* Immaginate...

1) 



Immaginate di acquistare una casa con un bel pezzo di terreno – ve lo auguro – dove un vecchio pino si oppone all'idea e alle geometrie che avete elaborato con vostra moglie sul luogo.

Dov'è il problema? Si taglia. Ma se non lo fate subito, meglio se prima di andarci ad abitare, potreste accorgervi che una coppia di cince si rifugia in un foro del tronco, il loro nido.

Adesso forse è più difficile, bisogna almeno aspettare primavera quando se ne andranno con i piccoli divenuti autonomi. Con la bella stagione arriva il sole e quell'albero, per quanto esteticamente lasci a desiderare, provvede un'ombra già pronta dove mettersi con una seggiola.

Si può sfruttare anche un condannato a morte se la sentenza è giusta: non voleva saperne di adeguare la sua geometria al progetto. Il fatto è che proprio non può, troppo rigido e avanti con gli anni per cercare di imitare i flessuosi bambù neri che dovrebbero prenderne il posto.

 

Quando ormai in famiglia avete deciso per un grande ombrellone – già lo vedete, bianco circondato da bambù neri! – e nonostante il temporale appena passato andate a verificare le misure sotto al pino vi accorgete che, a differenza di quel telo l'albero emana un odore resinoso, secco e balsamico.

È il suo modo di parlare, e purtroppo per voi l'avete ascoltato.

Dovrete cercare un'altra scusa con vostra moglie che era già sicura di liberarsi una volta per tutte di quegli aghi morti e delle gocce di resina che talvolta sono cadute dove non dovevano.

Sull'auto messa là sotto al fresco o sui panni stesi. Per lei è colpa del pino, che c'entri la forza di gravità come per la pioggia è un modo di sviare il problema.

Quando si è presi tra due fuochi, il desiderio di sospendere l'esecuzione del pino da una parte, e l'impazienza di chi vi è caro che si sta domandando se lo fate apposta dall'altra, non bastano le parole per uscirne. In aggiunta ci si mette anche un dannato colpo della strega a costringervi a letto una settimana, immobile. Come quel pino che però fa ondeggiare le sue fronde davanti alla vostra finestra, distraendovi dalla monotonia.

I bambù non arriverebbero a quell'altezza.

 

Uscire dallo stallo è spesso doloroso. In un modo o nell'altro sono passati degli anni e il pino è ancora là. Anche vostra moglie è ancora con voi e ha atteso abbastanza.

Nella sua testa la geometria troppo a lungo repressa reclama soddisfazione, se non l'ha capito sinora che il pino è entrato in voi difficilmente lo capirà attendendo ancora. Così andate da lei e gli dite che deve fare quello che desidera, solo che voi non ci sarete quando accadrà. Andrete a trovare un vecchio amico o a passeggiare sotto altri pini chiedendo di perdonarvi, siete solo un uomo.

Questa storia può finire in molti modi. Se non aveste visto quel pino non sarebbe neppure cominciata – solo legna da spostare – ma non siete voi a decidere cosa vedere.


L'uomo della storia tornò a casa che era già buio, per vedere il meno possibile.

L'odore che lo attendeva lo raggiunse prima di entrare nel viottolo.

Non era di legno segato, bensì quello solito del vecchio pino, ancora al suo posto, con la luna imprigionata tra i rami. Gli si inumidirono gli occhi, evento più che raro.

Non vide la moglie che lo guardava da dietro la finestra, ma lei aveva visto lui mentre si allontanava quella mattina. Aveva una certa età ma sembrava più incurvato del solito, forse la schiena, il suo problema. Lei sentì una lacrima formarsi e fece per toglierla, incontrando quell'altra lacrima, una goccia di resina del pino caduta giusto in quel momento sulla sua guancia.

C'erano troppe lacrime quel giorno per non capire.


(incipit estratto dal capitolo 9 - L'Occhio di Vrana)

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2)


Alle tre di notte la moglie ricevette una telefonata della polizia che l’avvisava del ritrovamento. L’ipotesi più nefasta si era avverata, infarto, probabilmente.

Alla notizia anche il suo cuore subì un serio scompenso, fortunatamente rientrato per il tempestivo aiuto della sorella (infermiera), venuta per aiutarla nei lavori.

Ma, altra fatalità, il furgone del giardiniere fu coinvolto in un incidente e quando arrivò non c’era luce a sufficienza per procedere in sicurezza, così scaricò l’attrezzatura, recintò l’area interessata e dette appuntamento per il giorno dopo, di buon mattino.

Giocoforza le due sorelle si ritrovarono nel soggiorno a parlare di loro e degli altri. Attendendo il rientro del marito, riguardarono ancora il bel progetto dell’architetto, di molto ampliato rispetto all’originale, con piscina e veranda solarium… una compensazione per la lunga attesa.

I bambù neri e il telo bianco divenuti dissonanti col progetto (secondo l’architetto) non si potevano eliminare (altrimenti una soluzione valeva l’altra, no?) ma furono ridimensionati e collocati ben distante, vicino al confine.

Addossati ad una casetta di legno avrebbero formato un’esclusiva (nel senso che sarebbe stato difficile convincere qualcun altro a fare altrettanto…) isola ecologica, rifiuti, per intendersi.

Alle 10 di sera la moglie, spazientita, chiamò il marito… che non rispose nonostante squillasse. Alla sensazione della continuità subentrò quella dell’impermanenza di tutte le cose. Un incidente allungò l’esistenza del pino mentre dalla mancata risposta si presagì il destino dell’uomo.

 

Quando una persona per noi importante viene a mancare, si palesa il nostro vuoto interiore che cerchiamo di riempire con mille stratagemmi. Ma sicuramente giungerà il momento che la nostra amica, quella che il marito si recò a trovare, soffiandoci sopra li dissolverà lasciandoci nudi, come all’inizio…

Il pino fu l’ultimo dei pensieri della donna, assieme alla piscina, veranda e isola ecologica. Il senso di colpa la rese quasi catatonica e la sorella decise di trasferirsi da lei, nella stanza che il marito occupò, quando la schiena lo costrinse all’immobilitàper guardare bene il suo albero.

Riassestandola per dar aria, trovò un foglio ripiegato tra il materasso e la rete.

La sorella intuì qualcosa e lo consegnò senza aprirlo.

In quel foglio c’era la cosa più preziosa al mondo, la vita.

Non aveva il potere di renderla all’uomo… ma preservò quella della donna.

Non c’erano parole, bensì un semplice disegno a matita.

Un giorno vi mostrerò quel disegno ma voi intanto chiedete al vostro cuore quale fosse, poiché per ognuno è diverso.

Trovando la risposta, quando sarà il momento, la nostra amica la illuminerà affinché chi rimane da questa parte possa vederla.

……………………………..


3)


Il marito nel giorno programmato per l’esecuzione (del progetto architettonico…) prese l’auto e, arrivato nella vecchia pineta dove veniva fatto l’impossibile per mantenere in vita i verdi ospiti, vi passeggiò a lungo, lentamente.

Gli alberi sono degli organismi viventi straordinari, pur ancorati al terreno, chi più e chi meno flette al 

comando del vento… un movimento, seppur limitato, come può esserlo quello di un anziano con gli inevitabili problemi o quello di un impiegato costretto alla scrivania per tutto il giorno, per far fronte al problema principale dell’esistenza.

Ma, se mai l’avete fatto provate ad osservare dal basso la chioma di un pino, magari distesi su una panchina, come fece l’uomo per riposarsi… avendo sentito ritornare con maggior intensità un dolore ricorrente da qualche giorno, a cui non prestò attenzione.

La chioma di un pino è una dimensione a sé stante che viene meglio colta  guardandola dall’alto, specialmente quando non si tratta di un esemplare singolo e appare del tutto evidente l’interazione di ogni albero con i vicini, le cui chiome si compenetrano per occupare al massimo lo spazio disponibile per assorbire la luce.

L’uomo focalizzò l’attenzione appunto sulle chiome e man mano il verde chiaro dei giovani aghi, da che era in secondo piano rispetto ai rami scuri e rinsecchiti, si espanse acquistando il predominio della visione. Tanto che ebbe la convinta sensazione di trovarcisi sopra e assistere a qualcosa di incredibile, mai visto in precedenza: la luce del sole composta di innumerevoli e differenti minutissime forme che come una cascata si spandeva sugli aghi, facendoli vibrare… di gioia, pensò.

Prima di assopirsi del tutto si accorse di non provare più il dolore per l’imminente perdita del suo albero e non si sentì mai in pace come in quel momento.

 

Signora – (parecchio anziana, appoggiata al bastone da passeggio) tutto bene? Le è caduto il borsello, eccolo.

L’uomo si ridestò con l’intera memoria da cui, tuttavia, non ricavò l’informazione su quanto tempo fosse trascorso; in più, messosi a sedere si accorse di aver lasciato il telefono nell’auto. Ormai chi usa ancora gli orologi?

Uomo – accidenti, mi sono assopito osservando le chiome dei pini… grazie, molto gentile.

Signora – di nulla, c’è solo questa panchina in questa zona, permette che mi riposo un po’?

Uomo – (rendendosi conto della mancata attenzione) mi scusi tanto, sono desolato, si sieda prego… sono (si presenta dicendogli dove abita)...

Signora – la conosco, è lei che ha acquistato la villa sulla collina. Conobbi Francesca, la proprietaria che ormai non poteva più viverci da sola e si è trasferita in una struttura adeguata per assistenza e compagnia.

Uomo – un posto magnifico, unico… mi dispiace per Francesca ma l’avrebbe venduta comunque, disse che ero l’acquirente giusto.

Signora – sicuramente, se le piacciono i pini apprezzerà quello che ha in casa, no?

Uomo – sì, mi piacciono, però… non a mia moglie. Quello che ho in casa sta per essere tagliato per motivi… estetici e mi sento in colpa.

Signora – quel pino ha duecento anni, non ce ne sono altri così vecchi in quella zona. La conosce la storia?

Uomo – quale?  Francesca disse che mi sarei accorto da solo di qualcosa riguardo al pino…

Signora – e non è avvenuto?

Uomo – beh, sì, è successo un fatto molto strano… un giorno ero immobile a letto e osservavo il pino. Non saprei come spiegarlo… ma mi sono ritrovato ad osservarmi da… dentro il pino. L’ho anche disegnato.

Signora – è accaduto anche a Francesca e ad altri residenti… per quello nonostante sia malandato non è stato mai tagliato. Quel pino ha il potere di accogliere, è entrato in te e tu in lui.

Uomo – un albero sacro?

Signora – direi piuttosto un amico che ha preparato una strada da percorrere.

Uomo – quale strada?

Signora – per te proprio la tua, da adesso.

Uomo – tra un po’ tornerò a casa e non ci sarà più…

Signora – ci sono tanti modi per terminare una storia… in uno ci sei tu, il pino, tua moglie e tutto quello che vorrai…

Uomo – una fantasia, non la realtà, purtroppo.

Signora – c’è un confine tra fantasia e realtà… ma un amico può allargarne la fessura e mostrarti un’altra, differente realtà.

Uomo – e come ci potrei andare?

Signora – abbandonando quella in cui ti trovi. Chi ha visto il pino può farlo…

………………..


4)

                                                      drawing by Simona Pugliese      


La luce del sole entrata dalle ampie finestre del soggiorno, pur illuminandone il volto non ridestò Solange (la moglie) distesa sul divano dal suo torpore, così Lisette (la sorella) dopo averle aperte lasciò il vassoio con la spremuta di arance sul tavolo, assieme al foglio trovato nel letto e uscì nel giardino.

A tre giorni dalla morte, Solange non aveva ancora dato l’ultimo saluto al consorte, un atto che sancisce per chi rimane la conclusione di quella sorte condivisa che è il profondo senso di ogni unione.

Qualche altro giorno e poi la sorella avrebbe dovuto forzatamente avviare le procedure per provvedere l’ultima dimora a quel corpo, trovato disteso sulla panchina con le braccia conserte da un’anziana signora che raccogliendone il borsello da terra si accorse dell’immobilità dell’uomo.

Chiamò il numero d’emergenza e mentre gli agenti compilavano il verbale un giovane rametto dall’alto cadde sulle mani dell’uomo. Il volto le ricordava quello del figlio spirato da giovane e pregò il personale dell’ambulanza, affinché dopo gli atti necessari fosse ricollocato tra le dita.

 

Lisette, seduta su una seggiola sotto il pino, le spalle alla villa e gli occhi all’orizzonte al confine tra la linea dell’acqua e la linea del cielo, era così assorta da non essersi accorta dell’arrivo di Solange, neppure quando prese posto su una seggiola vicina.

Il secondo colpo di vento, un potente soffio che trasportò con sé un’infinità di bianchi semi dalla barriera di oleandri che le ricaddero addosso come una nevicata, la distolse dalle riflessioni sui confini.   

Senza di essi tutto sarebbe unito, indifferenziato.  Ogni  movimento, di qualsiasi tipo, avviene da un luogo (pure esso di qualunque tipo, anche immaginario) verso un altro.

La delimitazione è condizione sine qua non per il continuo movimento della vita (nel suo senso più ampio) che nel caso di quella umana, adagiati o no su un letto di morte, termina addirittura sdoppiandosi: la meravigliosa macchina organica senza più respiro vs l’evidenza dell’assenza della coscienza cheimpossibilitata ad esprimere i suoi contenuti, perennemente ripropone l’interrogativo se continui o si dissolva.

Lisette, volgendo il capo per spazzolarsi con la mano le spalle dai semi volanti degli oleandri, trasalì vedendo la sorella seduta, più di lei imbiancata da essi... più di lei assorta sulla medesima linea di confine ribaltò in se stessa gli elementi, lasciando scorrere dagli occhi l’acqua sul cielo del foglio tenuto con una mano.

Con l’altra mano proteggeva dal vento un rametto di verdi aghi di pino, innocente come una giovane capinera caduta dal nido.

 

Il primo colpo di vento venne dall’alto e impattando sulla chioma del pino ne colse un po’ di rametti apicali; tolti dal flusso nutritivo e sparsi a terra sarebbero presto appassiti... però, diversamente dai fratelli nella loro breve vita conobbero l’ebbrezza del volo.

Uno di quei rametti sospinto dalla potenza del vento entrò dalla finestra del soggiorno finendo per adagiarsi sulle mani di Solange che si ridestò al delicato contatto. Alzatasi per riporlo sul tavolo si accorse del bicchiere con la spremuta e stranamente avvertì il desiderio di bere, dopo tre giorni durante i quali non toccò cibo e assunse solo un po’ d’acqua.

Quella sul vassoio non era una salvietta ma un foglio ripiegato… lo aprì e al guardarlo la vita ritornò in lei.

Il disegno raffigurava un uomo dentro un albero, lo sguardo rivolto all’osservatore, che porgeva un rametto di pino tenuto nella mano.

……………………


5)


Sorretta dalla sorella, Solange entrò nella fredda stanza dell’obitorio.                 

Il responsabile  che le accompagnò aveva già scostato il lenzuolo dal volto, affinché in quei pochi metri di distanza si stemperasse l’inevitabile impatto emotivo. Un’accortezza frutto della lunga esperienza dell’uomo.

Un corpo può continuare a vivere senza la coscienza attiva ma, abbandonato dal respiro (l'energia vitale che lo mantiene), ridiventa il guscio che ne ha ospitato lo stupefacente mistero. 

Come ogni altro guscio servirà del tempo (o il fuoco) per cancellare del tutto l’impronta dell’ospitato, mentre cancellarne l’impronta nelle coscienze delle altre persone può richiedere una vita o più…

Un collegamento con la materialità di un corpo (conservato o divenuto cenere) allevia il peso dell’assenza, specialmente attraverso qualche oggetto sensibile posseduto dal defunto. Il culto dei morti distingue la nostra specie su questo pianeta.

In due casi gli oggetti sensibili trascendono la materialità, pur se ne abbisognano per essere percepiti, connotandosi più con le caratteriste della coscienza: il lascito artistico attraverso la parola scritta e la musica: amor ch’ha nullo amato è Dante così come Don Giovanni (e tanto altro) è Mozart.

Dopo un breve, infinito tempo, Solange con un’ultima carezza salutò il marito, proprio nel momento in cui il responsabile stava rientrando, tenendo qualcosa in mano.

- Signora, quando l’hanno portato aveva questo rametto di pino in una mano. La donna che ha trovato suo marito si era tanto raccomandata di lasciarlo.  

Solange, sbalordita dalla coincidenza, prendendo il piccolo rametto sentì immediatamente che quello era l’oggetto sensibile più potente collegato al marito. Ritornata a casa lo mise nel vasetto (con dell’acqua) assieme al suo. In breve si riprese dall’appassimento ed entrambi i rametti col tempo radicarono.

 

Anche Solange si riprese dall’appassimento e, abbandonata del tutto l’idea di risistemare l’esterno dell’ampia proprietà, si rese conto di non essersene mai interessata, se non per quello che ci poteva fare e non per quello che era.

Le ritornò in mente, quando la comperarono quattro anni addietro, la gentilezza della proprietaria Francesca che rimasta sola e con seri problemi fisici dovette trasferirsi in una struttura adeguata... rimasta sola come lei adesso.    

Nonostante quanto promesso (si dicono tante cose nel corso di una trattativa) non andò mai a trovarla, non perché ritenne sufficiente il paio di visite del marito… il motivo era che sapeva quanto teneva a quel pino.  

Adesso la sua vita e le cose che conteneva erano state cambiate da un potere superiore, in un processo di rimodellamento e trasformazione in atto che potò i rami ormai  rinsecchiti delle sue aspettative e desideri, per dar luce e spazio ai nuovi germogli. Due settimane dopo la morte del marito andò a visitare Francesca.

…………………………


6)


Francesca – ho saputo, gli volevo bene come a un fratello…

Solange – mi ha sempre parlato bene di te, ti era riconoscente per la casa… c’era dell’altro?

Francesca – la casa, certo… sai, quando siete arrivati avevo già una trattativa in corso ma non l’ho detto, perché non pensaste che fosse solo questione di denaro. In quella casa ho vissuto l’intera vita con mio marito, i miei genitori prima di me e i loro ancor prima; quando persone nelle mie condizioni sono costrette a decisioni talmente importanti da cambiare del tutto la loro vita, hanno un solo modo per sopportarne il peso…               

Solange – neanche io ho detto – per interesse, lo ammetto – che forse la soluzione migliore sarebbe stata un’assistenza domiciliare… so che potevate permettervelo.

Francesca – l’ho considerata, ma era una strada che sarebbe terminata con me, poiché non avendo figli, i miei eredi avrebbero proceduto alla vendita al miglior offerente. Un tempo avevo un’amica parecchio più anziana di me, non geniale ma certamente particolare per delle qualità che possedeva, soprattutto la capacità di porsi immediatamente nello stato d’animo altrui che distinse la sua attività professionale, esercitata al minimo tornaconto. Nel tempo libero disegnava elaborati e colorati disegni geometrici, li teneva per sé appesi su tutte le pareti di casa e, penso che ti sarà difficile crederlo, risuonavano con lei.

Solange – infatti… cosa intendi per risuonare?

Francesca – posso dirlo in negativo, partendo da un’esperienza comune: il senso di vuoto quando il proprietario non è in casa. Sovente quando lei si assentava per motivi di salute, andavo ad accudirne i gatti e le piante ma non gradivo stare a lungo all’interno, mi prendeva la tristezza perché presagivo quando l’avrebbe abbandonata per sempre. 

Una volta, mentre stavo innaffiando le piante del soggiorno mi parve d’essere osservata… alzai lo sguardo sui suoi quadri appesi alle pareti e - come amor ch’ha nullo amato è Dante e Don Giovanni è Mozart - quelle opere non solo erano lei ma ebbi l’impressione che fossero entrate in risonanza come dei diapason accordati…

Dopo qualche minuto la mia amica ritornò molto prima del previsto, poiché le rimandarono un esame per motivi tecnici. Le raccontai quello che provai e divenne triste… è umano affezionarsi a persone e oggetti.

Solange – con la morte di mio marito ho capito cose a cui non davo il giusto valore…

Francesca – sì, e non bisogna fermarsi… riguardo le opere della mia amica, in altre occasioni ebbi conferma che non fosse solo suggestione e un giorno accadde l’incredibile… vuoi ascoltarlo sapendo che in futuro potrebbe stravolgere la tua vita?                        

Solange – più di così…

Francesca – bene… quel giorno come in un dejà vu si ripropose la medesima situazione, ero nel soggiorno e innaffiavo le piante che risuonarono anche più della volta precedente. Mi sedetti, certa di veder comparire di lì a breve la mia amica, invece squillò il telefono… l’avevano ricoverata per accertamenti.

Subito dopo una persona bussò alla porta, con un tuffo al cuore (ero sicura di aver chiuso il cancello) andai ad aprire. 

Si presentò  una giovane donna che si era inventata un modo diverso per sopravvivere, proponendo dei libri che teneva in una borsa di cotone bianco, stampata. Disse di aver trovato il cancello aperto, scusandosi per essersi permessa di arrivare sino all’uscio accennò ai libri e stava già per andarsene, sommando l’eventuale rifiuto a innumerevoli altri.

Aveva un aspetto dimesso e seppur provata da una vita difficile, brillava nei suoi occhi una luce come non ho mai visto prima… dissi di attendere un momento. Lasciando la porta aperta andai in soggiorno per prendere dei soldi e avvenne l’incredibile… i quadri cantavano!

Solange – no, questo non posso crederlo…

Francesca – non potevo crederlo neppure io… infatti era la ragazza che stava intonando il motivo di una famosa canzone francese…

La mer
Au ciel d'été confond
Ses blancs moutons
Avec les anges si purs
La mer
Bergère d'azur
Infinie

… ma per come la cantava (lo faceva quando vendeva qualcosa, per ringraziamento), posizione, distanza e angolazione, per il fatto che quella canzone appartiene alla mia memoria come io appartengo ad essa e per altri ignoti motivi, la sua voce sembrava provenire proprio dai quadri. 

Fosse stato un fenomeno fisico di riverbero, suggestione o altro non fa differenza… era un segno, inequivocabile, di un potere in atto.

Solange – era anche la canzone preferita di mia madre, francese… e dopo?

Francesca – ero sbigottita… quasi in trance le detti del denaro (è troppo, disse…) e allungai la mano, scegliesse lei il libro. Si accomiatò con un caloroso sorriso, ritornai in casa e al vedere i quadri ritornati muti e spenti compresi il messaggio di quel potere… mi precipitai fuori e chiamai la ragazza, appena in tempo prima che salisse su una scassata Renault 4.

Si voltò sorpresa e ritornò da me, chiedendomi se per caso avevo trovato che il libro mancasse di qualche pagina. La rassicurai non fosse quello il motivo, bensì che avevo pensato di regalarne qualche altro ai miei amici. La invitai ad entrare per visionarli e fu lei stavolta a essere sbigottita, quasi in trance al guardare i quadri della mia amica.

Disse di aver sognato quei disegni e... adesso devi scusarmi ma è l’ora della terapia.

Solange – scusami tu, non ti avevo chiesto quanto tempo potevi dedicarmi… posso ritornare?

Francesca – se ti va di ascoltare questa vecchia chiacchierona (io) chiedi pure gli orari all’assistente.

………………………………


 7)



Qualche giorno dopo

Solange – ripensando a quello che mi hai raccontato è rimasto in sospeso qualcosa…

Francesca – da dove vuoi che riprendiamo?

Solange – dalla fine, quando la ragazza ha detto di aver sognato i disegni della tua amica... erano davvero così somiglianti da provocarle quella sorta di trance?

Francesca – non solo, Anna (la ragazza) mi mostrò un foglio dove appena sveglia ne aveva schizzato un paio… semplicemente incredibile.             Accondiscese a prestarmelo per mostrarlo il giorno dopo alla mia amica Violetta. Comperai tutti i libri che mi lasciò con la borsa stampata, assicurandole che la mia amica al suo ritorno ne avrebbe sicuramente presi altrettanti.

Raccontai a Violetta quanto accadde, da abbattuta che era man mano si rialzò sul letto e al vedere gli schizzi le si illuminò il volto… si fece dimettere su due piedi e volle incontrare Anna il prima possibile. 

Ci sarebbe molto da dire al riguardo… Violetta morì qualche mese dopo – ormai sono vent’anni -  felice di aver lasciato la sua casa con tutti i quadri ad Anna e suo figlio Piero, che si trasferirono da lei in breve tempo.

Anna era una ragazza madre che si rifiutò di interrompere la maternità e si dedicò al figlio, nato con dei problemi… ma con la sua stessa luce negli occhi, anche se di un altro colore. Si arrangiò in tutti i modi possibili purché leciti, privando se stessa anche del necessario senza farlo mai mancare al figlio.

A Violetta il destino offrì il modo di giungere al capolinea sapendo che quanto aveva più a cuore (le sue opere) sarebbe stato preservato, infatti Anna non modificò nulla nella casa, eccetto la stanza dove si stabilì Piero.

Solange -  una bella storia, commovente… me l’hai raccontata per spiegarmi cosa intendevi per “il solo modo per sopportarne il peso?”

Francesca – sì, anche per la mia casa e voi…

Solange – riguarda anche il pino, vero?  

Francesca – certamente, il pino vi ha scelto…

Solange – come poteva? Nel caso avrà scelto mio marito, non certo me che volevo farlo tagliare…

Francesca – come te lo dirò dopo… ma tu non l’hai tagliato e non lo farai in futuro, no?

Solange – solo adesso comprendo cosa provava mio marito per quell’albero, purtroppo per me era solo legna da togliere… mi sento terribilmente in colpa.

Francesca – avresti potuto importi ma hai pazientato tre anni…

Solange - non ho meriti per questo, semplicemente accadeva sempre qualcosa a procrastinare il progetto.

Francesca – però tu accettavi la sospensione… era già oltre il tuo limite, un’altra persona avrebbe fatto procedere i lavori comunque.

Solange – se avessi abbandonato del tutto l’idea avrei migliorato la vita di mio marito…

Francesca – questo non si può sapere, poteva morire prima…

Solange – (seguendo un’intuizione) l’altra volta ti ho chiesto se c’era dell’altro che giustificasse il tuo sentimento per mio marito…

Francesca – sì, c’è dell’altro e gli promisi di rivelarlo solo se me l’avessi chiesto…

 

Durante le trattative per l’acquisto, l’uomo fu sorpreso dal comportamento di Francesca che gli venne incontro per ogni questione posta, non ultima la cifra da pattuire che ridusse sino alle sue disponibilità.

Ebbe il sospetto che potesse esserci un’urgenza inconfessabile e diede incarico di verificare la storia geologica del luogo, la regolarità documentale ed eventuali progetti regionali o europei che potessero interessare la casa o la zona. Niente, tutto era più che a posto… nemmeno qualche piccolo abuso edilizio da sanare, proprio un vero affare, un colpo di fortuna incredibile.

Era evidente che la più che anziana proprietaria manifestava una simpatia verso di lui e si vergognò del pensiero di approfittarne ulteriormente, avendo già ottenuto fin troppo. Sapendo che non aveva figli suppose che l’urgenza riguardasse eventuali conflitti legati all’eredità, meglio gestibili convertendo gli immobili in denaro. Ma dopo le firme sul preliminare le chiese apertamente quale fosse il motivo di tutte le notevoli concessioni.

Francesca rispose che l’urgenza riguardava la sua età e il desiderio di “lasciare la stanza in ordine” – così si espresse – per tempo. Al che lui replicò schiettamente che nello stesso tempo avrebbe potuto spuntare senza dubbio almeno il venti percento in più (come gli confermò l’intermediario della donna, a sua volta sorpreso della determinazione a concludere l’anomala trattativa al ribasso con lui), inoltre confessandole d’aver avuto il pensiero di abbassare ancora l’offerta.

Francesca replicò che l’avrebbe accettata comunque, buon per la sua coscienza che non oltrepassò il limite. Disse che quando vennero a visitare la proprietà – Solange si interessò dapprima agli interni, accompagnata dall’agente immobiliare – volutamente mentre conversavano lo fece camminare attorno al pino. Lui non badò alla manciata di giovani rametti che caddero cerchio sulle sue orme.

Quando le parti si invertirono e toccò a Solange, ancora il pino-oracolo  “sacrificò” qualche altro rametto… confermando a Francesca che nonostante l’indifferenza alla fine l’atteggiamento della donna sarebbe cambiato.

Solange – (la interrompe) anche per questo, come i quadri che “cantavano”, la spiegazione è forse la stessa (il vento) di quanto mi è accaduto due settimane fa con un rametto del pino (racconta l’episodio).  

Francesca – ah… ne riparleremo, una spiegazione c’è di sicuro, ma chi la ascolta è in grado di accettarla?    Le piante sono organismi viventi altamente evoluti e per quanto adattabili c’è chi non ottiene risultati neppure sufficienti con esse, al contrario di altri.

Senti questa storia (vera – ndr): a una donna che teneva in casa un esemplare di grusone (cactus di forma sferica con spine lunghe e acuminate) di notevole diametro a cui si rivolgeva come altre persone al loro gatto o al cane, accadde di incespicare e strofinare violentemente un braccio sulla pianta.    

Gli aculei eseguirono il compito per cui erano stati creati, ferendola profondamente.  La donna in un incontrollabile impeto di rabbia mista al dolore imprecò contro il cactus, in malo modo è dir poco.                    La mattina seguente, col braccio fasciato e medicato, quando ritornò dalla sua pianta per scusarsi tutte le sue spine erano cadute. 

Se hai fiducia che la storia sia vera c’è un solo modo per spiegarla, ma non hai bisogno delle storie altrui… guarda alla tua, dove qualcosa ti sta guidando.

Solange – (piangendo) … scusamihai ragione ma non riesco ad accettare che sia tutto finito…

Francesca – nessuno può riuscirci completamente perché nella memoria c’è anche qualcosa che mantiene un collegamento con i nostri cari.

Solange – (racconta dell’altro rametto di pino all’obitorio). Li ho messi in acqua e la donna delle pulizie mi ha detto che sono spuntate delle piccole radici bianche…

Francesca – (vedendo arrivare l’assistente) come vola il tempo… dimmi solo una cosa, come sono quei due rametti?

Solange – (stupita) sinceramente devo dire che li ho appena guardati, sembrano simili, penso come tutti i rametti…

Francesca – dobbiamo sospendere, continueremo la prossima volta… grazie della visita, Solange.

……………………………


 8)


Lisette, ritornata a trovare la sorella si sorprese di quanto fosse cambiata, pur patendo gli inevitabili mancamenti che talvolta la facevano sprofondare nella consapevolezza dell’assenza definitiva, diversamente da prima il suo modo di parlare e di muoversi (più stabile e sicuro) indicavano una prospettiva, una direzione verso cui procedere. Conoscendola, era sicura che fosse accaduto qualcosa e poiché avevano l’abitudine di parlarsi apertamente…

Lisette – fatti, persone o parole?

Solange – a che riguardo?

Lisette – a te… dev’esserci un motivo per il tuo cambiamento.

Solange – mi conosci bene… tutti e tre. Sono stata a trovare Francesca, l’ex proprietaria, ascolta… (racconta le due conversazioni).

Lisette – accidenti, si è aperto un mondo…

Solange – è lo stesso pensiero che ho avuto anch’io. Ne ho avuto anche un altro: tu fai parte di quel mondo, senza la tua presenza non ce l’avrei fatta.

Lisette – ti ci voleva più tempo ma ne saresti venuta fuori.

Solange – forse sì e forse no… ma non nel mondo che hai detto. Tu hai trovato il disegno, me l‘hai portato con la spremuta e aperto la finestra. Eri con me sotto il pino ad asciugare le mie lacrime e se non mi accompagnavi non sarei andata a porgergli l’ultimo saluto…

Lisette – capisco quello che vuoi dire, le persone orientano le circostanze, giusto?

Solange – sai leggermi meglio di me stessa… la mia sorella maggiore, pensa se fossimo nate gemelle!

Lisette – beh, invidiavo la tua eleganza e non mi sarebbe dispiaciuto vestirmi come te, i gemelli lo fanno. A proposito di somiglianze… Francesca ti ha domandato come sono i due rametti, me li mostri?

C’era un gioco che facevano tra loro: porsi una domanda, scrivere la risposta su un foglietto e al segnale mostrarlo contemporaneamente. Decisero di ripeterlo e Lisette formulò la domanda: che ne pensi? Solange va a prendere il vaso di vetro con l’acqua, lo mette sul tavolo ed entrambe osservano a lungo e attentamente i due rametti con le loro minute radichette bianche. Scrivono la risposta sul loro foglietto e al “via” li scoprono.

Lisette – “identici”

Solange – “sono uguali”

Come per dei fiori che ad uno sguardo veloce appaiono simili e solo osservandone i particolari si notano le differenze, così pensavano fosse per i due rametti. Costretti nello stesso recipiente, l’orientarsi verso la luce ne aveva giocoforza plasmato il portamento, ma biforcazioni, squame, numero di aghi, dimensioni… tutto coincideva e poteva finire lì con un senso di meraviglia… se non fosse per due di quei particolari: le tre coppie di aghi più vecchi erano spezzati negli stessi identici punti, come era identica la sfrangiatura della ferita dovuta allo strappo.                     

Solange – le spine sono cadute…

Lisette – eh?

Solange – i rametti sono come il grusone (cactus) e l’impossibile coincidenza equivale alle spine di cui parlava Francesca che, testuali parole, disse: “se hai fiducia che la storia sia vera c’è un solo modo per spiegarla”.

Lisette – l’analogia ci sta… in che modo lo spieghi?

Solange – beh, come Francesca: ”ma non hai bisogno delle storie altrui… guarda alla tua, dove qualcosa ti sta guidando.”

Lisette – se la spiegazione è quel qualcosa, resta indefinita…

Solange – giusto, diciamo che possiamo solo riconoscere che sia così.

Lisette – però, non ti sembra strano che Francesca ti abbia domandato dei rametti?

Solange - e solo prima di salutarmi…

Lisette – ti ha dato i compiti per casa, certo che…

Solange – le chiedo se dopodomani posso portare anche te?

Lisette – oh… mi piacerebbe conoscerla prima di ripartire. Posso anticipare a domani la firma sul modulo… dell’ospedale, l’avevo scordato e mi hanno sollecitato.

Solange - … dell’obitorio, tranquilla. Vengo con te.

Lisette – non serve, è questione di poco tempo.

Solange – serve a me… vorrei ringraziare il responsabile.

 

Le due sorelle entrarono nella struttura e come previsto bastarono pochi minuti. Solange chiese del responsabile ma seppe che era in pausa per un paio d’ore, tuttavia la segretaria, vedendola dispiaciuta, le disse (facendosi sfuggire un sorrisetto e pregando di non citarla) che di solito la trascorreva (la pausa) nella pineta dell’ospedale. Chiedendosi il motivo del sorrisetto la ringraziò e s’incamminò sul viale assieme alla sorella, sotto l’ombra fresca e secca degli alti pini domestici.

……………………………


9)

          

Al vedere il responsabile venire verso di loro, Solange si stupì di non rammentarne la notevole statura (per quanto fosse stata affranta due metri d’altezza non passano inosservati) diversamente dal volto che riconobbe da una discreta distanza, anche se quando furono abbastanza vicini le parve più giovane, sui quarant’anni.

Solange – buongiorno, sono Solange e questa è mia sorella Lisette e…

Responsabile – (riconoscendola)… io mi chiamo Zeno, buongiorno a voi. Come va, signora?

Solange – (scambiandosi una stretta di mano… la sua ci stava due volte in quella di lui) ho assorbito lo shock ma non il fatto… desideravo incontrarla per ringraziarla di tutto. Sa, il rametto di pino ha sviluppato delle radici, spero che attecchisca e cresca poiché è il ricordo vivente di mio marito.

Zeno – grazie a lei per la gentilezza, fare bene il mio lavoro è tra le cose più importanti. Il rametto… stia attenta, metterlo a dimora in terra è la fase più delicata.

Solange – se ne intende?

Zeno – abbastanza per darle qualche consiglio, le conifere sono la mia passione, soprattutto il pino domestico come il suo e questi maestosi esemplari nel pieno della maturità. Qui non mi ascoltano… vedete lì, la nuova zona parcheggi proprio sotto i pini, senza alcuna protezione delle radici se non uno strato di ghiaia e sopra l’asfalto con le bianche linee di delimitazione, quelle sì eseguite a regola. La compressione del terreno per il transito e peso dei veicoli causerà la formazione di noduli sempre più estesi sulle radici superficiali…  

Lisette – sono i noduli che sollevano l’asfalto?

Zeno – infatti, l’albero reagisce alle sollecitazioni, l’apparato radicale è esteso come la chioma, altrettanto complesso e ramificato; asfalto e cemento sono una barriera all’aria e acqua... in poche parole, soffre.

Lisette – ma se serviva il posteggio…

Zeno - si lasciavano delle ampie aiuole di rispetto, certo meno posti... questi pini di oltre cinquant’anni sono come i nostri genitori, quando non ci saranno più sentiremo il vuoto che lasciano nelle nostre vite.

Solange – senta, Zeno… le chiedo se potrebbe dedicare un po’ di tempo ai miei rametti (sì, sono due), glieli porto dove vuole, la ricompenso, s’intende.

Zeno – per ricambiare la vostra visita sarei contento di aiutarvi e, visto che mi avete ascoltato, se accetta un altro consiglio…

Solange – ci mancherebbe, accettato, dica pure!

Zeno – se quei rametti li terrete in vaso me li può portare qui. Ma se avete già l’intenzione  in futuro di piantumarli in terra… beh, ci terrei molto a seguirne le fasi fin dall’inizio, venendo io da voi…

Solange – non speravo tanto! Sì, l’intenzione è quella, questo è il mio numero, mi mandi un messaggio per accordarci. Adesso possiamo darci del tu, va bene?

Zeno – certamente e visto che stiamo facendo amicizia permettetemi di offrirvi un caffè (le sorelle accettano, arrivano ai tavolini all’aperto e si siedono). Prometto che non lo dico – la segretaria è stata… gentile?

Solange – molto gentile, se non era per lei oggi non ci incontravamo, ha solo fatto un sorrisetto…

Zeno – meno male, è qui da un anno, una brava ragazza e beh, mi ha fatto intendere… mi dispiace ma proprio non ci penso, così nelle pause preferisco stare all’aperto. Per lei non è normale passare il tempo sempre sotto i pini, glielo lascio credere, anche se è vero…

Lisette – (sorridendo) pare contradditorio, è normale o no?

Zeno – del tutto normale avere interessi diversi… ma se sapesse che a tutti i 161 pini della pineta ho dato un nome e li saluto giornalmente, voi che direste?

Lisette – ho un’amica insegnante che ha più o meno quel numero di alunni, devi avere una buona memoria per ricordarli… come fai, hai impiegato dei numeri?

Zeno – no, nessun numero né sigle… nomi di persone, come gli alunni.

Lisette –… nomi a caso?

Zeno – (un’ombra di tristezza tolse per un attimo la luce ai suoi occhi… ma si riprese in fretta) visto che un po’ ci frequenteremo, prima o poi avrei dovuto dirlo, tanto vale farlo subito…

Avevo quattordici anni, degli splendidi genitori e due adorabili sorelle gemelle di dieci anni. Promosso con pieni voti e lode all’esame di licenza media per premio fui mandato in anticipo in Toscana, vicino al mare, da una mia zia dove mi attendeva il regalo che sognavo, una vespa 50 ET2 che uso tutt’ora. I miei genitori mi avrebbero raggiunto con le gemelle la settimana dopo, per le ferie del babbo.

Il giorno prima della loro venuta, di sera, nello stesso momento in cui si scatenò un temporale di un’intensità inaudita squillò il telefono. Vidi mia zia rispondere e cadere svenuta dopo meno di un minuto, col telefono ancora in mano. Chiesi aiuto urlando per le scale, arrivarono i vicini che chiamarono il dottore. Quando mia zia si riprese non era più la persona che conoscevo… non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, c’erano almeno dieci persone in casa che parlottavano tra loro sottovoce e mi guardavano strano, le finestre erano rimaste aperte e c’era acqua dappertutto… l’amica di mia zia del piano sottostante mi prese per mano e mi portò a casa sua, dicendomi che suo marito sarebbe rimasto con lei quella notte, per assisterla. Ero preoccupato, quello che accadeva mi impauriva da togliermi le forze, la signora mi fece bere una bevanda calda e stette vicino a me sul divano finché mi addormentai. Qualcosa nella mente mi paralizzava, impedendomi di collegare la telefonata allo svenimento di mia zia, l’avessi fatto sarei corso a casa e probabilmente avrei telefonato ai miei per avvisarli dell’accaduto. Non sapevo che a mio padre avevano anticipato le ferie di un giorno, a sua volta anticipò la partenza senza avvisare me e la sua amata sorella (mia zia) per farci una sorpresa….

Il destino, nella forma di un gancio che si ruppe, fece scaricare il carico di tronchi dal rimorchio di un camion… mio padre e le gemelle morirono sul colpo ma mia madre sopravvisse per un po’ - altrimenti mi sarei gettato dalla finestra o annegato – per impedire a quel destino di cancellare dall’esistenza tutta la sua famiglia, la ragione e il significato della sua vita. Almeno uno doveva rimanere per testimoniarne l’amore.

Zeno – Scusatemi, non era questo che volevo dire, non so come mai mi sono fatto prendere dai ricordi…

Solange – (dando dapprima un’occhiata alla sorella, al par suo con gli occhi lucidi di commozione) ti prego, se puoi continua… è molto importante per noi due.  

(Zeno, avvertendo che qualcosa li accomunava, riprende la narrazione.)

Nonostante dessero pochi giorni di vita a mia madre, certi che non si sarebbe risvegliata, tra lo stupore del personale medico lei riaprì gli occhi, impegnando tutte le sue residue forze per riprendere la fonazione. 

A causa della compressione subita non c’era speranza per gli organi interni. Ero con lei e piangevo tutto il tempo, sapevo che ne aveva per poco e la pregavo di portarmi con lei, da mio padre e le gemelle… improvvisamente emise un suono, poi un altro e quando riuscì a pronunciare il mio nome… non si può descrivere l’amore.

Ci guardammo e seppi cosa voleva da me…

“vuoi una promessa, mamma?” – annuì

“te lo prometto, sopporterò il dolore quando te ne andrai, ma tu promettimi che ci ritroveremo, col papà e le mie sorelle.”

“sì, Zeno” – le sue ultime parole

Le tenevo la mano e poco dopo, con un leggero sorriso, chiuse gli occhi per sempre.

Zeno – (dopo un respiro profondo, guardando le due donne che non trattennero le lacrime) adesso so perché mi sono confidato, è successo anche a voi, vero?

Lisette – sì, con nostra madre. Eravamo giovani ed entrambe le tenevamo la mano… dici che ci aspetterà?

Zeno – certamente, il compito di una madre non finisce con la sua morte ma con quella dei figli, questo è quello che credo io.

Solange – (passato il momento di intensa partecipazione emotiva) e invece quello che volevi dire, riguardo i nomi?

Zeno – ottima memoria! È presto detto, mia madre aveva una passione per le parentele, conosceva gli alberi genealogici paterni e materni sino… ad Adamo ed Eva. Conservava gelosamente le fotografie di tutti – mezzo armadio di scatole e album – e le piaceva mostrarmele citando nomi e parentele, sperando di infondermi il suo interesse, allora senza troppo successo debbo dire. Dopo, riprendendo quelle scatole e album, ho immaginato di stare con lei mentre li sfogliavo e rovistavo nelle scatole. Beh, un giorno mi sono persino addormentato e al risveglio ho deciso di recuperare il più possibile di quegli alberi genealogici… riversandone i nomi negli alberi di questa pineta.


******

………………………


10)


Lisette – grazie Francesca, non c’è stata occasione in precedenza ma, dopo che ultimamente mia sorella mi ha parlato di te, ci tenevo a incontrarti.

Francesca – grazie a voi, apprezzo un po’ di compagnia. Spero che Solange ti abbia anche avvisata che sono un poco strana, racconto e forse m’immagino storie che poi confondo con la realtà. Quando si è giovani i dipinti stanno dentro le cornici che poi con l’età si dissolvono e tant’è, non si capisce bene dove finisce un quadro e ne inizi un altro.

Lisette – Una sorta di smarginatura, direbbe qualcuno. Non importa, mi piace più ascoltare la voce che le storie e la tua è davvero armonica e fresca, molto più giovane della tua età.

Francesca – adesso ho ottantacinque anni. Si dice che in futuro verrà abolita la vecchiaia con l’obbligo di rimanere produttivi sino alla fine, chi non ce la fa lascia il posto, in che modo è da vedere. Che ne pensi?

Lisette – spero non sia imminente, mio marito Franco tra un mese andrà in pensione a 65 anni compiuti, con 45 di contributi e una vita di lavori pesanti alle spalle… direi che può bastare. Sarò contenta al vederlo dedicarsi ai suoi hobby, al massimo mi aiuterà per le spese, la cucina e il nipotino della nostra unica figlia.

Francesca – da ragazza, quando l’anno duemila era il futuro, dibattevo della grande disponibilità di tempo libero che il progresso avrebbe consentito. Ma da ciò che vedo le enormi risorse che la tecnologia ha reso disponibili non hanno avvicinato quel traguardo, anzi…

Lisette – le risorse vengono impiegate male, il motivo è sempre il lato oscuro della coscienza umana...

Francesca – (osservandola con interesse, poiché arrivò subito alla conclusione) sì, è quello il punto, l’oscurità neutralizza le piccole luci che lavorano per il cambiamento. Per quella strada, forse non c’è speranza.

Lisette – non credo si possa far altro che portare ognuno la propria luce per illuminarla, la strada. Si procede fin che c’è (luce) e poi ci si rassegna, no?

Francesca – certamente, pur se alle spalle l’oscurità… riprende possesso dell’esistente.

Lisette – è una legge fisica, la luce non si ferma.

Francesca – diversamente dalla luce, le persone possono.  

Lisette – sì, ma a cosa serve se la luce se n’è andata e l’oscurità non si può vincere?

Francesca – a considerare il percorso, come sei arrivata sin dove sei arrivata e dopo un po’, considerare che non sia solo un caso… come non è un caso che un violinista prema esattamente il punto giusto sulla corda per ottenere la nota desiderata.

Lisette – beh, mia figlia ha imparato a suonare il violoncello, è questione d’esercizio, coordinazione e tante altre cose…

Francesca – vedi, stai considerando il percorso che conduce a quella nota… non è per caso che un musicista anche nella totale oscurità può trovarla, no?

Lisette – d’accordo, non è un caso… e come si collega con le persone che possono fermarsi?

 

Solange, sbalordita dall’argomentare filosofico e della subitanea sintonia tra Francesca e la sorella, le ascoltava a bocca aperta. Ricordò quando, dopo la morte della madre, Lisette interruppe il brillante percorso universitario umanistico decidendo per un corso di specializzazione infermieristico. Tanti provarono in tutti i modi a farla ritornare sui suoi passi ma non ci fu verso, neppure di farsi spiegare il motivo, indubbiamente connesso al lutto. Quella fu una porta che mantenne chiusa, anche al marito.

Adesso che la sentiva, quasi tre decenni dopo, discutere con Francesca di argomenti che sottoponeva alla madre (di cui si era prefissata di seguirne le orme accademiche), troppo astrusi per lei più giovane di quattro anni, le parve che il tempo fosse tornato indietro. Era del tutto certa che la sensibilità di Francesca colse quel lato “in ombra” della sorella. Pensò - nello stesso momento in cui Lisette stava dicendo che la luce non si ferma - che non sarebbe successo se il giorno prima Zeno non avesse aperto la porta, permettendo alla luce di Francesca di entrare per… sì, cercare di liberarla dal voto segreto di rinuncia a una parte importante di se stessa.

 

Francesca – oh… la luce non si ferma, per un motivo o l’altro va via, si allontana da te alla sua incredibile velocità. Puoi decidere di non muoverti o qualunque altra cosa ma la luce non tornerà. Allora che fai?

Lisette - … se rimango lì?

Francesca – se consideri che l’enorme complessità della vita che ti ha portato sin lì non sia frutto del caso, come non lo è la nota per il musicista, potresti avere fiducia di muoverti anche senza luce, suonare nell’oscurità?

Lisette – se nonostante i miei sforzi… non ci riesco?

Francesca – immagina di averla… come l’hai avuta per ascoltarmi.     

Lisette - … mia sorella ti ha raccontato qualcosa di me?

Francesca – c’è qualcosa che i tuoi occhi possono nascondere ad una vecchia signora che non distingue più il dipinto dalla cornice?

In Lisette, quel “qualcosa”, nella forma del giuramento che fece a se stessa di precludersi un sicuro successo negli studi, “considerandolo” inutile dopo la morte dell’amata madre, si smosse dal fondo del cuore dove l’aveva sigillato.

Vide o immaginò nel volto “della vecchia signora”, quello di sua madre e per un istante ebbe la sensazione che la sua scia di luce (che ognuno lascia al passaggio terreno) riaffiorasse in lei. Per la prima volta nella sua vita “considerò” che uno degli scopi dell’oscurità fosse di accogliere la luce, come il letto d’un fiume l’acqua.

Ancor più che il giorno innanzi con Zeno, non poté trattenere la tempesta interiore che stava per travolgerla e Solange, che ne percepì l’arrivo, fu lesta a lasciarle sole, rientrando dopo un bel po’, assieme all’assistente che implicitamente significava il termine della visita.

Si congedarono (affettuosamente) da Francesca e nell’avviarsi all’auto Lisette prese sottobraccio la sorella.

Lisette – grazie per avermi lasciato sola… so che hai capito quanto è successo, Francesca è una persona speciale e dopo ti riferirò alcune cose che mi ha detto, ma una mia te la dico adesso…

si tolse gli occhiali da sole e Solange rivide la luce di un tempo nei suoi splendidi occhi azzurri (che un po’ invidiava) 

… tra poco sarà il compleanno della mamma e le farò il regalo che si attendeva da me: ho deciso di riprendere l’Università.

…………………………


11)


Nella sua attività professionale Violetta veniva guidata dall’intuizione, quel diverso modo di manifestarsi dell’ispirazione al di fuori dell’ambito artistico. Ma sia in quest’ultimo che in quello di lavoro, le differenti manifestazioni del soffio provenivano dallo stesso mantice: la geometria.

Aveva una grande sensibilità per i colori e una notevole collezione di matite colorate delle migliori marche, nonché tempere, acrilici e altro per esprimerla, tuttavia all’occasionale osservatore ammaliato dalla caleidoscopica trama colorata, sfuggiva il potere dell’ordito: il disegno delle linee dritte e curve che riempivano il supporto (ligneo o cartaceo) con forme di ogni sorta, coerenti con una suddivisione geometrica e rigorosa dello spazio.

Violetta assegnava ai colori il ruolo (secondario) di pregevoli e meravigliosi drappi, con cui ricoprire la potente nudità ascetica delle linee sottostanti che, originando da una sua disposizione innata e comandate da un (geometrico) ordine nascosto, alfine “apparivano” nel disegno, come appare una poesia, un racconto, una musica… da chissà dove.

Analogamente nella sua professione si ripeteva lo stesso processo creativo. All’incontrare una persona si attivava immediatamente in Violetta la stessa disposizione innata che rivolta all’interlocutore lo spogliava dai drappi colorati emotivi e relazionali, rivelando il geometrico ordito di linee che li determinavano e sostenevano. Il suo approccio terapeutico, alquanto insolito, consisteva nel leggere e spiegare quel disegno nascosto potendo, come in un libro scritto, avanzare e retrocedere nelle pagine seguendo origine, sviluppo e conclusione delle linee narrative.

A Violetta bastava una linea per collegarsi a tutte le altre e leggerle alla persona, sconcertata e meravigliata della conoscenza di eventi e contenuti emotivi non rivelati o tenuti nascosti.

 

Nel giugno del 1990 Francesca (50 anni), venuta a conoscenza del differente modus operandi di Violetta, pur sapendo che non esercitava più, la contattò telefonicamente.

 

Francesca – buongiorno, ho avuto il suo nominativo da un amico che si era rivolto a lei per consiglio.

Violetta – chiunque sia, sarà stato più di dieci anni fa… mi dispiace, ma se chiama per un incontro devo dirle che mi sono ritirata, tuttavia potrei consigliarle un bravo terapeuta.

Francesca – ne ero a conoscenza, mi sono permessa di telefonarle non per una consulenza ma a causa di una strana coincidenza, troppo lunga da descrivere. Il mio solo scopo era di farle avere il mio numero… nel caso accadesse qualcosa di insolito anche a lei. Grazie e mi scusi il disturbo.

Violetta – di niente, si figuri…lo terrò a mente e nel caso la chiamo, buona giornata.

Dopo una mezzora dal termine della telefonata, l’insolita agitazione che ne scaturì non abbandonò Violetta che conosceva bene quello stato, una sorta di grezza premonizione quasi sempre foriera di notizie o eventi di rilievo in arrivo. A volte furono lutti, visite inattese o mutamenti anche repentini del suo stile di vita. Imparò per esperienza ad accettare l’araldo qual che fosse il messaggio, avendone in cambio la percezione della propria linea-guida, quella attraversata da tutte le altre, personali e altrui. Quali che fossero gli eventi e le prove della vita, non ne modificavano né l’origine né la direzione e realizzò che essa (la linea-guida) non fosse altro che la propria linea del destino impressa sulla Mano universale. Come in un libro, tutto era stato scritto e al lettore, se lo voleva, non rimaneva che leggerlo e farsi condurre al punto d’arrivo.

Ma oggi c’era qualcosa di “diverso”…                                                                         

…uscita nel giardino si accomodò nello sdraio, sotto il grande ulivo sposato al limone che ne ombreggiava il fusto, lasciando ad esso l’altezza ed usufruendo della protezione delle sue rigogliose fronde dal vento talora troppo freddo. Violetta aveva 73 anni e non avendo figli, dopo la dipartita del compagno ben più anziano, si arrovellava alla ricerca di una soluzione per quando anch’essa avrebbe dovuto abbandonare la sua casa, i quadri, gli amati alberi… e quei meravigliosi, grossi, succosi limoni gialli.

Quando usciva nel giardino dimenticava se stessa e il mondo degli umani, per dedicarsi ai suoi silenti compagni di viaggio. 

Sotto i suoi piedi le radici dei due alberi, estese e profonde quanto le chiome, si compenetravano accettandosi vicendevolmente e usufruendo entrambe dell’apporto azotato dei semi di lupino spezzati.           

Condivisione, pensò, prima d’assopirsi al sole filtrato dal fogliame dei suoi due guardiani. In quello stato sospeso tra veglia e sonno, ecco che il “diverso” da percezione divenne forma: vide la propria linea-guida inoltrarsi sempre più profondamente nello sconosciuto, attraversata o accompagnata per un po’ da innumerevoli altre. A un certo punto un’altra linea simile alla sua si affiancò e  un’altra più avanti pareva attenderle entrambe… per cosa, se non unirsi?

L’emozione della visione la destò e per consolidarne il ricordo, mantenendo gli occhi  chiusi, spostò velocemente l’attenzione nei particolari che altrimenti di lì a breve sarebbero svaniti, riuscendo a cogliere “qualcosa” oltre la seconda linea in attesa: una sorta di perturbazione nella rigorosa geometria del “luogo”.  

Un uccellino - uno scricciolo – che si muoveva agile tra i contorti rami del limone, accortosi del suo risveglio si fermò, guardandola a lungo come ella fece a sua volta. Gli scriccioli sono tra gli uccellini più elusivi, all’estremo opposto del curioso pettirosso… nel minuscolo punto nero del suo occhio Violetta percepì la perturbazione che la stava osservando.  

…………………………


 12)


Violetta attese qualche giorno prima di chiamare Francesca, dicendole che effettivamente lo stesso giorno della telefonata le successe qualcosa di insolito. Concordarono di vedersi a casa sua per conoscersi e parlare delle loro strane esperienze.

Francesca – buongiorno, grazie dell’invito (procedendo dal giardino verso l’entrata di casa passarono sotto i due “guardiani”: l’ulivo e il limone). Perbacco che begli alberi, l‘ulivo avrà più di cinquant’anni e il limone direi la metà; è sorprendente come si compenetrano, mai visto niente del genere, devi averci lavorato parecchio per un tale risultato.

Violetta – te ne intendi: quasi settanta l’ulivo, venticinque il limone ma salvo qualche intervento necessario non ho fatto altro; la storia di questo risultato merita di essere raccontata.                     

Mio marito Roberto un giorno arrivò a casa dicendomi che mentre camminava al mercato, per una spinta accidentale, gli si era impigliato il maglione di lana su una pianta di limone.                                                Il commerciante, scusandosi poiché essendo l’ultima dell’esposizione (la più striminzita) l’aveva lasciata indietro in mezzo al passaggio, per perdere meno tempo stava già per tagliarne il ramo aggrovigliato. Roberto intervenne dicendo che con calma l’avrebbe districato lui, tra l’altro il ramo in attesa d’esser ghigliottinato era uno dei pochi con un po’ di vegetazione su quello scheletro d’albero, sicuramente rifiutato da tutti anche per la forma scomposta.

Alla fine l’ha comperato e portato a casa… lui che mi raccomandava di moderarmi con gli acquisti di piante che poi andavano irrigate.

Francesca – beh, per come è diventato aveva visto giusto, davvero non li hai un po’ guidati i due alberi?

Violetta – no, la forma sbilenca si adattava perfettamente e hanno trovato da soli il modo di coesistere dividendosi lo spazio.                               

La finestra che affaccia sul limone è del piccolo studio dove Roberto man mano trascorreva sempre più tempo… diceva che lì c’era sempre il sole, infatti il limone è della varietà quattro stagioni e non ricordo di averlo mai visto del tutto senza frutti.


completata la visita del giardino entrarono in casa… e se i due alberi si ergevano a  guardiani dell’esterno qui lo erano i quadri che tappezzavano tutte le pareti. L’impatto visivo del gran numero di opere (di tutte le dimensioni) fu tale che Francesca rimase per un po’ senza parole. 

Francesca – adesso capisco cosa intendeva Luigi - l’amico che mi ha parlato di te - per “devota alla geometria”, secondo lui tutto inizia, si sviluppa e conclude in essa.

Violetta – dal solo nome non ricordo la persona, ma se ti ha detto così di me ha colto il fondamento della mia esistenza. In questa stanza sono passate moltissime persone assillate da problemi di ogni tipo, ma quelle che hanno prestato attenzione ai miei disegni sono davvero poche… sono contenta, oggi una in più! Che altro ha detto questo Luigi?

Francesca – sei hai tempo te la racconto, è una storia che parte da lontano… (cenno di assenso). Poiché ti piacciono alberi e giardini forse conosci il posto dove abito, là si trova il pino domestico più vecchio di tutta la zona e tra una ventina d’anni avrà due secoli.

Violetta – molti sanno di quell’albero, ogni tanto Roberto me ne parlava e avrebbe desiderato vederlo. Purtroppo sono piuttosto riservata, gli dicevo che non era il caso di disturbare e di attendere il momento giusto... (gesto di sconforto)

Francesca – sì, tanti sanno del pino… qualcuno anche delle voci al riguardo, tu sei tra questi?

Violetta – beh, qualcosa avevamo sentito, giusto delle voci senza fondamento su presunte stranezze, ma Roberto dopo l’acquisto del limone ne era più interessato. Finalmente saprò cosa c’è di vero?

Francesca – la mia famiglia è proprietaria del casale da cinque generazioni. C’è una specie di leggenda che ci tramandiamo:

 

la moglie del mio trisnonno morì di parto dopo aver dato alla luce due gemelli. Egli con l’aiuto dei familiari li crebbe ma, pur facendosi forza, non riuscendo ad accettare il distacco dall’amata consorte non fu capace di sostituire all’amore per essa quello per le due innocenti creature. Il trauma dell’evento tra le altre cose gli impediva di dormire nella loro camera e prese a vagare di notte per le colline, fin quando assalito dalla stanchezza riusciva a prender sonno dove capitava, per ritornare a casa prima dell’alba, passando prima per il cimitero per un saluto alla defunta. Il mai sopito dolore, il lavoro e il peregrinare notturno lo stavano velocemente consumando, tanto più che usciva con qualsiasi tempo, freddo o pioggia che fosse.

Fu appunto in una notte di pioggia che uno smottamento lo travolse facendolo precipitare in un canalone, in fondo al quale sarebbe stato sommerso dal fango… se un alberello non ne avesse arrestato la corsa. Fu ritrovato incosciente a giorno inoltrato da familiari e amici, allertati da un cacciatore che ne scorse il giaccone perso nella caduta. Riportato a casa dovettero necessariamente metterlo nel suo letto, dove gli ci volle una settimana per riprendersi. Ma non era più la stessa persona…

Ai gemelli (maschio e femmina di ormai due anni) fu permesso di incontrare il padre e tra lo stupore dei presenti l’uomo li abbracciò come mai riuscì a fare in precedenza, chiedendo in lacrime di perdonarlo.  Smise di vagare la notte e rimaneva con i gemelli tutti i momenti liberi, continuando a dormire nella stanza coniugale. In capo a un mese riprese le forze di un tempo, addirittura ringiovanendo ma soprattutto prodigandosi per gli altri. 

Si fece condurre nel canalone dove lo trovarono e discese con le corde sino al giovane pino che lo salvò; paurosamente inclinato e con gran parte delle radici scoperte, solo il profondo fittone (la continuazione sotterranea del tronco) ancora si opponeva al franare definitivamente.                                                  

Volle salvarlo a tutti i costi e per dargli la possibilità di crescere in altezza fu scavato il terreno in profondità, per estrarne il fittone senza danneggiarlo, preservando del tutto anche le radici orizzontali. Fu un lavoro straordinariamente difficile a cui si aggiunse il trasporto sino alla sua casa, dove l’avrebbe collocato.

Nel terreno prospiciente il casale fu preparata una enorme buca, ma con gran stupore dei presenti disse che avrebbe provveduto da solo “quando fosse stato il momento”, senza spiegarne le ragioni. Qui comincia la vera leggenda… pare che il mio trisnonno, intanto che il pino attendeva coricato e con le radici protette, riprese le uscite notturne, tuttavia solo per poche ore. Qualche tempo dopo, al mattino, tutti guardarono meravigliati il pino finalmente posto a dimora. Aveva fatto tutto da solo in una notte.

Violetta – perbacco, che determinazione… in tal modo saldò il debito di riconoscenza, il pino ripagò lui e i discendenti con una buona produzione di pinoli, come ho sentito.

Francesca - hai sentito bene, i nostri pinoli sono speciali. Dicevo che con la piantumazione del pino domestico comincia la leggenda… vuoi conoscere la fine?

Violetta – ah, pensavo fosse quella… che altro accadde?

Francesca – in quel momento nient’altro ma cinquant’anni dopo, alla morte del trisnonno, dopo avere ingrandita la tomba di famiglia, fu estratta la bara della moglie per porla accanto al marito nella nuova sede. Al coperchio del feretro mancavano molti chiodi e presentava segni di scasso… ma i gemelli vollero che fosse immediatamente collocata senza toccarla.

Violetta – difficile da credere che…

Francesca – infatti è una leggenda… ma una verità per pochi intimi. Te ne ho fatto partecipe perché so che lo terrai per te. 

C’è ancora dell’altro che non posso condividere: il mio trisnonno lasciò una lettera per i gemelli (il maschio era il mio bisnonno) che a loro volta passarono al nonno e, vent’anni fa, alla morte di mio padre arrivò a me. Ognuno aggiunse qualcosa… come sento che farò anch’io se – non avendo figli – potrò fidarmi del prossimo “custode” del pino.

Violetta – pare che il pino sia il fulcro di tutto…

Francesca – non pare, lo è.Tutti i giorni mi siedo sotto la sua ombra o ci cammino intorno… se non posso o sono altrove non dimentico di pensarlo, poiché attraverso di esso mi sento collegata alle mie radici, trovando la forza per accettare il mio destino e quello dei miei cari. Mio marito è morto due anni fa in un incidente sul lavoro, conosceva la leggenda e anch’egli amava quell’albero, lo accarezzava persino. Come faccio io e come a tuo modo penso fai anche tu con i tuoi due magnifici alberi, vero?

Violetta – (con un velo di commozione negli occhi) il modo non può che essere quello di toccarli, sapendo e sentendo attraverso la carezza che non è solo la memoria a trasmettere qualcosa. Che notevole coincidenza nei nostri destini!

Francesca – davvero! Senti com’è accaduto che ti ho cercata: il mese scorso dopo un po’ di riposo sotto il pino, al rientrare in casa mi sono detta: fatti aiutare.  Il buffo è che non avevo alcun pensiero in testa, men che meno quello di chiedere un aiuto, riguardo a cosa, poi? Mi pareva di aver dimenticato del tutto la cosa senonché, trovandomi a passare nelle vicinanze della casa di Luigi mi è tornato in mente… fatalità era nel giardino e riconosciuta l’auto mi ha salutato con la mano.

Mi sono fermata e ci siamo messi a parlare del più e del meno, sino a quando gli ho raccontato l’episodio dell’aiuto. Di colpo ha cambiato espressione e bofonchiando un ”ecco chi” mi ha invitato a entrare in casa. Ci siamo seduti attorno a un tavolo dove ha dispiegato una vecchia dettagliata mappa locale. Ha fatto un cerchietto a matita sulla sua posizione e chiesto a me di farlo – con la massima precisione - su casa mia.                           

Ha unito i due punti con un segmento e dopo averlo misurato scrupolosamente, ha disegnato  alla destra e sinistra dello stesso due identici triangoli equilateri (con il segmento in comune) di colori diversi. Gli ho chiesto cosa significasse  e mi ha indicato il vertice di quello rosso a sinistra che cadeva in mare, dicendo che fosse la risposta negativa. Invece il vertice di quello nero sulla destra, coincideva con una casa situata in una stretta strada. 

Luigi affermò che vi abitasse la persona che mi avrebbe aiutato. “La conosco – disse dopo averla localizzata – non poteva che essere lei!”. 

Tu, Violetta. 

…………………………


 13)

 

A Violetta finalmente venne in mente chi fosse Luigi e le modalità del loro incontro, più di dieci anni prima… poiché fu appunto una delle poche persone che si interessarono ai suoi disegni, tanto da porre in secondo piano il motivo familiare per cui richiese una consulenza. Anch’egli a suo modo studiava la geometria e accennò a linee che collegano destini. La consulenza terminò in modo inatteso per Violetta, a cui Luigi chiese di disegnare su un foglietto una figura piana chiusa. Assecondò la richiesta disegnando un triangolo.

Adesso, nel guardare stupita la mappa portata da Francesca, con i tre vertici del perfetto triangolo equilatero (in nero) corrispondenti alle loro abitazioni, qualcosa si smosse dentro di lei. Raccontò l’inusuale esperienza che la indusse a chiamarla, descrivendo come nel suo flusso di coscienza (in ambito terapeutico o artistico) si evidenziavano linee nelle persone o le disegnava nel foglio come apparendo dal nulla.

Il mondo è un insieme infinito di punti e solo una peculiarità insita nella coscienza umana li unisce con altrettante infinite linee di tutti i tipi, al di qua degli occhi e al di là, nel segreto mondo interiore.                 

Sono le linee che fanno apparire il mondo (materiale), sottese a regole di cui la geometria ne costituisce un primo livello, retto dal procedere in linea retta della luce. Il mondo interiore (compreso quello dei sogni) è governato da una differente luce, dove le linee divengono collegamenti, esenti dal dominio del tempo.

A volte i collegamenti proseguono nel mondo al di qua degli occhi, presentandosi come coincidenze, come quelle che avevano fatto incontrare le due donne.

 

Francesca – nella visione che hai avuto, seguendo quella che hai chiamato “linea guida”, ne hai incontrata un’altra…

Violetta – ho la sensazione che fosse la tua.

Francesca – sì, lo credo anch’io. E l’ultima, potrebbe essere quella di Luigi?

Violetta – lo escluderei, credo che sia una linea ancora da manifestarsi, mentre Luigi di fatto è una linea presente.

Francesca – giusto. Il disegno che hai fatto per Luigi, si può vedere?

Violetta – l’ha tenuto lui, comunque era un triangolo scaleno, tre lati uniti ai vertici senza alcuna elaborazione.

Francesca – (un po’ sorpresa) beh, dopo il triangolo che mi riguardava, Luigi mi aveva accennato a quello disegnato da te e ha detto che l’hai tu…

Violetta – Adesso che ci penso, il foglietto col disegno era appoggiato sul tavolino… poi è successa una cosa strana, un riflesso di luce proveniente dai pendagli appesi alla finestra l’ha illuminato colorandolo stranamente di rosa. Ho sentito che per Luigi fosse un evento importante ma non ne volesse parlare, così ho lasciato perdere e abbiamo proseguito con altri argomenti. Dopo il commiato il foglietto non c’era e ho pensato l’avesse preso lui. Sono passati tanti anni e la mia memoria un po’ incespica, tuttavia non credo poi di averlo trovato e messo da parte.

Francesca – non importa… ritornando alle linee guida, oltre l’ultima hai detto di aver percepito una “perturbazione”, puoi spiegarmelo con un esempio?

Violetta – Certo, casualmente ne ho uno adatto: a casa di un’amica tempo fa è suonato l’allarme, di giorno. Dopo aver verificato ha detto che il vento aveva aperto una finestra mal chiusa, cambiando il volume impostato nell’allarme. Ecco, qualcosa del genere, una sorta di vibrazione connessa ad un’apertura nello spazio – se è tale – della visione.

Francesca – e quella perturbazione l’hai percepita anche nel minuscolo occhio dell’uccellino, hai detto che ti osservava…   

Violetta – (intuendo dove conduceva il “percorso” di una linea interiore di Francesca che cresceva d’intensità, la guardò con la modalità che un tempo impiegava nelle consulenze, quando, con una sorta di click interno abbandonava all’istante l’usuale vestito – la trama – della sua personalità, scoprendo le potenti linee dell’ordito. Quel che sentiva, faceva e diceva in quello stato non era più controllabile, qualcosa agiva da sé per forza e volere proprio) - sei venuta per farti aiutare, come è successo?

Francesca – (sorpresa dal repentino cambio di registro e dalla sensazione di potere emanata dalla donna ) – non me lo so spiegare poiché non avevo alcun pensiero, tantomeno di “farmi aiutare”.

Violetta – hai detto che prima camminavi sotto il pino… tu sai che la leggenda è verità. Mentre camminavi, piangevi?

Francesca – (ebbe la netta impressione che fosse in grado di vedere cosa successe) - mio marito è morto due anni fa e piango spesso sotto il pino, mi da sollievo.

Violetta – là, ci parli a tuo marito?

Francesca – sì, come tutte le persone che vanno al cimitero a trovare i loro defunti.

Violetta – ma tu non vai al cimitero, dov’è il corpo…

Francesca – è vero, ci vado di rado per portare dei fiori.

Violetta – perché là non lo senti, mentre sotto il pino…

Francesca – sì, ho la sensazione della presenza.

Violetta – non quella di tuo marito, altrimenti non avresti chiesto un aiuto.

Francesca – non ho chiesto un aiuto…

Violetta – hai accarezzato il pino mentre piangevi?

Francesca – sì…

Violetta – la leggenda dice che lì sotto c’è un’altra sposa sfortunata che non ha goduto i suoi figli, ma almeno li ha messi al mondo. Tu non hai potuto farlo…

Francesca – purtroppo, a causa di un mio problema.

Violetta – (avvicinandosi e prendendole la mano)  … ma tuo marito l’ha fatto.

Francesca – (sbigottita) no, non è vero… me l’avrebbe detto, l’avrei perdonato…

Violetta – … diglielo.

Francesca – a chi, cosa..?

Violetta – a tuo marito, digli quello che provi, ti ascolta…

Francesca – (stava per replicare a quello che credette un espediente terapeutico ma fu trafitta dallo sguardo della donna in un volto trasfigurato. Ancora tentò di credere che tutto fosse solo frutto di suggestione, ma chi aveva di fronte con un semplice gesto fece crollare ogni sua residua resistenza. La donna si strinse col pollice e l’indice della mano sinistra la parte inferiore della stessa orecchia, tirandosela alcune volte verso il basso. Il tick del marito quando discuteva con lei.) - allora era vera la voce, hai avuto un figlio con un’altra donna! Eravamo sposati… perché, perché non l’hai confessato?

Marito – stavo per farlo, avevo deciso di far fronte alle mie responsabilità qualunque fosse il prezzo da pagare… quando l’incidente mi ha tolto la vita. Non ho nessuna scusa, con la madre fu solo attrazione fisica ma poi… qualcosa in me voleva una discendenza e l’ho assecondata. Ho aiutato la madre in tutto e quando mi ha chiesto una ingente somma di denaro per rifarsi una vita altrove con un vero marito ho accettato di perdere mia figlia per il suo bene. Entrambe non le ho più riviste.

Francesca – potevi chiedermi il divorzio, all’inizio ti avrei odiato ma di fronte a un figlio…

Marito – le cose sono andate così, quando cammini sotto il nostro pino sento il dolore che ti ho causato e vorrei aggiungerlo al mio per liberartene. Ma non posso più far nulla nel tuo mondo.

Francesca – … sei stato tu a mettermi il pensiero di farmi aiutare?

Marito – altri possono, a me è precluso.

Francesca – chi ha potuto farlo?

Marito – mia figlia…

Francesca – per ottenere il perdono del padre?

Marito – non potrà mai esserci nessun perdono, se non vieni prima liberata dal dolore che ti ho causato.  

Francesca – perché una bambina aiuterebbe la moglie del suo babbo che l’ha tradita?

Marito – perché, diversamente da me e sua madre, ha un cuore puro…

Francesca – (piangendo) allora così sia, per lei ti perdono… riposa in pace.

Marito – nel nome di mia figlia ti ringrazio per la generosità. Da ora in avanti nessun dolore ti toccherà più.

 

Violetta raccolse le linee di Francesca, il marito e sua figlia come si raccolgono i fiori da un vaso rovesciato, rimettendoli nuovamente nell’acqua, non più schiacciati a terra ma aperti all’aria, a diffondere colori e profumi verso il cielo.

Violetta e Francesca – riconoscente per l’inaspettata esperienza che la sgravò del recondito fardello - da quel giorno instaurarono una profonda amicizia durata quattordici anni, sino alla morte di Violetta nel 2004, a 87 anni.

L’anziana donna, tre mesi prima della fine fu ricoverata per accertamenti e nell’occasione Francesca le fece visita, riferendole della “giovane donna che si era inventata un modo diverso per sopravvivere, proponendo dei libri che teneva in una borsa di cotone bianco, stampata”.

Anna (madre di Piero) divenne amica di entrambe ed esaudì l’unico desiderio di Violetta, conservarne le opere.

Francesca le volle bene come a una figlia sin dal primo momento che la vide… come gliene volle il padre che dovette abbandonarla.

………………………

 

14)

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Zeno, se già non passava inosservato a causa dell’alta statura, figuratevelo in sella al suo vespino (motoretta): un armadio con due piccole ruotine che, due giorni dopo la visita delle sorelle, lentamente si inerpicava sui tornanti che conducevano alla villa di Solange.

Da appassionato qual era sapeva del pino centenario, ma le volte che si prefisse di chiedere una visita accadeva sempre qualcosa a rinviarla, in ultima la vendita della villa. Stavolta neppure gli inquietanti segnali di fatica del piccolo motore che arrancava sotto i cento chili di Zeno - avesse ceduto –  l’avrebbero fermato dal raggiungere l’obiettivo, poiché avrebbe proseguito a piedi.

Per procrastinare l’infausta evenienza, si fermò prima degli ultimi tornanti per farlo raffreddare; dalla posizione raggiunta vide il maestoso albero stagliarsi contro il cielo azzurro, illuminato dal sole del primo pomeriggio. Aveva già osservato esemplari simili e anche maggiori, come il pino della baia di Lacona nell’isola d’Elba, ma questo aveva una caratteristica unica… l’aveva sognato dopo la morte della madre.

… era in auto col padre, naturalmente seduto davanti a causa delle gambe già oltre misura per la seduta posteriore, dov’era la mamma in mezzo alle due gemelle.

Zeno – babbo, la zia non abita in montagna… dove stiamo andando?

babbo – eh, sempre attento il mio figliolo, non gli si può fare una sorpresa che se ne accorge subito! Ebbene, stiamo andando a casa di una nostra amica che ci ha invitato  per festeggiare la tua promozione!

Zeno – o babbo, io non la conosco codesta persona, come potrò ringraziarla?

babbo – la conoscerai e avrai modo di ricambiare. Guarda là, il grande pino della sua casa…

Il sogno si concluse così, con l’immagine di quell’albero maestoso, riemergendo oggi alla sua coscienza come un dejà vù che univa il mondo onirico a quello reale.

Dejà vù e coincidenze sono eventi abbastanza frequenti nella vita delle persone, lo sono meno quando si susseguono con una certa frequenza, quasi indicassero un percorso da seguire. Un ulteriore steep produce la sensazione che tutto sia una coincidenza e il flusso del divenire la lettura (in corso) di una immensa narrazione, commisurata alla capacità percettiva.

Cosa sia quell’ipotetico libro universale che contiene la descrizione di (ogni cosa) tutto, non può essere spiegato da una sua parte, giusto darne un accenno, riuscendovi maggiormente altre abilità umane non soggette ai vincoli dello spazio-tempo, quali l’immaginazione o l’empatia.

Ancora sotto l’effetto della meraviglia causata dalla coincidenza, l’armadio sulle ruote suonò alla villa, strappando un sorriso a Solange e Lisette che si accorsero subito del suo feeling col pino, a tal punto ipnotizzato da non sentire il primo saluto e rispondere al secondo, molto più efficace trattandosi di una mano che Solange volutamente non trattenne.

Lisette – accidenti Zeno, venire in vespa (motoretta) su questi tornanti dev’essere stata un’impresa.

Zeno – puoi dirlo, già temevo di dover salire gli ultimi a piedi, per fortuna dopo averla fatta raffreddare ce l’abbiamo fatta. Beh, eccoci qui… il pino è magnifico!

Solange – sai Zeno, in sincerità devo dirti che avevo progettato di toglierlo, non mi garbava la resina e la chioma mi pareva alquanto spelacchiata. Credo che com’era per mio marito, anche per te e Francesca c’è qualcosa nel pino che non riesco a cogliere…

Zeno – capisco… non l’hai ancora guardato bene, come ho fatto io con altri pini dopo aver sognato la mia famiglia (accenna al sogno e coincidenza).

Io credo nel destino, nelle coincidenze e a molte altre cose che non hanno alcun valore per la maggior parte delle persone, per non dire a quasi tutte. Se non ci credessi, avrei a tal punto desiderato di lasciare questo mondo da costringere quello stesso destino ad esaudirmi… invece eccomi qui a 42 anni, contento per ogni giorno che posso bere un caffè e salutare i miei pini. 

Adesso so per certo che quel sogno ha anticipato questo giorno e quando mi sono fermato per far riposare la moto, non ho solo visto il pino… ho sentito il sorriso di tutta la mia famiglia. Quando qualcuno che ci vuole bene ci sorride o accarezza… c’è qualcosa di più grande?

Solange – (commossarendendosi conto che la condizione di Zeno era analoga alla sua, salvo aver “guardato il pino” e trovato la nuova direzione dopo l’immensa perdita) no, non c’è… lo comprendi davvero quando viene a mancare e come dicono, fortunatamente il tempo aiuta.

Zeno – giusto. Sono qui per un lavoretto, cominciamo?

sopra un tavolo da lavoro nella veranda esterna, l’uomo scelse due vasi di coccio e preparò un terriccio sabbioso, leggero e secco. Lisette gli porse il vaso con i due rametti lasciandogli il compito di separarli, curiosa al pari della sorella di vedere se anche lui si sarebbe accorto delle identiche caratteristiche. Dopo averli tolti dall’acqua e posati su un canovaccio, lentamente, con la massima cura li divise non danneggiando neppure una delle piccole radichette. Pur se  si accorse di qualcosa non lo dette a vedere ed entrambe le sorelle pensarono che una perfetta coincidenza, per quanto rara non fosse impossibile.

Una volta invasati li collocò in un posto con la giusta esposizione, rimanendo a lungo a contemplarli, meravigliando Solange per quanto prese a cuore l’incarico, tanto che gli dette carta bianca per la scelta del luogo – ovunque fosse – della futura messa a dimora. Zeno, visibilmente commosso per la fiducia, le chiese di camminare assieme a lui nella proprietà alla ricerca del posto giusto. Nel frattempo Lisette si accomiatò per fare delle telefonate.

Passeggiarono a lungo, raccontandosi episodi della propria vita e Solange, dopo averlo provato con Francesca, sentì nuovamente il conforto che solo un’amicizia disinteressata può dare… c’è qualcosa di più grande?

Senza che se ne rendesse conto, Zeno faceva in modo che fosse lei a scegliere il percorso, notando che solo in due distinti posti si fermò un paio di volte.

Zeno – bene, Solange… hai trovato i posti giusti! Uno è quello dove sei ora e l’altro sempre alla stessa distanza (dieci metri) ma dalla parte opposta del pino, dove ci siamo fermati due volte per guardare l’erica arborea. Ci mettiamo questi due stecchi e… però, me ne accorgo adesso!

Solange – (sorridendo) già mi hai stupito con la scelta dei posti che avrei fatto (inconsciamente) io… ora di cosa ti accorgi?

Zeno – beh, unisci i due posti al pino, che figura risulta?

Solange – un triangolo.

Zeno – dici bene, avremo tempo di misurarlo ma pare proprio un perfetto triangolo equilatero… lo interpreto come un buon segno. Le gemelle sarebbero contente, alla stessa distanza dalla mamma…

Solange – eh..? Quali gemelle?

Zeno – ne hai molta Solange, non trattenere l’intuizione…

Solange – vuoi dire che posso indovinarlo?

Zeno – sicuramente, prova…

Solange – (avvertì una sorta di leggero “click” dentro di sé e l’immagine al di qua degli occhi divenne quel che è in realtà, piatta come il disegno su un foglio, poiché è l’elaborazione del cervello a conferirle la tridimensionalità. Su quell’immagine si stagliarono delle linee che sentì di poter seguire (incredibilmente) col respiro, arrivando a dei “disegni” memorizzati in precedenza. Nel primo, Zeno guardava i due vasi con i rametti, nel successivo li accarezzava… ma questo era certa di non averlo visto, eppure…) hai accarezzato i vasi con i rametti?

Zeno – (compiaciuto) – sì, dentro di me…

Solange – (ora le immagini si susseguivano man mano che le descriveva)

    - nel sogno tua madre sedeva dietro, in mezzo alle gemelle…

    - vi siete fermati e hai visto il pino…

    - tuo padre dice che conoscerai la padrona di casa… sono io?

Zeno – sì, e ti ringrazio dal profondo del cuore…

Solange – per cosa?

Zeno – per le mie sorelle gemelle… due gocce d’acqua come i due rametti.

Solange – te ne sei accorto!

Zeno – sì, l’esatta copia uno dell’altro. I posti che hai scelto, alla destra e sinistra del pino, di fronte al mare… adesso ho il luogo dove trovarle…

Solange – le loro spoglie sono altrove…

Zeno – i loro corpi appartengono al tempo, non il collegamento tra noi.

Solange – questo “collegamento” forse non è reale…

Zeno – sicuramente non è di questa realtà…

Solange – pensi ci siano altre realtà?

Zeno – tu pensi ci sia uno scopo nella vita?

Solange – prima della morte di mio marito... adesso non lo so. Per te?

Zeno – quello è lo scopo… differenti realtà.

Solange – spiritismo, occultismo, magia…

Zeno – non mi riguarda né interessa nulla di tutto questo, niente delle realtà altrui…

Solange – qui, in questa realtà dove siamo cosa ti fa credere che ve ne siano altre?

Zeno – in che realtà eri quando hai “visto” il mio sogno?

Solange – capisco, è soggettivo…

Zeno – sì e no, riguarda anche te - “ebbene, stiamo andando a casa di una nostra amica che ci ha invitato per festeggiare la tua promozione!” - diceva mio padre nel sogno.

Solange – con la “promozione”…

Zeno – … si cambia classe, no?


………………………

 

14)



Terminate le telefonate Lisette si riunì alla sorella e Zeno intenti a conversare sotto il pino.

Solange - (rivolta alla sorella) anche Zeno si è accorto dei rametti identici, adesso che ci sei anche tu vorrei chiedergli come sia possibile.

Zeno – beh, l’impossibile è come la faccia nascosta della luna, vediamo solo quella possibile dalla nostra posizione.

Lisette – vorresti dire che la realtà che percepiamo – in questo caso i due rametti identici – dipende da dove ci troviamo, dal nostro punto di osservazione?

Zeno – perché, non è sempre così?

Lisette – rimanendo sui rametti… per noi tre sono oggettivamente identici, no?

Zeno – lo sono dal nostro punto d’osservazione.

Solange – qualche giorno fa, incontrando Francesca - la precedente proprietaria della villa - le dissi dei rametti, quello che volò su di me e l’altro su mio marito… fu lei a chiedermi come fossero, implicitamente suggerendo di osservarli, altrimenti non mi sarebbe venuto in mente di farlo assieme a Lisette. Entrambe riteniamo che Francesca intuisse che fossero identici.

Zeno – l’intuizione a volte anticipa la verifica, pur procedendo da un differente punto di osservazione.

Lisette – se differenti punti di osservazione convergono su un’unica realtà, significa che non ne sono possibili altre. L’impossibile, al pari della faccia nascosta della luna, non appartenendo alla realtà osservabile non può dipenderne…

Zeno – ottimo ragionamento filosofico… noi tre abbiamo visto lo stesso fenomeno e, da un differente punto di osservazione, anche Francesca. Si potrebbe obiettare che due diversi punti di osservazione non esauriscono certo tutte le possibilità, ma non avendone altri dobbiamo accontentarci. Da questi due punti del tutto diversi i rametti (fenomeno) appaiono… come?

Lisette - oggettivamente identici, no?

Zeno – qui sorge un problema… da quello che avete detto, Francesca non ha affermato alcunché, ha solo posto una domanda, giustamente interpretata come un invito ad osservare un fenomeno. Quale che fosse il suo intendimento, tuttavia non ci preclude di rivolgerci alla questione, non solo semantica, del significato di “identico”. Le mie sorelle erano due gemelle “identiche”, geneticamente ed esteriormente, come due gocce d’acqua. Nel caso dei rametti che avete (bene) osservato come ho fatto a mia volta, non si tratta di somiglianza, ma proprio di identità, risultando indistinguibili tra loro. Come me probabilmente anche voi avrete contato gli aghi, notato le mancanze, le ferite e altri particolari. Quindi..?

Lisette – quindi non trattandosi di rametti “gemelli” e non essendo possibile, nella nostra realtà conoscibile, l’assoluta identità… devono appartenere ad un’altra (realtà) che (ancora) non conosciamo, giusto?

Zeno – chapeau…

Solange –  ma… se sono qui come possono appartenere ad un’altra realtà?

Lisette –  l’osservato dipende dall’osservatore… potremmo essere noi in quest’altra realtà?

Zeno – perché no? Mica dobbiamo esserci al 100%, solo relativamente al fenomeno dei rametti…

Solange – allora altre persone potrebbero vedere i rametti diversamente da come li vediamo noi?

Zeno – ad altre persone non passerebbe per l’anticamera del cervello che due rametti di pino possano essere del tutto identici…

Solange – invece per Francesca…

Lisette – lei ha avuto… decisamente una forte intuizione, che ha trasportato noi due e Zeno sulla faccia nascosta della luna, nella realtà impossibile….

Zeno – brava Lisette, questo è il modo giusto di parlarne, allegoricamente…

Solange – Zeno, ho l’impressione che tu sia troppo preparato rispetto a quanto stiamo discutendo per non averci pensato sopra in precedenza, sbaglio?

Zeno – forse è dal contatto con Francesca che si sta sviluppando in te l’intuizione. Prima eri entrata nella mia memoria, prova ancora, vedi da te cosa mi è successo…

Solange – (avvertì nuovamente quel leggero “click” e nella visione divenuta piatta come un disegno sul foglio, si stagliarono delle linee che poteva seguire…)

sei… quello sul letto è mio marito..! (piange)

Zeno – sì, fatti forza, è importante che tu proceda… per sciogliere i nodi di dolore

Solange – (dopo un po’, ripresasi) con cura ne hai composto il corpo e sistemato le vesti, grazie

e appoggiato il rametto di pino sopra una mano

Zeno – guarda bene come è messo il rametto

Solange – l’ho visto che potrei disegnarlo, stai muovendo il letto… capisco, devi rimetterlo al freddo, dentro il locale

Zeno – no, non è finito, attendi

Solange – hai aperto di nuovo il locale e lo riporti nella grande stanza

Zeno – il rametto, Solange

Solange – non è dov’era prima… l’hai spostato e messo tra le dita dell’altra mano

Zeno – ti giuro, non ho toccato nulla

Solange – sono sicura, non è dov’era in precedenza

Zeno – solo io potevo aprire il locale…

 

(A Lisette, sbalordita dall’intensità e contenuto del dialogo tra i due, Solange descrisse quello riguardante il sogno di Zeno, mentre lei era assente, non entrando nel merito per non perdere il filo del discorso).

Lisette – se nessuno poteva accedere al locale… ci sono due sole possibilità: un’impossibile azione del… corpo o un’altrettanta impossibile azione del rametto.

Zeno – non possiamo conoscere come avvenne  l’impossibile, solo l’avvenuto. Non da dove è partita la freccia, ma dove ha colpito. Nel nostro caso il locale refrigerato e chiuso, come hai detto tu prima, al pari della faccia nascosta della luna, non appartenendo alla realtà osservabile non può dipenderne.

Lisette – impossibile per impossibile… i due rametti, potrebbero essere uno solo?

Solange – (emergendo da una visone interna) il rametto che volò su di me… è una  copia assolutamente identica – compresa l’energia vitale che lo anima – di quello caduto su mio marito…

Zeno – (sorpreso ed emozionato) accidenti, non avevo considerato questa impossibilità, Solange, toccala…

Solange – il rametto dalla mano di mio marito è stato preso e copiato… dal nostro pino in uno dei suoi, per darci una traccia

………………………….

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