanza ho visto la coppia muoversi
attraversando un campo.
Decisi di affrontarli a testa alta, piuttosto che di
soppiatto alle spalle e di prendere tutte le misure per evitare l’agitazione di
Perelman.
E anche se sapevo che parlava l’inglese pensai fosse meglio
rivolgermi a lui in russo, per metterlo ancor più a suo agio.
Tuttavia la prima parte del mio piano
non si concretizzò, attraversando un mucchio di spazzatura li persi e quando li
rividi si stavano nuovamente dirigendo da dove erano venuti. Forse avrei dovuto
avvicinarmi da dietro. Ma ancora non sapevo cosa dire.
Quindi mi ritrovai al suo fianco e non
c’era più tempo per pensare. “Grigori Yakovlevich?” dissi in un russo educato.
“Sei tu?”
La testa di Perelman ruotò lentamente.
Mi valutò con la coda dell’occhio.
“Mi scusi, per favore”, continuai “Non
voglio disturbarla. Ma sono venuto dall’America per parlare con te. Da vicino
stimai l’altezza di Perelman in 1,75 m, più magro e meno minaccioso di come
appariva nelle foto.
Però non perse il suo aspetto, la
forfora incrostata sulle spalle del cappotto e gli abiti striati dalle macchie.
Mi si rivolse con una voce alta e
acuta, come di un uccello.
E sapeva cosa dire. “Sei un giornalista?” Annuii. Perelman
guardò il cielo, emettendo un sospiro addolorato. Abbiamo fatto alcuni passi
insieme. "Di quale pubblicazione?" chiese.
Gliel’ho detto. Lui annuì in
riconoscimento, ma emettendo un altro sospiro addolorato rispose: “Non concedo
interviste”. “Lo so,” dissi “va bene”. Perelman e sua madre si fermarono,
guardandomi dall’alto in basso come se la mia risposta li avesse confusi. Non
sapevo come sarebbe andata la cosa ma almeno non scapparono, così feci un gran
sorriso. “Buon tempo oggi, eh?” E con mia sorpresa il terrificante recluso e
sua madre scoppiarono in una risata. C’ero.
“Come ha fatto a sapere che saremmo
stati qui?” chiese Lyubov Perelman spuntando da dietro il figlio. Portava degli
occhiali spessi e il suo viso allegro spuntò da sotto il berretto.
“Mi imbarazza dirlo,” risposi.
“Allora?” incalzò.
Feci un cenno verso la strada. “sono
stato seduto in auto la fuori aspettandovi”.
“Davvero?” ha detto.
“Non era così male”, dissi “Avevo un
libro”.
«Come hai trovato l'indirizzo?»
Perelman mi chiese.
"Ho una connessione», dissi.
"Con la polizia."
I suoi occhi si spalancarono. "La
polizia?", disse.
“Sei russo?” chiese Perelman.
“Americano”. Mi guardò con curiosità.
“Sei sicuro che non sei russo?” Da tutti i segni che potevo interpretare era
contento di parlare con me.
“Ti dispiace se cammino con voi per un
po’?” Perelman si strinse nelle spalle senza dir nulla. Procedemmo assieme.
“Ero nervoso” gli dissi. “Tutti dicono
che sei spaventoso”. Perelman scrollò le spalle, strizzando gli occhi nel
guardare al cielo, come stesse contemplando qualcosa che non avrei potuto
capire.
La madre, Lyubov, parlò: “Se non puoi
avere l’intervista, qual è il motivo di questo?”
Perelman mise un braccio intorno a
lei. “Va bene, madre” la rassicurò. “stiamo solo passeggiando”.
Considerando tutto quello che
conoscevo di Perelman rimasi stupito del suo comportamento rispettoso. E
incoraggiato. Nessuno negli anni era mai stato così vicino a lui. Forse era
pronto a parlare.
“So che non pratichi più la
matematica,” dissi. “Puoi dirmi su cosa lavori?”
“Ho lasciato la matematica” rispose.
“E quello che sto facendo ora non te lo dirò.” Ero pronto con un’altra domanda
ma ne aveva una per me. ”Lei non è davvero Russo? Parla come uno nato in Russia
che l’abbia lasciata a otto o nove anni e poi ritorna da adulto. Avete questo
suono."
Stava cercando di rapportarsi a me o
volutamente deviando l’attenzione da se stesso? In ogni modo dimostrava di
poter trattare con le persone.
Sullo slancio gli ho posto alcune
semplici domande. “Quali sono i tuoi progetti per le vacanze di maggio?"
"Ti è piaciuto una volta in America?" "Quante volte fai queste
passeggiate?"
Ogni volta, Perelman si strinse nelle
spalle, guardò il cielo e non disse nulla. Non ero sicuro mi avesse sentito. Ho
guardato la madre, e lei alzò le sopracciglia, come se non sapesse cosa dire.
Un sorriso le attraversò il volto.
Abbiamo camminato verso l’arcata che
conduce alla porta del suo appartamento. Ho provato un’altra domanda seria.
“Considerando le vostre abilità, visto che è ancor giovane, potrebbe ritornare
alla scienza?” Si lamentò e dopo un breve silenzio, la madre mi ha chiesto se
stavo indossando un filo (asked if I was
wearing a wire – se ero connesso, probabilmente).
Decisi di farlo parlare ancora una
volta. Cercando di costruire un terreno comune, ho toccato le somiglianze tra
la scrittura e matematica, sottolineando la solitudine che ogni disciplina
necessita. Lo guardai con un viso aperto e amichevole. Fissò di nuovo il cielo,
pagina bianca.
Abbiamo raggiunto l'arco e ci siamo
fermati. Perelman e sua madre mi fissarono, chiedendosi come sarebbe finita. Ho
guardato Perelman chiedendogli: “Com’è il tuo gioco del ping-pong?”
“Non gioco da tanto tempo” rispose.
Posò un braccio sulle spalle di sua madre. Stava diventando agitato. Avevamo
camminato per 20 minuti e cosa avevo capito?
Provavo un sentimento (feeling) per
lui. Come mi aveva detto il suo amico Ruskshin, Perelman sembrava “torturato
dall’imperfezione dell’umanità” Ma non avevo risolto l’enigma.
Ci fu il tempo per un’ultima domanda
che gli posi in inglese, la sola domanda filosofica che speravo avrebbe preso
in considerazione.
“Dove va la tua vita?“
Perelman si avvicinò a me. Ho visto
che uno dei suoi denti superiori era marrone scuro. "Cosa?", rispose,
forse non comprendendo la questione. Come ho ripetuto la domanda il volto di
Perelman si focalizzò nella concentrazione e ho pensato che potesse rispondere.
Ma quando finii di parlare, il suo volto si allentò, come prima. Ha capito
quello che volevo sapere, il percorso di questa vita insolita. Borbottò:
"Io non lo so."
Ci siamo detti il nostro addio.
A piedi andando verso la mia auto, mi
sono sentito come se avessi fallito, dopo aver goduto di una tale rara
vicinanza a Perelman, solo per vedere l'uomo scivolare dalla mia comprensione.
Ma poi mi fermai, perché ci doveva
essere stato qualcosa che avevo perso.
Perelman era disadorno, ma altrettanto
complesso come la congettura che aveva dimostrato.
Aveva liberato la Congettura di
Poincaré del suo mistero, e così facendo l’aveva rimpiazzata, diventando il
puzzle stesso, concedendone la conoscenza al mondo, non ne diminuì affatto il
fascino.
Non dobbiamo capire tutto. L'ignoto ha
il suo proprio valore.
Attraverso il parabrezza della
Hyundai, ho guardato Perelman e sua madre avvicinarsi all’ingresso, i barboni,
i bambini e le nuove madri di Kupchino procedere con le loro vite.
Perelman e la madre si ritirarono nel
buio del vestibolo.
La porta di metallo si chiuse chiuse
alle loro spalle.
Perelman aveva preso una boccata
d’aria.
Galvan - Era inverosimile che Grigori
concedesse l’intervista, l’avesse fatto, il giorno dopo non avrebbe potuto più
mettere il naso fuori dell’appartamento, assediato da altri giornalisti alla
ricerca del loro scoop.
Per essere lasciato in pace doveva
continuare a vivere in quel modo, a ben pensare l’unico in grado d’ottenere
l’effetto voluto.
Il tutto par di una logica senza via
d’uscita e da un genio matematico l’intervistatore doveva attendersi un
comportamento altrettanto logico e coerente.
Tuttavia… suppone bene Brett nel
ritenere d’essersi perso qualcosa, qualcosa che non poteva essere comunicato e
riportato come segno d’apertura della rigida clausura…
Brett è rimasto per venti minuti
assieme alla coppia e Grigori gli ha fatto sentire d’averlo gradito, perlomeno
fin quando si atteneva alla richiesta iniziale di condividere una passeggiata.
Il tormento riguardo l’imperfezione
umana riguarda proprio il comportamento di Brett, incalzato dal proprio
desiderio d’ottenere qualcosa che l’altro non poteva assolutamente concedere.
Fino a che punto non lo sapremo mai,
fatto sta che la qualità del loro rapporto viene in luce durante la
passeggiata… Brett non ha prestato molta attenzione allo stretto collegamento
tra i due… leggendo “tra” le righe si ha quasi la sensazione di quel filo che
li unisce… madre e figlio, due matematici, due reclusi… e il loro sodalizio per
mantenere la minima libertà di movimento rimasta.
In un’occasione Brett c’è andato
vicino: “Ogni volta, Perelman si strinse nelle spalle, guardò il cielo e non
disse nulla. Non ero sicuro se mi avesse sentito. Ho guardato la madre, e lei
alzò le sopracciglia, come se non sapesse cosa dire. Un sorriso le attraversò
il volto.” .
C’è ancora dell’altro nel racconto, ad
esempio la bugia (secondo me) riguardo l’aver abbandonato la matematica… a un
certo livello, scientifico od artistico che sia, si diviene la propria
disciplina.
Mi fermo qui, pensando alle domande
che mi sarebbe piaciuto porre a Grigori e sua madre, tra tutte una: la vita vi
ha dato motivo per esser contenti d’averla vissuta?
Così la (storia della) congettura di
Poincarè (secondo me) è la chiave per entrare nella domanda nascosta,
trasformando quel che siamo nel più investigabile e maggiormente oggettivo dove
siamo.
Siamo andati sulla luna (in carne ed
ossa), esploriamo il nostro sistema solare a mezzo di sonde e ci spingiamo ai
limiti dell’universo con telescopi e altri strumenti tecnologicamente
progrediti … e pensiamo a Marte, che dispone d’acqua… mentre il pensiero
(matematico e fisico) cerca di comprendere la forma e le caratteristiche dello
spazio (o spazio-tempo che sia) che ci ospita…
A cosa può servire?
Facile rispondere, come per il bambino
che viene al mondo… si vedrà crescendo…
Non so se altri si pongano
l’interrogativo che mi pongo io:
conoscendo meglio la nostra
collocazione (nell’universo), si potrebbe dir qualcosa sulla provenienza del
flusso di pensiero che è, attraversa e guida le nostre vite?
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