Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1/4)
Il primo atto di ogni civiltà-società è quello di assegnare
un’identità – un nome – ai propri cittadini e assoggettarli alle regole
(diritti e doveri) vigenti.
Il lavoro e l’abitazione dovrebbero completarne l’inserimento
nella vita comunitaria, ma chi per diversi motivi non possa usufruire di una
casa o almeno un domicilio, si ritroverà a vivere ai margini della società,
quando non ne sia escluso del tutto.
Come ci sono stati dati i due cardini dell’identità - il nome
e la casa - alla fine ci verranno tolti, abbandoneremo la casa dei viventi e il
nostro nome apparterrà all’elenco dei defunti, esonerati (finalmente, direbbe
qualcuno) dagli obblighi di legge.
Alcuni che decidono o sono costretti a lasciare la loro casa
ancora in vita e che per diverse circostanze non saranno identificabili da morti, diverranno ospiti provvisori in qualche obitorio, in attesa che si compia l’ultimo atto
dell’esistenza.
Il corpo, il fedele servitore del fantasma nella macchina cui molti danno la caccia immaginandolo o
ritenendolo diverso da sé stesso, senza l’energia vitale ad animarlo si palesa
quale fragile e indifeso guscio vuoto, privato di quei meravigliosi processi
organici che ne hanno reso possibile l’autonomia.
Poiché siamo animali
sociali, quell’ultimo atto riguarda il corpo che verrà affrancato dal
collegamento col suo nome durante un’apposita cerimonia o attraverso un
semplice atto anagrafico (certificato di morte).
Il corpo può senz’altro morire senza un’identità, come accade
agli animali selvatici, ma quasi tutte le società ritengono che gli si debba
quell’ultimo atto e per l’occasione, in differenti modi nel mondo, viene
ricomposto cercando con un “trucco” (cosmetico) di ridonare al volto un po' di
quella luce che contraddistingue l’animato dall’inanimato.
Quell’ultimo atto può raggiungere vette espressive (e di
partecipazione emotiva) proprie di un’arte,
ben descritte nel film giapponese “Departures”
https://www.mymovies.it/film/2008/departures/https://www.mymovies.it/film/2008/departures/
Ritornando a quei corpi “di nessuno” ricordo il lavoro del medico legale Cristina Cattaneo che efficacemente coniuga gli aspetti
legali con quelli dell’umana pietas che potete ascoltare nella puntata n°21 del podcast “Altre storie” di Mario
Calabresi :
https://www.mariocalabresi.com/podcasts/altre-storie-n21-la-donna-che-restituisce-i-nomi/
Nell’altro lato della medaglia infatti vi sono (vive) le persone
che hanno un legame con quella che scompare dal loro orizzonte degli eventi, inghiottite dal buco nero dell’imponderabile
nell’esistenza.
Difficile se non impossibile farsene una ragione e si deve alla
psicologa americana, Pauline Boss, la teoria sulla perdita ambigua e la necessità di imparare a con-vivere con il
lutto irrisolto.
Questo bell’articolo di Lorenzo Bolzonello riassume l’intera
questione:
http://vivereilmorire.eu/wp-content/uploads/2018/11/Articolo-Lorenzo-Bolzonello.pdf
L’anno scorso è mancato il mio fratello maggiore che, a causa delle rigide regole della situazione sanitaria, dal ricovero in ospedale non abbiamo più potuto visitare e neppure vedere da morto, magari attraverso un vetro, circostanza che ha straziato mia madre.
… alla bara del figlio, nel locale antistante il forno crematorio, viene tolto il coperchio e aperto il telo che ricopre il corpo, così che mia madre può finalmente vedere per l’ultima volta l’amato figlio.
In un successivo sogno le è apparso di bell’aspetto e le ha detto: ” mamma, sono libero, non ho più il mio corpo…”
Molto sentito e bello questo post, e ricco di quell'umana pietas cui fa accenno. Ringrazio per i riferimenti culturali che amplieranno sicuramente i miei orizzonti mentali nonché sentimentali.
RispondiEliminaf.
Grazie del commento... troppo buona. Consiglio ai lettori la lettura del suo pregevole e ispirato blog: https://poesieintornoalfuoco.blogspot.com/2021/04/ri-scoperte.html
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